Il muro contro muro di qualche post fa (sì, ancora i monnezzoni) comporta dei rischi. Cerco di spiegarmi: nessuno, in ambito mainstream, si sognerebbe di difendere il “romanzo” a prescindere (e lasciamo perdere, per ora, le cicliche discussioni sulla fine del, morte di e quant’altro).
La difesa della narrativa fantastica a prescindere è cosa che non si dovrebbe fare e che non dovrebbe avere senso alcuno in un mondo letterario meno asfittico di quello italiano. Purtroppo, è importante invece farla: per una lunga serie di motivi, anche esposti nei duecento e passa commenti natalizi, nonchè nel post dedicato all’informazione sul fantastico.
Ma, come ho avuto modo di vedere in questi giorni, ci sono dei rischi. Uno dei quali è quello del tutto uguale a tutto. Ovvero, sostenere, come qua e là si sta facendo, che ogni testo prodotto nell’ambito del fantastico è ugualmente valido. La domanda viene posta da Sascha, qualche commento fa, in questi termini:
Omero e Robert Jordan? La Bibbia e R.R. Martin? Dante e Christian Paolini? Davvero tutti avevano gli stessi obbiettivi? Davvero era proprio lo stesso ‘genere’?
La risposta è no, per quanto riguarda non solo gli obiettivi, ma contenuti e linguaggio. A mio parere, sul genere si potrebbe invece rispondere sì: Christopher Paolini e Dante hanno punti in comune quanto ad appartenenza. Il giudizio di merito è, molto ovviamente, diversissimo.
E questo è un punto da non tralasciare proprio per non avvalorare le tesi del monnezzone.
Ci sono testi e testi.
Ci sono testi scritti per un pubblico giovanissimo, per esempio: il che non significa che tutto il fantastico sia rivolto a quella fascia d’età (e anche qui, le differenze vanno sottolineate. In ambito “generalista”, Geronimo Stilton e Roald Dahl non sono la stessa cosa).
Ci sono autori che seguono l’onda di un successo seriale, e ripropongono fino all’usura lo stesso modello, e autori che si rinnovano.
Infine, ci sono editori che amano confondere le acque e far passare sotto la stessa etichetta opere diversissime per target, lingua e contenuto.
L’assunzione di responsabilità da parte di chi scrive , a mio parere, non sta nel dotarsi di un fine pedagogico rinnegando il piacere della lettura: sta nel rapportarsi consapevolmente con il proprio lavoro. Affermare “piace (vende) dunque funziona” è la stessa argomentazione usata dagli autori di Buona Domenica (non scherzo). Con l’aggravante che questa logica finisce con il dare ragione a chi sostiene che la narrazione fantastica italiana è cosa da non prendere in seria considerazione.
Uso le parole di Valerio Evangelisti sul giallo e noir, per essere più chiara. Erano i tempi di Distruggere Alphaville, tre anni e mezzo fa.
Se il grosso problema, per lo scrittore senza etichette, è la ripetitività, per quello di genere sono le gabbie (…) Personalmente, comincio a non poterne più dell’investigatore privato cinico e disilluso, del poliziotto coraggioso che si scontra con l’abulia dei superiori, dell’agente tormentato da problemi intestinali, del serial killer tanto idiota quanto capace di raffinate nequizie, dell’astronave carica di rutilanti gerarchie in viaggio verso ultime frontiere, di giudici zelanti che riaprono casi dimenticati, di avvocati anticonformisti in crisi esistenziale ecc. Ognuno di questi topoi ha alle spalle alberi genealogici illustri. Ogni loro riproposizione negli stessi termini accorcia, magari inconsapevolmente, la distanza che separa “L’esorcista” da “L’esorciccio“, il laboratorio dell’alchimista dalla cucina di casa. Gli esiti sono garantiti (come Eco ha dimostrato analizzando la ripetitività in Rex Stout), ma logorano progressivamente il genere, riconducono l’opera “al nero”.
Quella che poteva essere una sfida, diventa acquiescenza e consolazione. Inutile criticare, da una posizione tanto fragile, le banalità del romanzo borghese. Inutile stigmatizzare il vuoto a partire da un vuoto ancora peggiore. Sarà magari vero che la narrativa noir (e qui comprendo sotto l’etichetta l’intera letteratura di genere, “nera” in varie forme) ha le potenzialità per descrivere meglio di ogni altra la società odierna. Però non basta prendere atto di questo, e adagiarsi sulla rassicurante constatazione di essere nel giusto. La cognizione deve farsi coscienza e, sul piano dell’atto, tradursi in militanza.
