LIBRI, DUNQUE

Intanto, una scoperta (per me, almeno): Dorothy Hewett, scrittrice australiana (femminista e comunista, per inciso) di cui una piccola casa editrice, Giano, pubblica La marea delle quadrature. Una storia, anche, di passioni e presenze alla Giro di Vite, e la lotta degli aborigeni sullo sfondo. Bello.
Poi. Fernandel annuncia Resistenza60: “16 racconti per 16 autori contemporanei tutti nati dopo il ’45, sedici modi diversi di raccontare cosa significa Resistenza oggi per chi sessanta anni fa non c’era ancora.”  Gli autori sono Marco Aliprandini, Vanessa Ambrosecchio, Davide Bregola, Massimo Cacciapuoti , Giuseppe Caliceti, Gianluca Di Dio, Michele Governatori, Carlo Lucarelli, Gianluca Morozzi, Piersandro Pallavicini, Elio Paoloni, Francesco Permunian, Laura Pugno, Michele Rossi, Pietro Spirito.
Ancora. Il Miserabile scrittore parla di Matthew Sharpe e del suo romanzo Gli Schwartz, in arrivo in primavera per Stile Libero Einaudi. Due cose su cui riflettere: anzitutto la tendenza del romanzo americano a rappresentare crisi, fobie, divisioni del paese attraverso la famiglia:
Non serve sottolineare che la grandissima letteratura americana è una narrativa che ha sullo sfondo la famiglia, e soprattutto la famiglia disfunzionale, come scena emblematica in cui tutto il gigante statunitense si riassume, in un’allucinogena corsa al rialzo di traumi politici e ricadute domestiche, di angoscia e hilarotragoedia che fanno della narrativa a stelle e strisce l’autentico erede letterario di Kafka e di Joyce….Chi ha lucrato maggiormente da questo nesso inscindibile che fa la letteratura americana, negli ultimi anni, è, ça va sans dire, Jonathan Franzen con Le correzioni. Se però pensiamo, correndo a ritroso, agli impazzimenti neoborghesi e sottoproletari del profeta Carver, di quelli borghesi del suo padre nobile Cheever, di quelli preborghesi del suo nonno nobile Gaddis nelle Perizie, degli idiosincranismi familistici di Bellow e dei divorzi formativi di Roth, delle fughe dal nucleo domestico del Paradise di Kerouac, dell’elezione coniugale sulla strada della rivoluzione cantata da Yates, su su fino alle saghe faulkneriane e alla coppia di Madox Ford – allora ci rendiamo conto che la letteratura americana è soltanto una sterminata varianza sul proscenio della famiglia”.

Poi, istruttiva, la vicenda editoriale del libro:

“Ventitré case editrici hanno rifiutato il masterwork di Sharpe, finché un genio che noi bene conosciamo, e cioè Dennis Cooper, lo ha pubblicato nella sua Soft Skull Press. Di lì, un passaparola che ha pochi riscontri negli ultimi vent’anni. Grazie al passaparola e al montare dello tsunami popolare, il Village Voice, il New York Times, Publishers Weekly – e via via tutte le testate più prestigiose del comparto letterario americano – hanno scoperto di avere un capolavoro in casa. E’ bastato il decreto del Village Voice, che ha sancito la superiorità de Gli Schwartz su Le correzioni, per lanciare nella stratosfera l’amico americano di Marcel Proust”.

129 pensieri su “LIBRI, DUNQUE

  1. Mah! Queste storie di Proust americani scoperti attraverso una pubblicazione quasi in sordina e che poi esplodono in tutta l’America mi lasciano dubbioso.
    Saludos
    Iannox

  2. Sì, America=Grande Famiglia è facile. E’ quello che capita. L’antiamericanismo è stupido quando è banale. Esiste la cultura critica americana, perdio, ed è esattamente la vetta a cui mira Matthew Sharpe: vetta che scala, arriva in alto, contempla il paesaggio devastato di una società in stato comatoso, affonda il bisturi dello sguardo. Non vorrei chiamare padri nobili a difesa della tesi che la cultura critica americana è la grande cultura che mi abbraccia. Quindi, chiamo un fratello nobile. Ecco cosa scrive Valerio Evangelisti a tale proposito su CARMILLA:
    “Vogliamo fare i nomi? Facciamoli. Giuliano Ferrara, Oriana Fallaci, Fiamma Nierenstein, Maria Giovanna Maglie, Gianni Riotta, Vittorio Feltri e decine e decine di altri, fino ad Alberto Sordi e a Paolo Villaggio. Il peggio è che tutti costoro si sono convertiti all’antiamericanismo viscerale subito dopo l’11 settembre, e cioè nel momento stesso in cui gli Stati Uniti non dovevano essere lasciati soli. Disprezzo, ignoranza o cos’altro? Credo ignoranza, o almeno voglio pensarlo.
    Basterebbe un semplice test. Domandare ad alcuni dei personaggi che ho elencato chi sia Jello Biafra. Sembra impossibile ma non lo sanno, così come non sanno chi fossero i Dead Kennedys (se non nel senso letterale dell’espressione). Nessuno di loro ha mai letto Due tette e niente testa di Naomi Jaffe e Bernardine Dohrn, Fallo! di Jerry Rubin, Cogliere l’occasione di Bobby Seale, La controrivoluzione globale di Huberman e Sweezy, Lavoro e capitale monopolistico di Harry Braverman, Col sangue agli occhi di George Jackson, La crisi fiscale dello Stato di James O’ Connor, La prossima volta il fuoco di James Baldwin.
    Sto citando ovviamente alla rinfusa: è evidente che nessuno può conoscere tutti i libri esistenti. Ma se uno vuole occuparsi di Stati Uniti d’America, qualcosina dovrebbe sapere. Altrimenti nasce il sospetto che una lacuna limitata e superficiale ne nasconda altre abissali; che non sapere chi sia Jello Biafra segnali l’ignoranza più completa di chi fossero Big Bill Haywood ed Elizabeth Gurley Flynn, Eugene Debs e Daniel DeLeon”.
    Gli Schwartz sono precisamente il sottotraccia contemporaneo che invera Baldwin.
    Correre e leggere, anziché fare gli ipocriti!

