LAURA BOLDRINI: LE DONNE, LA RETE, LA CULTURA

Su Repubblica c’è  l’intervento del presidente della Camera, , al convegno che si terrà oggi a Roma, presso lo Spazio Europa, organizzato dall’Unione forense per i diritti umani e da Earth-Nlp. Consiglio molto vivamente la lettura, cari tecnodifensori.
Ci sono almeno due concetti che potrebbero essere evitati nelle cronache ormai quotidiane sulla violenza contro le donne.
Il primo è il concetto di “emergenza”. C’è infatti uno strano automatismo nel nostro Paese secondo il quale se episodi analoghi e gravi si ripetono con una certa frequenza vuol dire che si deve rispondere con una logica emergenziale. Ed invece nel bollettino quotidiano dell’orrore contro mogli, fidanzate o amanti c’è una violenza stratificata e con radici profonde. Più aumentano i casi, più si dovrebbe ragionare in termini di problema strutturale e quindi culturale.
Il secondo concetto è quello di ‘raptus’, riportato spesso nei titoli dei giornali. Quando però si va a leggere il pezzo si capisce che di improvviso non c’è stato proprio nulla. Ciò che è stato definito “raptus” era invece un gesto ampiamente annunciato. Penso ad uno degli ultimi casi: Rosaria Aprea, ventenne di Caserta, ridotta in fin di vita da un fidanzato geloso fino all’ossessione. Stordita dall’anestesia, ha avuto la forza di indicare il suo compagno come l’autore di quella violenza. Lo stesso che già due anni fa l’aveva mandata in ospedale, a furia di calci e pugni.
Ed è stata forse improvvisa, la morte di Maria Immacolata Rumi qualche settimana fa a Reggio Calabria? È arrivata in ospedale in fin di vita per le percosse subite. Il marito ha raccontato di averla trovata dolorante e “intronata” una volta tornato a casa. Ma gli stessi figli hanno dichiarato: “Nostro padre l’ha picchiata per tutta la vita, era geloso, non voleva che lavorasse”. Ecco perché parlare di morti improvvise appare addirittura grottesco. Sette donne su 10, prima di essere uccise, avevano denunciato una violenza o avevano chiamato il 118. E allora perché non sono state protette?
Dunque il più delle volte sarebbe meglio parlare di assassinii premeditati e di omissioni da parte di chi avrebbe potuto e dovuto tutelare le vittime.
Il comitato “Se non ora quando” di Reggio Calabria dopo l’omicidio di Maria Immacolata si è chiesto: tutto questo si sarebbe potuto evitare se fossero state rifinanziati case-rifugio o centri antiviolenza? Non potremo mai sapere se Maria Immacolata si sarebbe rivolta a queste strutture, ma di certo sappiamo che sono troppo poche in Italia. E che sono ancora meno quelle in grado di offrire ospitalità alle donne. Si parla di un posto ogni 10mila abitanti. Dunque non c’è più tempo da perdere: i soldi per rifinanziare i centri antiviolenza devono essere trovati.
Alcuni mi fanno notare che sarebbe utile introdurre un’aggravante per i casi di femminicidio. Altri, invece, sottolineano che non servono nuove norme, ma un’effettiva applicazione di quelle già esistenti. Se è così, allora bisogna capire dove e perché si inceppa il meccanismo dell’attuale legislazione. Si potrebbe dunque immaginare una sorta di monitoraggio dell’applicazione delle norme in materia di violenza alle donne. Monitoraggio che non rientra nelle mie competenze di presidente della Camera, ma che mi farò carico di sottoporre alla competente commissione Giustizia, presieduta dall’onorevole Donatella Ferranti, della quale conosco sensibilità e impegno su questo tema. Intanto può servire che l’Italia ratifichi la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne: il 27 di maggio andrà in aula alla Camera come richiesto dalle deputate dei più vari gruppi politici.
C’è poi la questione della violenza via web. Ciò che mi sta a cuore è che si eviti l’equazione secondo cui, se le minacce, gli insulti sessisti, avvengono sulla rete, sono meno gravi. Non è così: la rete invece amplifica e pensare di minimizzare vuol dire non aver capito la portata del danno che dal web può derivare sulla vita reale delle donne. Questo non significa, lo ripeto, invocare un bavaglio. Semplicemente far sì che le norme già esistenti possano trovare effettiva applicazione anche per la rete. Oggi invece false identità o server collocati all’altro capo del mondo offrono un comodo riparo.
Infine, l’utilizzo del corpo della donna nella pubblicità e nella comunicazione. L’Italia è tappezzata di manifesti di donne discinte ed ammiccanti, che esibiscono le proprie fattezze per vendere un dentifricio, uno yogurt o un’automobile. In tv i modelli femminili che vengono proposti in prevalenza sono la casalinga e la donna-oggetto, possibilmente muta e semi-nuda. Da lì alla violenza il passo è breve. Se smetti di essere rappresentata come donna e vieni rappresentata esclusivamente come corpo- oggetto, il messaggio che passa è chiarissimo: di un oggetto si può fare ciò che si vuole. E invece è proprio a tutto questo che bisogna dire no.
Vorrei farlo usando le parole di una donna, una poetessa messicana, Susanna Chavez. Per anni si era battuta contro rapimenti, violenze e femminicidi nella sua città, Juarez. Un impegno che ha pagato con la vita, due anni fa è stata uccisa anche lei nello stesso modo delle vittime che aveva tentato di difendere. “Ni una mas”, era il suo slogan, “Non una di più”.

