La parola distale, chiariamolo subito, non riguarda la letteratura (o forse, chissà, potrebbe, dal momento che riguarda la lontananza dal centro): in questo caso occorre però intenderla in chiave squisitamente ortopedica. Vale a dire: da stamattina, di nuovo due braccia e dieci dita (però anche dieci giorni di fisioterapia per recuperare un polso arrugginito e molti di più per tutela e conservazione della benedetta ulna destra).
Per festeggiare, vi segnalo la seconda parte di una discussione in corso su Nazione Indiana a firma di Andrea Inglese e a proposito di avanguardia (qui il primo post). E già che si sono aggiungo la domanda finale, con relativa risposta, di una chiacchierata inedita fra la vostra eccetera e l’immaginifico Jenkins, che mi sembra pertinente. State bene.
La cultura delle avanguardie e la nuova popular culture sono
destinate ad incontrarsi?
Non
necessariamente: ma se questo non avvenisse, l’avanguardia diventerebbe sempre
più irrilevante. Gli artisti di avanguardia hanno prodotto contenuti lavorando
nelle insenature protette della società, accettando la marginalizzazione come
una conseguenza inevitabile della cultura di massa. E avanzando due scuse: uno,
le nostre creazioni sono troppo complesse per il consumatore medio, due, il pubblico apprezza solo i prodotti
patinati di Hollywood. Entrambe non sono vere. MTV utilizza tutti gli
espedienti formali dell’avanguardia storica e li rende accessibili al pubblico
di massa. La serie Lost traduce
le strutture narrative che si associano all’avanguardia nello show più popolare
della televisione americana. Il pubblico ha fame di maggior qualità, non è in
sintonia con quanto prodotto da molti artisti di avanguardia e al tempo stesso
apprezza i film amatoriali a budget basso o nullo che .circolano su YouTube, e
che sono tutt’altro che patinati. Cosa significa? Forse, che è tempo per
l’avanguardia di finirla con le scuse, di smettere di rinchiudersi nelle
proprie celle di clausura e di uscire a lavorare nella loro cultura. O, forse,
che il pubblico è ormai davanti all’avanguardia.
Condivido ogni parola!
Ma Lost non è arte, è intrattenuimento confezionato bene e abbastanza “cool” (“fighetto”). Che cosa c’entra Lost con la Colonna Schwitters, per esempio?
Niente. Allora è giusto uscire dalle enclave degli eletti, ma NON è giusto fare questo trasformando l’arte in intrattenimento.
Sono due cose che servono entrambe, perché ne vuoi far fuori una, forse perché non accetti la sfida di pensare che TUTTI possono interessarsi ai prodotti artistici, anche i più “indigesti” (uso il termine con cui WM1 definisce il suo ultimo romanzo per spiegare il mancato successo planetario).
Quando Van Gogh dipingeva nessuno amava i suoi dipinti. Ora tutti ne hanno uno in ufficio e la gente fa file mostruose davanti ai musei. Questo dimostra che fare cultura è possibile. Come lo dimostra il programma Nobodaddy del Teatro delle Albe a Ravenna.
Discreto affluenza di pubblico, programma ottimo, aperture (ci sono persino i corti di Gipi!).
Le elite non si combattono fucilando gli artisti ma allargando il pubblico.
La cultura delle avanguardie e la nuova popular culture sono destinate ad incontrarsi?
Posso convivere o sposarsi in chiesa o reclamare i pax.
Tanto con il niente non c’è niente di male a farne altro niente…
Io seppellirei proprio le due parole, o le terrei al massimo come catalogo privandole di qualsiasi dignità di concetto.
Ragioneremmo tutti meglio.
Cos’è l’arte, caro a.b.?
Il problema, è che molta gente si è arrovellata sulla definizione di arte senza mai venirne a capo. Una definizione statica di arte è destinata a diventare obsoleta e la definizione ispirata alle somiglianze di famiglia di wittg. suona non-definizione, però aiuta a centrare il problema. E il problema è: esiste un oggetto chiamato Arte?
I tuoi criteri per identificare un’opera d’arte (pochi utenti mentre l’autore è in vita, molti quando è morto, indigeribilità) oltre che essere arbitrari, escluderebbero molte opere dall'”empireo dell’arte”, tra cui Michelangelo, Manzoni, Hugo.
Io seppellirei la parola arte.
Trovo molto più proficuo approcciarsi ad un opera partendo da un semplice fico!/fa cacare! Partire da lì, dico. Mi sembra più costruttivo che menarsela per decidere se sia Arte o meno.
Mi piace questa cosa che il pubblico è ormai davanti all’avanguardia, anche solo come provoczione (ma credo che ci sia del vero). Sicuramente, è un pubblico più smaliziato di quanto comunemente non si pensi. E poi, chi lo dice che “Lost” non è arte?
ma scusate, l’avanguardia è sempre stata cosa per pochi: nelle grandi avanguardie ci si conosceva tutti per nome all’interno del circolino, e nessuno ti conosceva al di fuori. punto. è sempre stata una cosa per pochi da pochissimi. cos’è tutta sta fregola, sta ansia da prestazione nei confronti della cultura di massa? come se l’avanguardia fosse invidiosa del successo della pop culture!!!!