  3. Iannox, sai quanto ti voglio bene e so quanto mi vuoi bene: credimi, questa è l’ipernarrazione americana, è Desert Storm che si abbatte tra East e West Coast.
    Infine: è noi.

  4. Iannox,
    cogli precisamente il senso del disperato urlo d’amore che Sharpe lancia: prendere in mano, verificare, entrare in corpo a corpo. E, se non piace o è menzognero, abbandonare il corpo avversario, che è sempre la letteratura – una letteratura che va abbandonata se non diventa noi e noi non diventiamo quella. E’ il motivo preciso per cui non mi limito a recensire: invito a provare un corpo a corpo, secondo le suggestioni e le scintille che ho sperimentato in un corpo a corpo che io ho sostenuto…

  5. Ale C,
    non era così superficiale e nemmeno offensivo il riferimento a Riotta da parte di Evangelisti. Del resto Riotta non è Cooper. Però con Sharpe non siamo ad altezza Ziggy: siamo ad altezza Bellow. Cerca l’epica e la trova, GLI SCHWARTZ. Cooper cerca la psicosi e la trova. Sharpe non si limita alla psicosi… :-))

  6. Loredana, sono totalmente d’accordo, però con la specifica che le comunità fluttuano. Esistono comunità sempre, ma circa il passaparola letterario sono in Italia del tutto inefficienti. Anche in America: non è perché Eggers si è sbattuto con McSweeney’s o The Believer che GLI SCHWARTZ hanno ottenuto quello che meritavano, conquistando un enorme stuolo di lettori. Va soltanto tenuto presente questo, rispetto alle comunità, altrimenti si corre il rischio che denunciava Wu Ming 1: quello dell’autoreferenzialità. Il che, tra l’altro, è uno degli argomenti del romanzo di Matthew Sharpe: questo nucleo allucinato e chiuso di una famiglia che va a fare fissione, esplode, l’autoreferenzialità affettiva si crepa e sprigiona un’energia straordinaria, e questa energia sono STORIE…

  7. @ GIUSEPPE GENNA
    Carissimo Giuseppe (Genna, per evitare fraintendimenti giacché pure io mi chiamo come te ^___^),
    hai fatto benissimo a riportare il pezzo di Valerio qui, anche se già l’avevo letto su Carmilla e molto apprezzato. Purtroppo, come bene spiega Valerio, dopo l’11 settembre troppi si sono convertiti ad un antiamericanismo di facciata, subdolo ed ipocrita.
    Facile – ed ipocrita – dirsi antiamericani dopo la caduta delle Twin Towers.
    Ho espresso solo un dubbio, ma sai che se non leggo non ci credo. ^___^ Quindi il libro passerà sicuramente fra le mie mani, poi saprò dire quanto vale e se vale veramente, per quello che è il mio metro di giudizio, comunque fallibile. Mi dici che è ipernarrazione, Desert Storm: ti credo, ma voglio comunque leggere.
    Nell’intanto ho il tuo/vostro Costantino fra le mani: dammi tempo di leggerlo, poi ti proporrò una cosa. Ma ti dirò meglio in pvt, a breve. Anzi, vi dirò in pvt, a te e a Michele.
    Vedi che in fondo, in fondo, anch’io ti voglio bene nonostante le mie frecciatine.
    Abbracci, abbracci et inchini
    Iannox

  8. Alberto, vorrei dire che sono la Recherche americana e non la Recherche del 2000. E che ho fornito parecchi motivi a supporto di questa impressione. Ne prendo uno a caso e lo sviluppo. Che senso ha stabilire un nesso tra inazione (disagio e disfunzione al rapporto a=a tra io e mondo) in Proust e il coma del padre, occasionale motore della storia di Sharpe? Secondo me, per come Sharpe sviluppa la sua storia frattale, questo straordinario “effetto farfalla” narrativo, il senso c’è, eccome. Tratto delle cause e non soltanto degli esiti. Che senso ha stabilire un parallelo tra una società aristocratica in piena decadenza e l’emersione della neoborghesia, del neoproletariato? Perché è su questo snodo che si gioca il rapporto tra Sharpe e Proust. E che senso ha una famiglia ebrea americana laicissima (con le dovute venature di misticismo quale misinterpretazione del masochismo), se viene accostata a una genealogia provinciale e conservativa in Europa a inizio della società borghese? C’è, in Sharpe, un atto di accusa e di infinito amore non tanto verso l’America, quanto verso noi tutti. Mi sembra già un motivo di riflessione e piacere sufficiente per accostarsi a GLI SCHWARTZ.