Basta con i percorsi obbligati e i luoghi comuni. Basta con l’astronauta coraggioso, il commissario umano, il giudice senza macchia, l’assassinio seriale dalle efferatezze allucinanti e dalla psicologia confusa, il mostro vampiresco che percorre la storia identico a se stesso. Tutto ciò conduce a quella che alcuni hanno chiamato, parzialmente a ragione, la “voga thrilleristica”. No. Il genere è sostanza esplosiva a cui manca l’innesco. Autori come Ballard, Ellroy, Vonnegut, Manchette, Raymond e quasi tutti gli altri che ho citato più sopra lo hanno trovato e attivato. Usciti dagli schemi e dai percorsi obbligati, si sono visti immersi nella letteratura senza classificazioni, non più emarginabili, non più viventi da emarginati. Se poi qualche accademico continua a sollevare il sopracciglio, diventa problema suo, non loro. Il parruccone si troverà a sua volta in un ghetto, fino a riuscire a berciare solo sulle pagine screditate e avvilenti de Il Domenicale.
Sostituite il commissario con l’elfo o con il vampiro, e la sostanza non cambia. Questo intendo per assunzione di responsabilità. Questo il rischio, enorme, delle generalizzazioni. Attenzione.
Il vero distinguo, secondo me, è tra chi censura e reprime le opinioni diverse dalle sue e tra chi ascolta e accetta i non omologati.
Per quanto mi riguarda, posso dire serenamente, e senza tema di apparire presuntuosa, che ho sempre scritto quello che mi sarebbe piaciuto leggere, cercando idee, personaggi, spunti, atmosfere, e che non l’ho fatto nell’ottica di mode o stereotipi. Sia nella fantascienza (racconti), sia nei miei romanzi fantasy.
Poi, sulla riuscita e’ altro discorso. Forse c’entra anche “ci sono editori che amano confondere le acque e far passare sotto la stessa etichetta opere diversissime per target, lingua e contenuto.”
Non lo so. Diciamo che mi sento serena riguardo i miei sforzi e le intenzioni, con la coscienza tranquilla, la sensazione di aver dato quanto era in mio potere, e per il piacere di scrivere.
Devo pero’ riscontrare, con molta amarezza, che i risultati non sono stati sufficientemente incoraggianti.
Ritengo, per caso sfortunato, o negligenza o condizioni atipiche e asfittiche del panorama italiano, o per l’essere stata sballottata da ondate di polemiche in rete, di aver raccolto molto meno di quanto nelle mie intenzioni avevo seminato.
credo che in quest’ottica l’invito di lara manni a una più approfondita riflessione da parte degli autori sia assolutamente di buon senso e non per dire, elfi e maghi allora basta anche se avevo una buona storia non la scrivo perché ci sono gli elfi. Ma porre un’attenzione maggiore a come la si scrive a trovare nuove vie narrative.
Poi siamo tutti ben consci che la letteratura di genere non produce sempre e solo meraviglie, ma questo ragionamento non vale solo per il genere fantastico. In ogni ambito della vita abbiamo queste situazioni. Il problema se volete è proprio il quel funziona-vende, che è una posizione del tutto acritica rispetto alla qualità di cosa sto vendendo perché alla fine conta solo la vendita. Il solo potere del lettore in tal senso è non comprare come in televisione e girare canale o spegnere (per leggere un monnezzone). 😉
Provo a introdurre un tema tanto aborrito quanto fondamentale: come i libri circolano nel mercato. Mi spiace contraddirti loredana ma l’assioma “vende dunque funziona” non è così banale: è la cantilena che da tanti anni regge le sorti del mercato editoriale italiano. Basta leggersi qualche intervista, una sta qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/08/26/se-il-libro-non-vende-sbagliato.html
Sembra quasi che gli Autori, per l’intera loro vita Autoriale, non siano mai entrati in una casa editrice (magari grande, magari da mass-market… e son quelle che comunque determinano le strategie di tutti, anche dei piccoli editori coraggiosi), non abbiano mai partecipato ad una convention commerciale, non abbiano mai scambiato due parole (dico due) con un cervellone del marketing.