Eh, di ‘sta roba se ne parlò già qualche tempo fa. Io insisto a dire che se si continua a considerare le categorie “avanguardia” e “pop” come le si considerava cinquant’anni fa, non si va da nessuna parte.
Jenkins parla di un’avanguardia che lavora “nelle insenature protette della società” e che accetta la “marginalizzazione” da parte della cultura di massa. Il riferimento, così espresso, parrebbe essere a quell’ideale post-romantico che derivò dalle avanguardie storiche del ‘900. Ed è un ideale che, certo, di “celle di clausura” (con relative presunzioni) vive, più che altro in virtù di un’adesione, più che alle pratiche, allo stesso *concetto/totem* di avanguardia.
Io queste celle di clausura le lascerei dove stanno, e penserei più ad altro.
Jenkins ha ragione quando dice che Lost e Mtv riutilizzano le strutture formali della fu avanguardia, ai fini di un intrattenimento generalista. Ma generalista non è sinonimo di pop. Tantopiù quando il pop si traduce in una miriade di macronicchie ciascuna portatrice di precisi codici/immaginari interni.
Facciamo degli esempi “a cazzo”:
1) una tribù di devoti a una sedicente “Chiesa di Nilla Pizzi” (quanto di più lontano da un presunto sentimento “avant”), probabilmente suonerebbe più estrema e insopportabile di qualsiasi gesto concettuale della fumosa avanguardia di turno.
2) un astruso pezzo di musica elettronica isolazionista, probabilmente acchiapperebbe più fan dell’ultimo album de Le Vibrazioni. E magari (come è successo) va a finire anche su Mtv.
Ora, a suo tempo, l’astruso pezzo ecc ecc sarebbe stato definito “avanguardia”. Ma i linguaggi *sperimentali* degli ultimi quindici anni hanno da tempo abbandonato le celle di clausura per proiettarsi da tutti i punti di vista (modalità di fruizione, canali di distribuzione, riflessione sull’esistente, appropriazione di immaginari ecc) in quell’universo che, ai tempi, sarebbe stato prerogativa di un non meglio identificato “spirito pop”.
Jenkins può pure avere ragione quando dice che “il pubblico non è in sintonia con quanto prodotto da molti artisti di avanguardia”: basta capirsi su cosa si intende per “avanguardia”.
Un libro come “Casa delle foglie” di Danielewski, che Foster Wallace ha definito “il più importante libro sperimentale dei giorni nostri”, è diventato un bestseller. Giustamente, Rick Poynor (critico della rivista di graphic design Eye) fa notare: di che vi stupite? Un fantomatico individuo medio si alza la mattina, apre la posta elettronica, viene inondato di pop-up, passa da una pagina web a un altra, si ritrova immerso in una quantità di immagini/codici/segni spaesante, scrive sul suo blog mentre scarica un film, ascolta una web-radio mentre legge le notizie on line, e secondo voi non è in grado di apprezzare “Casa delle foglie” perché non ha storia, è impaginato come un pamphlet futurista, e per leggerlo devi ribaltare il libro una pagina sì e l’altra no?
Siamo sicuri che quello che a suo tempo avremmo bollato come avanguardia sia/debba essere una cosa per pochi? O forse non è meglio lasciarla proprio da parte, questa parolaccia in presunta antitesi al pop che salverà il mondo?
Sono dubbi che butto lì, intendiamoci (tra l’altro espressi anche in precedenti occasioni), io la risposta non ce l’ho, e non vorrei passare per un esegeta dell’avanguardia quale alveo di tutto quanto è bello/buono/innovativo in terra. Però certe cose danno da pensare. O no?
Insomma, io alla domanda “La cultura delle avanguardie e la nuova popular culture sono destinate ad incontrarsi?” risponderei: sì, l’hanno già fatto e per quel che vedo continuano a farlo…
P.S. Scusate l’intollerabile lunghezza…
Szyslak, l’avanguardia, o comunque una parte di essa, è, o perlomeno sembra, invidiosa del successo della pop culture. Non a caso sta sempre a sparare a zero sul popolo bue che non capisce una ceppa.
Ma per me l’arte non è un “empireo”, piuttosto è un inferno. Pensate che un essere umano potrebbe vivere ventiquattr’ore al giorno tra i fantasmi di Kafka? O nella Venere degli stracci?
L’arte per me è la risposta al bisogno di vedere da una prospettiva alta, che abbraccia molto e mi fa capire delle cose sulla vita. Non è l’arte che è alta, è lo spettatore che viene innalzato.
Ogni tanto ho bisogno di questa prospettiva perché corrisponde a una cura di sé, come ho bisogno di divertirmi per non schiattare.
