E’ morto Claude Levi-Strauss: cento anni e una vita straordinaria. Posto qui un articolo apparentemente strano: è quello che scrisse nel 1997, poco dopo i funerali di Lady Diana Spencer. Ma fa capire molto bene a cosa serve lo sguardo di un (grande) antropologo.
Le applicazioni industriali o militari della fisica e della chimica moderne ci hanno reso familiari le nozioni di massa o di temperatura critica. Esse hanno a che fare con quelle soglie al di qua o al di là delle quali la materia manifesta proprietà che resterebbero sconosciute in condizioni ordinarie e che si potrebbero credere inesistenti, addirittura inconcepibili, prima di oltrepassare quelle soglie. Anche le società umane hanno i loro punti critici, che raggiungono quando il corso ordinario della loro esistenza viene ad essere seriamente turbato. Allora, dal loro seno, si manifestano improvvisamente proprietà latenti, vestigia di uno stadio arcaico che risorge benché lo si credesse del tutto superato, oppure ancora attuali, ma normalmente invisibili perché sepolte nel profondo della struttura sociale. Spesso, d’ altronde, esse partecipano di entrambe le condizioni. Mi sono trovato a fare queste considerazioni qualche mese fa, leggendo, sulla stampa, il testo dell’ intervento del conte Spencer alle esequie della sorella, la principessa Diana. In maniera del tutto inattesa, le parole del conte Spencer facevano rivivere un ruolo, quello dello zio materno, che, allo stato presente della nostra società, è vissuto come un comune rapporto di parentela, al quale non si sarebbe indotti ad attribuire alcun particolare significato. Nel passato della nostra società, invece, e anche nel presente di numerose società esotiche, lo zio materno fu o continua ad essere uno dei capisaldi della struttura familiare e sociale. Se consideriamo poi che il conte Spencer risiede in Africa del Sud, dovremo convenire che il caso ha fatto per bene le cose: “The Mother’ s brother in South Africa”, è il titolo del celebre articolo, comparso nel 1924 nel South Africa Journal of Science, in cui Radcliffe-Brown mise in luce l’ importanza di questo specifico ruolo e cercò, tra i primi, di comprendere quale potesse esserne il significato. Imputando l’ infelicità di sua sorella al suo ex marito e alla famiglia reale nel suo insieme, il conte Spencer assume prima di tutto la posizione del “dispensatore di donne”, come dicono gli etnologi in gergo, di colui che conserva su sua sorella o su sua figlia una facoltà di controllo – e di intervento – nel caso che egli la creda o che ella stessa si creda maltrattata. Ma soprattutto, il conte Spencer afferma che, tra lui e i nipoti, vi è un legame peculiare, che gli conferisce il diritto e gli impone il dovere di proteggerli nei confronti del padre e della di lui stirpe. La società contemporanea non riconosce più allo zio materno un ruolo tanto importante in seno alla struttura familiare; ma non fu così nel medioevo e, forse, nell’ antichità. Zio, si dice in greco thios, “parente divino” (da qui derivano i termini italiano, spagnolo e portoghese zio e tio), e ciò lascia supporre che questo tipo di parente occupasse allora una posizione di prestigio nella costellazione della famiglia. In verità, nel medioevo, questa posizione era così importante che l’ intreccio della maggior parte dei romanzi cavallereschi ruota attorno ai rapporti tra lo zio materno e uno o più dei suoi nipoti. Rolando è il nipote uterino di Carlo Magno; Vivien lo è di Guillaume d’ Orange; Gautier di Roul di Cambrai; Perceval, del re del Graal; Gauvain, di re Artù; Tristano, di re Marco; Gamwell, di Robin Hood… Potremmo continuare. Questa parentela creava legami così forti da far quasi dimenticare gli altri: la Chanson de Roland non menziona neanche il padre dell’ eroe.
Lo zio materno e il nipote si prestavano mutua assistenza. Il nipote riceveva regali dallo zio; lo zio lo armava cavaliere e, eventualmente, gli assegnava una sposa. L’ intensità dei sentimenti che unisce i due risalta eloquentemente dalle parole attribuite a Carlo Magno da un altro romanzo cavalleresco, l’ Entrée en Espagne.
