L'ARTE DI GOLIARDA

Leggendo i commenti di due post fa, trovo quello di Alderano, che mi chiede:

Sul sito di Stampa Alternativa si pone una questione: perchè un libro uscito in Italia più di dieci anni fa, e su cui non è stata spesa una parola da critici e affini, solo adesso che è pubblicato in Francia vede riconosciuto il suo valore? (E in Italia, di fronte ai riconoscimenti transalpini, il silenzio continua). Tu che ne pensi, Loredana?

Goliarda Penso che L’arte della gioia, ai tempi della sua uscita, l’ho letto e amato. Molto. E che ne ho parlato, qualche tempo dopo, a Radio Tre (a Lampi, dove altrimenti?). Penso che sarebbe stato giusto parlarne anche altrove. Penso che adesso, dopo René de Ceccatty, fatalmente se ne parlerà ancora (è già avvenuto, sul quotidiano, giusto qualche giorno fa).
Detto questo, sono risposte retoriche: che molti libri belli non riescano ad arrivare non solo al grande pubblico ma all’informazione rivolta al medesimo è cosa assolutamente reale. Se la domanda nascondeva una malizia, credo che le mie risposte in merito siano ormai notissime. In caso contrario, faccio ammenda.

Comunicazione di servizio: domani la sottoscritta tacerà. Va a Bologna a fare due chiacchiere con l’inquisitore Eymerich. De visu.

16 pensieri su “L'ARTE DI GOLIARDA

  1. Cara Loredana, va bene che ultimamente il tuo sito è un covo di velenose malelingue, tanto da render necessario leggere alle spalle (suppositio: questa parentesi sta per un emoticon), ma credimi, non c’era alcuna malizia. Trattavasi di domanda sincera, che nulla nascondeva: semplicemente non sapevo che pensavi del libro, né se conoscevi il recente risalto che aveva avuto in Francia. E neppure avevo visto Vibrisse. Adesso ne so di più. Dopodiché, la domanda ne sottendeva un’altra (retorica, questa): può una piccola casa editrice competere ad armi pari con una grande? Sui libri delle grandi le recensioni fioccano a prescindere (dalla qualità), per le piccole non bastano neppure i capolavori. Io la chiamerei Restaurazione Permanente.

  2. comunico, a chi interessasse, che oggi sull’Unità parlano di V.M.O:
    UN BLOG “surrealista” di due cagliaritani mette alla berlina il sistema-letteratura e diventa un successo in rete.
    Gli autori “colpiti” un po’ stanno al gioco e un po’ si offendono
    WU MING, “‘VMO’, gli scrittori divisi tra il Male e il Bene”, in L’unità, 27 settembre 2005, p 21.

  3. Loredana, ripongo la stessa identica domanda formulata due post precedenti e provo ad articolarla: “Perché un lettore per ottenere un consiglio non di parte su un libro da acquistare, per essere letto ovvio, difficilmente riesce a trovare l’indicazione nelle critiche degli addetti ai lavori?”.
    Episodi come quello che citi mi portano a radicare ancora di più una delle mie convinzioni relativa alla perdita di “sostanza” dei “critici letterari”. Provo a spiegarmi ragionando a ritroso e ponendomi un’altra domanda: “Se un capolavoro, così mi pare sia definito ora, come quello della Sapienza è stato bellamente ignorato per un decennio e più dagli addetti ai lavori, che sicuramente si sono visti recapitare il racconto, l’abstract, la lettera di presentazione e tutto il resto, che ruolo ricoprono ora, in questo momento, gli addetti ai lavori?”.
    La risposta che mi viene, purtroppo generalizzante ed è sempre un errore, è che gli addetti ai lavori si siano trasformati (sempre ammesso che non lo siano sempre stati nascondendosi l’amara verità) in “rappresentanti colti” dell’editoria e di scelte editoriali non più filtrate dalla conoscenza letteraria “critica”, ma dagli addetti marketing che suggeriscono chi e cosa promuovere in funzione delle linee editoriali.
    In pratica: si dimenticano spesso di quale dovrebbe essere il loro compito (scovare talenti e libri ben scritti da pubblicare e tentare di vendere) e si trasformano in “informatori letterari guidati” alla ricerca, essi stessi, di visibilità. Sfruttano il canale privilegiato all’interno del quale si trovano per ottenere vantaggi (minimi generalmente) assecondandolo.
    Un tragico miope errore che ha portato le aziende italiane (e le università) a ripudiare, in un primo tempo, personaggi come Faggin e Zappacosta e a tentare di ignorarli successivamente; senza riuscirci, ma questo era scontato.
    Ora, al di là della risposta che già anticipi nel tuo post (l’avevo letto, ne avevo già parlato): l’impressione che da non addetto mi sono fatto del mondo letterario e dei suoi meccanismi è credibile o sto solo raccontando un mare di stupidate? Un addetto ai lavori, quale sicuramente sei, come interpreta episodi come questi e, sopra tutto, dove colloca il ruolo degli “addetti ai lavori” all’interno dell’attuale struttura editoriale?
    Buona giornata. Trespolo.

  4. Trespolo: sono abbastanza concorde con te, anche se naturalmente non si può generalizzare e pensare la stessa cosa per tutti i critici letterari. il mio sospetto, e la cosa ho appena fatto presente sul mio blog, è che nell agran parte dei casi i critici non siano consci di cosa sia un’opera letteraria. in fondo anche i medici conoscono il funzionamento del corpo umano, ma non sanno assolutamente dirti perché funziona. la metafora è abborracciata ma tant’è, ho pure la febbre oggi. Non so, quindi, fino a che punto un critico letterario sia in grado di entrare in un’opera letteraria. che, non dimentichiamolo, se tutto va bene, è ARTE. Lo so ho una visione romantica dell’arte, c’aggia faà. saluti a te e alla lipperini
    MElpunk

  5. O.T.
    Propongo una scrittura in rete della sceneggiatura de “L’incanto del lotto 49” di T. Pynchon…si puo benissimo ambientarlo in Italia. Fatevi avanti.

  6. Comincio a rispondere a Marco: quando parlavo di malizia, temevo proprio le parole che hai usato, Restaurazione Permanente. E sai perchè? Perchè non è una verità assoluta che una piccola casa editrice non trovi spazio. Posso farti almeno due esempi, personali evidentemente: una casa editrice piccolissima come la Castelvecchi (parlo di quando è nata, nel 1993) ha trovato spazio, eccome. Non voglio assolutamente lustrare le mie medaglie, ma credo di essere stata la prima a parlare di Isabella Santacroce e di Aldo Nove su Repubblica. Così come mi capitò di scrivere (metà anni Novanta) una recensione ad un piccolo romanzo di un giovane scrittore pubblicato da una piccola casa editrice (Theoria, lo scrittore era Carlo Lucarelli).
    Trespolo: se provo a risponderti sul ruolo dei critici in assoluto generalizzo. Posso rispondere, ancora una volta, per me: da quindici anni a questa parte, io tento di fare quello che tu auspichi, ovvero parlare di voci e scritture nuove. Non sempre ci riesco (ma spesso, accidenti, sì). Ed è esattamente questo il motivo per cui mi scaldo quando qualcuno mi accusa di essere il funzionario dell’esistente, o di tessere le lodi della Mazzantini e di Melissa.

  7. Loredana, quando dicevo Restaurazione Permanente, non asserivo alcunché, ma intendevo dis.porre dell’annosa questione ironicamente. In ogni caso, un conto è la tua personale vicenda (se non credessi alla tua onestà, non verrei certo qui a leggere cosa scrivi e a chiacchierare con te…), un conto è il sistema in generale.

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