I monnezzoni sono quelli che ogni grande-editore si contende a suon di rialzi d’asta perché fanno pilone in libreria e “vendono” e fanno budget e riempiono i bilanci e sottraggono spazio alla concorrenza. Anzi i monnezzoni, mediamente, hanno anche il formato più grande degli altri libri perché, destinati ad occupare i posti migliori in libreria, così rubano ancora più spazio alla concorrenza. E le copertine rutilanti, che contengano draghi, scarpe col tacco a spillo (vero Kinsella?!), marketing di base per gli straccioni ottusi dalla crisi, belluine fregnacce in chiave intelligentironicamericane, sono il verbo assoluto per chi costruisce materialmente i libri (direttori di librerie di una nota, progressistissima catena libraria italiana già negli anni ’90 insegnavano a noi poveri commessi viaggiatori di piccole case editrice di qualità quanto le nostre piccole copertine di qualità fossero insulse e di quanto le rutilanti suddette delle major fossero ganze e furbe e rutilanti, appunto). Tutto si faceva lì: rutilanza, rutilanza, rutilanza.
Solo che i monnezzoni fanno anche la pubblica opinione, strutturano gusti e idee (sic) del pubblico pagante, creano l’identità delle bambine che si vedranno sempre meglio rappresentate da Twilight che non dal libro, un po’ troppo astruso e difficile da leggere, della Lipperini o della Belotti. Quel palloso di Adorno?! Chi era costui?!?!?! E Camus, romanziere borghese, cos’è? Una marca di sigarette fumose?!
Insomma, la letteratura di genere ci guarda, a noi società, e ci descrive meglio di chiunque altro. Il coraggio di trovare storie “nuove”, uscire dai canoni della ripetitività, ecc, tutto ciò non è sufficiente per uscire da un ghetto di pochi affezionati lettori quali siamo, per affrancarci da un mercato che chiede numeri, impietosi numeri. Il nostro mestiere ci impone altro, molto meno edificante, molto meno romantico. E coraggio, tanto coraggio, da qualsiasi parte si stia: Autori, Critici Letterari (quelli delle recensioni a pagamento senza leggere neppure una riga – e lo so anche per esperienza diretta di recensore presso un quotidiano nazionale, in anni passati), lettori (poverini!) e commessi viaggiatori che determinano, anche loro – anche noi, il posto che compete alle rutilanze che sappiamo… Ciao.
Desian, non ho detto che sia banale, quell’affermazione. Ma proprio perchè è vera chi scrive, e nel caso scrive di fantastico, deve prendere una decisione: o si sottrae, o firma felicemente il monnezzone infischiandosene di chi lo definisce tale.
Perchè proprio perchè quell’affermazione è vera, il rischio è che, dietro l’apparente visibilità data al genere si nasconda la sua fine. Esattamente come denunciava Evangelisti.
Poi, c’è sempre l’Oceano blu. Dove, a volte, i numeri possono essere persino maggiori. La Rowling era Oceano blu, all’epoca.
Io rimango ancora basito dall’improntitudine (ma userei altri termini) di chi dice che la Bibbia ‘se non si crede’ è fantasy…
C.S.Lewis, un polemista cristiano che scrisse sia fantascienza (Out of the Silent Planet…) che fantasy (Narnia) in narrazioni ispirate ai valori cristiani che avrebbe detto di una riduzione a fantasia della Rivelazione? Mi dicono anche avesse un cattivo carattere…
Lungo tutta questa discussione i bravi militanti del partito Fantasy hanno ribadito più e più volte la linea del partito, i suoi slogan, i suoi anatemi, la sua genealogia immaginaria.
Il delitto peggiore, chiaramente, è l’appropriazione indebita del termine stesso: se non ami romanzi di migliaia di pagine su maghi e vampiri sei contro la ‘fantasia’ stessa. Sei una persona arida, calcolatrice, priva d’immaginazione, spenta… Mettiamo ti piacciono romanzi d’avventura privi d’elementi sovrannaturali, basati sulle lotte e i conflitti del mondo umano o speculazioni futuriste sul mondo che conosciamo: niente, puoi provarle tutti, puoi elaborare trame, sorprese, esotismi – niente, non hai fantasia.
Poi il fantasy come ‘rivolta contro il mondo moderno’, descritto come razionalista, materialista, ateo, disincantato, privo di passione e bellezza…
La fantasy espelle dal ‘genere’ tutto ciò che è delle lotte, fatiche, gioie, amori, paure dell’umanità? Certo che no, semplicemente le vuole abbellire ed elevare: spade invece di fucili, mantelli invece di impermeabili, incantesimi invece di computer. Insomma, pretendiamo il lusso che distingua la nostra ricchezza interiore dal ‘volgare materialismo’ e dall”arido scientismo’ e magari anche dalla ‘dittatura del numero’.
