Confesso che mi costa molta fatica dare parzialmente ragione a Filippo La Porta su un punto dell’intervista che ha rilasciato sabato a Leopoldo Fabiani per Repubblica e dove si parla del suo ultimo libro “Meno letteratura, per favore”. Il punto in questione è il seguente:
«Esistono siti web che pubblicano qualunque testo ricevano. Che senso, che valore ha? Non abbiamo piuttosto bisogno di qualità, di selezione? Nei forum letterari come quello di aNobii, prevalgono giudizi sbrigativi, lapidari, espressi in una lingua sciatta, dove l´interesse primario sembra l´esibizione di sé invece della comprensione dei testi. Manca completamente l´argomentazione, che è la base del giudizio “autorevole”. Beninteso l´autorità è qualcosa che si conquista faticosamente, una competenza che poi ogni volta bisogna sottoporre alla valutazione del pubblico. È questa la responsabilità del critico».
Ora, quello che La Porta sostiene non è vero e insieme lo è. Non è vero perchè la rete è vasta e non è giudicabile dalla consultazione di due-tre siti o blog letterari o da due-tre-dieci discussioni avvenute in seno ai medesimi. E’ necessaria una frequentazione quotidiana e una partecipazione in prima persona che non mi sembra che appartenga a La Porta. E’ però vero che la tendenza all’esibizione del sè, in moltissimi casi, prevale non tanto sulla critica e l’analisi, ma sul sempllice giudizio su un testo. E questa non è responsabilità della rete, naturalmente: la rete amplifica quel che già esiste. Se conquisto audience (o contatti, o seguaci web) dicendo: “l’autore è uno stronzo” (esattamente come fece Sgarbi qualche lustro fa in televisione, iniziando così la sua sciagurata e folgorante carriera), perchè non dovrei farlo? Su aNobii, in particolare, è molto facile che questo avvenga (complice anche la famigerata antologia che osannava la recensioni “urticanti”).
Il punto è che santificando il diritto INDIVIDUALE del lettore si mette in secondo piano una dimensione collettiva e comunitaria della lettura e della condivisione dei testi. Vecchia storia? Vecchissima. Inutile parlarne? Direi di no.
Gentile Loredana,
Mi pare fra l’altro che nell’intervista da lei citata si faccia confusione fra social network e blog. Il “legame ” fra blogger non è così facilmente classificabile, eppure basta verificare i link all’interno di uno di questi siti che si occupano di letture e facilmente si possono scovare tanti blogger e tante discussioni all’interno di ogni singolo post (sono i commenti, dopotutto, che misurano spesso l successo di un blog ben fatto) che discutono di letteratura, o dei temi che un’opera propone o provoca. E le discussioni non sono affatto banali né scritte in modo scialbo.
Pietro, infatti: ho sottolineato di non essere d’accordo con l’affermazione di La Porta in quanto sbrigativa. E’ innegabile però che nei social network (e anche in non pochi blog) esiste la tendenza a mettere in luce se stessi e non l’oggetto della discussione. Con qualunque mezzo.
Concordo, con questa visione. La tendenza diffusa in rete – che non significa che è tutto così, ma è la maggioranza – è quella dell’adulazione sbrigativa che diventa esibizione del sé, nella misura in cui la si fa con l’evidente scopo che essa sia ricambiata. Come spessissimo si nota succedere su Ilmiolibro.it. Ma quella è una comunità “chiusa”, di aspiranti scrittori che ospita aspiranti scrittori.
E questo comunque vale tanto per il giudizio sui libri, quanto per il giudizio sui semplici post o articoli su blog. Penso che l’approccio sia applicabile più generalmente al concetto dell’apprezzamento di quello che (di non professionale) si legge in rete.
E’ anche vero che saper esprimere un “giudizio letterario” su un testo non è cosa banale, né si può improvvisare. L’autorevolezza del giudizio la si può giusto andare a cercare in quei due o tre siti al massimo, che nel medio periodo dimostrano di capirci qualcosa e di essere in sintonia con le proprie idee.
Non credo peraltro che si possa nemmeno pretendere dalla vastità e disomogeneità della Rete un ruolo del genere, né – come dici tu – attribuire alla Rete la responsabilità della situazione.
Mah… Non credo sia il caso di porre sulle stesso piano due mezzi completamente diversi come tv e web. Un conto è atteggiarsi a mastino ruggente davanti ad una telecamera nazionale e un conto è farlo attraverso le parole di un blog o di un profilo (diluito nelle immensità della rete). Nel primo caso conta molto di più l’espressione che non il contenuto. Nel secondo se non si è già personaggi pubblici bisogna industriarsi con gli argomenti. Che è diverso. Che peso ha Samy87 quando dice che Tizio è uno stronzo (e basta) su un socialino o sul suo blog o su Anobii? Nessuno. Chi potrebbe darle retta?
Ma, d’altra parte, penso anche che gettare l’anatema sulla rete tout court, come spesso si fa, sia argomento fra i più miseri, sintomo di un malessere malcelato nei confronti di uno strumento che, potenzialmente, ha tutte le carte in regola per poter assestare qualche fastidioso colpo di machete.
