Scopro che su Facebook c’è una competizione fra mamme per incoronare la genitrice migliore del mondo. Non mi stupisce, anche se mi fa paura. Mi fa paura anche l’aggressione verbale verso chi ha provato ad argomentare, come Deborah Riccelli, che ha scritto un post più che condivisibile. Questo:
“So che darò fastidio a molte e che le più simpatiche diranno che scrivo questo post solo perché non ho figli ma la vostra sfida tra mamme la trovo ridicola ,fastidiosa e irrispettosa.
Ho letto un post prima nel quale vi si chiedeva che cosa eravate prima. Alcune hanno risposto niente.
Io vi chiedo anche cosa sarete dopo, quando avrete smesso di
” mammeggiare ” .
Eh già, è fastidioso dover ammettere che l’ identità sociale per alcune di voi passa attraverso l’essere madri e
non attraverso l’ essere voi stesse.
Per non parlare di quante mettono le foto con dei figli ai quali, a stento, rivolgono la parola.
Già non sopporto tutti i post nei quali sostenete che ” siete complete” solo da quando avete partorito.
Cosa significa ?
Vi rendete conto di dire un assurdità?
Ci patisco ?
Si, ci patisco come
tutte le volte che mi si chiede : quando lo fai un bambino?
Oppure …guarda che gli anni passano …o ,
peggio ancora,
tu non puoi capire perché figli non ne hai .
Io mi occupo dei vostri figli e vi assicuro che molte di voi sono tutto tranne che donne degne di essere madri. Si è madri in molti modi, non solo partorendo. Sfatiamo il mito del “ in quanto madre capisco o in quanto madre soffro”. Non è così. Ci sono madri che odiano i loro figli. Ci sono madri che li usano come trofei ma non hanno neppure il tempo di capire se qualcosa non va. Siate complete da sole.
Decisamente io capisco tante cose ,
purtroppo.
Sono stata cattiva ?
Si
Sono stata polemica ? Anche .
Avete usato poco tatto nei confronti della schiera di donne che rappresento?
Decisamente si .
Il tatto e il buon gusto, in questo momento, non vi appartengono”
Temevo che i social avrebbero amplificato quella che è una competizione antica, quella per la mamma più mamma delle altre, quella che si nutre, inutile negarlo, della presunta fallibilità delle altre. E, no, l’amore non c’entra, temo. C’entra il voler essere la più brava, semplicemente. L’indimenticabile. L’unica.
Sei anni fa scrivevo questo:
“CaféMom.com è un sito Internet. It’s fun, it’s free and it’s for moms only!, si legge nell’home page. Solo per mamme: la maternità, dunque, fornisce l’identità e l’appartenenza, e garantisce salvezza al genere umano. La storia è vecchia. Le madri, scriveva Simone de Beauvoir, assumono su se stesse un ruolo divino: nel momento in cui sono prese “nel gran ciclo della specie”, affermano la vita “contro il tempo e la morte”. E’, la loro, “l’illusione pacificante” di sentirsi esseri in sé, di proporsi, e di esistere, in quanto Valori.
Bene, CafèMom non affronta questi argomenti: è un portale simile a migliaia di altri, dove si discute di allattamento al seno, gravidanza, scuola, salute, sesso (coniugale). E, naturalmente, di pulizie della casa, ricette, ecologia e tecnologia (che vanno a braccetto, la seconda al servizio della prima, o per diffondere idee e pratiche legate alla prima). Ma, attenzione, c’è anche un’ampia sezione dedicata alla politica e alle elezioni presidenziali, perfettamente coerente con quanto sostengono decine di ricerche e centinaia di articoli sulle digital moms, le madri digitali: le quali, a esemplificazione di quanto scriveva Beauvoir, sarebbero coloro che maggiormente mostrano preoccupazione per l’America e, in assoluto, per il futuro del mondo. Alla stessa conclusione, si parva licet, è giunto un detersivo italiano: ecologico anche nel contenitore, per la gioia della madre e del bambino rappresentati nel manifesto mentre si stringono in un abbraccio trionfante perché, insieme, proteggono l’ambiente, il pianeta, l’universo. I padri, si presume, sono altrove: forse a complottare per peggiorare quello stesso universo. Di certo, non sono impegnati a salvarlo: questo è privilegio del femminile, sia che schiacci la testa di un serpente sotto il piede, sia che scelga il detersivo giusto.
O il candidato giusto. Perché la sezione politica di CafeMom è tutt’altro che collaterale: si chiama Moms Matter 2012 e ha come volto e penna quelli di Lindsay Ferrier, giornalista televisiva, poi madre, poi attivista e autrice di un blog, Suburban Turmoil, con un sottotitolo che troveremo replicato in migliaia di altri blog e definizioni sulla maternità contemporanea, L’arte dell’imperfezione. Ferrier si occupa di quella che a tutti gli effetti può definirsi una lobby che prescinde dall’appartenenza a questa o quella fazione, e che intende negoziare con i candidati alla Casa Bianca su ciò che davvero conta per le mamme (non per le donne, attenzione: moms only). Ovvero? Posti di lavoro affinché i propri bambini, una volta cresciuti, possano “sparare alla luna” e godere delle giuste opportunità. Cure mediche accessibili. Istruzione. Ci si divide su molto altro (aborto, guerre “necessarie” per proteggere la prole, pena di morte per i pedofili), ma le richieste sono sensate. L’unico dubbio riguarda il motivo per cui dovrebbero venire dalle madri e non da ogni cittadino, maschio, femmina, omosessuale, transgender, con figli o childfree. La risposta è scontata: perché la mistica della maternità ha sempre e soltanto posto l’accento sulla redenzione e sulla tutela, e sull’intercessione della Madre presso un dio geloso affinché l’umanità venga preservata dalla sua ira. Solo una Madre può rappresentare la parte positiva del mondo e della natura”.
