Il tempo è pochissimo, come prevedevo. Riesco soltanto a segnalarvi un articolo di Lucetta Scaraffia su Il Riformista di oggi. Il succo: siamo sicure che alle donne interessino davvero gli asili nido? Non è così bello e gioioso che dei bambini si occupino le nonne?
Del resto, il nostro paese – aggiungo – non è fondato da decenni sul volontariato femminile in sostituzione dei servizi che dovrebbero essere forniti dallo Stato?
Ti provoco con un’altra domanda. Con una premessa.
La famiglia è una risorsa gratuita (nonno e nonna ovviamente). I servizi dello Stato, oltre una certa misura, creano debito pubblico e poi
a) rendono un paese ricattabile da chi ne possiede i titoli
b) a un certo punto si rivelano insostenibili e costringono a ricorrere al privato
Il risultato è che oggi una famiglia del ceto medio non riesce a garantire l’assistenza (babysitter, badanti ecc) che le famiglie (allrgate) povere di un tempo potevano avere gratis.
Cosa ti piace di più?
Valter, però la “nonnità” dovrebbe essere una scelta, non un passaggio obbligato. Altrimenti va a finire che si giustifica la mancanza dei servizi pubblici (che io pago con le mie tasse) con romantici appelli allo spirito dei nonni (che come al solito, poi, è delle nonne. Perché prima erano madri, perciò abituate a cambiare il pannolino; mentre i nonni giocano a tresette al bar).
Io vengo da una famiglia ultrapopolare, lo sai. Ma mia madre (nonna meravigliosa) abita a un’ora di mezzi pubblici da casa mia e io non ho la macchina; se non avessimo il posto per mia figlia nella scuola materna come andrebbe a finire col mio lavoro e con quello di mia moglie?
E ci sono pure coloro che sui nonni *non vogliono* contare, perché non considerano giusto che magari a 70 anni suonati i nonni debbano passare 8-10 ore, cinque giorni su sette, a sbattersi (e a stancarsi) dietro a dei marmocchi.
Vorrei fare un’affermazione, all’apparenza fuori tema, e poi sostenerla con tre proposte concrete. Da vero uomo del fare.
Risolvere la crisi in atto è semplicissimo.
A) Nella produzione: 1) industriale: contratto di lavoro cinese per tutti. in questo l’ukase di pomigliano va nella giusta direzione, ma manca ancora di coraggio. modello polacco, serbo, ancora troppa puzza di vecchia europa, ancora uno sforzo,please.
2) comparto agro-alimentare: modello Rosarno va bene, molto bene. bracciantato dell’est per la costa adriatica, africano per quella ionica e tirrenica. già sperimentato. funziona perfettamente. molto bene anche sikh e indiani per le quote latte padane.
B) Nella finanza: 1) legalizzazione del capitale mafioso: si tratta di un buon 20% del PIL, è da coglioni rinunciare a quelle centinaia di miliardi di fatturato. è un favore assurdo che facciamo a paesi concorrenti, che poi ci fottono. non ce lo possiamo più permettere. e d’altronde in giappone già da decenni la yakuza ha i suoi uffici, e le sedi, e le proprie attività. tutte legali. non vogliamo mica essere razzisti e dire che sono stronzi.
C) Nel welfare: la nonnità. concetto meraviglioso, ma va espanso, e molto anche. consiglio di prendere come riferimento il modello sanitario campano dove i parenti di un degente provvedono a biancheria cibo pulizia disinfezione del congiunto, pena morte precoce del medesimo. lo schema può, deve, essere replicato in tutti i comparti sensibili che affogano la spesa pubblica. sanità, istruzione, trasporti… hai uno zio che sa leggere e scrivere? bene, farà l’insegnante a figli, nipoti cugini e amichetti vari.
una cognata con la patente? si occuperà dei collegamenti necessari, peraltro già molto ridotti del superfluo.
così anche con le pensioni finalmente ci diamo un taglio. perchè di sti nonni, che si fanno un mazzo così, se ne occuperanno bene figli e nipoti, mi pare il minimo.
In questo modo, risolta la crisi, la famiglia sarà larga, larghissima, smisurata. e non ne vedremo più i confini.
ma vuoi mettere, quanto ci vorremo bene?
L.
ma certo che e’ bello che i nonni si occupino dei bimbi, che i figli si occupino dei genitori anziani, che i genitori si occupino del lavoro dei figli, che la famiglia si occupi dei parenti malati in ospedale, che …. eccetera.
Ma questo non toglie che lo stato non possa fare affidamento su questo. Non possa usarlo per giustificare la mancanza di servizi.
Valter, l’alternativa non si può semplicemente porre in questi termini… il modello pufflandia non è proponibile né sostenibile nella società che ci è stata costruita intorno. Vuoi che aggiunga purtroppo? Ok, purtroppo. Ora scusami, ma devo tornare all’aratro – di Farmville.
🙂
Luca for president!