Quando Rolando lo lascia per andare a combattere, l’ Imperatore geme: “Se io vi perdo/ tutto solo dovrò restare/ come la povera dama quando ha perso il suo sposo”. La relazione tra zio e nipote è, a quanto sembra, meno intensa nei romanzi cavallereschi italiani e spagnoli che in quelli francesi e germanici, forse perché si situa in un quadro istituzionale più ampio, designato in inglese dal termine “fosterage”, di origine germanica. La consuetudine del “fosterage” strettamente osservata in Irlanda e in Scozia, voleva che i bambini di nobile schiatta fossero affidati a un’ altra famiglia, che li cresceva e si faceva carico della loro educazione. Ne risultavano, tra i protagonisti, legami morali e sentimentali più profondi di quelli che essi provavano per le famiglie d’ origine. La consuetudine esisteva anche nell’ Europa continentale, almeno nella forma detta “fosterage dello zio”. Il fanciullo di nobile nascita era affidato alla famiglia materna, rappresentata essenzialmente dal fratello della madre, presso il quale il fanciullo assumeva la posizione del “parente di latte”, che conservava anche in seguito (la parola “nourri”, che lo designa in francese arcaico, aveva un significato ben più ampio di quello meramente alimentare). In queste usanze, si è voluta riconoscere la prova di un’ antica predominanza del diritto materno e dalla filiazione matrilineare, che tuttavia non trova, per quel che riguarda l’ Europa arcaica, nessun’ altra conferma. Anzi, al contrario, comprendiamo oggi che quelle usanze sono una conseguenza della filiazione patrilineare: proprio perché il padre detiene l’ autorità familiare, lo zio materno, vera “madre maschile”, assume il ruolo inverso; in una società a filiazione matrilinerare, invece; lo zio materno, che esercita l’ autorità familiare, è temuto ed obbedito dai nipoti. Vi è dunque una corrispondenza tra l’ atteggiamento verso lo zio materno e l’ atteggiamento verso il padre. Nelle società in cui la relazione tra padre e figlio è cordiale, quella tra zio e nipote è severa; e là dove il padre rappresenta l’ austero depositario dell’ autorità della famiglia, i rapporti con lo zio sono all’ insegna della tenerezza e della liberalità. Innumerevoli società, nel mondo, illustrano ora l’ una ora l’ altra formula, a seconda che la filiazione si trasmetta direttamente attraverso gli uomini, di padre in figlio, o con l’ intermediazione delle donne (e in questo caso il rapporto di filiazione va da zio a nipote). In entrambi i casi, lo zio materno è presente, e forma con sua sorella, con il marito di questa e con i figli nati dalla loro unione un sistema a quattro termini che, nel modo più economico che si possa immaginare, riunisce i tre tipi di rapporti familiari necessari affinché possa esistere una struttura di parentela: una relazione di consanguineità, una relazione di alleanza, una relazione di filiazione. Detto altrimenti, una relazione da fratello e sorella, una relazione da sposo a sposa, una relazione da genitori a figli. Il conte Spencer, con le sue parole, ha reso nuovamente attuale questa struttura, divenuta poco visibile nella complessità delle società moderne. In maniera impeccabile, egli ha saputo definire le relazioni interne di un sistema familiare a quattro termini. Lui e sua sorella erano uniti da una tenera intimità sin dalla prima infanzia: “Noi due, ha detto, i più giovani della famiglia, condividevamo insieme il nostro tempo”. Al contrario, i rapporti della principessa con il marito e con la famiglia di lui sono stati caratterizzati “dall’ angoscia […], dalle lacrime, dalla disperazione”. E come da una parte i rapporti tra fratello e sorella si oppongono a quelli tra marito e moglie così, dall’ altra, vi si oppongono, nel discorso del conte, i rapporti tra lo zio e i nipoti, ai quali egli si impegna a dare una educazione meno austera. Abbiamo qui, dunque, due tipi di relazioni contrastanti, le une positive, le altre negative, che si corrispondono esattamente nel quadro di una struttura a buon diritto considerata come la più elementare della parentela (perché non è possibile concepirne una più semplice mentre ne esistono altre più complicate). In realtà, contrariamente a quanto si è creduto per molto tempo, la famiglia non si fonda sulla consanguineità. A causa della proibizione dell’ incesto, praticamente universale benché si realizzi in molte forme differenti, un uomo non può ottenere una moglie se non attraverso un altro uomo che gliela ceda sotto forma di figlia o di sorella. Non vi è dunque bisogno di spiegare per quale motivo lo zio materno faccia la sua comparsa nella struttura della parentela. Egli ne è una componente essenziale, ne è addirittura la condizione necessaria. Questa struttura, ancora riconoscibile due o tre secoli fa, si è disgregata sotto l’ effetto dei cambiamenti demografici, sociali, economici e politici che hanno accompagnato – in quanto cause e in quanto conseguenze – la rivoluzione industriale.
A differenza di quanto accade nelle società senza scrittura, i legami di parentela non esercitano più, da noi, un ruolo regolatore dei rapporti sociali, la cui coerenza globale dipende ormai da altri fattori. L’ intensa emozione provocata nel mondo intero alla morte della principessa Diana si spiega, in gran parte, con il fatto che il dramma situava il personaggio all’ incrocio di grandi temi folklorici – il figlio del re che sposa la pastorella, la suocera cattiva – e di temi religiosi – la morte della peccatrice che, con il suo sacrificio, assume su di sé i peccati. Si comprende così come il dramma abbia consentito ad altre strutture arcaiche di riaffiorare.