  9. Sto lavorando ad un’intervista dove si parla di scrittori americani (Cooper, ma anche Eggers) come grandi creatori di comunità. Ecco, ho la sensazione che per molto tempo questo elemento in Italia ci sia un po’ mancato. Ora le cose cominciano, credo, ad essere diverse.
    Perchè, se non esiste una comunità, non esiste neanche il terreno fertile per il passaparola di cui parlava Genna, credo.

  10. Cato Giuseppe,
    siamo in sintonia, solo una precisazione Riotta sa benissimo che sia Biafra, tanto è che mi ha spedito intervistarlo.
    Per il resto stiamo parlando di un libro stampato da Dennis Cooper che è noto a tutti per essere un difesore dei solidi, valori, famigliari e non, americani.

  11. @ GIUSEPPE (IL GENNA)
    Allora che si entri in questo corpo a corpo, perché solo provandolo, pelle contro pelle, si potrà dire quanto è il calore, quano l’amore e quanta la disperazione. Quanta è la Letteratura. Tu già l’hai sostenuto, io m’accingo a farlo.
    Abbracci, abbracci
    Iannox

  12. mi permetto di suggerire la raccolta di poesie di simon armitage e la prossima ventura di paul muldoon, entrambi tradotti da lucax guerneri per mondadori; rimanendo in arie americane, l’antologia west of your cities curata da damiano abeni per minimum fax

  13. OT: si era detto di non tornarci, ma sul Corriere della sera di oggi interviene Carla Benedetti. forse i miei occhi non vedon bene, ma si parla di depistaggio.
    “Forse che quella cosa che ai tempi di Gramsci si chiamava «letteratura popolare» ha ancora qualcosa a che fare con questi prodotti geneticamente modificati che oggi vengono messi in circolo ad altissime tirature da una macchina editoriale-pubblicitaria globalizzata, che impone profitti del 15%, ottenibili solo replicando i formati, riducendo la diversità dell’offerta e abbassando il tasso di invenzione? Libri che poi vengono mandati a plotoni a invadere militarmente le librerie, sempre più finalizzate allo smercio veloce dei bestseller, e persino le edicole, raggiunte dai quotidiani ormai diventati editori essi stessi, che oltre ai classici ristampano gli stessi bestseller, e tutta questa massa invade l’unico binario (non ce ne sono due) su cui circolano sempre più a fatica anche gli altri libri, non solo i cosiddetti libri di nicchia per pochi lettori, ma tutti gli altri libri, diversi, diversificati, di ogni tipo. Forse che questa monocultura, costituita nella maggioranza di thriller importati dal mercato anglofono, oppure prodotti in casa ma sul modello di esemplari americani di successo, ha qualcosa a che fare con la produzione di un Salgari, del grande Salgari, pieno di inventiva, di senso di libertà e di respiro, su cui sono cresciute generazioni di italiani?
    E infine il pubblico per cui questi libri sono pensati, il pubblico che questa industria non solo raggiunge, ma si forgia come proprio target. È lo stesso dei libri di Salgari o di Dumas? O di quello di Philip Dick e della grande fantascienza? È un lettore conquistato con la forza della fantasia, dell’invenzione, toccato nella sua voglia di divertimento, o nelle sue zone più profonde di desiderio e di riflessione? O non è piuttosto il target prodotto dalla macchina dell’ entertainment di questi anni, reso inerte, tenuto a digiuno di verità, non più da stimolare ma da spremere e basta?
    La mia impressione è che chi parla di letteratura popolare o di letteratura di genere per questi fenomeni parli da un altro tempo. O da un iperuranio talmente lontano dalla terra da non vedere la guerra che si sta combattendo quaggiù. Ma poiché questo iperuranio non esiste, bisogna pensare che non abbiano alcuna voglia di guardare le cose come stanno, oppure che stanno facendo depistaggio”

  14. Salgari è vagamente morto, Dick anche, e ce ne dispiaciamo evidentemente. Molti altri grandi autori del passato in vita erano considerati entertainment. Sulla parola depistaggio rimango francamente basita.

  15. >Genna su miserabili:
    Il successo clamoroso del romanzo di Matthew Sharpe ha in effetti dell’incredibile: questa è la letteratura vera che va a fare concorrenza a un prodotto da supermercato come Dan Brown. E – sorpresa! – vince. Gli Schwartz è un caso che diventa educativo per tutti i critici nostrani, che proprio in questi giorni alimentano polemiche assurde sull’esistenza o meno di un popolo di lettori e dipingono gli italiani come una massa fagocitante merda: proprio nella Mecca del mercato, la letteratura vince, sta in alto nelle classifiche dei bestseller.
    guarda genna che in italia le correzioni non ha venduto come il codice da vinci e SHARPE ci scometto tutto quello che ho non venderà neppure un quinto del codice da vinci, ma neppure di faletti.

