Leggo parecchio, l’ho fatto in questi giorni festivi, per lavoro, e rimugino, tanto per cambiare. Non leggo solo libri, leggo status, recensioni di lettori forti e deboli, e ho la sensazione che si faccia coincidere la letteratura con “le buone maniere”. Una faccenda di educazione, consolazione. Garbo. Invece. La letteratura è molto spesso maleducata, giustamente maleducata: non accarezza, ma striglia, quando è buona davvero. Anche quando apparentemente è gentile (pensate ad Alice Munro, o a Kazuo Ishiguro), sa strattonarti con una sola frase. Non è necessario essere maledetti per postura come Houellebecq: se sai cosa dire, e se quel che dici è nel mondo, e non nella tua stanza e nella tua sola vita, non sei accomodante. Dunque, accostare il bon ton alla lettura è un errore. Accostare la lettura solo ed esclusivamente all’idea di riempire parte della giornata, anche.
Due o tre anni fa il poeta Mario De Santis aveva scritto su Facebook uno status che mi sono conservata. Questo:
“Per eccesso di entusiasmo certamente tutta la nostra comune passione dei libri di fatto è stato un recinto. Un mondo astratto, sereno, felice della propria passione capace di guardare oltre i confini – o tenere buio intorno nella felicità del leggere. Ma incapace di vedere dentro i confini con i libri che come l’aureola di Baudelaire dovrebbero cadere nel fango delle strade. Sporcarsi. Ridurre le occasioni libresche: stare dentro queste realtà astratte che sono i festival a discutere di un mondo là fuori che ci è sfuggito di mano. E quand’anche lo avessimo capito, non abbiamo avuto il tempo di frequentarlo – specie “tra marzo e maggio” per dire o come per tutta l’estate – da un weekend all’altro dalla Puglia al Trentino da Lampedusa a Ventotene nonostante i fantasmi evocati, in troppi persi nel solito giro di presentazioni parole bicchieri di vino allegra compagnia ecc …..Il mondo sfugge facilmente: Francesco Piccolo aveva scritto mesi fa un pezzo sui forzati dei festival, gli scrittori: è ora di riscriverlo quel pezzo, ma con tono drammatico. Questo vale per chi scrive, per il mondo che ci sta intorno ma pure per il pubblico, ceto consapevole che forse si arrocca e resiste nella lettura, ma che è come noi parte di questo stesso segmento eroso di società che ci somiglia, e tutti assieme siamo quel pezzo di mondo italiano sempre più minoritario. Perdente elettoralmente. Siamo ricchi di cuore, certo: ma a che serve se non possiamo incidere nel mondo? Invece di prenotare la stanza per Mantova a settembre, usare quel tempo per prendere otto metropolitane e arrivare al capolinea e parlare con chi incontreremo. Idealmente questo dovrebbe essere il compito. C’era un libretto di qualche anno fa di cui non riesco a trovare i riferimenti e raccontava di quando il Partito comunista spedì Italo Calvino (erano i ’50) in Puglia a fare incontri con i braccianti, e non per presentare un libro. Ma per parlare di politica e condizioni di vita e certo anche dell’importanza dell’istruzione. Calvino parti con la Topolino amaranto. E gli fece bene. Anche se non ne aveva bisogno. Ma stare nella confortevole Torino poteva essere rischioso. A noi, nessuno ci spedisce, tutti ci invitano. Rifiutare una quota di inviti, usare il tempo in maniera differente”.
Duro, con una molta parte di verità. Cambiata, certo, negli ultimi mesi. Ma anche sostituendo i festival con Zoom il rischio è simile: stiamo parlando in molta parte a persone che ci somigliano. Ed è vero che ognuna di queste persone va spinta a prendere la propria metropolitana, e spesso già lo fa, per pensare a cosa mettere in comune con i dissimili, da subito.
Non sono convinta che lo stiamo facendo.
La politica di sinistra, quella nella quale siamo cresciuti e nella quale abbiamo creduto, è finita chissà dove. Ha perso il contatto con il paese che soffre o che solo vivacchia e poi si meraviglia se la collina torinese vota a sinistra e le periferie alla peggiore destra. È in mano a una razza padrona chiusa in un cerchio autoreferenziale. E la letteratura, che dalla vita attinge per porre, trasformare, scuotere è povera di riferimenti convincenti e perturbanti. Va avanti per stereotipi graditi al mercato.
Chi potrebbe trovare oggi il corrispondente di Ragazzi di vita?, tanto per fare un esempio? O la poesia in difesa dei poliziotti contro i ragazzi di Valle Giulia figli di papà, che tanto scalpore, ma pure dibattito portò in quei tempi? E di un Calvino o di un Sciascia, quando mai sentiremo nuove voci?
Si è in preda a un moralismo che I mie figli, frequentatori di pagine, chiamano restaurazione. Non spingersi in là, non rischiare il libro nel cassetto o al macero dopo sei mesi. Ci si allinea all’illusione del conforto.
Leggo molto e mi piace molto poco della letteratura italiana che è sempre
più provinciale e settaria. E ancora meno il mondo che la esprime, anche se ogni tanto si scoprono dei gioielli.
In brutto è che quando (in poche) diciamo queste cose in gruppi colti, impegnati, di sinistra, siamo guardate male. Rompiscatole, apocalittiche e disintegrate. Gente fatta così, a cui piace andare controcorrente.