Anobii, a esempio, se usato con intelligenza è uno strumento molto valido: col tempo, la frequentazione, la “vicinanza” fra librerie simili, i toni e gli argomenti adoperati, ho tutti gli strumenti per potermi fidare del giudizio di qualcun altro. Se un mio “affine” mi dice che Tizio è uno stronzo (per questo, questo e quest’altro motivo) ci sono fortissime probabilità che lo sia veramente. E’ una cosa che penso faccia imbestialire gli uffici stampa e comunicazione. ^___^
Sir Robin, attenzione. Lanciare l’anatema è infatti faccenda sciocchina, dal momento che, come dici tu, le carte in regola ci sono e che soprattutto il web non è riducibile a una “tendenza”. E’ anche vero che di Samy87, che devono la propria popolarità al numero di “stronzo/a” pronunciati su social network o post o commenti ai medesimi, ne esistono non pochi/e. Il problema è che spesso si confonde coraggio (“adesso vi dico come stanno le cose visto che nessuno lo fa”) con populismo, necessaria ferocia critica con desiderio di entrare nel cono di luce del riflettore. E su questo non posso dare torto a La Porta. Mio malgrado.
Non capisco perché un critico possa guadagnarsi la credibilità, e un blog (o un commentatore su aNobii) no. In realtà è proprio quello che succede. Ed anche per i blog, la credibilità (concetto discutibile, mi rendo conto, ma intendiamola come “fiducia nel recensore”) si mette alla prova costantemente, articolo dopo articolo, con lettori indignati, gente che “non leggerò più questo blog” etc etc. Questo è il punto debole di tutto il ragionamento di La Porta. Perché a differenza di quanto lascia supporre la sua sommaria descrizione, la rete non è (solo) un marasma inerte. Chi naviga con esperienza ha i suoi siti di riferimento, e sa mettere da solo il suo sistema di pesi. Questo bisogno di La Porta (e non solo) di differenziare il ruolo del critico professionista dai dilettanti, oltre a mancare il bersaglio, è un sintomo. Perché quello che dovrebbe essere davvero un discriminante non è il luogo in cui si scrive una recensione, ma la competenza specifica del recensore, fatta di lavoro di ricerca costante e, per l’appunto, specialistico. Se i critici devono correre ai ripari, augurandosi maggior selezione tranne che verso loro stessi, forse dovrebbero porsi qualche domanda.
C’è la tendenza all’esibizione del sé. C’è, eccome, più tra gli aspiranti scrittori che tra gli affermati. Ma c’è, ancor peggio, secondo me, la tendenza alla ricerca di riscatto. L’arte non può essere una ricerca di riscatto. Non posso scrivere per volver pubblicare, subito, e, soprattutto, per andare dalla mia professoressa d’italiano che mi dava sempre quattro e sbatterle il mio libro sulla sua cattedra. La ricerca di riscatto annebbia la vista di chi vuole diventare scrittore. Serve umiltà, che il riscatto non può darti. Serve autocritica, che il riscatto non ti dà. Serve leggere, che il riscatto non te ne lascia il tempo. Se cerco riscatto non posso perdere, non posso essere escluso dai concorsi, non posso essere rifiutato dalle case editrici, non posso non credere che pubblicano soltanto i raccomandati, e allora rimangono certi siti, che pubblicano tutto quello che gli capita tra le mani, e io, aspirante scrittore, ci casco soltanto se cerco riscatto.
“Manca completamente l’argomentazione, che è la base del giudizio ‘autorevole’.”
Questa cosa che scrive La Porta, che in sostanza è chiedere che i discorsi restino nel terreno comune della ‘ragione’, mi pare sia l’ultima delle preoccupazioni della maggioranza dei critici letterari chiamiamoli così ‘ufficiali’ (mi viene in mente una risposta di WuMing1 completamente basata sulle fallacie logiche, come dire: questi critici non sanno nemmeno ragionare).
Le pagine culturali dei quotidiani dice Dario Voltolini “andrebbero chiuse” (intervista a Nazione Indiana). Certo è un giudizio lapidario, Voltolini enfatizza per dare l’idea della povertà della situazione. Ma insomma chi si aspetta dalle pagine culturali una giustificazione razionale delle asserzioni? [Mi viene una battuta: sarebbe come immaginare per l’Italia un presidente del consiglio o un capo di stato di sesso femminile… sono ipotesi improbabili, quasi casi di scuola].
Allora tanto vale rivolgersi alle comunità di lettori, al passaparola, al fai-da-te, perlomeno ci sarà la possibilità che ad attraversare i testi siano saperi diversi da quello della ‘critica letteraria’. Magari saperi in cui l’esperienza di vita ha un peso maggiore restituendo letture più utili.
Sara’ un commento poco costruttivo e poco argomentato il mio, in quanto concordo completamente con il punto di vista di Loredana, dubbi e distinguo compresi.
Posso solo aggiungere l’esperienza personale ( amara). E non solo personale, visto che di recente ho trovato parecchie conferme in rete, da parte di altri autori. Soprattutto nel fantasy, genere che ha conosciuto popolarita’ improvvisa in Italia, interessando una fascia di lettori piuttosto giovane e sensibile a ondate emozionali.
Purtroppo ho dovuto constatare che i vari Samy87 hanno peso eccome, e insospettate capacita’ diffusive a macchia d’olio, e di stimolo all’emulazione.
