Tra una settimana esce La notte si avvicina. Mi chiedono in molti, ed è normale che sia così, come mai ho cominciato a immaginare un’epidemia di peste nel 2016. Perché la peste, rispondo, è sempre stata preceduta da una debolezza dei corpi, per carestie e guerre, e da quella che gli antichi cronisti chiamavano una disaffezione dello spirito.
Cosa si intende con questa espressione, cosa mi ha spinta a guardare a quella disaffezione, e perché il romanzo è ambientato nel 2008, l’anno della grande crisi economica, l’anno dove forse si tocca il culmine dell’indifferenza verso il mondo?
Provo a rispondere raccontando il punto di partenza, la scintilla da cui tutto inizia. Era il 2016, dunque, ed era giugno, un giugno caldo e faticoso, questo mi ricordo, dove saltellavo da un luogo all’altro, da una diretta di Radio3 a Lampedusa. L’idea di una residenza letteraria a Lampedusa era di Evelina Santangelo. Eravamo un gruppetto di scrittrici e scrittori, ci guardavamo intorno. La prima scintilla coincide con la prima notte.
Comincia così.
E’ sera, e le sere arrivano tardi perché è comunque estate, e il giorno dell’arrivo, un mercoledì, lo scirocco non c’è ancora, e come in ogni sera di estate, anche se gialla e arsa come molto nell’isola, ci sono le strade principali, che si chiamano quasi sempre via Roma, come questa. E sulla strada, su cui si affacciano bar e ristoranti e arancinerie e negozi (e una sola biblioteca, la Ibby ostinatamente voluta, ma giocoforza con orari di apertura limitati e no, nessuna, nessuna libreria). E tu passeggiando per quella strada non vedi nulla di diverso da quello che troveresti in qualsiasi luogo di vacanze: le infradito e le magliette e i costumi, e le spugne naturali (e tu non lo sai ancora che non si trovano più, a Lampedusa, le spugne), e le granite di mandorla e finocchietto, e i turisti che appunto sono seduti ai tavolini dei bar e mangiano gelati e guardano la partita.
La discrepanza, che infine arriva, è nei ragazzi neri che a gruppetti guardano anche loro la partita, ma in piedi. Nella ragazza che ti chiede di telefonare. Sono gli ospiti dell’hotspot che teoricamente dall’hotspot non dovrebbero uscire e teoricamente nell’hotspot dovrebbero stare poche ore. Ma non va così perché non può andare così, e forse te li sei pure sognati, quei ragazzi, visto che l’isola è come tutte piena di rumori e spiriti e fantasmi, però se fossero veri loro sarebbero in piedi e i turisti seduti, perché con quali soldi pagherebbero la consumazione visto che, di fatto, non sono là? E cosa è Lampedusa?
La seconda scintilla è nel cimitero di Lampedusa.
I due rettangoli contengono croci, e le croci sono fatte con il legno delle barche. Dunque sono blu, e i bracci più corti sono rossi, o gialli. Sono distanziate le une dalle altre. Ci sono piante grasse, o fiori che resistono al caldo e al vento. I nomi no, i nomi non ci sono.
Molti anni fa, non si parlava ancora di emergenza, non arrivava Richard Gere, i migranti che traversavano non venivano “detti”. Ma arrivavano lo stesso, e arrivavano morti, e spesso da molti giorni, e arrivavano e non si sapeva chi fossero, e chi dovesse seppellirli, e poi come, e chi avrebbe avuto il coraggio. Così Vincenzo Lombardo, che gestiva un’edicola e si occupava del cimitero, prendeva qualche foglia di menta, timo, rosmarino, chiodi di garofano, li infilava sotto una mascherina per resistere all’odore. Quelle erano le erbe più usate dai medici della peste, che imbottivano la maschera a becco di aromi. Come loro, Vincenzo Lombardo raccoglieva quei corpi straziati, e li seppelliva qui, in questi due angoli. Avendo cura di tenere separato l’unico corpo femminile, con una croce più bella, e sotto una piantina, perché non venisse violato il pudore.
Le croci, ci metteva, e cosa altro? A chi glielo chiedeva, Lombardo rispondeva che il suo Dio era quello, e che poi “lassù” si sarebbero messi d’accordo.
Questa, per me, era la peste. Un gesto di pietà fra i gesti di indifferenza. Una piantina contro quella strada illuminata in una notte estiva con i turisti seduti e i ragazzi in piedi, dietro di loro. Così comincia, almeno.
Il mio amico Enrico Miceli dice che “Pandemia tutte le feste si porta via” *-°