Non ho, evidentemente, visto il film: ma mi lascia perplessa l’idea che si possa imporre il divieto ai minori di 18 anni per La bottega dei suicidi, esordio nell’animazione di Patrice Leconte, perchè racconta di una famiglia il cui business è aiutare i disperati a togliersi la vita. Con ironia – nera, certo – a giudicare dalla clip a disposizione.
La stessa ironia, meno nera e lievissima, è stata usata da Alicia Giménez-Bartlett in Exit, dove si narra di suicidi convinti e quasi felici (ma nella scheda, come constaterete, non una parola sulla natura della villa di campagna dove il romanzo è ambientato).
La perplessità viene da quella che mi sembra un’idea perversa di rischio che caratterizza i nostri anni: è rischioso parlare di morte, specie di morte volontaria, in un cartone o in un libro, non è rischioso familiarizzare con gli orrori mediatici dello zoccolo e del mestolo di Cogne in prima serata e con la generale morbosità con cui la televisione (e molti giornali) ricostruiscono i delitti.
Qualcosa del genere si è ripetuto nei giorni scorsi, dopo la strage della Sandy Hook: se molti hanno indicato nell’estrema facilità del reperire armi negli Stati Uniti la causa prima di quanto avvenuto, molti altri hanno puntato il dito sull’immaginario violento (e ancora una volta i videogiochi e i film sono stati chiamati in causa). Joe Lansdale, invece, ha scritto lucidamente questo:
“Ci risiamo. Ecco un’altra sparatoria di massa, forse la peggiore della storia americana per il numero di bambini uccisi. Che tristezza dover ammettere che questo è ormai un fatto ricorrente, che “la nave è salpata” e avanza a vele spiegate, e cioè che da qui non si torna più indietro: il fenomeno è destinato a dilagare. Abitiamo in un Paese, l’America, che ha il culto delle armi. Anni fa la legge imponeva almeno dei freni: limitava il tipo e la quantità di munizioni. Poi è caduta anche quella tenue barriera. I massacri ora si ripetono con maggiore frequenza, come gli interrogativi del “di chi è la colpa?”, e “che cosa si può fare?”. Una parte di responsabilità va assegnata alla società consumistica, al desiderio disperato di possedere cose di nessun valore, e all’incapacità di alcuni nell’affrontare lo smacco quando non riescono ad ottenere quel che desiderano a tutti i costi. Ma è anche la debolezza di una società guidata dalla ricerca della fama, nella quale si celebrano personaggi che nulla hanno fatto per meritarsi tanto nome. È un mondo dove bastano Facebook e YouTube per mettersi in risalto. E dove nemmeno una piccola comunità come quella di Newtown è più isolata da quando Internet e la tv hanno abbattuto ogni confine. Ma è anche colpa dei fabbricanti di armi, che inondano il mercato di fucili e pistole con caricatori che permettono di scaricare decine e centinaia di colpi, anziché riservarli alla Difesa e alla polizia. È vero: le armi, da sé, non uccidono. È l’uomo, lui solo, a sparare. Però, se non regoliamo il mercato, senza dubbio lo agevoliamo”.
Penso che la lotta per la fama sia molto più pericolosa di un film che parla di suicidio, per parlar chiaro: quando, naturalmente, la medesima viene condotta come unico scopo di vita e prescindendo dalle abilità che si possiedono per ottenere quel che si vuole. Eppure, nessuno si sognerebbe di vietare ai minori di 18 anni un reality, o un talent.
Condivido molto quello che dici.
Penso a un libro bellissimo di Paasilinna, “Piccoli suicidi tra amici”, che affronta con un’ironia tutta sua il tema del suicidio. Una lettura del genere io credo sia addirittura liberatoria e quindi da incoraggiare.
…
Sul tabù della morte poi si potrebbero scrivere molte molte pagine.
E aggiungo tutta la serie di fumetti dei coniglietti suicidi, meravigliosa!
sì, che tristezza che fa questo divieto.
🙁
forse c’è una differenza, una barriera che fatichiamo a superare tra omicidio e suicidio. In una scena di omicidio troviamo serenità non appena inquadriamo il colpevole. La nostra sete di vendetta si placa facilmente: non appena il colpevole é “assicurato” alla giustizia, noi siamo (r)assicurati. Perché siamo giustizieri nel profondo, invochiamo giustizia per noi e per tutte le vittime del caso. E in nome della giustizia, al fine di vendicare un ingiusto destino, siamo disposti a tutto, paradossalmente anche ad uccidere, come fece, per esempio Caino. In fondo siamo figli suoi , non di quello buono.
Di fronte al suicidio facciamo una fatica bestiale, il nostro paradigma “scova colpevole ritrova sicurezza” va in frantumi, noi entriamo in crisi. Colpevole e vittima si confondono, si sovrappongono. Un paradosso che ancora non riusciamo a digerire, potessimo vieteremmo le notizie che parlano di suicidio ai minori di anni 90.