Troppo semplice fare la caricatura di quello che ho detto.
Ovviamente non intendo “ritornare” (detesto questo verbo) a moduli familiari del passato e nemmeno “precettare” settantenni più o meno renitenti (anche se sospetto che molti anziani preferiscano l’integrazione familiare alle case di riposo o alla compagnia di badanti prezzolate).
Io credo che quando, come qui, si ha il coraggio di porre questioni radicali, che riguardano modelli di vita e anche la definizione stessa del sociale, bisognerebbe osare pensare in grande, e anzichè mettere un estremo rattoppo a un modello che non tiene, ripensarlo da principio.
Ricordatevi (so che almeno qualcuno di voi c’era) la critica alla famiglia borghese negli anni Settanta. Non c’era solo il sogno (o il delirio costosissimo) della singletudine o totale autonomia individuale, c’era anche la Comune.
Premesso che per me la famiglia italiana è all’origine di tutti i mali del mondo, dall’estinzione dei dinosauri all’effetto serra, vorrei ricordare un piccolo e insignificante dettaglio: debito pubblico o non debito pubblico, i genitori e i suoceri possono sempre ricattarti, il nido no.
Aggiungo che tra poco genitori e suoceri in pensione ci andranno un tantino più tardi e il figlio che vorrà riprodursi prima dei cinquant’anni potrebbe avere dei problemi a collocargli i figli per andare, lui/lei, a lavorare.
Il modello familiare italiano sta per andare in crisi nera per questioni anagrafiche e generazionali.
Quanto al modello della comune, merita senz’altro una riflessione. Ricordandosi però che aveva una struttura generazionale orizzontale, non verticale – insomma, avveniva tra coetanei. Quando l’ho provata (non con bambini in mezzo) l’ho trovata comodissima, panacea di ogni male e sollievo in ogni difficoltà.
Gli anziani potranno pure preferire la compagia dei nipoti a quella delle badanti prezzolate, solo che bisogna chiedersi se ne hanno la forza e
le capacità.
E poi io figlia adulta potrei anche voler contestare il modello educativo dei miei genitori ed evitare di rirpoporlo ai miei figli? Posso volere dei professionisti che si occupano dei bisogni dei bambini? Posso pretendere un pedagogo e non una nonna dilettante piena di buona volontà ma magari scarsa in salute ed energie per non parlare delle competenze?
Posso volere una struttura attrezzata in modo responsabile e magari con giardino, invece del miniappartamento al 4to piano senza ascensore e senza spazio per il passeggino all’ingresso?
Posso voler creare posti di lavoro a personale competente?
E di datori di lavoro ci arrivano a capirlo che un nido interno offre collaboratori più motivati e meno distratti dal fronte domestico (arriverà la baby-sitter? Ce la fa la nonna con la bronchite? Arriverò in tempo per ritirarli dal nido o posso cpontare sul traffico? Ho voglia di finire questo lavoro che sto facendo anche se sono già le 17, tanto il nido è dietro l’angolo ed è aperto fino alle 18) e quindi più produttivi?
Posso pagare le tasse ed avere i servizi?
Possiamo piantarla di rimettere sempre in discussione il diritto di qualunque essere umano di fare i figli quando è ora di farli, di farsi una carriera o un lavoro che può anche dargli soddisfazioni quando è ora di farli e di riposarsi ed eventualmente giocare as trip poker tutto il giorno dopo essere andato in pensione?
E soprattutto di rimetterlo particolarmente in discussione ogni volta che si tratta di donne?
Cominciamo con il congedo paternità obbligatorio e i nidi, e poi parliamo di età di pensionamento, allineata o meno afgli altri paesi.
Anche Mammamsterdam for president!
uno stralcio dell’articolo che mi ha fatto cadere dalla sedia: “Ricordo ancora la pena che mi prese quando mia figlia, ancora molto piccola, abituata purtroppo alle baby sitter e non ai nonni, mi ha chiesto un giorno, improvvisamente: «Sono tutti pagati quelli che stanno con me?». ”
oh
my
god
Mi sembra interessante segnalare un’ esperienza. Vivo in una piccola città senza asilo nido. Altre cittadine della provincia, pari bacino di utenza, ce l’hanno. La mancanza del nido mi sembrava uno spunto buono per un articolo destinato alle pagine locali di un quotidiano con cui nel 2004 avevo cominciato a collaborare. Errore madornale. Sulla carta l’esigenza c’era eccome, ma TUTTE le mamme che intervistai (insegnanti, impiegate, operaie) non sembravano per nulla arrabbiate del fatto che nella loro città non ci fosse il nido, nè così desiderose di averlo. Preferivano utilizzare interamente il periodo di maternità (se l’avevano), preferivano utilizzare nonni o baby sitter, e comunque molte di loro non avrebbero mandato i bambini al nido perchè troppo piccoli, ancora bisognosi della mamma, oppure perchè al nido si prendono le malattie. L’esigenza c’era, tutte in qualche modo avevano dovuto provvedere, magari facendo i salti mortali, ma nessuna dimostrava che la mancanza del nido fosse un suo problema. L’articolo, ovviamente, non è poi venuto un granchè…
@Mammasterdam
Concezione infantile del diritto. Il diritto non può prescindere dalle risorse.