22 pensieri su “LAURA BOLDRINI: LE DONNE, LA RETE, LA CULTURA

  1. è chiarissimo che più chiaro non si può. E identifica i due distrattori, la logica dell’ emergenza e quella del raptus, che non se ne può veramente più. Poi, nel mio cinismo, aspetto il prossimo titolo enfatico di Repubblica.

  2. Penso alla ventenne di Caserta, penso a che era già successo due anni fa. La responsabilità primaria è di noi uomini, posso però lanciare anche una provocazione? Perché le donne giornaliste (e spero anche gli uomini) non fanno uno “sciopero” nei confronti di chi pubblica pubblicità sessiste? E anche di chi continua a pubblicare articoli che hanno solo lo scopo di alimentare la parte più morbosa di certe persone (tipo galleria fotografica sulla presunta nuova fiamma del calciatore di turno o galleria fotografica sul look provocante della (ex) consigliere regionale). Perché le consumatrici (e i consumatori) non si rifiutano di comprare il prodotto con la pubblicità sessista? Se la logica è “il sesso tira” e si cercano audience e clienti allora bisogna colpire dove l’effetto si sente.
    Non “Se non ora, quando?”, ma “Ora, e basta!”.

  3. teniamo sempre a mente che ci sono intere macroregioni in cui se interrogati sul punto gli uomini risponderebbero volentieri(se sapessero formulare un concetto logico,certo)che se non esiste un fenomeno opposto al femminicidio,è solo perché le donne sono troppo impegnate a escogitare tradimenti per indulgere in comportamenti che comporterebbero un impegno in altri sensi,e conseguenze che impedirebbero di procedere nella fornicazione permanente.Non muterebbero opinione nemmeno messi di fronte a statistiche carcerarie che non lasciano spazio a dubbi sulla tendenza di un genere a certe pratiche criminali.In pratica c’è poco da stare allegri,e moltissimo da ricostruire
    http://maslovd.no-ip.org/public/mp3/Metallica/Metallica%20'Whiskey%20In%20The%20Jar‘.mp3

  4. Grande Presidente Boldrini!
    Il 5 maggio, in piazza San Marco a Venezia, ha promesso che si sarebbe attivata immediatamente per la ratifica della Convenzione di Istambul contro la violenza sulle donne, finora ratificata solo da Paesi come Turchia, Montenegro, e pochi altri: serve la ratifica di 10 Paesi per la validità. Andrà in aula a fine maggio. Questo e’ un atto concreto.
    Auspico che ci siano al più presto misure che impediscano l’utilizzo nella pubblicità e nella comunicazione, in tv e su tutti gli altri media, di corpi di donne nudi o seminudi, di casalinghe, di donne-oggetto mute o semi-mute, comunque ammiccanti. La radice del problema e’ proprio in una “visione culturale della donna” che consente il passaggio di queste immagini e addirittura lo premia con l’acquisto dei prodotti.
    È ora di trasmettere immagini di donne forti e consapevoli, belle e sicure, capaci di fare e di sorridere: in Italia c’è ne sono molte, e la Presidente Laura Boldrini le rappresenta al meglio.

  5. “sulla tendenza di un genere a certe pratiche criminali”,detto nel senso che il brodo di cultura in cui si è sviluppato ha portato alle sanguigne manifestazioni degli istinti basici di cui si discute su frequenze non più ascrivibili come fisiologiche

  6. Laura grazie il femminismo ha fatto tanto per denunciare sessismo e discriminazioni ed e per questo che e stato ignorato e reso ridicolo. Nessuna donna e ne e mai stata al riparo della violenza. Oggi piu che mai abbiamo bisogno di aiuto, e un aiuto, quale il tuo, autorevole e istituzionale puo darci, non solo parole,ma atti concreti.
    Grazie, grazie le donne sono con te