  16. come lettore non mi interessa quanto vende un autore (come libraio un po’ di più…).
    però non mi si venga a dire che la qualità alla fine vince perchè non è vero!!!
    il libro di gianni che molto mi è piaciuto e che aveva cmq avuto segnalazioni importanti (per esempio orrico su sette) ho dovuto spingerlo tanto, proponendolo spesso se no rimaneva lì, a differenza di cagate immani che volavano via anche se le nascondevo tra gli scaffali 🙂

  17. mi piacerebbe che la benedetti elencasse i titoli della grande fantascienza e del grande giallo secondo lei. e che non citasse dick solo per gettare fumo negli occhi.

  18. Cazzo, però decidiamoci. Che qui, qualunque cosa fai è sempre sbagliata. mi viene in mente la cover di Antoine che Tiziano Scarpa postò (postò??? Brrrr… inviò) su NI l’anno scorso.
    Ve l’allego (la musica la conoscete già):
    Vendi poco e ti tirano le pietre.
    Sei un bestseller e ti tirano le pietre.
    Scrivi chiaro e ti tirano le pietre.
    Sei elitario e ti tirano le pietre.
    Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
    sempre pietre in faccia prenderai.
    Tu ti impegni e ti tirano le pietre.
    Stai in silenzio e ti tirano le pietre.
    Vai in tivù e ti tirano le pietre.
    Non ci vai e ti tirano le pietre.
    Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va
    e pietre prenderai senza pietà!
    Sarà così
    finché vivrai
    Sarà così
    Sei famoso e ti tirano le pietre.
    Sei sfigato e ti tirano le pietre.
    Sei tradotto, e ti tirano le pietre,
    recensito, e ti tirano le pietre.
    Qualunque cosa fai capire tu non puoi
    se è bene o male quello che tu fai.
    Tu hai successo e ti tirano le pietre.
    Tu fallisci e ti tirano le pietre.
    Te la tiri, e ti tirano le pietre.
    Sei modesto, e ti tirano le pietre.
    E il giorno che vorrai difenderti vedrai
    che tante pietre in faccia prenderai!
    Sarà così
    finché vivrai
    Sarà così

  19. Della serie “E chi se ne frega?” segnalo il mio debutto assoluto come commentatore su NI, proprio nel thread “Treviana#2” che indicava il Biondillo 🙂 Ho cercato di fare un discorso ragionevole, tanto lo so già che arrivano le pietre. Everybody must get stoned.

  20. Dado, due cose. La prima: non sarei sicuro che Sharpe va a vendere meno di un quinto di Faletti. Magari va così. Però non è nemmeno il punto: è che in America sta andando a vendere più di Brown e, a differenza del CODICE, ha scritto un libro che è letteratura. Quindi, mentre Brown tra ventidue anni nessuno si ricorda chi fosse, potrebbe essere che Sharpe ci si ricorda chi fosse e si va a comprare in economico GLI SCHWARTZ. Per tornare a una vecchia cosa: Carolina Invernizio vendette tantissimo, Leopardi non più di trecento copie, alle rispettive uscite. Chi ha venduto di più a oggi? Questo era il discorso che facevo: la storia della letteratura, se proprio si vuole tirarla per la manica, ha un mercato mostruosamente superiore alla storia delle stronzate.

  21. Gianni, dipende se quelle che ti arrivano addosso sono pietre, torte o schizzettini d’acqua. Nel caso che qui non si discute (io non lo discuto) siamo ben al di sotto della pericolosità dello spruzzetto di una pistola ad acqua. Nel caso che invece qui si discute (cioè GLI SCHWARTZ) mi pare che Sharpe ci tiri addosso un diamante. Ti farà male, magari, ma poi te lo pigli e te lo porti a casa.

  22. Jonathan Franzen, Michael Faber, Alice Sebold, Dave Eggers, Chuck Palahniuk, Anne-Marie MacDonald, Donna Tartt, Zadie Smith, Jeffrey Eugenides, Jonathan Safran Foer…vado a memoria e dunque con arbitrio. Autori nuovi di area anglosassone diventati bestseller in patria e nel resto del mondo. C’è dietro una potentissima macchina editoriale? Certo che c’è! Molti di loro gratta gratta non sono all’altezza del valore che gli viene attributo. Lo penso anch’io.
    Ma quindi anni fa in classifica vedevi davvero solo Grisham, Cornwell, Clancy, Follett e compagnia.
    Ma questi c’entrano con la letteratura, c’entrano con un bisogno di leggere che vada ben oltre un intrattenimento tra l’altro assai prevedibile.
    E fra gli italiani troviamo Ammaniti e Mazzucco, (che può piacere o no, ma non è la Tamaro o la Mazzantini), Cammilleri ecc. ecc.
    Strana contradizione: fra i sempre meno libri che vendono si trovano sempre più…libri.
    Il mercato funziona così, ma quel che si chiede al mercato è (in parte) cambiato.