Lost sarebbe arte? se è arte perché i protagonisti sembrano tutti venuti da un casting di modelli e modelle mentre, che so, Uccellacci e uccellini ha facce vere, non ammazzate da quella forma di controllo sul corpo che è la moda? Se uno vuole fare arte e parlare di arte dovrebbe porsi queste domande…
Per quanto cerchiate di fucilarla, la parola “arte” continua a contenere qualcosa di tutto suo collegato alla libertà, all’invenzione, alla ricerca di una verità, alla scoperta di una forma.
Soltanto se voi riconoscete i due estremi arte-divertimento potete migliorare il divertimento spostandolo verso l’arte, no?
“l’avanguardia, […] sembra, invidiosa del successo della pop culture.”
Fatevi un giro in uno dei luoghi più elitari d’Italia: Palazzo Grassi. Lì dentro il miliardario francese Soldon ha installato la sua collezione d’arte. Quello che troverete si chiama “post-pop”. Dal nome capite come TUTTI questi artisti usano come materia quello che voi chiamate il “popolare”. Ora riflettete sul fatto che il “popolare” si salda all’elitario (in un palazzo ristrutturato prima da Gae Aulenti poi da Tadao Ando), e pensate se è ancora il caso di chiamare certe cose “popolari”, se non sarebbe piuttosto il caso di cambiargli il nome in “popolare imposto” o “popolare elitario” o “popolare di chi guadagna bene” o “impopolare popolare” o semplicemente: “falso popolare”.
@davide
qualcosa tipo “pubblico di merda! questa è avanguardia!”?
a.b., ma lo hai letto il post di apertura? o hai proceduto ad incollare i tuoi post-it mentali rileggendo solo te stesso? dov’è che Jenkins dice che Lost (o MTV) è “arte”? Jenkins pone un problema che non è quello dell’arte/non arte, ma quello dell’antitesi tra cultura popolare e avanguardia volutamente élitaria (che è poi di fatto retroguardia rispetto alla pop art e alla popular music e al free jazz e al cinema). Che è come dire, in Italia: quegli splendidi e sublimi e raffinatissimi libri subliminarmente codificati all’enunciato performativo “se non capite è colpa vostra” (Calasso ci ha costruito una fortuna, su questo enunciato). E comunque: il cinema di Pasolini è forse “arte” (ma non tutto, se è permesso dirlo), ma lo è anche quello di Billy Wilder, nonostante M. Monroe, benché non abbia mai voluto (né mai ha prodotto) “arte alta” (ma ha inglobato, eccome, le tecniche narrative contemporanee). Ma anche questo, almeno da Verifica dei poteri in poi, è roba acquisita e metabolizzata, o almeno così mi pareva (a quando una rivalutazione dell’etere, del flogisto e delle cause finali?).
Siamo ben oltre le dispute su arte e non-arte: Croce è morto, sempre che sia mai stato vivo (ma era morto abbastanza da produrre danni letali, questo è vero).
a.b., ti tiri la zappa sui piedi da solo con certi tuoi ragionamenti. Scrivi: “se [Lost] è arte perché i protagonisti [di Lost] sembrano tutti venuti da un casting di modelli e modelle mentre, che so, Uccellacci e uccellini ha facce vere, non ammazzate da quella forma di controllo sul corpo che è la moda?”.
Dunque, devo arguire che “Le relazioni pericolose” di De Laclos non è arte, visti i suoi protagonisti letteralmente ossessionati da “quella forma di controllo sul corpo che è la moda”, nonché da altre cose di eguale fatuità.
Intendiamoci: non voglio dimostrare a tutti i costi che “Lost” è arte. Mi interessa invece porre la domanda: chi lo dice che “Lost” non è arte? Perché questa fermezza nel sostenere che ciò che passa attraverso un certo mezzo, la tv, e che per quel mezzo nasce, non possa essere arte?
L’amore della degenerazione, della malattia, l’abbandono ai deliqui nervosi preludono a un capovolgimento.
Il capovolgimento, che è fatale, e spesso avviene per una progressione quasi insensibile, produce l’avanguardia, conclusione di un romanticismo che abbia esaurito le sue carte.
I suoi germi sono nel romanticismo stesso, sopratutto in quel vizio romantico che è l’esaltazione della freschezza posticcia, in quelle nostalgie d’un passato ingenuo che a poco a poco diventano bambinaggini.
In questo lezio è germinalmente l’avanguardia, nella quale è sempre presente il momento della goduta, manieratamente maldestra puerilità.
Quando questa recita diventa quasi inconsapevole, si è nell’avanguardia piena.
La verità, oggi palmare, è che nell’800 e nel 900 l’Europeo non era in grado di capire la propria inferiorità mentale di fronte all’epoche rette da una metafisica e alla loro arte.
La sua inferiorità, sentita come superiorità, proiettava su quell’ignoto i deliri di Rousseau.
Come poteva un Europeo del 700 o dell’800 capire l’estetica sacra di Onorio di Autun, dei Vittorini, di Durando di Mende?