Se sei persone pretendono il diritto a un chilo di torta ciascuno quando la torta ne pesa 4, hanno problemi di matematica, non di genere.
Questo sistema che ci è stato ingannevolmente promesso cinquant’anni fa non è solo in crisi, è già finito. Solo che bisognerebbe studiarci un po’ sopra per capirlo. Più comodo pestare i piedi.
@Valter, e’ vero che il diritto non puo’ prescindere dalle risorse. Ma se il fornaio dice scusate la torta non la metterei neanche in budget perche’ tanto ci sta mammuzza vostra che ve la sforna, mi pare che i valori si siano un pochettino mescolati.
Non è serio accusare di mammismo o familismo chi si permette di far osservare quello che poi la realtà impone a forza. Il ricorso ai genitori (nonni) non può e non deve essere un obbligo, ma per esempio la possibilitò di organizzarsi con asili-famiglia tra utenti medesimi, o di andare al lavoro in quattro su un auto anzichè ognuno sulla propria, di ripensare al modulo d’esistenza comunitario (anche e soprattutto orizzontale) piuttosto che a quello nucleare, sono forme di immaginazione sociale a cui ci si dovrebbe rivolgere, anzichè essere ossessionati da pretese nate in altri contesti storici (con altri tassi demografici, altri livelli occupazionali ecc)
Binaghi, glielo giuro, non volevo farle alcuna caricatura. solo mi piacerebbe che si dicesse davvero dove si vuole andare a parare (ancora una volta non è a lei che mi riferisco). questa storia che dalle crisi si esce barattando diritti ormai insostenibili con presunti adeguamenti alle mutate condizioni è una balla colossale. e il problema è che questo i masters of the universe lo sanno molto bene.
la storia parla chiaro: al binomio crisi-abbattimento dei diritti corrispondono solo e sempre, prima guerre civili, e poi guerre tra stati.
quanto alla sua chiusura, è vero, mi ricordo, c’era la Comune. ma a me quello che sembra mancare è IL comune, il bene collettivo, ciò che è di tutti.
perchè della tutela di parenti e amichetti qui ne abbiamo a iosa, in tutte le versioni, fino a quella col kalasnikhov, e trovo che sia il problema non la soluzione.
A meno che… non si abbia il coraggio di arrivare alla proposta di cui sopra, che almeno ha il pregio della chiarezza. lo Stato-Mafia.
e chi non ci sta fuori dai coglioni.
faccio degli esempi: Montenegro, Kosovo, qualcuno ne sente mai parlare?
L.
Io e la mia compagna, con mia figlia, viviamo a Bologna. I genitori miei e della mia compagna vivono nel ferrarese (gli uni) e a Trieste (gli altri). Se non ci fossero asili nidi e scuole per l’infanzia, sarebbe una catastrofe perché non potremmo lavorare.
O meglio, potremmo lavorare sì… perché Matilde non sarebbe nemmeno nata.
Ma anche se avessimo i nonni a portata di mano, avremmo iscritto comunque la bimba all’asilo. Perché all’asilo – e poi alla scuola per l’infanzia – ha imparato a interagire con tanti altri bambini, anche di culture diverse. E’ più aperta, disinvolta, abituata a stare tra la gente, abituata agli scambi e ai grandi giochi collettivi, sa che non può sempre fare tutto quel che vuole lei ma che ci sono esigenze di altri da rispettare. Non sta crescendo nella bambagia “nonnesca” che l’avrebbe viziata (perché, diciamocelo, la maggioranza dei nonni si fa *tiranneggiare* dai nipoti e concede loro tutto quel che vogliono). Parafrasando Marx, l’aria dell’asilo emancipa. Certo, non è automatico, conta molto quali input il bambino riceve a casa. Ma certo l’aria dell’asilo emancipa più dell’aria del tinello della nonna.
Valter, non so se ti riferivi al mio commento, ma non mi pareva di aver parlato di mammismo o familismo, soltanto che non concordo molto con il fatto che siccome e’ possibile (ovviamente e’ SEMPRE possibile) arrangiarsi e trovare soluzioni alternative allora si possono archiviare certi problemi come risolti (o risolvibili). Il fatto che molto spesso sono i parenti del ricoverato in ospedale che accettano di passar la notte accanto per eventuali bisogni notturni ha reso de facto la cosa una regola, non si chiede neppure si fa e basta. Parlo di realta’ che conosco ovviamente. Questa attitudine non mi piace perche’ e’ altamente discriminante verso chi non riesce ad “arrangiarsi”. Una soluzione familiare per gli asili nido significa, di fatto, che bisogna cercare di metter su famiglia in posti dove si possa creare la rete di contatti. Senno’ meglio evitare. Ho visto molta, troppa, gente rifiutare contratti di lavoro appaganti e accontentarsi di tornare al paesello con un lavoro-pagnotta non appena il predictor segnava le due linee blu. E’ uno spreco di risorse, questo si che lo e’.