  23. Voglio dire, “figuriamo”. Facciamo finta che ognuno di noi potesse, per una volta, incontrare il proprio “più grande nemico” per cantargliele, finalmente. Voi, chi ci mettereste di faccia a Benedetti? A. Ferrari di Mondadori, il primo uomo italiano accusato di aver preteso il famigerato 15%. Lui si presenterebbe con l’immmancabile sorriso e…cosa si direbbero?; B. Un lettore spaparanzato assonnato, tirato via a viva forza dal volume “clonato” cui sta attaccato come un mollusco, scambiando la “merda” – non spiriforme – che sta leggendo per letteratura di qualità lui, come tutti i dementi starebbe zitto. lei, che cosa gli/le direbbe? ; 3. le colonne di libri che militarmente organizate le vanno incontro a fucile spianato. Non mi viene il dialogo. Mi sono intristita.

  24. genna,
    leopardi è leopardi a prescindere da quanto abbia venduto…
    ma che io sappia sharpe non ha venduto come davinci code: su amazon brown è 9° mentre sharpe è in fondo alla lista (stiamo parlando dei paperback con uscita originale 2003); stessa cosa da barnes e nobles.
    sulla lista dei best sellers del nytimes davinci code è appena stato scalzato dal primo posto dopo 98 settimane (l’harcover) e sharpe non c’è già più da un bel po’….
    questo per dire che non è vero che i migliori vendono di più.
    quelli che vendono di più sono i migliori di quel genere: codice davinci è il miglior libercolo per ingannare il tempo in spiaggia così come faletti.
    la letteratura è altra cosa…
    ed inutile pensare che il lungo termine risolva qualcosa… roth lo vendi tutti gli anni ma in proporzioni modeste (di quelli vecchi sto parlando)
    le correzioni di franzen è stupendo ma tra 20 anni lo venderanno come adesso si vende le ristampe di yates nulla più.
    tutto ciò per dire che i best sellers sono ontologicamente libri meno letterariamente validi rispetto a quelli “alti”, per il semplice motivo che non ci sono così tante persone in grado di apprezzare un “buon” libro (che spesso è difficile…) e più passa il tempo più la mia impressione è che le persone con la passione per la letteratura siano sempre meno.
    p.s. mentre scrivevo questa piccola nota di davinci code ne ho venduti 2 :-)))
    gianni se posso preferisco sempre vendere un bel libro rispetto ad uno che non lo è, ma, lo saprai meglio di me, saranno in 15 al mondo a fare i soldi scrivendo libri….

  25. Sto per scrivere cose di una banalità sconcertante. Sono banali, perché il dibattito è banale. Vecchio. Ripropinato centinaia di volte, e tanfereccio di muffa. Poi non ne scriverò più.
    Ferroni, bontà sua, concede che Hammett e Chandler scrissero grandi cose. Benedetti, toh!, cita positivamente Salgari e Dick.
    Altri hanno tirato in ballo Scerbanenco: “Mica ce l’ho con la letteratura di genere, anzi, Scerbanenco, lui sì…”
    Tutto questo solo perché Salgari, Hammett, Chandler, Dick e Scerbanenco sono morti.
    I critici di quei tempi non li presero mai in considerazione o, se lo fecero, scrissero che era roba pre-fabbricata, fatta con lo stampino, frutto di bieco calcolo commerciale, che corrompeva il gusto del pubblico perché “non c’era lingua”[*], che toglieva spazio ai libri-libri, che il feuilleton di una volta era meglio del feuilleton di oggi, che di quel passo dove si sarebbe andati a finire etc.
    Harold Bloom scrive le stesse, identiche cose sul conto di Stephen King.
    Il quale, giustamente, se ne fotte.
    [Aldo Gianolio, su quest’atteggiamento, ha scritto un divertente racconto, che dà il titolo al suo libro “A Duke Ellington non piaceva Hitchcock”. In esso, Duke Ellington, all’uscita di “Intrigo internazionale”, sciorina giudizi sprezzanti e sbrigativi sul film di Hitchcock, tutti basati sulla distinzione tra cultura “alta” e “bassa”, tra Arte e semplice intrattenimento, tra cultura e consumo, apparentemente senza rendersi conto di ricorrere agli stessi, identici argomenti dei parrucconi che vituperavano il jazz!]
    Al contrario, Salgari ieri e King oggi (come anche Dick , Chandler e Hammett) hanno spalancato le porte della lettura perché molti altri vi passassero.
    Ho imparato a diffidare di queste riscoperte tardive e strumentali.
    Chissà quale poderoso lancio di sasso nello stagno credeva di aver effettuato, Carla Benedetti! Chissà quale benefico scossone s’immaginava di assestare! In realtà, tutto si sta ripetendo tale e quale a sempre, la rugginosa polemica arranca su binari collaudati, attraversando paesaggi di rara monotonia. Non ci son più le mezze stagioni, e i negri hanno il ritmo nel sangue.
    *) A volte era vero, almeno in parte, come nel caso di Dick o di Salgari – ma non c’è soltanto la lingua, c’è anche l’immaginario.