L’esoterismo di san Cugat del Valles o delle figure alchemiche di Notre Dame, sarebbe stato incomprensibile anche ai più esoterici romantici, perfino alla Huysmans o, più giù nel tempo, anche agli gnostici della Rivoluzione.
Quanto alla curiosità per gli oggetti d’Africa che sollecitò l’avanguardia del 900, essi restavano curiose, strepitosamente puerili deformazioni: era inimmaginabile che potessero far accedere a una metafisica e ad una sapienza esoterica ancor più profonde di quelle medievali.
L’avanguardia si può definire come lo scioglimento dei significanti dai significati: essa è perfettamente adatta al mondo ormai privo di significato del tardo industrialismo, è anzi il corrispettivo inevitabile di un mondo ridotto a pura quotidianità.
Già il calendario del quotidiano, che ha espulso ogni diversità qualitativa fra i giorni salvo la differenza di temperatura, è un’opera d’avanguardia, esibizione di significanti senza significato, ne è non l’espressione, ma il semplice riflesso, e offre loro uno strano conforto.
Ma chi tra gli umani, ormai rinunzianti perché troppo solo umani, è capace di accorgersi di ciò, e riesca a forare gli strati densi dell’atmosfera odorosa di zolfo dell’adesso?
Girolamo, mi fai venire voglia di un post sulle vittime del crocianesimo…
Andrea, non preoccuparti per “New Thing”: ventunmila copie non sono poi poche, nel 2007 uscirà in francese e portoghese, a gennaio uscirà con distribuzione internazionale “The Old New Thing”, un’antologia doppio cd + libro bilingue curata da me, in cui rivisito e remixo il catalogo free jazz della ESP. Qui c’è la copertina in PDF.
Grazie per avermi dato il gancio per fare un po’ di marketing! 🙂
Lippa, non dimenticare che non solo tu, ma pure io, che son più giovane, ho fatto in tempo a studiare sui testi crociani. Il crocianesimo è la versione filosofica (una specie di finto-sublime pseudo-alto) del senso comune (nel senso deteriore dell’espressione). Però ha una sua dignità filosofica ed estetica: basta avere il coraggio (o la cultura per esserne consapevoli) di riconoscerlo: Massimo Onofri, per dirne uno, non si vergognò affatto di riabilitare l’Estetica di Croce.
Quanto al povero Pasolini, che tutti tirano pr la giacchetta, chissà come se la riderebbe del suo essere usato come esempio di “arte alta” contro la cultura popolare: lui che, per ricreare quel rapporto fisico tra la scena e lo spettatore caratteristico del teatro popolare (shakespeariano: vedi l’Otello trasformato in sceneggiata napoletana, con l’irruzione del pubblico che lincia l’infame Jago poi rifatta dalla Champion in Lezioni di piano) nel cinema, che frappone lo schermo tra scena e pubblico, faceva intenzionalmente (lo dice lui stesso) ricorso ai volti non del popolo (non siamo in Ladri di biciclette), ma della cultura popolare “bassa”, ben sapendo che comici e cantanti “alla moda” (Totò, Franchi e Ingrassia, Modugno…) “bucano” lo schermo e simulano il rapporto diretto del teatro popolare.
Non capisco Girolamo come si possa vedere un’antitesi tra cultura popolare e avanguardia elitaria: fai un giro a Palazzo Grassi e dimmi quando esci se pensi ancora che il popolare esista.
Sai dov’è il tuo amato popolare?: è un gattino in cima a un bongo gigante di non ricordo nemmeno quale artista; è nelle stampe di Goya sovradisegnate dai trashosi fratelli Chapman. Questo è il popolare. Ti piace, ti interessa?
Guarda che tu ti ci devi confrontare con queste cose, se no sei un provinciale.
Girolamo, WuMing (tutti e 5)e chi sta vicino a Bologna potrebbe andare a vedere qualcosa in cui il popolare resiste. Si tratta della mostra al Ta Matete delle tavole a fumetti di Park Kun-woong che raccontano la tragedia de “Il ponte di NO GUN RI”, dove quattrocento civili coreani furono sterminati dai militari americani durante la guerra di Corea. E’ un racconto di seicento pagine, pare molto bello (non è ancora disponibile in italiano ma lo sarà presto).
La galleria Ta Matete è in piazza S. Stefano 17/A, a Bologna. Orari:
dal martedì al sabato dalle 10:30 alle 19:30
“Lost sarebbe arte? se è arte perché i protagonisti sembrano tutti venuti da un casting di modelli e modelle”?
E perché, allora aggiungo io, le madonne dipinte dal nostro rinascimento in poi, sono praticamente tutte delle fighe pazzesche?
E poi: perché porre il divertimento come fosse all’altro estremo dell’arte? Che forse ci siamo dimenticati che Shakespeare o Ariosto erano intrattenimento, ai loro tempi, prima che arte?
Non è capzioso questo ragionare (ancora! Ancora oggi, passato il ‘900) per dualità rigide?