Il commento di Wu Ming 1 mi pare tocchi un punto fondamentale: lasciare competenze importanti dello stato sociale alle famiglie pregiudica la mobilità fisica, e quindi – più o meno indirettamente – anche la mobilità sociale. Per questo è un modello che piace a chi – come, probabilmente, molti giornalisti del Riformista – è un’entusiasta sostenitore dello status quo.
Valter, se vuoi essere preso sul serio non puoi presentare un modellino economico basato su un’equazione servizi=debito pubblico accoppiata con un’altra comunità=servizi gratis. Il modello, sia economico sia sociale, è maledettamente più complesso. Se l’ho detto in modo troppo disinvolto, chiedo scusa. Saluti.
Non riesco a prendere sul serio l’articolo di Lucetta Scaraffia: mi sembra il classico tentativo di indorare la pillola. I tagli al welfare – il che significa, tra l’altro, meno asili nido – rappresentano per i lavoratori un gran pacco. “Sacrifici”, in italiano giornalistico. Ma al danno si aggiunge la beffa quando si pretende di farlo passare per un beneficio: “ma sì, in fondo cosa ve ne fate degli asili nido? E’ così bello per i bimbi stare dai nonni, e per i nonni stare coi nipotini, ecc. ecc.”
Talmente complesso che Ivan Illich ne ha scritto per tutta la vita.
Lo chiamava “convivialità”, al posto di istituzioni di servizi che creano dipendenze e poi si ritorcono sistematicamente contro chi ne fruisce.
L’aria dell’asilo emancipa? Può darsi. I miei figli ci sono stati entrambi, non ho mica detto che mi fa schifo. Ma se il mio è un modellino economico la vostra fiducia nell’istituzione totale ha un forte bisogno di aggiornamento.
Oh metteteve comodi:)
1. Per cominciare quoto Luca e Mammamsterdam – Valter mi pare che spacci per considerazioni oggettive desiderata reazionari. Poi siccome “reazionario” è una parola poco chic, non dona per niente la disconosce.
2. Mi irritano sempre le donne di potere che istigano le altre a rinunciare ai desideri che loro stesse inseguono, e ai diritti che si sono tenute per se. Scaraffia potrebbe conoscere mia madre giacchè condividono formazione e itinerari. Storiche. Ora, Scaraffia a una certa età dovrebbe continuare a rampognare sui quotidiani e da Lerner. Mia madre invece, caruccia – col cavolo! Mia madre deve stare a pulire il sedere di mio figlio.
Scaraffia alla fine, non è diversa da quell’altra iattura – la Giacobini – lei come tutte le femmine alla guida dei grossi giornali femminili, donne di potere donne con serve al seguito e orari di lavoro sfiancanti, che però sui loro giornali tengono le donne lontane dal femminismo e vicine alla calzetta.
E allora fanculo, meglio mia suocera. Non conciona, non rampogna – mi guarda con sospetto ma mi rispetta. La vita l’ha messa a lavorare a dieci anni, e ora con una malattia degenerativa la nonna non la può fare.
3. Cerchiamo di guardare a questo paese con lucidità su diverse questioni, senza farci sovrastare dalla retorica facile da stato del terzo mondo. No perchè se viene uno povero vero, ce sputa in un occhio – carini. Distinguiamo tra stato povero e stato molto ricco e molto corrotto. Questo non è un paese senza risorse, questo è un paese che le risorse le butta al cesso. Uno dei problemi di questo governo non è la questione dei tagli – che ci vogliono – ma la mancanza di discriminazione, e la stolida resistenza a premiare la qualità dei servizi e cazziare la sua mancanza. Una gitarella in un paese che passa i veri guai io la consiglierei. Qui con la casetta di quello la che gliel’hanno comprata gratis se potevano fare tre asili nelle periferie romane – giacchè gli asili nido per altro non sono gratuiti, ma prevedono diverse fasce contributive. Nè implicano questi spazi incredibili e chi sa mai.
E ancora non si può pensare di ragionare oggi con i criteri culturali di altri contesti culturali che non combaciano con i nostri. Le famiglie erano numerose e la numerosità regalava una suddivisione dei compiti un ricambio. La divisione per genere e le diverse condizioni economiche non permettevano nessuno degli interessi che a questo grazioso consesso sono permessi. Bello Valter il fare letteratura e sociologia. Ma non si potrebbe più. O anche tu sei della classe luminosa del “armiamoci e partite”?
ancora uno slittamento (pienamente catto-ideologico vista la fonte giornalistica) di senso: dopo le donne che devono occuparsi della merda nascosta della società (quella vera degli infermi, quella metaforica dei mestieri umili come la “cura”), ecco scendere in campo eserciti di nonni (o nonnE?) pronti a spupazzarsi i nipoti. E se il nonno pensionato ha voglia di farsi gli affari suoi? E se i nonni, dopo essersi frollati i maroni a lavorare tutta la vita, adesso hanno interessi da coltivare che non siano i nipoti?! Eh, troppo esigenti ‘sti vecchietti eh!