Non argomento, non spiego, non tento di portare prove quantitative: e’ difficile, lo so, anzi, inutile, e questo non fa che alimentare il parere degli scettici in proposito. Non voglio aggiungere la frustrazione di non essere creduta a quella di aver subito questo stato di cose.
Mi limito a riferire la mia impressione.
E’ pur vero, però, che la spazzatura esiste.
Gli improperi vuoti e elargiti con generosità lasciano il tempo che trovano se non sostenuti, come ho già detto, da argomenti. Come in tutti gli ambiti il “gorillaio” fa più colore ma di sostanza non ce n’è. Magari serve anche quello: mi accosto incuriosito dal frastuono per poi accorgermi che si trattava di piccola cosa. Qualcuno se ne va, qualcuno rimane e, eventualmente, scopre altre ottime cose (che ci sono). Tappe. Ma ci vuole un po’ di fiducia nel genere umano.
Lo dico da lettore, ma la percezione che ho avuto io rispetto agli ultimi anni è stata di una compagine critica ufficiale parecchio rilassata e fuori dal mondo. C’è proprio una rivendicazione di fiera non appartenenza, di non collateralità rispetto ad una realtà (tutto il mondo) che di letterario (qualunque cosa significhi – remember?) conserva ben poco. E vorrei pure vedere!
C’è bisogno di contenuti, non di chiacchiere.
Gli spazi che si creano vengono prontamente occupati da chi, magari, potrebbe avere altri interessi e altri spessori ma pochi scrupoli. E’ normale.
Se lor signori scendessero al nostro livello e, per dire, aprissero un blog per fare (uno alla volta) nomi e cognomi di chi sta pubblicando spazzatura spiegando, e minuziosamente, anche il perché e sentendosi eticamente (addirittura) chiamati in causa… o no? Non si fa?
Chi è dotato di argomentazione (che è la base del giudizio autorevole) è pregato di fornirla.
Invece di scagliarsi su internet o l’aria che tira.
Non sono pochi, mi pare, i blog che hanno una giusta credibilità… accreditata (mi ricollego al commento di blepiro): talvolta l’informazione approfondita la trovi fra i gestori-giornalisti dei blog, e trovi un modo di scrivere quasi colloquiale col lettore che è assolutamente prezioso.
Loredana, la sua sottolineatura l’avevo notata. Concordo che il commento di La Porta è sbrigativo. Quel che le chiedo è se mettere in luce se stessi sia prevalentemente male: magari il blogger non si antepone per forza all’oggetto della discussione ma la rivela sotto una luce interessante, e questo aiuta l’aggregazione. Ma come si fissa l’equilibrio fra individualità, lettura comune e condivisibile e l’atto dello scrivere?
riusciranno i nostri eroi a costruire una società dove la coscienza critica non indottrinata è diffusa al punto che ognuno abbia la capacità di discernere uno stronzo a corto di argomenti che cerca di farsi largo puntando sulla psicolabilità individuale(e sul timore reverenziale indotto che ne consegue)o giocando sulla buona fede delle anime semplici da un recensore più o meno qualificato che vuole far ascoltare le proprie ragioni,per motivi che non sempre ci sfuggono?
http://draculanowaday.net/Duc/NoAlbum3/Carli%20Simon%20-%20You%20Are%20So%20Vain.mp3
Sir Robin, concordo. Tant’è vero che lanciare anatemi senza sporcarsi le manine non porta a nulla. La mia domanda è infatti un’altra: sicuro che le argomentazioni ci siano sempre? Questo, mi pare, è uno dei punti deboli. Non è che per il solo fatto di essere lettore anobiano o blogger ci si colloca in automatico dalla parte dei “buoni” (ovvero, coloro che parlano senza essere prevenuti di un testo, senza motivazioni personali e via dicendo). L’errore è sempre di confondere mezzo e messaggio. Detto questo, e solo per quanto riguarda aNobii e non per la blogosfera (mi pareva di averlo sottolineato, prima), mi sembra che in molti casi gli argomenti siano scarsi.
Pietro: per mettersi in luce intendo anteporre sempre l’io, e possibilmente un io urlante, al testo di cui si parla. Cosa da cui – sia chiaro- i critici letterari su carta sono tutt’altro che immuni.
forse è un problema di concorrenza, quello che viene sentito dai critici – come La Porta. Effettivamente, oggi i lettori per orientarsi hanno più opzioni (blog, forum, siti, ecc.). E questo sottrae terreno e status alla Categoria o all’Ordine dei critici. Che non esiste per tutelare noi lettori, ma se stesso, come tutti gli Ordini, credo.
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Come scrive barbieri, poi, non è detto che “saperi in cui l’esperienza di vita ha un peso maggiore” non possano avere una loro autorevolezza.
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E come osservano blepiro e tanti altri, qui, il lettore, l’utente o come vogliamo chiamarlo non è così sprovveduto da avere sempre bisogno di essere guidato e tutelato. Impara presto a farlo da sé. Se ci sono critici che si guadagnano sul campo la loro autorevolezza, li leggerà insieme ai commenti degli utenti di amazon o imdb (per il cinema), o altro.