Lasciamo perdere la Bibbia-fantasy, ma tracciare le origini del ‘genere’ a Omero e Gilgamesh a che serve? A nobilitare strategie commerciali e ambizioni personali come quelle famiglie nobiliari che nell’antichità si facevano risalire a Venere o Enea o Bruto; a innalzare i propri modesti risultati usando come sgabello precendenti ‘indiscutibili’; a buttarla in caciara…
Fare finta che per i greci e i romani (e tutti gli altri, gli ariani, gli indiani, i cinesi…) i miti avessero lo stesso valore della Terra di Mezzo per noi, che fossero storie edificanti e d’intrattenimento e non le strutture della vita…
Insomma, in un certo senso il fantasy come chiave interpretativa del mondo moderno funziona eccome: quando si ha tutto – la casa in proprietà, le due auto, il televisore al plasma, Internet e l’iPhone – si vuole anche l’anima bella ed elevata a costo zero, senza obblighi ne’ norme ne’ sacrifici…
(sarcastico? beh, sì – ma ha letto Gemini e Nancy?)
Del resto l’ipertrofia delle pretese non è limitata al fantasy. Davvero dovremmo credere che l’Edipo Re sia stato il primo giallo, un primo esitante tentativo sulla strada verso Jeffrey Deaver? O che il giallo sia la narrativa con il potenziale maggiore per descrivere il mondo moderno? Perchè? Perchè ci sono degli omicidi e se ne parla in tivù malgrado in realtà ce ne siano sempre meno?
Dopo il Nome della Rosa è cominciata la grande ondata dei gialli ‘storici’, ambientati in tutte le epoche: cioè, quando mai non ci sono stati degli omicidi? Ma se questo dimostra qualcosa è solo che il passato, che non sentiva alcun bisogno di romanzi gialli, può essere facilmente colonizzato dalla formula standard ‘assassinio-indagine-indizi-cattura del colpevole’ che finisce per non avere nulla di specificamente moderno…
I ‘generi’ di cui parliamo sono tutti nati con la modernità e le loro radici sono largamente immaginarie, imperialismo culturale che fa il paio con le pretese di poter indagare al meglio il mondo moderno al posto della disprezzata narrativa ‘mainstream’, quella che deve giocare in proprio e non può affidarsi alle formule del ‘genere’ approvate dai bravi militanti…
Per concludere: il mio scrittore preferito del XX secolo è Georges Simenon, il quale ha scritto moltissimi romanzi di genere poliziesco (niente fantasy quindi, immagino, niente fantasia…). Eppure i custodi delle tavole della legge hanno spesso storto il naso di fronte a Maigret: a volte le catene deduttive non erano per nulla chiare, a volte il caso contava troppo nella soluzione del caso, a volte il colpevole non veniva nemmeno punito – e poi Simenon ha scritto un mucchio di roba non di genere che perciò non conta…
Oh, aggiungo che il resto del discorso, suo come di Evangelisti, lo condivido in pieno…
Sascha, più che sarcastico, ingiusto. Non mi sembra, nei quasi trecento commenti all’altro post, ci siano stati slogan e anatemi. Non qui: sicuramente, non condivido l’approccio dei commentatori di Licia Troisi, ma posso comprendere il diverso contesto. Non mi sembra che la maggioranza delle argomentazioni, qui, sia stata così semplicistica.
E nessuno ha disprezzato il mainstream: se poi si vuole a tutti i costi avvalorare una divisione, sia.
sascha non capisco tanto astio e sarcasmo, quello che tu definisci il partito del fantasy non mi pare abbia nel corso della discussione sostenuto che se non è fantasy allora è privo di fantasia.
Parentesi. Personalmente, da persona che in questo particolare momento di difficoltà generale lavora e poi a casa fa altri lavori che altrimenti non campo, sentirmi dire che siccome ho il cellulare figo e l’adsl allora voglio l’anima bella ed elevata a costo zero, mi fa anche un po’ girare le palle. Chiusa parentesi.
Quindi tornando a noi, credo che nè GL, nè WM4, ne Francesco o Lara potrebbero mai sostenere che solo il fantastico ha il monopolio dela fantasia e della bellezza letteraria sostenere una cosa del genere sarebbe a dir poco risibile e infatti nessuno l’ha fatto.