Binaghi non scambiamo le nostre geniali idee per le esigenze delle comunità a cui vorremmo applicarle. Intanto che i padri comincino a stare a casa in congedo (OBBLIGATORIO) e occuparsi della merda dei neonati, dell’otite, della suppostina.
Che il welfare distribuisca i servizi necessari alle persone e non i contributi alle aziende o i salvataggi agli imprenditori incapaci e/o ladri.
Trovo davvero inquietante voler far passare lo smantellamento thatcheriano dello stato sociale come una richiesta gioiosa delle persone! Ma si sa, ce lo dicono gli statistici: l’Italia è un paese che crollerebbe su se stesso se tutti noi smettessimo di fare il di più volontario che facciamo. E immaginiamoci pure cosa accadrebbe se smettessero di lavorare gli stranieri. Ma questa è un’altra storia.
zauberei for president.
Quello che mi colpisce di questo articolo non è se gli asili nidi servano oppure no, ma a quale livello di malafede siano arrivati i quotidiani nazionali per proporre una questione così subdola. Ogni giorno siamo bombardati da ipotesi demenziali, e la gente inizia a davvero a crederci, a mettere in dubbio se gli asili servano o se magari le nonne non siano più affidabili, se la degenza in ospedale sia proprio così utile o se non sia meglio starsene a casa pagando un’infermiera, se gli insegnanti servano davvero o se non siano più efficaci le lezioni private, e via dicendo. Insinuare il dubbio che il servizio pubblico (asili, scuole, ospedali), in fondo, sia inutile e far passare per superfluo o addirittura dannoso ciò che di fatto noi contribuenti abbiamo già pagato è la strategia più viscida che si sia mai vista.
“la vostra fiducia nell’istituzione totale ha un forte bisogno di aggiornamento.”
Nein, è fiducia in mia figlia.
Là fuori c’è un mondo, che non somiglia molto a quello della convivialità illichiana. Voglio che lei lo conosca e lo affronti, e che abbia amici e amiche anche fuori dalla cerchia delle nostre frequentazioni. Voglio che abbia esperienza di una realtà eterogenea.
Se poi vuoi aggiornarmi, io non sono mica contrario. Dammi l’e-mail di una comunità utopica qui nei paraggi, dove si stia bene ma senza omologazioni, senza diventare incapaci di stare con chi è diverso, e io, cazzo, gli scrivo subito.
Se posso aggiungere una cosa a quanto detto finora, l’equivoco sta nel contrapporre il welfare pubblico e la famiglia, fingendo che non ci sia mai stato niente in mezzo. In mezzo invece c’è il vivere associato, c’è la cittadinanza.
Quelli che vogliono far passare controriforme e attacco ai diritti acquisiti (non acquisiti per grazia ricevuta, o generosa concessione del sovrano, ma conquistati sul campo delle lotte sociali) pongono la questione in questi termini: non ci sono più soldi per erogare servizi, quindi organizzatevi in proprio. Diritti? Ognuno difenda i propri con i propri mezzi.
Questa idea, come faceva notare Luca più sopra, cancella lo spazio del comune. La comunità si risolve nella famiglia (per chi ce l’ha), quindi ognuno per sé e Dio per tutti (ché quello non manca mai).
Ma l’idea che negli anni Settanta produsse gli asili nido, i centri civici, i centri sociali per anziani, i circoli Arci, il cinema all’aperto, la chiusura dei manicomi, etc. era che dovesse e potesse esistere uno spazio intermedio tra l’istituzione statale e i rapporti di sangue. Era lo spazio comune di convivenza, nel quale cittadino e amministrazione pubblica si incontravano e producevano assieme senso del vivere civico. Era appunto ciò che impediva che l’istituzione diventasse “totale” e che l’individuo restasse isolato.
In base a questa idea, l’asilo nido e la scuola materna erano non solo ciò che consentiva alle donne di lavorare, di sviluppare una professione, di emanciparsi dal monopolio economico dei mariti, ma anche un modo per fare crescere i bambini in uno spazio comune protetto extra-famigliare. Un’esperienza a tutt’oggi unica, in cui i bambini imparano a convivere con altri individui di pari condizione e pari diritti e con adulti estranei al nucleo famigliare, nonché a rispettare le regole di convivenza di cui ogni comunità deve dotarsi. Regole uguali per tutti, non tagliate su misura per il carattere di tizio o di caio, o flesse in base al capriccio, o adattate ad hoc, né riferite a un nucleo ristretto di persone. E’ un passaggio formativo fondamentale. Culturalmente parlando era ed è uno dei pochi momenti formativi di contrasto al familismo amorale italiano. Il fatto che oggi lo si consideri tutto sommato “tagliabile” la dice lunga su come sia ridotto il Paese.