Diana: sarebbe alquanto ridicolo se io negassi l’autorevolezza dei blogger, dal momento che sto quotidianamente in rete da sei anni e passa. Il discorso che stavo facendo è un altro: ovvero, che l’autorevolezza va guadagnata. Su carta, su papiro, in rete e sull’acqua.
attingo a piene mani consigli di lettura in rete e io stessa parlo di libri in rete; però so ancora capire che il giudizio “letterario” che può consacrare il capolavoro e consegnarlo alle future antologie scolastiche non lo devo cercare dal primo nick buffo che scrive su anobii o sulle piccole recensioni di ibs;
non riesco a mettere a fuoco il problema di La Porta: in rete si parla di tutto, perché non di libri? parlare di libri può essere un grande gioco collettivo o un modo per costruire una rete di compagnie virtuali, esattamente come parlare di fotografia, di cinema, di passeggiate in montagna, di ricette… anzi meglio parlare di libri (magari ci scappa anche un po’ di miglioramento spirituale) che di calcio, o no? chi sarebbe il danneggiato da questa bella cosa che sono le persone che si ritrovano a chiacchierare intorno all’ultimo best seller? davvero un buon libro può essere danneggiato da micina85 che dice che preferisce Moccia a Scarpa?
che cos’è, una religione con pochi sacerdoti consacrati e la massa che raccoglie le offerte in silenzio?
Loredana: esprimevo solo un parere sulla citazione di La Porta. Veramente non ho mai pensato che tu negassi l’autorevolezza dei blogger: sto scrivendo sul tuo blog. Sono solo intervenuta sul tema, più o meno nelal stessa chiave in cui sono intervenuti anche altri. L’unico giudizio che ho dato riguarda La Porta e il suo punto di vista. I blogger e i blog accettano la concorrenza e la loro autorevolezza se la guadagnano sul campo. E certo che va guadagnata. Ti stavo dando pienamente ragione.
Sottoscrivo in pieno il commento di Blepiro (il commento numero 6) che in poche righe coglie il nodo essenziale.
La Porta dimentica un’altro aspetto fondamentale, che nella maggior parte dei siti e dei blog c’è la possibilità di commentare e di verificare “in presa diretta” l’autorevolezza del parere, cosa che non succede ad esempio sui quotidiani, a meno che non vi sia chi ha letto l’articolo e abbia la competenza e lo spazio adeguato dal quale controbattere.
@milena d: invece il tuo commento è interessante. Contestavo soprattutto l’assunto di La Porta, che implicava un “popolo lettore bue”, incapace di discernere. Se circoscriviamo il discorso all’ambito fantasy le cose cambiano. Tuttavia, anche in questo caso, esiste una comunità di lettori/critici specializzati, appassionati e molto attenti.
Rileggendo alcuni commenti, vorrei aggiungere che la domanda di Loredana è più che giusta. Ma la risposta non può essere quella dell’auctoritas del critico, come sembra suggerirci La Porta. La dimensione collettiva della lettura è di certo una pratica su cui insistere. Che in parte c’é già, anche su aNobii: mi riferisco alla possibilità di valutare affinità di librerie con altri utenti, o di avvicinare l’uno o l’altro. Si creano delle microreti. Il punto non è “meno critica urlata/narcisistica/superficiale” (inevitabile, proprio per i meccanismi mediatici elencati nel post) , ma incentivare una buona critica. Con quali pratiche? Ad esempio, hanno fatto i Wu Ming trasferendo Nandropausa su aNobii. Una colonizzazione militante di quel network potrebbe essere un inizio, per quanto limitato; la possibilità di un’alternativa.
leggo ora il commento di ilse – sulla “religione con pochi sacerdoti consacrati”, e concordo in pieno. Era quello che volevo dire alludendo agli Ordini.
Il parlare oggettivamente è sempre una cosa difficile da attuare, inevitabilmente il punto soggettivo spunta in un giudizio o una critica.
La cosa che si nota, e non solo in campo letterario, è che le proprie ragioni sono urlate, usando toni sopra le righe, come se questo desse più forza a quanto si ha da dire; un attirare l’attenzione su di sè per dimostrare che si è dalla parte della ragione. Anche questa è una forma di sopraffazione, una delle tante che esistono. Oltre che di superficialità.
(“*come* hanno fatto i Wu Ming”, scusate il refuso)
1) “per mettersi in luce intendo anteporre sempre l’io, e possibilmente un io urlante, al testo di cui si parla. Cosa da cui – sia chiaro- i critici letterari su carta sono tutt’altro che immuni.”
Per non parlare poi di quando l’autore/critico letterario fa di tutto per mettere in luce se stesso (Ah…gli epigoni di Sgarbi!) e successivamente frigna e si atteggia a vittima perché i commenti dei blogger parlano più dell’autore che dei loro testi. Vabbè…
2) Io l’attitudine all’adulazione sbrigativa di cui parla il Grande Marziano l’ho riscontrata soprattutto su FB e tuttavia esistono anche detentori di pagine facebook che cercano di tenersi alla larga da questa prassi: insomma è sempre la solita vecchia storia… c’è modo e modo di utilizzare la rete.
P.S.
E comunque ho sempre l’impressione che i detrattori (anche un poco integralisti) del web ne abbiano spesso una conoscenza superficiale.