Le cose non sono cambiate di una virgola. Sono peggiorate, semmai, laddove i benedetti algoritmi conoscono benissimo l’antica storia. Sono peggiorate, laddove, e lo dimostra Chiara Volpato nel suo bellissimo saggio “Le radici psicologiche della disuguaglianza”, in una società disuguale la competitività aumenta, e nel caso del materno, ignorato socialmente o turpemente utilizzato da certi fautori della “famiglia”, a disuguaglianza si somma disuguaglianza, e a competizione si somma competizione. Almeno, se ne parli. E ne parlino tutte, le donne che hanno figli e quelle che non ne hanno, e che per questo motivo, a quanto pare, non hanno diritto di parola (sono mamma, per la cronaca: e credo che se i miei figli mi sentissero dire che non sono “niente” senza di loro mi toglierebbero il saluto).
A me hanno cominciato a chiedere – a volte nel senso di richiedere – riguardo al fare figli appena ho compiuto trent’anni. Il mio trentesimo compleanno è stato una specie di “Liberi tutti”. Qualunque donna con qualche anno in più di me si è sentita in diritto di dirmi la sua opinione su come debba utilizzare il mio utero. Opinione che ovviamente è sempre la stessa: smettila di giocare e diventa madre. Qualunque donna, dalla lontana parente, alla parente dei vicini di casa del mio uomo, alla dottoressa a cui ho chiesto la pillola del giorno dopo e che faceva pure la compagna. E ogni volta è come se mi dicessero “Tu così come sei ora non sei niente”, e ogni volta è una staffilata e una rabbia immensa. E’ una forma di misoginia, di odio verso se stesse. Che si riversa anche sulle figlie, e in qualche modo pure sui figli.
Le donne che sono solo madri purtroppo gettano un peso enorme sulle spalle dei figli. Sentirsi dire: “la mia vita ha senso solo perché ci siete tu e tuo fratello”. Questo è il messaggio peggiore che una madre può dare.
Il migliore?
“E’ bellissimo vedervi crescere e sarà bellissimo vedervi andare via”
Condivido pienamente le parole della Riccelli e aggiungo che “la competizione fra super mamme” spesso inizia ancor prima di partorire, fra corsi pre-parto, libri e vademecum sulla maternità, chat per sole “pancine” e simili.
Ciò che mi preoccupa più di tutto, comunque, non è la “vuotaggine” di certe madri, ma l’effetto ultimo che questo “esistere solo in funzione di”, reale o fittizio che sia, generi nella inconsapevole prole.
I figli trofeo temo possano soltanto crescere fragili e insicuri.
Io credo di essere una madre controcorrente (se vogliamo usare un termine “social”) anche se molte mi definirebbero irresponsabile ; ho fatto i figli mentre ero all’università, due, uno per ogni laurea e ad ogni esame, sudato come pochi, c’era la frase tipica da mamme e non accademici:”bon ma non penserai mica di fare poi il lavoro per cui stai studiando? Cioè con due bambini vorresti andare in giro e lasciarli a casa?” . E dall’altra parte, dagli accademici (italiani, sia chiaro):”ma tu sei mamma, un dottorato come lo porti avanti con due figli? ” e in me questi colpi su più fronti hanno portato solo frustrazione, tristezza, rassegnazione e dolore. Non volevo essere compatita per aver deciso di avere dei figli, volevo dei bambini da giovane, per avere l’energia di prendermi cura di loro riuscendo al contempo nella mia strada. Ma l’ipocrisia, soprattutto in Italia é profondamente radicata (all’estero per un dottorato pagato 450€ in più al mese mi avrebbero trovato un appartamento per poter tenere anche i bambini e la mia condizione di madre non era un problema, era alla pari dall’avere i capelli lunghi o gli occhi castani). Potrei continuare a giustificare ogni singola scelta, perché una mamma che sceglie di non essere solo mamma deve sempre giustificarsi, io voglio solo dire che é grazie ad altre madri che mi sento spesso inadatta a tale ruolo. Inadatta perché non dovrei tingermi i capelli di rosa, perché non dovrei voler andare a ballare il sabato sera, non dovrei fare corsi di formazione la domenica (la domenica si passa con la famiglia), non dovrei sognare viaggi da sola, non dovrei volere una realizzazione mia, di me stessa come persona singola e unica. No, dovrei essere contenta e soddisfatta di aver raggiunto la maternità e per ben due volte, ma la verità è che io penso di aver creato due bambini che sono e saranno figli del mondo, non sono solo miei, ma anche qui vengo fraintesa. A questo punto vorrei solo che le madri si ascoltassero di più, forse sentirebbero una voce dentro che grida “libertà”, libertà di essere donna e persona completa DA SOLA! Allora forse molte mamme smetterebbero di giudicare me come egoista perché i bambini me li portavo in università a un mese di vita pur di seguire le lezioni!
Martina penso tu abbia detto e toccato dei punti importanti.
I figli ad un certo punto diventano parte del mondo che sarà e non dovrebbero essere considerati soltanto come propaggine della famiglia. Ricordo quando lessi “Quelli di Anarres” dove Ursula Le Guin rappresentava un società in cui quel legame genitori-figli veniva molto ridimensionato.
Oggi, mi piacerebbe capire perché, stiamo andando in una direzione opposta, Con turbe di psicologi che ci raccontano che invece la madre dovrebbe restare a fianco della prole per 2-3-4 anni senza andare a lavoro, perché l’amore materno è tanto importante. E la mamma chissene.