In effetti i servizi che lo Stato offre in favore della costituzione delle nuove famiglie sono davvero esigui.
La mia esperienza è questa. Ho una bimba di sette mesi e subito dopo la sua nascita ho deciso di andare in congedo parentale per qualche mese, in maniera tale che sia io che la mia compagna ci occupassimo della bimba.
I nonni vivono in Calabria e in Puglia e anche se vivessero ad un chilometro da noi di certo non li obbligheremmo ad occuparsi della bambina otto-dieci ore al giorno.
Il congedo parentale in Italia è a dir poco ridicolo se paragontato ad altri paesi Europei. Ti danno il 30% del tuo stipendio. Quindi su uno stipendio di 1300, 1400 euro netti al mese te ne toccano poco più di 400.
Il congedo parentale dura per un massimo di 11 mesi (tra mamma e papà).
In Svezia, per citare un paese che da questo punto di vista ci straccia ampiamente, il congedo parentale è di 18 mesi e ti è concesso l’80 % dello stipendio.
A settembre manderemo nostra figlia alcune ore ad un asilo nido privato perché in quello pubblico a roma c’è posto solo per pochi.
Un asilo privato a Roma per il tempo pieno costa non meno di 400 euro.
La sensazione complessiva è questa: essere giovani genitori oggi in Italia vuol dire scontrarsi con dinamiche che allo Stato non interessano.
Le politiche familiari del Governo Berlusconi possono essere sintetizzate nel Fondo di credito per i nuovi nati tanto osannati da Giovanardi. Hai un figlio di pochi mesi? Devi affrontare tante spese? Non preoccuparti, noi ti aiutiamo a farti un prestito di max 5000 euro e tu ce lo consegni con calma, a tasso agevolato. Vige la logica dell’indebitamento, perché il figlio è un tuo problema e non un valore aggiunto per l’intera comunità.
I tagli si fanno guidati dall’ideologia.
Questa cazzata degli asili mi sa tanto di liberismo all’italiana.
Ognuno per se e dio per tutti, con la scusa che c’è la crisi.
Apartheid per lavoratori stranieri che lavorano e non hanno diritti e visibilità e stillicidio per le famiglie che rimangono il faro della società ma purchè navighino a vista.
Poi i miliardi li spendiamo nelle, stronzate, nelle infinite consulenze, negli stipendi rai, nelle concessioni varie, nelle mazzette, nelle partecipazioni a imprese con capitali pubblici eccetera.
La necessità, da un’altro punto di vista, diventa occasione.
Facciamoci venire qualche idea eco-sociale.
Se uno stato non garantisce i servizi base è un paese inesistente.
Facciamoli fare gratis dalle suore in cambio dell’esenzione fiscale sull’ici al vaticano, presempio, sequestriamo i patrimoni agli evasori totali e paghiamoci gli asili, facciamo asili training per gli studenti delle facoltà di psiciologia e pedagogia. Rendiamoli obbligatori in tutte le sedi di tutte le aziende multinazionali.
Facciamo dei centri comunali o nelle circoscrizioni in cui gli anziani soli possano, chi è in grado e vuole, guardare dei bambini sotto la supervisione di qualche tecnico.
A spremersi le meningi le cose vengono fuori…
Obama per l’istruzione ha indetto una gara aperta a tutte le forze politiche per presentare il piano più intelligente e funzionale. Chi trova la strategia migliore realizza il progetto di legge.
Mica ci vuole la zingara, basta accendere la mente.
D.
@desian, trovo magnifico retoricamente parlando l’inizio della biografia della Scaraffia sul sito del premio Geraldini: “Cresciuta da una madre cattolica, negli anni Settanta si è allontanata dalla fede, e ha militato nel movimento femminista.” Quando una congiunzione dice piu’ di mille trattati.
Cioè avere la volontà politica di risolvere il problema direttamente e ad ogni costo, invece di restare nel pantano pur di accontentare tutte le migliaia di piccoli poteri interessati all’intrigo della politica.
Piano piano per non fare incazzare nessuno, e non perdere appoggi.
Grrrr.
Che ci vuole a fare un asilo? Sta cosa mi manda in bestia.
A noi ci facevano giocare bradi in un piazzale, ci facevano mangiare, un occhio al bagno e pisolino seduti ai minitavoli con le minisedine (testa sul banco) e serrande abbassate. Fine.
Nonostante questo siamo venuti tutti su di molto bene, o quasi.
Puoi farli spartani e migliorabili, ma che ora non si facciano degli asili minimi per tutti è assurdo, e per fortuna che siamo a crescita zero…
D.