Io, con a.b., trovo più “arte” in alcuni fumetti che in certe mostre a Palazzo Grassi. Ma il fumetto non è, per sua natura fondativa, intrattenimento? E quindi? dov’è il problema?
Ed, anzi, essere riproducibile tecnicamente non aumenta il suo darsi al popolare, rispetto certe opere che vivono dell’aura della loro unicità? (qui Girolamo può dirlo meglio di me).
E, sempre a Giro: il crocianesimo molto male fece anche in architettura. Ma Croce, letto, resta sempre migliore e più godibile dei suoi deliranti apostoli.
(detto da benjaminiano a benjaminiano)
Concordo molto con quanto Gianni afferma su Croce
è arte quello che viene definito tale dai critici d’arte
A proposito di letteratura di confine,nella strada della rivoluzione contro “i clichèt del cazzo” caddi a terra folgorato dalla visione,inizialmente molto contrastata,del NeilJordanesco Triplo Gioco.Si parla di arte e la si fa,col pretesto di una rapina.Quel film è una chiave per qualcos’altro(“il fondo al di sotto del fondo”,forse)
p.s. magari è solo esaurimento nervoso
Allora ricapitoliamo:
1. qui c’è scritto: “è tempo per l’avanguardia di […] di smettere di rinchiudersi nelle proprie celle di clausura e di uscire a lavorare nella loro cultura.”
E’ una boiata, andate a vedere l’avanguardia che vi presenta François Pinault e vedrete che lavorano perfettamente con la loro cultura. Dunque elite=avanguardia=popolare.
Il problema è che siete provinciali, non uscite dal guscio della “letteratura”. Cominciate a pensarci…
2. Il fumetto non è un’arte minore, è un linguaggio, ci puoi fare di tutto, dipende soltanto da te. L’autore coreano che cito sopra fa grandissime cose. Bonelli fa intrattenimento. Entrambi hanno diritto di cittadinanza e diritto di meticciarsi.
3. Le madonne della storia dell’arte e i san sebastiani e le maddalene ecc ecc sono dei fighi pazzeschi perché la bellezza ha a che fare con la vita. Tuttavia la differenza per esempio tra la bellezza di una madonna di Piero della Francesca o di Antonello da Messina e i casting modaioli di Lost è evidente. Per Antonello e Piero la bellezza del corpo è un punto di partenza per costruire un’immagine che risulterà, attraversata da mille altre determinazioni, potentissima, in Lost invece è un punto di partenza e arrivo: si rimane fermi a un’immagine spompata come troviamo in qualsiasi giornale di moda, perché si pensa che il pubblico voglia questo.
Badate bene, anche Antonello e Piero tenevano in conto l’osservatore, ma ne avevano un’idea intelligente e realistica dunque piena di rispetto, non come una pantegana. Solo chi sa che TUTTE le persone hanno genio può pensare di toccarle con una Madonna del parto come quella di Piero. Quello è il popolare, che si differenzia dal vostro pop-snob da parvenu dell’espressione.
Oltretutto fate sorridere perché nella vostra difesa del popolare, inteso come solo riuscite a intenderlo, cioè snobisticamente, non capite che soltanto una critica feroce può portare a qualcosa. E’ inutile, non avete visione.
Lasciate perdere, Continuate a giochicchiare con la PL2 tra le cosce, lasciate a chi è capace il campo, lasciatelo a Park Kun-Woong per esempio. Ritiratevi.
Prima di dire che Henry Jenkins (l’enunciatore della frase che riproponi virgolettata) è “provinciale”, forse dovresti informarti un po’ su chi sia e di cosa si occupi la persona che etichetti alla brutta dio, non credi, Andrea? E’ una regoletta che dovrebbe valere per chiunque si esprima su qualunque argomento. Tra l’altro, del “guscio della letteratura” a Jenkins non potrebbe fregare di meno. Poi, certo, non va alle mostre in Piazza Santo Stefano, però possiamo scusarlo: vive a Boston, dove dirige il programma di studi comparati sui media al Massachussets Institute of Technology e ha condotto alcune delle ricerche più importanti mai realizzate sul rapporto tra l’industria culturale e il pubblico.
Sul sito della galleria Ta Matete di Bologna è messa in bella evidenza una frase di Joseph Brodsky: “Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli.”
Ecco, prima di cacare sentenze su questo e su quello com’è tuo solito, prima leggi cos’ha scritto.
Ordina e leggi i libri di Jenkins, a partire da “Convergence Culture” e giù fino a “Textual Poachers”.
Tra l’altro, facendolo scopriresti di essere meno in disaccordo con lui di quanto tu creda. Al momento, ce l’hai con lui solo perché ne parliamo noi e la Lippa. Scavalcando noi e andando direttamente alla fonte, ti accorgeresti che non è affatto uno della mafietta immaginaria che da anni credi di combattere lancia in resta, commento astioso dopo commento astioso.
“vostro pop-snob da parvenu dell’espressione.”