Sarà che io ho studiato poco, ma tante volte preferisco leggere una serie di opinioni piuttosto che di recensioni tecniche che il più delle volte non potrei davvero comprendere fino in fondo.
Forse è per questo che ho smesso anni fa di leggere le pagine culturali e gli articoli dei critici: magari alla fine avevo una visione dello stile e dell’utilizzo del punto di vista, ma non mi era chiaro in che modo e quanto queste cose incidessero sul piacere della lettura.
Blog e siti, anche seguiti e gestiti da persone “che ne sanno” e che hanno fatto della letteratura il proprio pane quotidiano, sono talmente numerosi da consentirmi di poter trovare quello a me più congeniale come stile e contenuti.
Tendenzialmente comunque distinguo chi scrive per l’esibizione del sé da chi scrive per condividere un’esperienza dal fatto che il primo attacca o osanna l’autore, il secondo argomenta sull’opera.
Il discorso di La Porta non mi sembra affatto sbagliato.
Io credo però che alla fine il problema sia non tanto – o troppo – di chi espone in rete la proprie recensioni, tanto quanto di chi le legge.
La rete è davvero vasta, e lo è soprattutto per chi ci bazzica appena. Se parlo con determinati amici, ci accorgiamo di riuscire a discriminare se un sito sia affidabile, degno della mia attenzione o meno, ma per latri il primo sito che compare cercando con google è la verità.
Forse davvero il problema è come al solito culturale. Bisognerebbe formare le persone al web.
Poi il discorso sui contenuti (comunque importanti) può venire dopo.
Naturalmente se poi uno compra un libro seguendo una recensione fatta a caso, è un piccolo problema, ma se uno decide di seguire una terapia medica (o altro) perchè “internet dice che si cura così”, capite che il problema è decisamente più grave. Ma non è sempre facile spiegare al paziente che forse il sito di lecuredimianonna.com non è proprio affidabile e competente, così (me misero) alle volte dico semplicemente di NON guardare su internet….
“Esistono siti web che pubblicano qualunque testo ricevano. Che senso, che valore ha?” hmmm… ma dire così non è un po’ come prendersela con le dannate pareti dei cessi pubblici per la degradante volgarità dei messaggi ivi pennarellati?
Anobii non è un “forum letterario” né un luogo per campagne di viral marketing (anche se può a volte diventarlo), è un aggregatore di scaffali virtuali il cui scopo, più o meno, è mettere in risonanza lettori affini tra loro. L’esibizione di sé fa parte dele regole di quel gioco – che somiglia ai giochi dei salotti letterari (per esempio), con la differenza che non hai il bollino blu all’origine («signore e signori, permettete che vi presenti….»), ma lo ottieni a destinazione e il tuo discorso, nobile o squallido, è e resta visibile a tutti come su un muro. Decidi tu di mostrare quanto valore dare al tuo nickname, ai tuoi pensieri, ai tuoi interventi.
Un appunto: in linea teorica, potrei essere molto affine a una persona che dà come giudizio sintetico coprolalico agli stessi critici o autori cui lo do io e potrei poi fare delle grandi discussioni di alto livello con chi condivide queste mie posizioni…
In realtà, passati i 15 anni (toh, facciamo 17, l’età mentale di Sgarbi) il fervore per il turpiloquio dovrebbe scendere, e si comincia ad escludere in automatico dalle conversazioni, digitali e reali, i sensation seeker della parolaccia senza contenuti… quindi quando scrivo PENSO e mi autoregolo: succede a così poche persone? Non mi pare.
Quindi: noi sappiamo bene che una delle cose belle della rete è che si autoregola e che qui uno vale agli occhi degli altri per quello che esibisce sul campo, nei casi migliori senza titoli o bollini.
Il fato che oggi Franco La Porta (come tutti noi) possa vedere un numero enorme di “conversazioni” o di “bacheche” in cui il contenuto è vuoto cosmico (e non solo secondo i suoi standard) è molto positivo; è negativo e sintomatico il suo reagire in modo censorio.
Lo ammetto: io di Anobii ho orrore. Perché ci vedo il motivo per cui lascio tracce di scrittura inutile da altre parti: voglio far parte del gioco del pensiero, non voglio restare indietro, per esibizionismo, perché siamo chi più chi meno “Apocalittici e cassaintegrati della cultura” come recita un articolo odierno su Il Riformista. Perché leggere non ci dà alcun piacere senza condivisione, ci sembra di massima inutilità e quindi dico a pinco pallino quanto mi piace Scurati (un nome a caso, per carità). Si scrive sui blog (dei social network non parlo) per noia, perché si crede di aver detto una cosa definitiva ed importante. Da quanto da solo lettore di blog sono diventato semi scrivente colgo la mia sciatteria, ma anche quella degli altri, l’aggressività, l’adulazione, il non sense. Meno letteratura per favore, troppi libri intonsi, troppa carta sprecata, ma anche meno commenti, meno scriventi. Anche il domenicale sulle parole di Raimo si danna per capire come uscire dall’impasse. Dico una cosa stupida a cui credo: la democratizzazione su argomenti come la letteratura che prevedono studi e spirito critico è quasi impossibile. Pochi sanno leggere bene, pochi sanno scrivere con giusta causa. Ecco perché ho orrore di Anobii e di me e di altri inutili blogger.