  26. Sono confuso. La Benedetti parla di depistaggi, rubando in questo parte dell’immaginario del mio pard Genna. E poi ce l’ha a morte coi best seller, citando i bei tempi andati. Gente come Salgari, morto poverello e suicida, e Phil Dick, un altro che ha avuto in vita la grande soddisfazione di annoverare tra i suoi fan il fior fiore della critica letteraria, non vi è dubbio. Ce la vedo, la Benedetti che legge Salgari e Dick. Ce la vedo proprio. Poi corro a dare un occhio su NI e vedo che c’è il professor Lodoli che parla di semplicità contrapposta all’ipernarrazione, contribuendo a creare spiegamenti nemici (in una guerra tra poveri, sia chiaro). Io, lo ripeto, sono confuso. Wu Ming, temo che più che tirarti pietre, in quel posto lì ti tireranno seghe, perché, e mi scusi la padrona di casa per la mia volgarità (giuro che non accadrà mai più), questo si sta facendo in quel luogo. Il tutto a partire da un bel libro di Trevi, e questo mi spiace. Per quel che riguarda la Benedetti, invece, che dire? Depistaggi? Depistaggi? Non avessi giurato poco sopra di non essere volgare verrebbe voglia di mandarla affanculo. Sarebbe come dire che in realtà lei sta galoppando la tigre solo per defibrillare la Critica. Carica a trecento. Libera. Carica a trecento. Libera. La stiamo perdendo. La stiamo perdendo…

  27. and btw quello scritto oggi da carla benedettisul corriere (e due settimane fa sull’espresso) è la sacrosanta verità (per quanto mi riguarda e vi assicuro che facendo parte della catena che va dall’autore al lettore lo si coglie)

  28. Scusate se lo segnalo qui (che non c’entra nulla), ma Antonio Pascale – sempre che sia lui – ha lasciato un commento piuttosto seccato in coda al pezzo su Best Off.
    Saluti.

  29. Scusate i quattro pezzi. M’è partita la mano caratteriale. Vorrei, sette cani. No, ne ho solo uno. Oltre a non riuscire a essere come la Dall’Olio non sono mia riuscita ad averne più di uno per volta.

  30. Scusate se insisto con il “mercato”. Ma credo c’entri anche coi libri. Perchè a me un romanzo per piacermi, deve darmi l’impressione che l’autore conosca benissimo le “strutture economiche” della società in cui ha collcato la storia. Mi deve dire come la gente si procura da vivere, come mantiene i figli. E indirettamente mi dirà anche come è organizzata in quel tipo di società la “struttura familiare”. Altro elemento che considero imprescindibile da una buona storia. L’esistenza o meno di questi 2 fattori in una storia sono per me molto più importanti che non il “parlare o non parlare di sè” (altro post). Quindi, scusate ancora, sarà un problema mio, ma vado avanti col problema posto da Bendetti – il libero mercato e l’editoria. Facciamo un “esercizio di retorica” da quattro soldi. Facciamo finta che Benedetti abbia del tutto ragione. I lettori sono tutti “controllati” e i libri stanno all’entrata delle librerie militarmente impilati. La tassa richiesta nella foresta di Sherwood è il 15% Sì. E’ esattamente così. E’così, sì. Quindi? ‘Che famo, noi, poveri cristi’, come si dice a Roma? Giuriamo di non guardare mai più, e anzi, o soprattutto facciamo opera di “evangelizzazione”, cercando di convincere quanto più “lettori polli” possibile a non comprare merda non spiriforme? E sì perchè la Benedetti – sicuramente per suoi meriti non dico di no – per esempio, parla da un giornale, fa “esercizio critico”. Io, due collaborazioni pagate ce l’avevo e me l’hanno tolte perchè sono caratteriale. A una terza ho rinunciato io, perchè li ho mandati a cagare. E questo per me non è un motivo di vanto perchè ho semplicemente confermato la mia caratterialità. Quindi? A chi, dico “Non comprare Dan Brown”?” Al mio vicino di casa? Al cane? alla vecchia che incontro quando porto a pisciare i miei sette cani? A voi che lo sapete già? Mi devo iscrivere in parrocchia per dire di non comprare Dan Brown? No. Però. Ah. Se mi potessi scegliere diversa, mi dico. Mi sceglierei conciliante e con nessuna altra voglia che “giustificare il mercato e le sue bellezze”. Una specie di Anselma dall’Olio, se potessi, vorrei diventare. Non sto dicendo lei a caso. Il mercato. Sì, perchè la Benedetti che si scaglia come “la libertà che guida il popolo” con tro i meccanismi di mercato, quella la capisco. Davvero. la sento simile a me. Avverto la sua incapacità – assolutamente simile alla mia di diventare come la Dall’Olio, sil suo disagio – Capisco – vedi che parlare serve, mi dico – che alla Benedetti non piaccia. Questo sì, mi piace e lo condivido. Ma limitarsi a polemizzare “solo” contro i “meccanismi editoriali” -peraltro non facendo mai un nome – “perchè la Feltrinelli (Librerie) non si comporta come se fosse Mondadori, anzi peggio certe volte? Dov’è finita la sua diversità’, a proposito di librerie e librai – e non vedendo che il problema, e le lotte da fare sono “a monte” , mi pare – come ha detto Wu Ming con un’espressione nordica che a me piace tanto – sia da parte della Benedetti un voler “ciurlare nel manico”. Forse dettato da “buona fede”, forse ingenuo, forse da “caratteriale”. Ciò non toglie che – è evidente – il “problema” posto in questi termini sia un “non problema” poichè non prevede alcuna soluzione. Non permette di “immaginare, comunicare, prevedere” da soli – o in comunità a coppie, in tre, due maschi e due femmine, tutte femmine, tutti maschi – alcun tipo di soluzione – provvisoria o definitiva – che non sia il “lamento”. Per il quale la soluzione è una: unica: la soluzione Schoum.