Scusate ma il problema è assolutamente pratico: intorno a me, in campagna, dove moltissimi vivono ancora tutti insieme (i figli coi bambini sopra, i vecchi genitori sotto, anche se in case modernissime) ci sono 6 famiglie di cui 4 con la badante per il nonno/la nonna che vive in casa, ma necessita di aiuto. Aiuto costante, giorno e notte. Nessuno può farcela dei familiari che lavorano (e lavoreranno) tutto il giorno, anche se stanno lì. I nipoti devono mandare i bambini all’asilo nido, perchè lavorano tutto il giorno. Ogni tanto qualche coppia si può permettere di affidare i piccoli a nonni in pensione e in buona salute, da queste parti spesso ‘analfabeti di ritorno’, e i nipoti crescono più soli, con idee ed esempi che spesso nulla hanno a che fare con l’idilliaca immagine del vecchio contadino saggio… Certo, altre soluzioni si potrebbero ipotizzare, ma, almeno qui, manca completamente una cultura favorevole a qualunque soluzione alternativa. L’unica cosa che vedo è che il fare da soli significa la corsa a guadagnare di più perchè almeno ti puoi permettere aiuti pagati senza smettere di lavorare…e indovinate un po’ chi è che smetterebbe di lavorare?
Mia madre è morta a 45 anni, quando facevo la terza media e da quel momento, visto che mio padre si smazzava 8 ore di fabbrica quotidianamente, mia nonna (che ha sempre abitato con i miei genitori, sotto lo stesso tetto) e mia zia, si sono prese cura di me non facendomi mancare nulla; mi hanno regalato un’infanzia felice e serena (con bambagia annessa :-))
Il punto è che i miei genitori si sono tenuti la suocera in casa fin dai primi tempi del loro matrimonio e solo da adulta ho capito che la mia adorata nonna (io ero la nipotina preferita) era di una pesantezza incredibile. Di sicuro non deve essere stato facile per i miei conviverci assieme. Tutto questo per dire che la frase postata da Murasaki :“debito pubblico o non debito pubblico, i genitori e i suoceri possono sempre ricattarti, il nido no”, mi colpito molto. A voi no?
correzione: mi HA colpito molto.
Magari il senso della “nonnità” (sembra una malattia) potrebbe avercelo una trentenne coi propri nipotini e come la mettiamo? O una coppia di gay attempati? Familismo amorale? La priorità è avere degli asili nido, poi uno decide. La possibilità di scegliere distingue un paese civile.
Poi ci saranno nonni e nonne diverse o facciamo la melassa? Mia madre gioca tutto il pomeriggio a burraco e non ha nessun istinto nonnesco, altre hanno il pollice verde: facciamo dei corsi di formazione obbligatori?
Mah, i nonni sono importanti per dare al bambino punti di vista diversi a livello generazionale, sono importanti per i nonni stessi che amano molto stare con i bambini, sono importanti per i genitori che il sabato sera, non dico regolarmente, ma ogni tanto, possono uscire, far tardi, tornare a casa e (siccome i bambini sono dai nonni) trombare alla grande con urla e cadute dal letto. Oggi noto la tendenza di molti amici miei a trastullarsi con i figli piccoli al sabato e portarseli ovunque come fossero un gadget, perché, dicono, “sennò non ce li godiamo mai, stanno sempre all’asilo o coi nonni” (sic!). Io sono contentissimo che da bambino potessi stare coi nonni e salvarmi dalla rottura di coglioni di stare con i miei genitori. Coi nonni giocavo e imparavo un sacco di cose. Con i genitori no. Da mio padre ho imparato cose importanti dall’adolescenza in poi, non prima.
Se poi anche di questo fate un discorso politico, e mettete in campo la presunta autonomia dei nonni, e il tempo pieno ecc., insomma, un po’ di moderazione… il tempo pieno è un diritto di tutti, ma mi pare che contrapporre in senso politico i nonni e il tempo pieno sia una forzatura.
Nella vita possono capitare cose incredibili tra cui quotare VIncent:)
E anche Annalisa. (Ma è meno incredibile)
Yeah quoto anche io 🙂
E’ profondamente subdolo usare i nonni per tappare il buco del servizio pubblico.
E’ un falso, noi trenta quarantenni eravamo piccoli in un’italia non proprio avveniristica e si andava all’asilo e si stava coi nonni, metterli sulla stessa linea è veramente una bieca propaganda al vuoto politico.
D.
Marco Pellitteri scrive “anche di questo fate un discorso politico”. Cosa altro e’, di grazia?
quante storie: ‘nonna è bello’ si allontana solo di una lettera dal femminismo classico.
d’altra parte la disuguaglianza di genere può tornarci utile in caso di naufragio, che vogliamo di più?!http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/240406/
non lo so, ho letto l’aeticolo della Scaraffia e l’ho trovato irritante, dello spirito conviviviale di Illich non ho trivato traccia, semmai mi pare possa entrare di diritto in quei repertori retorici e ideologici di cui uno Stato Protettore e Intrusivo (proprio quello che non piaceva a Illich) si serve per tenerti a bada: “tutto quello che faccio e che non faccio (e questo è sempre più il caso) é bene per te. vuoi mettere una dolce nonnetta a fronte di un algido asilo nido?!!!”