“Continuate a giochicchiare con la PL2 tra le cosce”
“lasciate a chi è capace il campo”
“Ritiratevi.”
D’accordo. Se questi sono i termini (vostro? Vostro di chi? “Voi” chi? Ce l’hai con me? Rivolgiti a me. Io a te mi sono rivolto.
Io non appartengo a nessun “noi” camarilloso, come tu immagini)
Se questi sono i toni (parvenue, snob, la PL2 tra le coscie – che io neppure possiedo, tra l’altro),
Se questo è il modo i discutere… Ok, hai ragione. Mi ritiro.
a.b., Antonello e Piero tenevano in conto un osservatore su tutti: il committente, quello che cacciava i quattrini. Le facce dei personaggi nei dipinti di Piero della Francesca sono scelte in base a quel criterio lì: Piero doveva metter dentro amici, parenti, sodali e alleati politici del committente, altrimenti niente dinero. A tal proposito ti consiglio di leggere “Indagine su Piero” di Carlo Ginzburg: in special modo la parte centrale del libro, quella che riguarda gli affreschi di Arezzo. Le idee balzane che hai sul presunto idealismo di Piero della Francesca ti passeranno subito.
E’ abbastanza sintomatico che, a partire dalla parola “avanguardia” si sia poi finiti a parlare di “arte alta” ecc. Mah. Non mi pronuncio a riguardo, preferirei tornare alla domanda di partenza, quella sulle “culture dell’avanguardia” e sul loro incontro con la nuova pop culture.
Io ho l’impressione che, di fatto, non si capisce bene di cosa stiamo parlando. Anche perché quello che vedo è che le culture di avanguardia contemporanee dialogano in continuazione con le culture pop, se ne abbeverano, le cercano, e le nutrono persino (il caso di MTV citato da Jenkins è un esempio, che però evidentemente lui intende in maniera opposta). Mentre, al contrario, gli apologeti del “popolare” dimostrano nei confonti della supposta avanguardia (un termine che detesto, ma che uso per comodità) un certo sospetto. Non direi dei pregiudizi, quanto piuttosto una scarsa conoscenza dei fenomeni. Quando Jenkins parla di avanguardia e delle celle di clausura, mi pare faccia riferimento più a un luogo comune, a un’idea di – appunto – arte elitaria che certo ancora esiste, ma che è assolutamente insignificante e ben poco… “d’avanguardia”. Queste celle di clausura esistono, ci mancherebbe, così come esistono le celle in cui si rifugiano tanti altri integralismi (nel romanzo, nell’arte, nel teatro ecc).
Io ho molto apprezzato “Convergence Culture”, ma mi pare che qui Jenkins manchi decisamente il centro.
Tra l’altro mi ha fatto sorridere l’accenno di girolamo al free jazz, che be’, è proprio un caso di avanguardia (che a volte ha rischiato anche le celle di clausura) in chiaro rapporto dialettico col popolare. Ma qui attendo (ne sono sicuro) l’intervento di WM1…
WM1 se scrivevi invece di “mafietta immaginaria”, “mafietta dell’immaginario”, era perfetto.
Comunque sia il problema non è Jenkins, è invece come si portano avanti certi discorsi. Trovo tutta la “cosa” sul popolare che gira qui attraverso Loredana, te, Genna ecc ben poco popolare e intellettualmente poco aperta, nonostante la bandiera dell’apertura sempre a sventolare. E non ci trovo sostanza. Si può fare di più, bisogna imparare a guardare. Ti ricordi no che tempo fa ti dicevo di Gipi. In un post recentemente mi hai fatto capire che non conosci il suo lavoro. Be’ se vuoi fare un discorso sul popolare e magari collegarlo all’Italia, ci devi passare. Oltretutto hai visto che non dicevo scemenze, comincia a toccare un certo pubblico, arriva in edicola. Guarda che questo è SOLO un esempio. Un altro, tempo fa ti parlai di Vahamaki che tra l’altro abitava nella tua città. A Lucca me la sono trovata nella migliore antologia di fumetto italiana… Non dico scemenze campate per aria. E non voglio che tu parli di questo invece che di altro, non sono un mafioso di un’altra famiglia come a volte mi dipingi. Ti dico certe cose per allargare il discorso, per tirare fuori altri strumenti di interpretazione.
Infila il naso al Ta Matete, infila il naso al nuovo Ram Hotel sempre a Bologna, butta un occhio in “S” di Gipi. Stanno facendo movimenti col turbo attaccato, e non sono cose snob.
Io riesco a vedere questo, altri vedranno altre cose, ma per piacere cerchiamo di andare avanti rispetto alla PL2 e alle fiction televisive…
@ Malesi
Lo so che esiste il committente, ci mancherebbe. Eppure dire che quegli artisti non avessero per questo libertà e idealismo è una forzatura. Se la guadagnavano magari con stratagemmi. L’Entierro di El Greco è un dipinto spietatamente su commissione, c’era un capitolato strettissimo su cosa dipingere, eppure è uno dei più grandi capolavori visionari della storia dell’arte.
