Novantuno su cento. Questo il numero dei ginecologi obiettori del Lazio denunciato ieri nella conferenza stampa della Laiga. Un macigno, specie per le donne costrette a ricorrere all’aborto terapeutico. E in prospettiva, anche: perché i non obiettori stanno invecchiando e, al momento, non esiste ricambio.
In tutto questo, il discorso sull’aborto è stato, fortunatamente, riaperto e riportato all’opinione pubblica che intende difendere la legge 194. In tutto questo, ringrazio con tutto il cuore Lella Costa. Tramite la magnifica @pensieroetico, ci siamo scritte ieri pomeriggio. E questo è il suo commento e il suo appello.
Lella Costa
La legge 194 è una buona legge. Non perfetta,ma buona. Sancisce il diritto forse più doloroso che noi donne abbiamo conquistato nel nostro paese ( a volte mi chiedo se quello stesso referendum, oggi, avrebbe lo stesso esito, e siccome non sono precisamente ottimista preferisco non rispondermi).
E non lo sancisce affatto “senza se e senza ma”, come vorrebbero far credere tutti i patetici, livorosi crociati che ciclicamente scendono in campo per provare a limitarlo, questo sacrosanto dolorosissimo diritto.
Forse bisogna ribadire, per loro e per tutti,alcune cose fondamentali. A nessuna donna piace abortire, mai. Nessuna donna sceglierebbe mai l’aborto come metodo di controllo delle nascite: semmai sono gli uomini ( non tutti, certo) che non si fanno minimamente carico del problema della contraccezione perché “tanto male che vada la soluzione c’è”.
Interrompere una gravidanza è una scelta difficile, traumatica, spesso devastante. Un lutto che non è consentito elaborare, men che meno pubblicamente: ti dovresti vergognare, altroché. Anche se l’aborto era terapeutico e tu quel figlio l’avevi progettato e desiderato e mai, a nessun costo, avresti voluto separartene, e se l’hai fatto è stato solo per non creare altro dolore.
Ci sono passata due volte, so esattamente di che cosa parlo, e che nessuno si permetta anche solo di pensare che è stata una scelta egoistica, o superficiale, o peggio.
Noi chiediamo, noi esigiamo semplicemente questo: rispetto. Perché c’è un limite a tutto, e da troppe parti lo si sta superando.
Ora basta. Se non ora, quando?
Ho guardato un po’ in giro, non c’è un blog ‘letterario’ che si interessi di questo attacco alla legge 194/1978, giunto con un ricorso dall’iter logico molto originale fino alla Corte Costituzionale. Eppure anche Lipperatura era nato come blog letterario (e in parte lo è ancora). Insomma una questione importante come questa resta sulle vostre spalle (uso il plurale perché ci sono anche molte commentatrici che se ne fanno carico). Non è così che dovrebbero andare le cose.
@Herato
La sua è una doppia illazione, che forse evidenzia scrupoli suoi più che miei.
1) Quando dico “vivere perè stessi” uso una formula abbreviata e puramente descrittiva per distinguere da chi ha una prole di cui occuparsi, e non dò alcuna connotazione morale alla cosa (ne ho viste troppe per non sapere che non tutti sono portati alla funzione genitoriale) ma puramente sociale, come ho più volte sottolineato (la società continua a esistere solo se c’è genitorialità)
2) Le garantisco che non faccio alcuna differenza tra maschi e femmine in questo. E’ lei che ha voluto leggercela: semplicemente in questo thread si parla di maternità come libera scelta. E’ chiaro che la stessa cosa vale per la paternità.
PS – La differenza sta nel fatto che, nei primi tempi di vita del bambino, la madre è molto più coinvolta e penalizzata sul piano lavorativo. Infatti lamentavo il che la riforma pensionistica della Fornero di tutto ciò se ne è altamente fregata. Io avrei abbuonato alle donne almeno un anno di vita lavorativa per ogni figlio. Sbagliato?
@ binaghi
Ok, ho capito. Messa così non ho niente da eccepire.
Allora forse – e non sono certa neanche di questo – sarebbe meglio allungare il periodo di maternità pagato quando il bambino è piccolo. E non concedere uno sconto a fine carriera, quando i figli sono grandi e forse tu (come donna) avresti di meglio da fare. Per quanto mi riguarda sono molto perplessa anche su un allungamento della maternità – ci sono lavori (soprattutto in ambito medico in cui non si può riprendere da dove si è lasciato dopo due anni di interruzione. Un cardiochirurgo, un’anestesista deve avere la mano esercita. E stare due anni a casa non è certo la strada).
Sostenere che la formula “vivere per se stessi” sia”descrittiva” di chi “non ha una prole di cui occuparsi”, presuppone che l’unica dimensione etica del fare degli altri un fine sia quella del generare-allevare la prole. Il presupposto è falso.
Va anche ricordato che talvolta si può essere genitori per fini egoisti, cioè facendo del figlio un mezzo e non un fine (quindi “vivendo per se stessi”).
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L’asserzione “i ruoli di genere saranno importanti nei primi (due? tre?) anni di vita del bambino” (Herato la scrive giustamente in forma dubitativa) è smentita dalla pedagogia e dalla psichiatria. Un baby può essere allevato altrettanto bene da una madre e un padre, da un padre o una madre, da due padri, da due madri, come da persone terze, purché ognuno di questi soggetti sia capace di affetto.