  31. ..peraltro visto che si cita sempre quel povero cristo di Adorno – perchè costretto a emigrare dalla barbarie contro cui si “scagliava” – mi pare che la sua “grandezza” non stia tanto nella sua capacità di vedere l’inutilità o la bruttezza della merda non spiriforme. Credo che anche l’individuo meno “criticone” al mondo e più “adattabile” si sia posto almeno una volta nella vita il problema della musica assordante nei grandi magazzini, o si sia detto, “Quant’era bello quando la musica la ascoltavano dal vivo, e adesso io la sento riprodotta”. Corre un dovere di pensare che sia così. La vera capacità di Adorno – e quella sì andrebbe imitata anche se non so con quale esito, perchè non è come il lamento, di facile imitazione – la sua vara capacità dicevo, è quella di attribuire “significati diversi” a cose che in tanti vedono “uguali”. La sua capacità di percepire “disagio” laddove gli altri vedono “comodità”. E’ un meccanismo più simile all’esercizio di una “poetica” che alla elaborazione di una “teoria”. Per questo non è imitabile. E poco secondo me può fare anche lo studio, anche se aiuta. Sicuramente per cominciare è utile quando si mette il soggetto al singolare, non mettere il verbo al plurale, come ho fatto io nel post precedente.

  32. Una cosa per Dado: io non ho dubbi che dalla parte del libraio si colga la parte apocalittica della vicenda (scusate l’aggettivo, ma al momento non me ne viene uno migliore). Il punto è: cosa si fa perchè si entri in libreria con un’altra idea in testa? Ma non cosa si fa sui giornali, cosa si fa “prima”. Quel che si sta dicendo qui da svariate settimane, e che Wu Ming 1 riassumeva a perfezione è: non stiamo decidendo cosa è e cosa non è letteratura (figurarsi). Stiamo dicendo che esistono veicoli che possono portare lettori: ma se continuiamo a dire che Faletti, i thriller anglofoni e la narrazione millefoglie o millestrati non son cose da leggere, siamo al punto di partenza. Per dire, Salgari. All’epoca vendeva centomila copie! Era adorato, sia pur di nascosto, dai lettori giovani. La critica ha continuato a ignorarlo, sempre. Finchè, complice una malattia nervosa della moglie, il nostro scrisse un po’ di lettere (se non ricordo male, due erano per editori e giornali) e si uccide. Di Philip Dick si è cominciato a parlare benissimo dopo morto. se si persiste in questo atteggiamento, come si pensa di “far qualcosa per la lettura”, come si sente ripetere a ogni piè sospinto? Basta, taccio.

  33. Esattamente due anni fa, di questi tempi, ho trascorso qualche settimana in Malesia, facendo tappa sia a Labuan che nell’isola che un tempo si chiamava Mompracem. Era un reportage per Genteviaggi, un reportage che spero uscirà nei prossimi mesi. Se mi girate l’indirizzo della Benedetti le spedisco le foto di Mompracem, così si commuove pensando ai bei tempi in cui al popolo ci pensava Salgari e non il padrone-cattivo…