Anobii e’ ottimo per chi prova un piacere onanistico nel vedere quali libri ha letto, e quando (e io rientro pienamente in questa categoria: tengo liste di libri letti dal 1987…). Per il resto e’ un covo di bimbiminchia. E’ la prova – se mai ce ne fosse bisogno – che diecimila ignoranze non fanno una conoscenza.
Ma parla di argomentazione lo stesso Filippo La Porta che recensisce i libri in box di non più di mille battute, con tanto di smile sorridenti o faccine tristi in fondo? Parla della necessità di non esprimere giudizi lapidari lo stesso Filippo La Porta che disse che un saggista serio – magari discutibile per certe sue intemperanze, ma serio – come Tommaso Labranca era “un Roberto D’Agostino appena più alfabetizzato”?
Io continuo (da tempo) a sostenere che il vero discrimine in rete è la fiarma o il nickname. E per nickname non intendo quello riconoscibile, che porta a un blog o a uno pseudonimo identificabile (tipo Alcor, Tashtego o Sir Robin) ma quello viglkiacco che si firma Cinzia qui e Geronimo là, e serve solo a tirare sassi e nascondere la mano. Di cose come facebook non so e non voglio sapere (ho deciso che è la mia ultima fermata all’immondezzaio cosmico del ciberspazio) ma sui blog, dove chi posta si espone, le stroncature sono molto rare (io ne faccio, a mio rischio e pericolo), cioè inversamente proporzionali alla riconoscibilità dell’estensore.
Cioè il punto è: metterci la faccia o solo il culo.
Per quanto mi riguarda ai commenti anonimi si dovrebbe dare lo stesso peso che alle lettere anonime. Zero grammi. E classificarli nella serie del puro travaso di bile.
basta citare alcuni siti come il blog Lipperatura sul quale sto commentando, Nazione Indiana, Vibrisse, Il Primo Amore, CarmillaOnline, per rendersi conto di come, al contrario, molta poca qualità e dibattito si trovino oggi sulla critica letteraria non-web; per quanto riguarda il narcisismo quello esisteva ancora prima del web e del web 2.0, sottoforma di ciclostile poetico e editoria a pagamento; ho come l’impressione che La Porta scriva di cose già dette e sorpassate
@ Loredana Lipperini, infatti.
L’errore è proprio quello di confondere mezzo e messaggio.
Un momento, però, forse è opportuno sottolinearlo: un conto è il dibattito critico che necessita di attrezzi intellettuali propri e sofisticati per poter progredire e poter produrre qualcosa di nuovo e importante (sì, ce n’è un gran bisogno e deve sprizzare vitalità da tutti i pori). Altro è il potersi orientare criticamente all’interno di un’offerta culturale (o spacciata per tale) che ci viene elargita, per esempio, in librerie che cominciano ad essere posti davvero poco raccomandabili. Altro che web, lì sì che bisogna stare attenti: non ci vuol niente a farsi turlupinare ^___^ .
E questo è l’oggetto del contendere, a mio modesto modo di vedere.
Un posto come aNobii può essere, in fin dei conti, un bel posto: lì, spesso, si parla di libri con passione e con la competenza donata da chi il libro l’ha letto davvero. E è già qualcosa, non so se mi spiego. Non tutto aNobii e non sempre, ovvio. Ma in generale la rete. Riconoscere, poi, l’intelligenza è questione che riguarda il saper stare al mondo di ognuno di noi, non c’è “ambito” istituzionalizzato o meno che possa tutelarci da questo.
E neanche vuol dire sperare in una sollevazione delle sorti culturali di un paese partendo “dal basso”, dai non professionisti appassionati.
Però il mezzo c’è.
Nell’altro versante il mondo della critica si parla addosso in luoghi nascosti. O, quando scrive, non si rivolge ai lettori ma agli altri critici citando oggetti coriacei e misteriosi che è inutile cercare tanto non si trovano (per favore, un po’ di ironia, si va per stereotipi).
Io credo che quello dei Wu Ming sia un esempio da seguire: ci sono altri scrittori che lo fanno? E ci sono critici che lo fanno? Che si tratti proprio di una faccenda di coraggio? Io non credo che sia questione di essere più “buoni” in quanto blogger o anobiani, ma il decidere di mettersi in discussione (e gratis) qualche credito in più è giusto che lo dia, imho.
Specie alle porte di una rivoluzione digitale che, plausibilmente, porterà ad una moltiplicazione dell’offerta. Pochi giorni fa mi sono visto la conferenza stampa di presentazione del progetto digitale Mondadori / Telecom alla fiera di Francoforte. Mondadori pare che sforni annualmente e attualmente 1500 titoli nuovi. Con il digitale (minuto 52:00) si parla di aprirsi a tutto un comparto sperimentale solo on-line che promette di amplificare l’offerta in maniera sostanziosa. E chi se la legge tutta questa roba?
