LE MADRI DI UNA FIGLIA UCCISA

Le madri ricordano tutto. Non tutto insieme, non sempre. Ricordano per sprazzi, e quasi mai episodi determinanti. Un biscotto sciolto nel biberon, il modo in cui si dissolve senza lasciare grumi che meraviglia. Il modo in cui i calzerotti antiscivolo sfuggono dai piedi, lasciando nudo il tallone grassoccio, rosa come se nulla di rosa ci fosse stato fino a quel momento nell’universo. Le madri ricordano in ordine sparso. La telefonata che annuncia le prime mestruazioni, e il profumo dei fiori di limone mentre accostano il microfono all’orecchio e dicono davvero, che bello, sei una donna. Una caduta dai pattini, per fortuna c’erano i cuscinetti paracolpi sulle ginocchia. Fare la treccia, prima di andare a scuola, dividere le ciocche in tre, non riuscire mai a farla venire bella come quella che la figlia sarà in grado di fare da sola, una volta cresciuta. La favola della bella addormentata.
Le madri ricordano. Quando non hanno più una figlia, il loro tempo è quello del ricordo, anche se non sembra, anche riescono a fare altro. Il caffè la mattina, il lavoro, la spesa, guardare il tramonto guardare i gabbiani guardare le ragazze e le donne e contare. Avrebbe 35 anni. 40. 50. Già cinquanta. Sarà il momento in cui le mestruazioni salteranno una volta, poi due. Sarà, sarebbe stato, non può essere.
Le madri lottano. Lo fanno, caparbiamente, quando quella figlia è stata uccisa, e persino diventa un mistero fra i misteri di un paese oggi inerme e diviso, sempre più, che non crede ai misteri perché ogni cosa è un mistero, e quel che conta, ma certo, è la propria pellaccia, e cosa è mai una giovane donna morta ammazzata rispetto al selfie delle proprie ginocchia alla gita a Gardaland ai meme politici così divertenti.
Le madri lottano, e certo invecchiano e ogni cosa diventa difficile, camminare e digerire e vederci bene e respirare a fondo come quando correvano su qualche spiaggia con le figlie bambine, giratevi, vi faccio una foto, sorridete.
Però non vogliono morire prima di aver conosciuto la verità. Non sempre ci riescono. Quasi mai, anzi. E noi che siamo figlie d’anima, da lontano, piangiamo per loro, e proviamo a dirci, per consolazione, che racconteremo la loro storia, finché sarà difficile anche per noi.
Grazie, Luciana Alpi, buon viaggio.
E grazie, Renata De Palo, per la resistenza.

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