Sto ricevendo molte mail dai librai di Feltrinelli o da persone che in Feltrinelli lavorano. Ho deciso di pubblicarle tutte, e non perché abbia qualcosa contro Feltrinelli, visto che è stata anche la mia casa editrice e continua a pubblicare bellissimi libri: semplicemente, vorrei che si capisse cosa accade all’interno di un grande gruppo editoriale oggi. E, soprattutto, cosa ne è dei lavoratori della cultura. L’invito al racconto è sempre aperto a tutte e tutti: potete usare i contatti di questo blog, collegati alla mia mail.
Questa lettera è molto forte e illuminante: per tutelare il “vecchio feltrinelliano” ho nascosto il suo nome con quello di Pim, da Pim Casaubon, il narratore de Il pendolo di Foucault.
Eccola (il grassetto è mio).
Cara Loredana,
leggo sempre con interesse i suoi pezzi, e la ringrazio per lo spazio che sta dando al malessere delle librerie Feltrinelli. Lavorando in Feltrinelli da tanti anni, vorrei darle qualche elemento ulteriore, spero utile. Mi scuso se la mail è lunga, ma spero sarà utile.
Parte dal contesto macro.
Il mercato editoriale del book trade (narrativa, saggistica, varia e bambini) in Italia, come quasi in tutto il mondo, è abbastanza sano. Non a caso, i bilanci di molti grandi gruppi editoriali (Mondadori, GeMS, ecc.) e di parecchi medi editori (es: Adelphi, Sellerio, Ippocampo, ecc.) sono sani e redditizi. Certo, molti piccoli editori fanno fatica. Però nel complesso il mercato italiano è cresciuto negli ultimi anni, come si vede dai dati di GFK. Cresciuto limitatamente, certo, ma cresciuto. Si obietta che in Italia si legge poco, ed è verissimo, ma siamo onesti: In Italia si è sempre letto poco. Insomma, a differenza dell’editoria quotidiana e periodici, l’editoria libraria piange miseria ma non se la passa male. Certo, sulla qualità della maggior parte dei libri che escono si potrebbe discutere a lungo, ma sarebbe un altro discorso.
In secondo luogo, le librerie dopo anni difficilissimi hanno trovato un loro equilibrio, e Amazon non cresce più. In Italia, dopo il boom degli anni del Covid, dal 2022 Amazon perde quota di mercato. In UK Waterstones – la prima catena di quel paese – sta facendo bene ed è tornata profittevole. Fra le non moltissime librerie indipendenti rimaste vive, alcune stanno facendo più che discretamente. Mondadori con le sue librerie è profittevole, come si vede dai bilanci (essendo una società quotata espone i numeri con molti dettagli). Anche le librerie Giunti e Ubik mi risulta che vadano bene. In sintesi, le librerie hanno margini bassi e competizione e-commerce altissima, ma non sembrano più destinate a morire come fino a pochi anni fa.
Andiamo a Feltrinelli.
I librai scioperanti hanno ragione. Non intendo riferirmi qui solo alla vertenza specifica (l’azienda che si rifiuta di aumentare i buoni pasto) ma al clima orrendo che si respira oggi in Feltrinelli e al nuovo management. Un tempo, ai negoziati sindacali partecipava direttamente l’AD Feltrinelli Giambelli; oggi ci va il vice del vice del vice e i sindacati vengono apertamente disprezzati. Prima il management si distingueva per una certa sobrietà e stava fra i dipendenti; oggi l’Amministratrice Delegata preferisce stare nel suo elegante ufficio del nuovo palazzo in Garibaldi, arredato con begli oggetti di design, o nel terrazzo coperto degno di un boutique hotel, pieno di coffee table books e non dei nostri libri iconici. Mai, nella storia di Feltrinelli, si era creato uno scollamento così evidente tra management e lavoratori.