Sinceramente non credo che per dire ciò che ha detto Lansdale occorra essere particolarmente lucidi o dotati di quoziente intellettivo superiore.
Dice cose ovvie e banali perchè sono le solite cose che si dicono e non si fanno.
Dice ad esempio “Una parte di responsabilità va assegnata alla società consumistica, al desiderio disperato di possedere cose di nessun valore, e all’incapacità di alcuni nell’affrontare lo smacco quando non riescono ad ottenere quel che desiderano a tutti i costi”.
Ma chi sarà mai questa società consumistica?
E dove sta l’obbligo vero di essere consumisti?
Tutto il discorso sembra comunque quello dei preti di una volta, prontissimi a lanciare anatemi, a fustigare solo gli altrui costumi chiamandosene sistematicamente fuori.
Anonimo, Lansdale è nato a Gladwater nel Texas orientale (e più provincia americana di così si muore). Parla della realtà in cui vive e non se ne chiama fuori, visto che i suoi libri sono pieni di armi d’assalto, dr. pepper e kmart.
Se dice certe cose, forse forse, le conosce bene e mi fiderei più del suo punto di vista che del nostro sull’ argomento. Quindi, non mi sembra il caso di contare i peli nel suo culo, come direbbe lui.
Premetto che ho un pregiudizio favorevole verso i film francesi in generale, per cui non è da escludere che riescano a superare anche la prova di un argomento così difficile, in maniera positiva. Va detto però ( senza aver visto il film) che il numero dei ragazzi che si tolgono la vita ogni anno è piuttosto alto, molto alto il numero dei tentativi. personalmente per suicidio ho visto scomparire due ragazzi a distanza di poco tempo, non saprei dire se ci sia emulazione, di certo non soloquella , comunque essendo l’argomento delicato, avere qualche precauzione potrebbe non guastare. Capisco comunque che in area radicale se si parla di suicidio, assistito o meno bisogna dare il proprio sostegno..Va detto che nel titolo del post viene usata la solita argomentazione al ribasso; se ci date Misseri dateci anche il film d’animazione sul suicidio. il male si giustifica con il peggio .
Tempo fa qui su lipperatura a sono rimasto scioccato dal commento di una ragazza che si firmava Chicca,( le madri non sono uno zoo) che definiva le donne che mettono al mondo un figlio “ animali, ultraegoiste, senza cervello”, giustificandosi dicendo che “ la vita è dolore. Mi sembra non si sia scandalizzato nessuno. Io mi sono chiesto invece cosa sarebbe successo se qualcuno avesse usato gli stessi aggettivi per definire una ragazza che sceglie di abortire ( egoista animale senza cervello).. ma queste sono polemicucce da blog. Invece proviamo ad assumere il punto di vista di Chicca; la vita è dolore e quindi “ le madri” sono animali egoiste senza cervello. Ecco che allora che diventa un dovere per ognuno di noi lottare affinchè l’aborto, la contraccezione, l’eutanasia il suicidio assistito e non , siano promossi in ogni modo sempre e in ogni luogo, a partire dalle scuole . La vita è dolore lottiamo in ogni modo per annientarla,. capiamo allora che un film a cartoni animati sul suicidio potrebbe davvero essere utile proprio a partire dalle scuole. vieni o morte e sii furtiva, ch’io non senta il tuo venir, e pel gaudio di morir, mi riabbia e sopravviva. buon Natale a tutti
ciao,k.
Mi trovi d’accordo k. Dire che la vita è dolore (così, a priori, a slogan, basandosi solo sulle proprie convinzioni) e sulla base di ciò arrogarsi il diritto di sapere cosa sarebbe meglio per un essere che deve ancora venire, be’ a me pare che sia questo, l’egoismo. Ossia dare un’ideologia alla vita, quando la vita ideologia non ne ha. La natura non ha etica, e non è etica: esiste e basta, e ci programma per riprodurci anche se ci piace pensare che siamo noi a deciderlo.
Mi pare un nichilismo alla buona solo per -appunto- scioccare.
Io penso che riprodursi sia il più grande atto di altruismo che ci sia, perché perpetua la specie a prescindere dalle nostre convinzioni, e anche nonostante le nostre convinzioni. E non possiamo neanche sapere come sarà la vita futura: magari sarà felicità e non dolore, oppure dolore e non felicità, più probabilmente entrambe.
Ma dire che generare sia un egoismo mi pare un non-sense assoluto: se fosse così, e se tutti fossimo talmente altruisti da non riprodurci, ci saremmo estinti da tempo e qua non ci sarebbe nessuno.
k
grande sensibilità e profondità nel tuo commento che condivido, tranne per il discorso sulla contraccezione, che nell’elenco che fai c’entra niente secondo me: ogni coppia ha il diritto di decidere SE e quanti figli avere e questo non ha niente a che vedere, sempre per me, con una certa cultura della morte.