E’ il 1990. Già ieri ho guardato indietro, a quel decennio di fine secolo. Ma a proposito di rapporto fra letteratura e realtà non posso non citare Beniamino Placido, che in quell’anno scrive un articolo meraviglioso dove spiega benissimo come l’arte possa raccontare la realtà anche se apparentemente realista non è. Facciamone tesoro.
“A metà degli anni Cinquanta Pier Emilio Gennarini, un uomo di ingegno impegnato allora nella strutturazione della neonata Televisione Italiana, diede incarico a Manlio Cancogni (e ad altri) di pensare ad una Storia d’ Italia. Dovevo lavorare anch io (in un ruolo debitamente subordinato, si capisce) a quell’impresa. Mi dissero: leggi intanto la sceneggiatura che ha scritto Cancogni; guarda come si fa. Cancogni aveva fatto benissimo. Aveva descritto il Fascismo non nelle sue manifestazioni ufficiali, ma nella sua rifrazione in certi eventi quotidiani, e tuttavia traumatici. Fra i quali quella Quadriennale (del 1939, ndl). Quella visita sua e di Cassola. La loro capacità di dedurre un giudizio sulla realtà fascista immediatamente, e non subito dopo da quegli oggetti semplicissimi, quelle nature morte, quelle bottiglie (di Giorgio Morandi, ndl). Vorrebbero farci credere che la realtà è fuori di qui. Magari in quei due gerarchi in divisa che fanno la guardia d’ onore e sbattono i tacchi, alla porta. Ma andiamo, quella è cartapesta. La realtà vera, onesta è qui. In queste nature morte. In queste semplicissime, enigmatiche, inesauribili bottiglie.
Dunque, l’ arte pittorica può esprimere tensioni anche politicamente rilevanti attraverso i contenuti più semplici. E l’ arte non pittorica, anche. Lo sappiamo bene; benissimo, anzi. Tutti ricordiamo Calvino: La poesia consiste nel far entrare il mare in un bicchiere. Nel caso di Morandi, in una bottiglia. Lo sappiamo benissimo, e ci offendiamo se qualcuno ce lo rammenta. Io stesso mi sento profondamente offeso con me stesso, in questo momento, perché me lo sto rammentando. Lo faccio perché so quanto è facile dimenticarsene. Si metta ciascuno la mano sulla coscienza e confessi quante inaudite sciocchezze ha ascoltato (o pronunciato) senza batter ciglio sugli scrittori minimalisti americani. Che sarebbero piccoli, anzi minimi, perché non si occupano di cose grandi. Perché non descrivono la guerra del Vietnam, gli scontri fra gruppi industriali e finanziari, le campagne elettorali presidenziali, invece di perder tempo a descrivere i loro rapporti con la mamma? Il vero scrittore parla sempre anche della guerra del Vietnam, o dell’ ultima spedizione a Panama. Ma lo fa a modo suo. Occupandosi magari dei rapporti con il papà, la mamma, i fratelli. La frase de minimis non curat praetor vale per l’ appunto per il pretore, che ha vinto il concorso in magistratura. Non per lo scrittore, che quel concorso non ha fatto (forse non l’ avrebbe superato) in quanto fermamente intenzionato ad affrontare un altro compito: fare entrare tutto il mare (America e Panama comprese) in un bicchiere. O in una bottiglia, se è pittore, e se si chiama Morandi.
Per continuare: nel 1981 i quadri di Morandi sbarcarono per la prima volta in America, per una mostra al Guggenheim di New York. Su quella mostra mi accadde di ascoltare una conversazione radiofonica di Furio Colombo, che mi piacerebbe ritrovare. Per quanto era acuta e partecipe. Raccontava la sorpresa, lo stupore degli americani di fronte a questi quadri, a questi oggetti: vasi, fiori, bottiglie. E’ questa dunque la cultura europea. Com’è diversa dalla nostra. Dunque una cultura si può presentare e imporre al suo meglio: in tutta la sua complessità, la sua diversità, attraverso una bottiglia.