Certo il fantastico ha “meno vincoli” quindi se vuoi ha una facilitazione in più rispetto a ciò che fantastico non è di questo ti potrei dare atto se non fosse che gestire quei vantaggi è tutto fuorché facile. Da cui i monnezzoni, che però sono trasversali.
Ora la gabbia che tu descrivi a mio avviso è abbastanza fittizia, non nel senso che il fantastico non abbia i suoi canoni, ce lo dicevamo già altrove, ma nel senso che il fantastico quei canoni ha le potenzialità per rivoltarli in toto qualora ne cogliesse la necessità. Comprendo Evangelisti quando dice basta con gli elfi-nani-orchi, comprendo lara manni quando dice riflettiamo su questa cosa, ma comprendo anche che se uno scrive e lo fa bene seguendo il filone draghi-elfi-maghi non fa necessariamente spazzatura, tutto sta da come sa ribaltare il fantastico esistente.
PS: se ci riferiamo ad altri blog è altro discorso
E infatti nessuno l’ha fatto?
“e non dimentichiamoci che il fantasy discende da Omero, che George R.R. Martin è la sua controparte moderna.
poi, i contenuti filosofici di molti libri fantasy sono incredibili.
la fantasia fa parte dell’animo umano: perché sopprimerla ?”
E ho dato un occhiata ai commenti in altri blog in cui questa epica discussione è stata citata e commentata: vi lascio immaginare…
Comunque, si sarà capito dai miei interventi che buona parte della mia vita di lettore l’ho passata proprio nei ‘generi’ quindi, almeno dal punto di vista della conoscenza, credo di poter parlare con cognizione di causa.
E’ solo più tardi che ho cominciato ad uscirne e a scoprire che, per esempio, il mio scrittore preferito ‘alltime’ è Honore’ de Balzac e avrei preferito scoprirlo prima…
Si sarà anche capito che molte delle mie considerazioni sull’imperialismo dei fan dei generi favoriti dal mercato odierno è dovuta alla mia fedeltà a quel genere che, fino a non molto tempo fa, sembrava il genere simbolo della modernità, la fantascienza.
Come ho accennato altrove, l’unico romanzo di fantasy che ho veramente amato è stato il ciclo del Nuovo Sole, di Gene Wolfe, che in realtà è, appunto, fantascienza e che potrebbe essere un perfetto esempio di quell’uscita dagli schemi e dagli stereotipi di cui parlava Evangelisti…
sascha la frase che tu citi è una frase entusiastiche che non sta a escludere nulla dai, siamo elastici.
In altri blog stiamo attenti a non compiere un errore, in alcuni la presenza di adolescenti è molto elevata e il loro modo di dire quello che pensano è ben differente da quello di un trentenne o di un quarantenne. Ma se guardi nella sostanza spesso si tratta di difese appassionate o del genere o dell’autore. Una reazione assolutamente comprensibile e per nulla spiazzante, anzi.
Quanto alla maturazione di ognuno, saprai molto meglio di me che i percorso che ci fa diventare quello che siamo è fatto di passi uno in fila all’altro, se non li avessi fatti non saresti ciò che sei, io personalmente ci tengo parecchio al cammino che mi ha portato dove sono, e ci tengo anche di più al cammino che ho davanti.
Mi segno Wolfe.
Comunque, sulla psicologia del lettore di ‘genere’ vorrei raccontare una cosa.
Avevo letto a suo tempo American Psycho e ne ero rimasto disgustato: sì, Ellis sapeva scrivere; sì, avevo capito il punto satirico; ma alla fine una lunga successione di stupri e torture anche parecchio ripetitivi non era la mia idea di divertimento. Quindi, schluss mit Brett!
Poi l’estate scorsa, a seguito di certe letture e pensieri miei mi capita fra le mani Glamorama: lo leggo e, lo and behold!, è splendido! Lo divoro in tre giorni, lo rileggo con calma, lo consiglio a tutti.
L’aspetto che mi colpisce di più è che si tratta, oltre che di una satira, di un romanzo fantastico, con atmosfere di mistero spessissime e l’intimazione di un mondo incredibilmente più complicato e segreto del nostro. Eppure qualche ricerca in rete sembra suggerire che l’aspetto fantastico è stato in gran parte sorvolato dai lettori, compresi quelli del ‘genere’.