  34. mi fa piacere il post di loredana:per quanto mi riguarda siamo arrivati al nocciolo della questione.
    io ho cercato di seguire il dibattito sui vari mezzi (spero non mi sia sfuggito nulla), partendo dall’articolo di carla sull’espresso poi ripreso da nazione indiana.
    là dice una cosa sacrosanta: gli editori puntano tutto ultimamente sul best-sellers preconfezionato, la critica è assente e il punto vendita si sta modificando.
    tutte cose sacrosante secondo me.
    qui non interessa fare la storia della critica letteraria ma segnalare che i libri che vendono molto sono libri che hanno molto passaggio [sui giornali e soprattutto in tv: voi non ci crderete ma quando di un libro si parla in certe trasmissioni il giorno dopo va che è una meraviglia, è una cosa automatica non sto scherzando: melissa p. dal costanzo? via cento colpi di spazzola; la clerici fa ristorante? via le ricette; il corriere foglio panorama e altri pompano la fallaci? rabbia come se piovesse; per finire la cosa che secondo me ha più senso ed è un peccato che sia dalla de filippi, busi cita un libro? via con le nonne della lessing (che prima stava marcendo sullo scaffale, cioè la lessing da feltrinelli); naturalmente invece quelli citati a fahreneit dal buon marino sinibaldi non se li fila nessuno]
    e gli outsider sono sempre meno, le scoperte pure.
    Io cioè non sto parlando di letteratura alta ma semplicemente di omologazione e di best sellers tutti uguali.
    chi ha scalzato brown in america al n°1 dopo 98 (ragazzi 98 settimane!!) grisham. quel grisham che fa thriller giudiziari tutti uguali anno dopo anno (e quando cambia lievemente il genere come con la casa dipinta i lettori si incazzano pure).
    ma perchè un ragazzo italiano non si legge biondillo? genna? tò un morozzi? guardate che blackout è meglio di whiteout di ken follet!!
    Però quando esce l’ultimo di grisham o follet o kussler o brown o connely o smith o altri le pagine culturali dei giornali markette a manetta; oppure astrusi saggi che mai nessuno leggerà… ma di cornia (uno dei migliori italiani recenti) chi parla? o di nori? o di besson?
    Detto questo, i giornali sono gravemente colpevoli di aver invaso il campo, dopo essere partiti con una lodevole iniziativa (la pubblicazione di alcuni classici dell’ otto-novecento) pubblicando un libro a settimana (corriere e repubblica ma non solo) con marketta interna annessa.
    Riguardo gli editori: c’è minimum fax che ha il suo bel catalogo fatto di riscoperte, la marcos che è stata derubata dallo struzzo di fante (così come minimum di wallace).
    adelphi è due anni che non pubblica niente che sia bello e venda (da la versione di barney, escluso simenon); feltrinelli ha i suoi cavalli di battaglia, sempre i soliti (e strizza l’occhio al mainstream) e sta sputtanando letteralmente i suoi punti vendita. mondadori che domina incontrastata ma chissà come mai i suoi punti vendita sono dei fallimenti (perchè applica la stessa logica del catalogo ecco perchè, tiene solo quelli che vendono), le cose più ricercate le subappalta a frassinelli, tropea, einaudi (il catalogo migliore senza dubbio). ma che meriti ha una che compra il successo sicuro di roth, de lillo, franzen, wallace, auster, e ultimo sharpe?
    rizzoli e bompiani (tranne rare eccezioni) non pervenute.
    e poi ci sono le nicchie di guanda, neri pozza e sellerio e meridiano zero (più fazi) che pubblicano cose interessanti.
    il meccanismo l’ha descritto bene carla…
    chiudo, e mi scuso per la lunghezza, faletti si può leggere (ci mancherebbe)ma se lo si fa passare come il miglior scrittore italiano tout court (orrico) non so che voglia viene ad un lettore di approffondire altro o sforzarsi di leggere altro, stessa cosa per il codice da vinci se lo si fa passare come il libro “assolutamente da leggere” non so come possano crescere quei lettori….

  35. Scusate il punto di domanda sopra, era una prova, non si caricavano i commenti e non leggevo nulla.
    Per me la polemica degli spiriti non benedetti è stracotta. Se a voi interessa, mi assento, perché a me non frega un cazzo del discorso sul funebre, né delle ubbie apocalittiche di chi non capisce che qui e ora la realtà è contrasto e scontro, ma non uno scontro morto in partenza. Stasera ero a cena con Piperno, il cui romanzo in uscita presso Mondadori potrebbe ricordare assai da vicino GLI SCHWARTZ. E’ evidente, o almeno lo è a me, che l’intercettazione di temi e modalità è un fatto comune: non nel senso di normale, bensì attinente a comunità. Sharpe utilizza un’allegoria familiare, Piperno, nel suo CON LE PEGGIORI INTENZIONI, pure. La prendo da un’altro lato. Evangelisti e Wu Ming distorcono il genere storico, lo allegorizzano. Questo a me sembra importante. Non dico lo sia in assoluto, ma a me pare decisivo. Questi scrittori stanno aprendo una strada: è importante. E Sharpe è addirittura fondamentale, perché apre una strada nel cuore di un cadaverico ex impero che si autopretende impero attuale. Impegno qui un punto di vista sociologico e storicista che non mi appartiene per natura, ma in questo caso il ragionamento sulla cultura critica americana mi sembrerebbe degno di amplificazione…

  36. Postilla: per esempio la migliore rivista di libri godibile da chiunque è PULP: tante recensioni, belle interviste, interessanti rubriche, libri mediamente validi, certo qualche stroncatura.
    le case editrici dovrebbero sostenerla, anzi proprio finanziarla, e invece quante pubblicità avete visto su pulp pagate dalle medesime?
    zero, ecco quante. questo è il panorama che ci circonda…

  37. ecco genna, con questo (montebello ipermercato)si chiude la parobola sullo stato della letteratura: i libri non solo si vendono al supermercato accanto ai detersivi ma si presentano anche!!
    p.s. questi concetti come sono stati accolti dalle casalinghe di voghera?
    p.s.1 questa cosa se ci pensi bene era meglio immaginarla e scriverla (perchè è veramente ottima) che farla davvero e poi fare un resoconto…
    (tutta l’operazione intendo)

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