Per completare: ecco un libro tedesco questa volta semplice e utile (Zeit-Museum der 100 Bilder, Insel Verlag, 1989), che raccoglie cento quadri e cento commenti. I cento quadri scelti dal quotidiano tedesco Die Zeit e i cento commenti affidati ad intellettuali di rinomanza internazionale: John Updike e Christa Wolf; il filosofo Hans-Georg Gadamer e E.M. Cioran; e Mary McCarthy, e il regista Wim Wenders, e il saggista Hans Magnus Enzensberger; e Nadine Gordimer, e Stefan Heym, e Umberto Eco. C’ è anche un Morandi: Natura morta con bottiglie, del 1940, commentato da Horst Bienek. Uno scrittore del quale, oltre al nome, nient’ altro so. Che racconta, però, una curiosa storia. Riporta le impressioni della custode del museo svizzero che aveva organizzato una piccola retrospettiva di Morandi, qualche anno fa. Ma che strano, diceva la custode ai giornalisti. I visitatori delle mostre in genere bisbigliano, chiacchierano, a volte danno addirittura fastidio. Devo rimproverarli (non si fa, siamo in Svizzera). I visitatori venuti a vedere i quadri di questo pittore italiano (è di Bologna, vero?) non dicono una parola. Non si sente un sospiro. Sono silenziosissimi. Per forza; spiega lo scrittore-commentatore tedesco Horst Bienek (che continuo a non conoscere, ma già apprezzo) Morandi non ha dipinto fiori, tavoli, bottiglie. Ha dipinto la Meditazione, come faceva Cézanne con le sue mele.
Dunque: si possono esprimere ed ispirare sentimenti estremamente importanti attraverso cose semplicissime e quotidiane. Come le mele di Cézanne. Nelle quali qualcuno ha intravisto è ben noto dei nudi di donna. Qualche altro, delle cose ancora più interessanti (se ne esistono). E la dolce mela di Saffo? Che rosseggia sul ramo eccelso, alta sul più alto. Non già perché i raccoglitori l’ abbiano trascurata. Oh, non per questo. Soltanto perché non potevano raggiungerla. Tutto qui. E le mele del poeta americano Robert Frost? Quelle che sono rimaste sull’albero dopo la sua volenterosa raccolta, il suo Apple-Picking? Forse due o tre / mele che non ho colto in qualche ramo / Ma di cogliere mele ora ho finito. Tutto qui? Ma è un qui dove c’ è tutto. Decisamente, siamo tutti convinti che le cose stanno così. Non c’ è bisogno di insistere (Già, perché insisto?). Non siamo nati ieri. Non siamo poi così rozzi e contenutisti. Eppure non sono convinto che siamo davvero convinti. So che il primo ricattatore che si affaccerà domani, chiedendoci perché mai gli scrittori francesi (o tedeschi o americani, o italiani) parlano di cose piccole e private, invece di interessarsi alle grandi tragedie del mondo, ci troverà pronti a subire sia pure per cinque minuti soltanto il suo sinistro ricatto. E difatti, per concludere; ci fu nel 1964 in Francia un acceso dibattito. L’ aveva provocato Sartre con certe sue e ancora ben note dichiarazioni. A che serve la letteratura di fronte a un bambino che muore di fame? Di bambini che muoiono di fame è pieno il mondo, specie il Terzo Mondo. A che servono i romanzi, dico anche il mio romanzo La nausea? La nausea esistenzial-personale; figuriamoci. Ma soprattutto a che servono questi nuovi romanzi alla Robbe-Grillet che si pubblicano adesso in Francia? Fu organizzato (da Clarté) un pubblico dibattito al quale parteciparono Simone de Beauvoir, Yves Berger, Jean-Pierre Faye, Jeorge Semprun, oltre a Sartre stesso, naturalmente, ed a Jean Ricardou, teorico del nouveau roman. Le argomentazioni di Sartre le ricordiamo tutti, tutte. Non so se ricordiamo altrettanto bene quelle del suo contraddittore Ricardou: incomparabilmente più sensate.
Disse Jean Ricardou: Sartre ha ragione ovviamente; la morte di un bambino è più importante della nascita di un romanzo; si tratti de La nausea o di un nouveau roman. Però il romanzo più intimista forse proprio perché intimista è lo strumento indispensabile per renderci attenti alla morte di quel bambino. Se i romanzi non ci fossero, rimarremmo indifferenti. Come lo siamo di fronte alla morte dei vitelli, sistematicamente ammazzati ogni giorno, e in gran numero, a la Villette (la Villette è il nome del grande mattatoio, di Parigi Nord). Il romanzo crea lo spazio dentro il quale la morte per fame di un bambino è uno scandalo. Dà un senso a quella morte. Che non ne avrebbe nessuno, altrimenti. Non c’ è dubbio. Dovremmo proprio esserci convinti. Almeno per cinque minuti. Quanti ne occorrono per ricordare qualche verso di Montale. Che a Morandi è stato spesso avvicinato. Lo sappiamo benissimo (non siamo nati ieri eccetera) che si possono dire, sentire cose importantissime in poesia come in pittura anche limitandosi a passeggiare nel sole che abbaglia (in questa stagione) per sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio nel seguitare una muraglia calcinata dal sole. Che ha in cima occorre dirlo? cocci aguzzi di bottiglia”.