Prevedo l’assunzione di una legione di editor ^__^
qualche anno fa, e proprio a fahrenheit, ho ascoltato la presentazione di un libro di Mario Lavagetto, “Eutanasia delal critica”. Mi h colpito e ho comprato il libro.
scusate, volevo eliminare il mio commento, perché non ho trovato sugli scaffali il libro da cui volevo citare una frase, e invece di uscire dal post ho cliccato invio. Non trovo il libro ma era molto bello e in sostanza diceva quello che hanno scritto sir robin e altri – e ciioè che il critico (quello ufficiale e ‘autorevole’) “quando scrive, non si rivolge più ai lettori ma agli altri critici, citando oggetti coriacei e misteriosi che è inutile cercare tanto non si trovano”. E sottolineava la necessità di abbandonare i gerghi e l’autorefenzialità.
La rete, proprio perché tale, offre di tutto: il pescespada, la sarda, la triglia, ma anche le buste di plastica o gli idrocarburi.
A volte però gli idrocarburi rischiano di soffocare le sarde.
Però le sarde sono molto buone coi carboidrati (la pasta).
L’esibizione del sé, sicuramente più marcata e visibile nella rete che negli altri ambiti, è uno degli elementi che inficia la comprensione dei testi letterari e fa ristagnare la discussione entro gli argini dei propri gusti letterari. Se si pubblica un post, che metta in moto la discussione su un testo letterario, sulle sue articolazioni interne a livello contenutistico e formale, e magari chieda anche al pubblico(lettori) degli interventi costruttivi ai fini della comprensione del testo, l’audience è bassa; è difficile che insieme ci si inerpichi su per il sentiero della co-costruzione dei significati, che ne so, di un romanzo o peggio ancora di un saggio.
Un’ultima considerazione sull’esibizione del sé: c’è quella smaccatamente e visibilmente egoica, c’è quella perfettamente mimetizzata con il contenuto e la forma apparentemente “ufficiali” di un post, di una recensione, di un qualsiasi scritto pubblicato in rete.
C’è sempre un soggetto(Io) che parla e dice di sé, anche quando la temperatura dello scritto raggiunge gli zero gradi dell’impersonalità.
L’autorevolezza dipende da ciò?
Anche, ma non c’è automatismo.
Sono sostanzialmente d’accordo con Paolo S.
Chi conosce come è nato aNobii non può fare confusione tra “comunità di lettori” e sito “letterario”.
aNobii è stato sviluppato da uno studente universitario di Hong Kong come esercizio di programmazione e lo scopo era quello di creare un database per gestire la propria raccolta di libri.
Poi è piaciuto agli amici, è stato pubblicato, tradotto e reso disponibile a tutti inserendo dei collegamenti diretti alle più grandi librerie online per incassare qualche percentuale sugli eventuali acquisti.
Non è quindi un “sito letterario”, ma una “comunità di lettori” dove chi vuole ha la possibilità di scrivere un suo personalissimo commento e chi lo desidera può leggere i commenti degli altri.
Tutto completamente gratuito.
Poi è successo che tra i lettori si è infiltrata una serie di scrittori, piccole case editrici e tutta una moltitudine di entità che hanno interessi privati che non c’entrano nulla con la filosofia iniziale.
Ecco quindi che se uno dà il suo giudizio negativo viene assalito da gente che non si sa neppure quanto sia titolata a farlo…
Nicola Lagioia (mi pare) in un bell’articolo di inizio anno diceva che i critici letterari sono sempre più distanti dalla realtà urbana e se non scendono dal colle sul quale sono saliti e si confrontano con le persone normali parlando un linguaggio comprensibile, il lettore medio si rivolgerà agli altri lettori medi per avere un giudizio (sempre personale e senza la pretesa di essere una critica letterario) su un libro.
Su aNobii si può parlare di libri come si farebbe al bar, se lo si considera alla stregua di un meeting di letteratura si commette un errore.
Franco
Sir Robin, ho visto l’offerta digitale appena nata di cui parlavi.
Se gli editori, tanto per fare un esempio, pensano di vendere “La caduta degli giganti” in formato ebook alla bellezza di 15,99€ allora hanno sbagliato tutto.
Diventa come con la musica dove un album in mp3 costa 9,99€.
In entrambi i casi la differenza di prezzo non è adeguata alla differenza di qualità dell’offerta (un file pdf, epub contro un libro cartaceo oppure un mp3 contro un cd).
Dove un tempo si doveva adulare o direttamente pagare un critico perchè parlasse bene del nostro libero ora, grazie a ‘comunità di lettori’ come aNoobi (ma non dimentichiamo gli spazi per le recensioni di Amazon) lo si può fare direttamente, con quanti nomi si vuole e mobilitando amici e parenti perchè ci diano una mano. Insomma, il famoso ‘passa-parola’ che tanto preferiscono ai ‘critici parrucconi’, come li chiamo Vincenzo Mollica.
Inoltre la ‘comunità di lettori’ sono perfette per rendersi conto di cosa va o non va davvero, così da non rimanere isolati a leggere libri che non piacciono a nessuno altro ed essere sempre in sintonia con la ‘comunità di lettori’.
Cosa non va davvero non penso proprio: su aNobii posta un’infinità di amyketti dell’autore o di nemici giurati dell’autore e mica è chiara la verità. Su dai.