@ Gianni
Abbi pazienza, in Corea non ci hanno una lira, sono degli sfigati, eppure si inventano una storia potente di seicento pagine, su carta di riso. Cosa vuoi che ti dica, per me VOI avete da imparare, perché non sarà la PL2 ma qualche altro impedimento qui ci sarà no?
Andrea, finiamola qui. Il tuo benaltrismo è disarmante.
Park Kun-woong è sudcoreano, e in Sud Corea c’hanno un PIL che noi ce lo scordiamo, altro che sfigati senza una lira.
E hanno un livello di cultura tecnologica da paura.
Se Park Kun-woong mi sfida alla play station mi distrugge, stanne certo. E poi, dopo la partita, disegna sulla carta di riso (e fa bene, ovviamente).
Io purtroppo oggi non posso seguire bene questa discussione, il mio parere è che l’antinomia tra avanguardia e popolare sia più nella testa di chi la denuncia nei discorsi altrui (e denuncia l’esistenza di mafiette e camarille) che negli *effettivi* discorsi denunciati. Non si tratta di un’antinomia, ma di una dialettica complessa, è un passaggio continuo da un polo all’altro. Io tra l’altro credo che l’avanguardia non abbia un’esistenza oggettiva: esiste soltanto gente che si considera avanguardia. Ma su questo mi sono già speso molto, pure troppo, in discussioni passate. Sono abbastanza stanco, e oggi in particolare non ho tempo, scrivo questo commento poi stacco la spina.
Volta fornisce uno spunto interessante: nella cultura afroamericana del novecento l’avanguardia si nutriva di tradizione, anzi, l’avanguardia nasceva dalla tradizione, si fondava su di essa. Il free jazz è l’esempio più lampante. Mancava l’elemento iconoclastico e chiliastico (e/o di nihilismo attivo) che invece ritroviamo nell’avanguardia europea (da futurismo e dada in avanti). I musicisti di free jazz vivevano il proprio lavoro in continuità con quello (andando sempre più a ritroso) di Parker e Gillespie, di Ellington, di Armstrong, di Jelly Roll Morton, fino alle work songs della schiavitù. Ad accentuare l’elemento di “rottura” col passato è stata soprattutto la critica bianca, e in ogni caso era una rottura più con le abitudini dell’estimatore bianco di jazz che con il jazz medesimo.
Per il resto, prendo atto dell’ennesima invenzione di a.b.: da qualche parte io gli avrei fatto capire che non conosco il lavoro di Gipi. In realtà l’ho scoperto su “Cuore” (che compravo ogni settimana) e l’ho apprezzato anche su “Blue” (con cui ho brevissimamente collaborato), visito il suo blog, lo ritengo bravissimo. Su questo blog l’ho nominato una volta sola, quando ho preso per i fondelli a.b. per il fatto che lo nomina ossessivamente e lo tira in ballo a proposito di qualunque cosa. Ho solidarizzato col povero Gipi e ho scritto che “uno i fans non se li può scegliere”.
Nota Bene. Non è la prima volta che a.b., a forza di tirare per la giacchetta un autore, lo rende talmente odioso e inflazionato da pregiudicargli le simpatie di potenziali lettori. E’ successo con Moresco e con Scarpa, ora rischia di succedere con Gipi. Più lo nomina e più la gente qui dice: “Marò, cheppalle!” a.b. non si pone il problema, e allora poniamocelo noi: invito a non confondere Gipi con questo suo iper-zelante e indiscreto PR. Lo si scavalchi e si vada direttamente all’artista.
@a.b.
se il fumetto è un linguaggio che può fare tutto (parole tue), perchè non può esserlo quello videoludico???
anche tu, che inviti la gente a leggere gipi, dovresti interagire con certe opere videoludiche e poi tornare.
t’assicuro che troveresti visione, apertura, critica, potenza a un livello inimmaginabile se non lo esperisci. tutto qua.
Ecco, tornando all’esempio free jazz:
E’ vero, è un movimento che si richiamava *anche* alla tradizione, ma che dichiaratamente flirtava (perlomeno in alcuni dei suoi esponenti più rappresentativi) con la cosiddetta avanguardia colta occidentale: Stockhausen, la seconda scuola di Vienna ecc. Questo vale per Ornette, come per Cecil Taylor, come per tutto il giro AACM di Chicago ecc.
Ora, quale fu l’obiezione che mosse chi, all’interno dell’esperienza free, non si riconosceva (un nome su tutti: Miles Davis)? L’obiezione fu: “questa è roba pseudointellettuale fatta per accontentare i bianchi, è musica da gallerie d’arte, è roba masturbatoria di nicchia, ai concerti non ci va più nessuno” e così via. Insomma, Miles rimproverava all’avanguardia free quella tendenza alle “celle di clausura” di cui parla anche Jenkins. A ben vedere non aveva tutti i torti, soprattutto se si considerano gli esiti finali dell’epopea free (che adesso è veramente un ghetto per onanisti intellettualoidi fermi al 1965 – perdonami WM1!), ma anche qui, Miles mancava il bersaglio, e cioè il moto dialettico che l’esperimento free instaurava col mondo circostante, anche a livello di semplice lessico musicale (per non parlare poi del ruolo culturale che, più in generale, il free ha rivestito negli anni ’60).