Uno zio materno ha potuto rivendicare un ruolo che gli era appartenuto, in passato, nella nostra società, e che gli apparterrebbe in altre, benché questo ruolo sia ormai spogliato di ogni fondamento dalle nostre leggi e dalle nostre consuetudini. “Noi tutti, la tua famiglia di sangue” proclama il conte Spencer, come se i diritti che si attribuisce sui nipoti avessero fondamento nelle usanze correnti. “Io mi impegno a proteggere questi bambini dal rischio di subire un destino uguale a quello di mia sorella, [a fare in modo] che siano educati alla tenerezza e alla immaginazione”: in nome di che cosa avrebbe potuto pretenderlo, senza riattualizzare una struttura di parentela che fu predominante nelle società umane, che si credeva ormai scomparsa dalla nostra e che, in seguito ad una crisi, risale oggi alla coscienza degli attori? L’ opera di un giovane etnologo cinese formatosi in Francia (Cai Hua, Une societé sans père ni mari. Le Na de Chine, Paris, Presse Universitaire de France) viene ora a fornire nuova documentazione riguardo alla posizione eminente occupata dallo zio materno in alcune società esotiche. I Na, un gruppo etnico che vive in Cina, alle pendici dell’ Himalaya, possiede un sistema familiare e sociale notevole da tutti i punti di vista, che già nel XIII secolo, aveva destato la curiosità di Marco Polo. La cellula domestica, che si osa appena chiamare famiglia tanto si allontana dalle nostre abituali concezioni, si compone di un fratello, di una sorella e dei figli di quest’ ultima.
Questi figli, che appartengono esclusivamente alla stirpe materna, sono il frutto dei rapporti sessuali che la donna può avere con tutti gli uomini non imparentati (poiché la proibizione dell’ incesto viene applicata anche qui, come altrove). A volte relativamente durevoli, le unioni si riducono più spesso a furtive visite senza domani. La donna può accogliere un numero illimitato di queste visite, alle quali gli uomini si dedicano assiduamente al calare della notte.
Quando nasce un bambino, non vi è modo, dunque, di sapere quale di questi amanti occasionali ne sia il padre. Ciò, d’ altronde, non costituisce una preoccupazione: la nomenclatura della parentela non contempla alcun termine al quale si possa attribuire il significato di “padre” o di “marito”. L’ autore di queste interessanti osservazioni crede, non senza ingenuità di aver scoperto un caso eccezionale, che mette in discussione tutte le idee correnti sulla famiglia. Fa, così, un doppio errore. I Na rappresentano un caso, forse estremo, di un sistema di cui si conoscono, da tempo, altri esempi, soprattutto in Nepal, nel Sud dell’ India e in Africa. E la struttura familiare che essi illustrano, lungi dal desautorare le teorie vigenti, offre semplicemente una immagine simmetrica e inversa alla nostra. Queste società hanno abolito la categoria di marito come le nostre hanno abolito la categoria dello zio materno (per la quale le nostre nomenclature di parentela non hanno più termini distintivi). Una famiglia che non contempli il ruolo di marito non deve sorprenderci. In tutti i casi, non più di quella famiglia, che a noi sembra del tutto naturale, che non attribuisce alcun ruolo allo zio materno. Nessuno pretende che le nostre società infirmino le proprie teorie di parentela e di matrimonio. Lo stesso discorso è valido per i Na. Vi sono, semplicemente, società che non attribuiscono affatto – o non attribuiscono più – alla parentela e al matrimonio un valore normativo, atto ad assicurare il loro funzionamento, e che si affidano ad altri meccanismi. I sistemi di parentela e il matrimonio, infatti, non rivestono la stessa importanza in tutte le culture. Ad alcune, essi forniscono il principio regolatore delle relazioni sociali. In altre, come nella nostra e, senza dubbio, in quella dei Na, questa loro funzione è assente o comunque molto attenuata. Dove ci portano queste riflessioni, il cui punto di partenza è stato un avvenimento che ha sconvolto, qualche mese fa, l’ opinione pubblica? Per meglio comprendere alcune risorse profonde del funzionamento delle società non si può ricorrere soltanto ad esempi lontani nel tempo e nello spazio. Una volta per interpretare usanze, antiche e recenti, di cui non si comprendeva più il senso, ci si rivolgeva in modo quasi automatico all’ etnologia, che le considerava sopravvivenze o vestigia di stadi di civiltà ancora attuali presso i popoli selvaggi.
A dispetto di questo desueto primitivismo, ci siamo accorti che alcune forme di vita sociale e alcuni tipi di organizzazione ben attestati nella nostra storia possono, in determinate circostanze, ridivenire attuali e gettare retrospettivamente luce su società molto lontane da noi nel tempo o nello spazio. Tra le società cosiddette complesse o evolute e quelle a torto definite primitive o arcaiche, la distanza è minore di quanto non si possa credere. Ciò che è lontano chiarisce quel che è vicino, ma quel che è vicino può a sua volta far luce su ciò che è lontano.
Grazie di aver postato questo bellissimo articolo!
splendido!
Mi sono riletto oggi il capitolo finale di “Tristi Tropici”.
Ci sono libri che lasciano senza parole: questo è uno di loro.
che bello questo pezzo!
grazie!
direi molto interssante e affascinante!