Le nostre campagne ADV come “Leggere insegna a Leggere” sono belle e molto radical chic, ma predicano valori che, nei fatti, vengono traditi. In Fondazione Feltrinelli organizziamo convegni impegnati sui diritti dei lavoratori, e poi persone valide, in azienda magari da uno o due decenni, negli ultimi tre anni sono state convocate il venerdì pomeriggio e licenziate all’istante, senza neppure potere salutare i colleghi. Questo è il modus operandi formalmente legittimo di una multinazionale americana, ma non ha nulla a che vedere con l’identità di Feltrinelli. Per carità, è giusto convincere l’efficienza, ma non così. Oggi Feltrinelli sembra invasa da “alieni” che ignorano la nostra cultura ei nostri valori.
L’Amministratrice Delegata proviene dalla moda, settore in cui ha maturato tutta la sua carriera. La sua ultima esperienza era stata in una azienda di maglieria di cashmere di lusso, Agnona, che sotto la sua guida fatturava circa 17 milioni di euro annui con perdite di 7 milioni l’anno. Una performance quantomeno discutibile, così come forse la scelta di affidarle un’azienda da 500 milioni di fatturato come Feltrinelli. Nonostante ciò, quando è diventata AD di Feltrinelli, tutti noi le abbiamo dato grande fiducia, apprezzando la sua energia, il suo piglio e la forte voglia di rinnovare un’azienda un po’ impolverata, anche con cambi radicali di management e di organizzazione. E poi ci faceva piacere che, in un mondo ancora maschilista come quello dell’editoria, a guidarci fosse una donna.
Dopo pochi mesi, però, la situazione si è deteriorata.
Un amministratore delegato dovrebbe, almeno in teoria, essere capace di gestire aziende di settori diversi. In realtà non è così semplice quando si è operato sempre e solo in un unico settore, come nel caso della dottoressa Carra con la moda. Un AD accorto, quando entra in un settore nuovo, dovrebbe quindi circondarsi di persone esperte in quel campo che possono consigliarlo o consigliarla adeguatamente. Ebbene, la dottoressa Carrà ha fatto l’opposto. Tutta la prima linea manageriale da lei assunta negli ultimi tre anni proviene dal settore moda e lusso: la direttrice del retail Barbara Nardi viene da Versace e precedentemente Prada; il potente direttore marketing Claudio Calò, oltre ad avere lavorato in Armani, aveva già collaborato con l’AD Carra in Agnona e Pucci; il nuovissimo CFO arriva da Damiani gioielli; il Direttore IT proviene da Dolce & Gabbana. E ciascuno di loro, a sua volta, per le posizioni intermedie pesca nella propria rete di conoscenze, moltiplicando così la presenza di persone del settore moda e lusso che non comprendono bene la realtà editoriale e il retail librario.
Della vecchia guardia di top management che non è stata fatta fuori rimangono solo Gianluca Foglia, il direttore del Polo Editoriale (che è l’unico a provenire dal settore e capirne davvero di libri) e Massimiliano Tarantino, che ha lavorato tanti anni in Fondazione.
L’atteggiamento di alcune di queste figure non aiuta. La direttrice del dettaglio, ad esempio, non comprende che vendere un libro da 20 euro è profondamente diverso dal vendere un vestito da 2.000 euro. Pretende dai librai lo stesso livello di attenzione e servizio che ci si aspetta da un commesso in via Montenapoleone, dimenticando che il numero di clienti giornalieri in libreria è infinitamente superiore, con uno scontrino medio molto inferiore e margini nettamente diversi.
I librai sono scoraggiati non tanto per il buono pasto, ma perché si chiede loro di diventare soldatini sempre sorridenti. Ai nostri librai è stato detto che devono “accogliere” il cliente, posizionandosi vicino all’entrata, e chiedergli sempre se possono aiutarlo. Ma molti clienti che entrano in libreria vogliono essere curiosi degli affari loro. Forse, fra il libraio scorbutico e il libraio iper sorridente e invasivo servirebbe una sana via di mezzo.
Per altro, è stato già annunciato che i librai a breve dovranno indossare una divisa elegante, che immagino l’AD o la capa del dettaglio stiano facendo disegnare a qualche amico della moda.