Le culture d’avanguardia insomma, sono (possono essere) anche culture popolari. E questo è tantopiù vero negli ultimi quindici anni: gli esempi d’altronde non mancano, anzi. Dico: quelli che fanno gli spottini tanto fichetti su Mtv da dove pensate che provengano, se non dalle cosiddette “culture d’avanguardia”? Una volta sapevo anche i nomi, ma adesso ohibò, non me li ricordo.
di solito le avanguardie non sanno come si chiamano.Si riconoscono con uno sguardo.Poi arriva qualche infibulatore che le battezza in cerca di un tornaconto,seminando sfracelli
e quando per caso sfuggono all’infanticidio crescono e ti cambiano la società(come per esempio la Psicoanalisi.Ve lo do io Lost)
WM1 ricorri all’usurato argomento del servo sciocco. Tì capisco, devi volermene parecchio.
Però scegli meglio i tuoi argomenti contundenti, qui se c’è qualcuno che fa risultare odioso il lavoro di qualcuno è WM1 verso se stesso. Meno arroganza ti aiuterebbe. Se ce la fai…
@Gianni
Non sai quello che dici. Parli facendo un ragionamento astratto pur di darmi torto. Se ti dico che sono mesi male è perché lo so.
Ok. Allora spiegamelo. Io sono uno che ascolta volentieri e se c’è da imparare, impara.
“Ho solidarizzato col povero Gipi e ho scritto che “uno i fans non se li può scegliere”.”
Questa è bellissima, me la appunto tra le tue perle.
Ormai potrebbe uscirne un’intera collana di einaudi.
Spiegazione.
Stanno messi male e fanno, fanno racconti tostissimi, lavorandoci come somari, raccontano la storia del loro paese, tentano la strada di un realismo intelligente, sono commoventi, ci danno sotto e sono aperti, E alla fine li ammiri.
p.s. Se qualcuno mi deve scavalcare come ordina WM1 benissimo, mi faccio da parte volentieri. Può appoggiare il primo piede su “S” ed. Coconino Press, altrimenti in edicola, sui “Baci della provincia”.
Il secondo piede troverà da sé dove appoggiarsi. E io rimarrò un puntino lontano, per fortuna.
Continuo a non capire, però, perché “stanno messi male”, “sono degli sfigati” e come mai “non ci hanno una lira”.
Ahhh, Gianni, speravo di dover spiegare qualcosa sul loro lavoro.
Ti ripeto: LO SO. Non faccio un ragionamento come fai tu, semplicemente: LO SO.
E io non posso saperlo? Non puoi spiegarmelo?
Perché in Corea sono sfigati?
gianni, basta! sai benissimo che è un’informativa riservata che circola solo presso le più alte cancellerie e a.b., lui LO SA, LO SA. solo non può dirtelo, eddai ‘statte bbuono.
Sono senza un soldo quelli che girano intorno al mondo del fumetto, il resto lo hai detto tu Gianni.
Ti rendi conto del livello della discussione…
Vedi Gianni tu tante volte ti sei lamentato che su NI ti mandavano in vacca le discussioni. Il problema è che anche tu le mandi in vacca perché non ti interessa advvero aprire.
Dentro questa discussione si poteva sviluppare un bel discorso sul racconto a fumetti storico e tu ti sei fissato a voler dimostrare la mia malafede sulla base di un ragionamento generico.
Alla fine che resta?, la voglia di chiudere il più in fretta possibile il discorso.
Che in Corea “stanno messi male”, “sono degli sfigati” e “non ci hanno una lira”, se mi permetti, l’hai scritto tu, non io.
Come se qui in Italia quelli che girano attorno al fumetto fossero fighi, messi bene e pieni di soldi (e noi sappiamo che non è vero). Non sei l’unico lettore di fumetti, lo sai, vero?
E alla fine di autori (di fumetti, di romanzi, di poesie, etc.) che “fanno racconti tostissimi, lavorandoci come somari, raccontano la storia del loro paese, tentano la strada di un realismo intelligente, sono commoventi, ci danno sotto e sono aperti, E alla fine li ammiri”, ci sono in Corea come qui in Italia, giusto?
E allora a che pro il tuo esempio?
E continui…
L’ho scritto di Park e degli altri, infatto ti ho detto che nonostante questo fanno grandi storie sulla carta di riso. Vuoi andare avanti ancora?
E poi per favore, se da qui guardano là, non è perché sono completamente scemi.
L’hai vitsa la mostra alla triennale di Milano?
Hai visto il titolo della mostra al Ta Matete?
Pensi che siano tutte fregnacce, vero?