A Roma si dice: contentamose co’ l’ajetto.
Marco Pellitteri a me pare che non capisci bene.
Voglio dire con una metafora che stante alle tue Loredana perdonerà:
Ma non è meglio: trobare tre volte a settimana, uscire il sabato sera mentre il pupo sta coi nonni – ossia il giusto – anzichè un’ trombare mai manco il sabato? Che sei sdrumato? Non dimenticatevi che si parla di NIDO Nido – altro che post adolescenza NIDO topolini che non camminano e ti spezzano la schiena. Topolini urlanti anzicheno ma con cui i nonni sovente non possono parlare manco di cartoni animati – perchè non parlano! Nido. Non asilo, non elementari, nido.
No per chiarire. Nido 1- 2 anni.
Quoto anche tutti li WUminghi, e mi chiedo ma ir due e ir tre dettano di solito? PPPP
Non so se rendo.
@zauberei: quasi commosso :).
@Marco Pellitteri: ribadisco a malincuore: non tutti i nonni hanno voglia di stare coi nipoti, nemmeno per tutto il sabato, e non per questo sono dei mostri. Però è divertente la motivazione vera: senza bambini poter fare cose micidiali a letto e se ne nasce un altro tra un urlo e un altro?
Be quiet, tutta invidia…
mannaggia, nemmeno sono riuscita a inserire il link. E’ questo
@Wu Ming1 e tutti gli altri
Mi sa che ho sbagliato thread.
Pensavo si fosse preso atto di qualcosa che non è semplicemente una mancanza del Welfare italiano, ma l’insostenibilità di uno stile di vita diffuso, servito da specchietto per le allodole per indebitare le società occidentali, privare le comunità della loro autonomia e fabbricare un esercito di servi.
Vedo che qui i concetti di sostenibilità ambientale, economica e sociale non sono ancora sinonimi. Per esempio si esalta la globalizzazione (il mondo più grande che vuoi per tua figlia) ma non si vuol vedere che è fondata sulla redditività del capitale, che porta lavoratori a basso costo in Italia e delocalizza la produzione, per cui il lavoro qui vale sempre meno e non regge il Welfare delle aspettative crescenti.
La comunità cui mi riferisco? Non posso darti l’indirizzo: non è nel passato, è da costruire nell’immediato futuro, prima che sia tardi. E non è un pio desiderio reazionario, ma è questione di prossima sopravvivenza. A meno che non si voglia continuare a pestare i piedi mentre via via vi sfilano di sotto scuola, assistenza e sanità come ce li hanno fatti sognare in altri tempi e condizioni.
Per quanto mi riguarda, ai miei figli ho insegnato l’importanza di avere un pezzo di terra e farsi un orto e a considerare la continuità generazionale una garanzia di futuro per la specie, piuttosto che una limitazione della soggettività. Poi dovranno arrangiarsi, perchè sono sicuro che di questo sistema fra vent’anni non resterà pietra su pietra. Enclavi di ricchi, una periferia di illusi che sperano di entrarci e un’immensa Regione Esterna dove si torna a economie di sussistenza e a risorse comunitarie. Così vi ho detto anche di che parla uno dei miei prossimi romanzi. Ma non è solo letteratura: sta succedendo, e si poteva pure prevedere.
Se non vi piace Illich potete dare un’occhiata a
Serge Latouche – Il pianeta dei naufraghi (Bollati Boringheri)
Sono pisano, con moglie belga, e vivo a Chicago. I futuri nonni (non abbiamo ancora figli) sono gli uni a Pisa, gli altri a Bruxelles. Mi tornerebbero abbastanza scomodi entrambi.
Detto questo, qui gli asili ci sono, ma non sono statali, e costano un bel po’ di quattrini. Tanto per dire che non e’ che per forza lo Stato debba fornire certi servizi. Dipende dallo concezione che si ha dello Stato. Qui in pochi si aspettano dallo Stato dei servizi che in Italia e in Belgio sono invece dati per acquisiti.
E’ meglio? E’ peggio? Non so. Di sicuro e’ diverso. E molto
@Walter Binaghi. No, non è che non mi piace Illich, non vedo che c’entri con l’articolo della Scaraffia, a meno di non prendere questo come pretesto in senso molto lato.
Valter binaghi, sì, e si salveranno i pochi che hanno avuto i mezzi per capire, prevedere, organizzarsi, ecc. e questo non mi sta bene affatto. Qui dove sto io l’orto ce l’abbiamo tutti, ma se provi a seminare l’insalata dai semi delle piante cimate, non viene la stessa insalata ma una pianta strana, che non è insalata… che diavolo di sussistenza, non posso neanche tramandare i semi!
OT per Paola Di Giulio:”non viene la stessa insalata ma una pianta strana, che non è insalata…”
Sarà mica un carrubo?! :-))