Da lettore della strada, ammetto di avere qualche difficoltà a comprendere cosa si intenda per ‘critico’, sembrandomi che la categoria comprenda attualmente personaggi di valore difficilmente comparabile. Per farmi capire, non riesco a capire in cosa dovrei ritenere “uguali”, e quindi ugualmente autorevoli, un Gabriele Romagnoli e un Mario Praz.
Beh, Romagnoli è vivo mentre Praz è morto quasi 40 anni fa, cosa che rende il primo più autorevole del secondo per quanto riguarda la letteratura contemporanea.
Ultima lezione di latino 2 all’Università: sapevamo che il nostro amato professore sarebbe diventato Rettore e non avrebbe più insegnato la materia. Dopo aver finito di tormentarci su Seneca e i suoi cori nelle tragedie, rubò dieci minuti alla lezione consona per raccontarci un aneddoto.
Tra le sue mille passioni, c’era anche il vino. Così qualche tempo prima aveva deciso di iscriversi ad un corso per Sommellier, su pressante invito di alcuni amici che già l’avevano fatto. Alla fine del corso, con al seguito la claque degli amici, un esame prevedeva che assaggiasse un poco di vino da una bottiglia con etichetta coperta, e fosse in grado di valutarlo, individuandone anche la collocazione geografica.
Nel momento di maggiore tensione, mentre si rigirava tra il palato il vino raccolto con il cucchiaio d’argento, e gli amici attendevano il responso, davanti a tutti compreso il Sommelier che doveva giudicarlo, disse… «BUONO!».
La morale è che il critico, ma direi anche l’umanista, il parere autorevole, viene da un sommellier delle arti (la letteratura, la musica, la pittura…), che non si può permettere di dire “bello” o “brutto”, ma deve saperlo argomentare.
Perciò, per quanto interessanti tutti questi commenti su Anoobi, sui blog, per quanto complesso il ruolo del critico, oggi, resta per me di una evidenza chiarissima come dei pareri di chiunque non dovremmo sapere che farcene. E dovremmo anche sorridere di certi che pretendono di intendersene, esattamente come i tanti che per far bella figura al ristorante ordinano leggendo dall’inizio alla fine la carta dei vini, fingendone di interdesene.
I più onesti sono quelli che dicono “faccia lei”.
E sarebbe il caso che anche per i libri, ogni tanto, qualcuno di questi iperproduttivi e narcisistici lettori-commentatori facessero altrettanto.
Per capire bisogna prima aver studiate. “Bello” son capaci tutti di dirlo.
Eh, Praz… Pure lui prese le sue belle cantonate. Nel trattare di Sade prese granchi clamorosi, perché basò la sua critica su citazioni di seconda mano (tutti i suoi virgolettati da Sade seguono passo passo quelli che si trovano nel saggio di Lafourcade su Swinburne di cui Praz si occupa in un altro capitolo). Praz attribuì all’autore opinioni di un suo personaggio (Saint-Fond), che l’autore per primo presentava come disprezzabili, e su questa erronea attribuzione costruì il suo discorso. Tutto questo nel suo La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930), l’epicentro dell’errore è nel cap. III. Ma vabbe’, son vecchie storie, Sade era poco accessibile, non c’erano stati tutti gli studi sadiani che dal secondo Dopoguerra hanno rivoluzionato l’approccio basandosi su una messe di nuovi testi riaffiorati da qui e da là…
Francamente, il fatto che Sade descrivesse come ‘disprezzabili’ le opinioni di un suo personaggio può suonare dubbio. Non stiamo parlando di un editorialista del Corriere o un collaboratore di Nazione Indiana: è molto facile che col suo disprezzo Sade volesse segnalare che le approvava.
Al di là del tema web, che sicuramente La Porta frequenta distrattamente, il titolo “Meno letteratura, per favore” non rivela in forma educata ed edulcorata lo stesso pechant facilmente provocatorio e dunque glamour di “L’Autore è uno stronzo”?
@ Vasilly, no, Sade ci ha lasciato un apparato critico, molti scritti saggistici e commenti alle proprie opere, diverse dichiarazioni di poetica e politica. Inoltre sappiamo come si comportò durante la rivoluzione francese, di quale club rivoluzionario fece parte (la Section des Piques) e quali campagne promosse. Oggi sappiamo che Sade aveva posizioni proto-comunistiche non distanti da quelle di Babeuf. Sappiamo che le sue opere sono di denuncia, non apologetiche. Non si può dubitare in alcun modo che disprezzasse posizioni oscurantiste come quelle di Saint-Fond, e lo dice pure esplicitamente, ma in parti del testo non citate da Lafourcade e quindi non conosciute da Praz. Almeno non nel 1930. Bisogna stare attenti a non approcciarsi a Sade con vulgate di quarta mano e vetuste interpretazioni. Quando Praz scriveva non poteva conoscere quel che possiamo conoscere oggi (la maggior parte dei documenti è riaffiorata dopo e la biografia scritta da Lely, la prima biografia scientificamente accurata di Sada, è del ’57), ma noi che viviamo oggi dobbiamo essere all’altezza di quel che si sa oggi.
All’altezza di De Sade?
De Sade protocomunista?
Nella versione del beato Bataille?
Ma siete ancora lì?
E vorreste sedurre le masse berlesconiane al socialismo?
Meglio la De Filippi.