Non basta: un tempo le diverse librerie Feltrinelli potevano scegliere molti dei libri da ordinare ed esporre, in base alle specificità del territorio e al gusto dei libri. Oggi le scelte vengono dall’alto. Inoltre, le librerie Feltrinelli sono oramai invase dai libri “di casa”, spezzando un delicatissimo equilibrio costruito nel tempo. Quell’equilibrio dava certamente molta visibilità ai libri Feltrinelli (su cui, come la dottoressa Carra ci ricorda sempre, marginiamo di più), ma dava spazio anche a tanti editori piccoli e grandi, sostenendo appunto la bibliodiversità. Così invece le librerie perdono il loro valore culturale, e infatti molti lettori colti dicono che siamo diventati indistinguibili da altre catene.
In Feltrinelli il problema vero non è neanche che il top management provenga dalla moda, ma che non faccia il minimo sforzo per capire il settore librario.
Poi c’è Panoplia, di cui avete scritto, che strozza i piccoli editori. Non avete però scritto di un altra prassi usata in Feltrinelli, ossia gli editori che si è deciso di marginalizzare, perché non pagano abbastanza e hanno basse rotazioni.
Non a caso siamo sempre più odiati dai piccoli editori. Per altro, questo atteggiamento aggressivo e violento non sta pagando neanche economicamente. Nei primi tre mesi dell’anno, librerie, ecommerce ed editore sono indietro sia rispetto al budget, sia rispetto al 2024.
Che le cose vadano male lo dimostra anche la recente analisi del clima che è stata fatta dalle Risorse Umane su tutti i dipendenti Feltrinelli: un disastro. La soddisfazione dei dipendenti, già bassa nel 2023/2024, è ancora in netto calo. In calo nelle librerie, così come nella parte editoriale, così come nelle funzioni di staff. Chieda alle sue conoscenze in Feltrinelli, vedrà che dico la verità.
Non tutto era perfetto in passato, anzi, ma la storia di Feltrinelli, che quest’anno celebra i suoi 70 anni, meriterebbe un top management più rispettoso.
Finisco affermando che la vera forza di Feltrinelli sono le sue persone: molti librai e libraie competenti, così come i team appassionati che lavorano nell’editoria. Molti dirigenti storici, quadri e impiegati, che ogni giorno danno il massimo. Grazie a loro Feltrinelli continuerà ad essere un’azienda centrale nella cultura italiana, nonostante gli inciampi di questi ultimi anni.
Cordialmente,
Pim (un vecchio feltrinelliano)
Caro Pim
sono Giuseppe Garra, ho lavorato in Feltrinelli dal 1998 al 2001, assunto e voluto da Montroni che mi immaginava come vicedirettore di International Roma, cosa mai realizzata per mia incompatibilità con il direttore. Apprezzo tantissimo la tua lettera da cui traspare tutta la tua esperienza e il tuo amore per i libri ma i librai Feltrinelli passano troppo tempo in libreria e non si accorgono del resto del mondo. Oggi l’Italia è diretta dai vari Santanchè di turno, gente vuota, lusso e potere come fini a se stessi. I libri li vogliono come le magliette o le gonne, roba fica da vedere e comprare. Questo è il mondo ora ed evidentemente la proprietà non è troppo attenta se le cose vanno così male anche in Fondazione. Ripenso con nostalgia ai miei maestri, Montroni, Poggioli, Ferretti, Conticelli e tutti gli altri, un mondo che non esiste più, una passione che non esiste più. Già Domeniconi nella sua follia di arraffare tutto trascinò le librerie romane nel baratro facendo chiudere persino quella aperta da Giangiacomo in persona al Babuino. Ora vedo che questa Carra/Santanchè fa lo stesso. Non posso che abbracciarti virtualmente con tutto l’affetto del mondo anche se probabilmente non ci conosciamo e sperare insieme a te che almeno la flessione dei fatturati dia una svegliata alla proprietà.
Con affetto e nostalgia
Giuseppe