  7. StefanoD, vorrei dire due cose sul tuo intervento.
    La prima: Se si proponesse che so una nuova e migliore legge per la sicurezza sul lavoro e gli imprenditori dicessero: Eh, però certo finché i lavoratori si prestano a lavorare in condizioni insicure…Perché non sono loro i primi a rifiutarsi, o denunciare i datori di lavoro disonesti, a licenziarsi ecc.? Ti sembrerebbe una cosa corretta?
    Se nella società si perpetra un’ingiustizia, si dà la responsabilità alla vittima? Di solito no, succede però spesso quando invece le vittime (di violenza o di discriminazione) sono donne.
    Poi certo la consapevolezza è fondamentale, e infatti c’è molto attivismo, però da qui a diventare una cosa di massa servono appunto educazione, prese di posizione, esempi positivi, modelli alternativi. E’ qui il punto: che molti e molte consumatori non si rendono proprio conto che un messaggio è sessista, perché a forza di vederlo gi pare normale, neutro, accettabilissimo, proprio come sessant’anni fa era ritenuta accettabile e magari gradita alla sensibilità dei consumatori l’immagine di mogli sottomesse o stupide tipo queste http://www.top-10.it/top-10-di-vecchie-pubblicita-sessite-che-oggi-farebbero-scandalo-511/ (e faccio notare che non si vede un centimetro di pelle nuda: non è che è sessista solo se ci sono tette e culi o pesanti allusioni sessuali, come alcuni pensano). Secondo te, oggi, le classiche innumerevoli pubblicità della famiglia felice, con la mamma vestita benino che porta in tavola la pastasciutta e il papà e i figli seduti, in quanti ci vedono qualcosa di strano?
    La seconda cosa è: comunque, perché solo le giornaliste donne dovrebbero scioperare? Non dovrebbero scioperare tutti i giornalisti che reputano svilente quell’immagine? Cioè si trattasse di pubblicità razziste, dovrebbero scioperare solo i giornalisti neri? Non tutti quelli che pensano ci sia qualcosa di offensivo?

  8. Bell’interento, tranne sulla parte dell’immagine della donna. Si può criticare l’uso del corpo della donna nei media senza fare collegamenti impropri con le violenze.

  9. @francesca violi – ma io ho scritto anche i giornalisti uomini e anche i consumatori, comunque vero, l’idea potrebbe partire da entrambi.
    Sul primo commento, in linea teorica hai ragione, in pratica lo sciopero, il whistleblowing, il boicottamento, sono tutti esempi di pratiche usate dal basso quando dall’alto il comportamento è deprecabile. Da noi però mi sembra spesso ci si lamenti e la cosa finisca lì. Come per l’euro, tutti arrabbiati che la pizza passò da 10mila lire a dieci euro, ma le pizzerie non si sono mai svuotate. Io credo che se i consumatori avessero disertato i negozi per una settimana si sarebbe tornati al cambio corretto.
    Proviamo questo allora: alla prossima giornata di serie A tutti i giocatori con al posto dello sponsor la scritta “Chi picchia le donne è uno stronzo!”

  10. Fose sono off topic, ma letta la prima parte dell’intervento di francesca violi mi è tormata in mente una pubblicità progresso di non pochi anni fa in cui la sicurezza sul lavoro veniva demandata al lavoratore con lo slogan: la sicurezza sul lavoro la pretende chi si vuol bene. Come se fosse, appunto, una pretesa del lavoratore e non un dovere del datore di lavoro, a prescindere.
    Questo per dire che in Italia questo rovesciamento di ruoli, dove la responsabilità ricade sulla vittima e non sul colpevole, è purtroppo un pensiero abbastanza comune. Nel caso della violenza sulle donne, secondo me doppiamente. Ci sono infatti ben due “pensieri” (non so bene come chiamarli) che sottendono la responsabilità femminile: il primo è il “se l’è andata a cercare”, spesso usato come giustificazione da chi le botte le ha date. L’altro, più pericoloso perché apparentemente più sensato, è il “ma perché è rimasta se lui la picchiava?”.
    Non so bene dove voglio andare a parare con questo discorso, se non sottolineare che purtroppo nella società in cui ci troviamo spesso per avere accesso a diritti che dovrebbero essere ormai acquisiti dobbiamo lottare o pagare o litigare o comunque alzare la voce. C’è chi può farlo, e chi no, perché non ne ha i mezzi, e non parlo solo di mezzi economici, ma anche culturali, che significano istruzione, ma anche far parte di una comunità che ti aiuti a ottenere quello che dovrebbe spettarti di diritto, come il rispetto.