E’ la società che non tollerando la varianza impone i “ruoli di genere” come li conosciamo.
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L’asserzione “la società continua a esistere solo se c’è genitorialità” è parzialmente vera. Una società per continuare a esistere necessita sia della genitorialità, sia di comportamenti che non c’entrano nulla con la genitorialità. E bene ricordarlo per non dare all’asserzione un significato assoluto.
1- Cit. “..semmai sono gli uomini ( non tutti, certo) che non si fanno minimamente carico del problema della contraccezione…”
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La verità (ben nota ma negata) è antitetica: a parte una minoranza, il resto degli uomini si cura della contraccezione più delle donne, come prova il fatto (noto, innegabile e tuttavia negato ancora una volta nel testo citato) che la contraccezione a mezzo preservativo e coito interrotto superava (sino a 4 anni fa) la somma di tutti i metodi usati dalle donne. Adesso siamo circa al fifty/fifty. Mi aspetto che questa affermazione venga dichiarata falsa: qui e ora.
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2- Presunta mia volontà di “…imporre alla donna gravidanze non volute…” è una lettura interessata, un depistaggio rispetto alla questione della falsità della motivazioni pro aborto.
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Il proclama – ancora una volta ribadito sopra – “la donna abortisce perché ne è costretta” è falso. Infatti abortisce anche quando non ne è costretta. L’asserita “necessità” è dunque una menzogna: la donna abortisce quando le pare e piace. Questa è la verità e dovrebbe campeggiare sul titolo della 194 ed essere proclamata sempre a chiare lettere. Invece si continua a mentire dicendo che lo fa per necessità: ma se arriva qualcuno a risolverle i problemi …abortisce lo stesso.
Da queste considerazioni vi è chi deduce che io sia antiabortista: è meglio evitare siffatte semplicistiche “deduzioni” e stare al tema: confessare che la motivazione femminista è falsa.
3.- Diritti riproduttivi: a te sì, a me no.
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Pillole post rapporto, aborto, parto anonimo: sono i modi con i quali la donna può scegliere a posteriori e rimediare agli
errori. Libertà, autodeterminazione, autocrazia. Diritti riproduttivi femminili: benissimo.
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Del simmetrico non c’è traccia. I maschi subiscono muti (chi parla può finire in tribunale) le scelte altrui sul tema più importante della vita, sulla sola scelta irreversibile. Ciò è considerato così ovvio che suscita stupore sentire che secondo alcuni – pazzi? – le cose dovrebbero andare diversamente.
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Tu decidi della tua vita e io della mia. Sembra elementare. E allora dov’è il problema? Qui: nel fatto che i diritti riproduttivi femminili sono fondati sui doveri maschili. Le donne possono permettersi di scegliere solo perché a subirne le conseguenze sono gli uomini. Esse non decidono della loro vita, come giurano da 40 anni, ma della propria & di quella altrui. Questo potere arbitrario sulla vita maschile, questa possibilità di coartare la volontà degli UU e di impossessarsi della loro vita è una delle colonne portanti del rapporto “paritario” instaurato dal femminismo.
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Gli uomini – a capo chino – subiscono e pagano per le scelte altrui. E’ giunta l’ora di dire basta.
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Rino DV
P.S. Faccio notare che anche in questo mio commento non ci sono insinuazioni, canzonature e dileggi rivolti a chicchessia.
@Barbara
Per questo propongo un riconoscimento al termine della carriera lavorativa
@Barbieri.
La tua ormai mitica pedanteria adesso la trovo quasi divertente.
Scommetto che se ingrassi e ti spuntano un po’ di zizze provi anche ad allattare, pur di dimostrare le tue tesi.
@Rino DV
Solo sul terzo punto: fino a prova contraria è sul corpo della donna che si esercita il diritto alla gravidanza o all’aborto. Chi può avere voce in capitolo se non la proprietaria di quel corpo???
Mi sfugge del tutto, Walter, ma stiamo andato off topic
Cit. “… fino a prova contraria è sul corpo della donna che si esercita il diritto alla gravidanza o all’aborto.”
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Vero e fino a prova contraria l’imposizione della paternità è una coartazione della volontà maschile, con la quale viene sequestrata la quasi totalità della vita del malcapitato.
L’oggetto del contendere non è ciò che le donne possano fare della loro vita: ne fanno quello che vogliono senza subire le imposizioni maschili. Imposizioni che però infliggono agli uomini.
L’oggetto del contendere è il diritto maschile (oggi assente e persino impensabile) di rifiutare paternità non volute,
ossia di disconoscere i figli non desiderati,
ossia di decidere della propria vita,
ossia di rifiutare le imposizioni,
ossia di non farsi incatenare da gravidanze casuali o – peggio ancora – perfidamente pianificate.
Il diritto maschile all’aborto, questo è l’oggetto del contendere.
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Le donne devono avere, e di fatto hanno, il diritto di determinare la propria vita. Gli uomini no: questo è il delitto cui deve essere posto termine..
Fate della vostra vita quello che volete. Della nostra no.
La vostra vita è vostra, la nostra appartiene solo a noi ma oggi voi la potete sequestrare. E moltissime lo fanno. Tutto ciò deve finire.
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Questo è il punto 3, questo è lo scoglio.
Tutto il resto è depistaggio.
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Rino DV