  11. Alcune cose.
    1. Attualmente la legge dovrebbe essere affinata per quanto riguarda le possibilità di intervento delle forze dell’ordine su tutti i comportamenti che preludono il femminicidio e che hanno spesso un itinerario comune, un crescendo noto nei centri antiviolenza.
    2. I centri antiviolenza vanno assolutamente finanziati in un contesto come il nostro che è nell’emergenza perenne. Ma quello su cui bisogna lavorare, a tappeto e sistematicamente è l’inceppo delle leggi nei tribunali e nelle forze di polizia. Questo inceppo è dovuto spesso e volentieri a un problema di mentalità sessista che trasforma e allunga certi itinerari di denuncia. Se chi prende in carico un certo procedimento non riconosce la violenza di genere dietro alle aggressioni reiterate a una donna, non necessariamente fisiche, tratterà la sua denuncia come una testimonianza da verificare non riconoscendole la necessità di tutela, allungando drammaticamente i tempi del processo, e mentre i tempi si allungano quello l’ammazza. Altra cosa piuttosto allucinante: una donna può sporgere 20 denunce per aggressione ma il raccordo delle denunce avviene solo per richiesta di un avvocato, se no NESSUNO SE NE ACCORGE. Non so se per un semplice problema di arretratezza nell’informatizzazione, o per idiozia pura. Difficile come scrive boldrini, che uno si svegli la mattina e ammazzi la moglie. Spesso le donne sporgono reiterate denunce ma non c’è la conoscenza che fa riconoscere la conseguenzialità degli eventi.
    3. Contesto un approccio al fenomeno che si occupa di lenire solo gli effetti, e non mette in agenda neanche un tentativo di lavorare sulle cause. Ci si occupa delle donne, ma nell’articolo una vaga menzione alla responsabilità degli uomini, e alla patologia psichica e sociale che crea quella responsabilità non c’è manco di striscio. Non è un problema solo di Boldrini, è un problema di buona parte del femminismo nazionale.

  12. http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/20/i-veri-numeri-sul-femminicidio/
    “In Italia le statistiche e i dati ufficiali mostrano che non esiste un’emergenza “femminicidio”. L’omicidio di donne da parte di partner o conoscenti non è diventata “un’epidemia” e in realtà non è nemmeno in aumento. In Italia si uccidono meno donne rispetto al resto d’Europa e agli altri paesi sviluppati.”
    “… i numeri diano completamente torto alla tesi dell’escalation e come ci troviamo piuttosto di fronte a un fenomeno endemico – cosa forse persino peggiore.”

  13. Mi sembra che l’autore dell’articolo faccia una certa confusione con i numeri e l’interpretazione dei medesimi. Abbiamo scritto quel che dovevamo nel libro, il resto è chiacchiericcio.

  14. Oddio… Mi sembrano dati ben certi. Il chiacchiericcio sta a monte stando a quello che si legge e quello che i dati (insomma son sempre dati…) dicono. Ed il problema, come diceva anche lei, è strutturale non emergenziale (e questo mi sembra fondamentale).
    Trovo arduo poter affermare che fa confusione. Non so, mi faccia capire a questo punto, perché non davvero non capisco ciò a cui si riferisce!

  15. Dati ben certi non mi pare: “” Può essere che mentre il totale di omicidi sia rimasto costante, il sottoinsieme dei femminicidi veri e propri sia aumentato.” Può essere. Però” il dibattito è chiuso”. Noto una certa contraddizione fra le due asserzioni. Inoltre, il considerare un fenomeno come “endemico” non comporta la chiusura del dibattito: tutt’altro.
    A ogni modo, mi riservo una replica più lunga.

  16. Giak, ho la sensazione che lo sperasse e che lo speri anche il collaboratore del Post 🙂 Ogni cosa al suo momento, davvero non è …economico occupare tempo prezioso (per questo argomento) perché qualcuno si glori di essere protagonista di un flame con le femministe. Ripeto: nel libro scritto con Michela si dice già che i numeri sono pochi e non chiari e che questo dà semmai la misura di un problema annoso quanto sottovalutato. Per questo scrivevo “abbiamo già dato”. Il resto mi sembra un pio desiderio di sottrarre commentatori al Fatto quotidiano 🙂

  17. @ GiaK
    provo a risponderti io, intanto, anche se in realtà non ce ne sarebbe bisogno. Che i dati siano sbagliati è quasi ovvio, che se ne parli in maniera impropria anche, considerando lo stato del giornalismo comune e della politica. Che non ci sia un’emergenza ( qua bisogna intendersi però, perché chi chiede da tempo le giuste pratiche, sotto tutti i punti di vista, ha già fatto un ampio lavoro di analisi, non è partito dai titoli urlati dei giornali ) è più un problema di come si parla di questo fenomeno, e fa bene chiunque ad analizzare i numeri e il resto. Magari sarebbe meglio non limitarsi alle statistiche ed approfondire la sostanza.

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