In compenso il romanzo aveva lasciato delusi i fanatici ammiratori di American Psycho, almeno molti di loro: quanti si erano identificati con Patrick Bateman ed i suoi stupri ed omicidi e speravano in more of the same non potevano identificarsi col povero Victor Ward, bellissimo ma stupidino e soprattutto vittima…
Sullo slancio di Glamorama mi sono letto di slancio anche Lunar Park che non solo mi è piaciuto ma, a tratti, mi ha anche fatto una discreta paura (averlo letto in un asettico albergo tedesco ha fatto la sua parte…). Il libro, certo, non è al livello del precendente, vista la struttura deliberatamente, quasi ironicamente, postmoderna di riassunto della carriera di Ellis.
La cosa che mi ha colpito è stato il disagio che Ellis ha finito per provare non tanto verso Patrick Bateman quanto verso i suoi ammiratori, quelli che l’avevano preso mortalmente (nel senso più inoffensivo del termine) sul serio, quelli che trovavano eccitante la descrizione di violenze alle donne e si identificavano nell’impunità di Bateman, senza badare troppo al fatto che i crimini erano immaginari…
Di fatto, Lunar Park non ha fatto nulla per recuperare quei fan che Ellis aveva perso con Glamorama e che hanno finito per rivolgersi altrove nella loro ricerca di efferate violenze alle donne, senza per questo trovarne di nuovi nel genere fantastico perchè, malgrado l’ovvio pastiche di Stephen King, lo spirito del romanzo è sideralmente lontano dall’ortodossia del genere (anche se, per giustizia, devo dire che alcuni, una minoranza, hanno accolto Lunar Park con entusiasmo).
condivisibili le osservazioni di evangelisti che, non per toglier pepe alla questione, mi sembra si risolvano col fatto che molto dipende dall’abilità stilistica di un autore. eh sì, perché spesso mi sembra ci si è soffermati sui generi, quando la differenza fra gli autori la fa, a parer mio, la qualità stiistica della scrittura. si potrebbero distinguere i romanzieri (di genere e non) fra quelli che hanno molta fantasia (king, per dirne uno) con quelli che, seppur dotati di meno fantasia, puntano molto sullo stile. (ellis, per dirne un altro) partendo da questo presupposto ci si puo’ sbizzarire in infininte sfide. ora, prima che mi saltiate al collo, ritengo king un maestro assolto ma dall’abilità linguistica molto didascalica (non ti appunti una frase di king per la sua bellezza) mentre ellis, di cui sascha sottolinea le efferatezze di american psycho, quando a me ha colpito tutt’altro, ha una prosa lirica che king non possiede. prima di prendere pistole, forconi, e incitarmi a laggere tutta la fantasy, la fantascienza, e il noir di questa terra, premetto che non sono un appassionato di narrativa, mi piace la poesia e la prosa lirica, quindi spero che le mie impressioni possano esser utili proprio perché vengono da un esterno.
e infatti mi sembrano decisamente utili
Questo blog è diventato di una noia mortale.
Alla luce di questo infinito dibattito, non posso fare a meno di notare quanto La storia infinita di Michael Ende sia ancora attualissimo. Ma d’altra parte è un capolavoro, e avoja la minestra che deve magnà un Baricco o un Erri De Luca prima di scrivere qualcosa lontanamente paragonabile.
Vorrei dare tre spunti di riflessione riguardo ai molti argomenti affrontati:
1) Gli Editori fanno il mestiere di editori ed essendo una azienda devono far quadrare il bilancio, in parole povere devono vendere e avere utili, altrimenti chiudono bottega. Questa è la logica del mercato. La cultura e le idee affidate agli editori sono sottoposte inevitabilmente alla logica di mercato. Viviamo nel 2000 non nell’Ottocento.
2) Non basta secondo me parlare semplicemente di scrittori, questo crea troppa confusione. Quanti cosiddetti scrittori fanno solo gli scrittori, cioè scrivono libri? Pochi. La maggior parte fa anche altro nella vita e questo crea confusione.
3) Riguardo i cliche, gli stereotipi, gli archetipi, chiamateli come volete, cioè quegli elementi che rendono le storie “tutte uguali” alla fin fine, nel fantasy come in qualsiasi altro genere, che dire di questi “elementi ricorrenti dell’essere umano? Per forza di cose certi temi, trame, sentimenti, azioni, ricorrono nei milioni di libri scritti, perché l’essere umano è sempre uguale pur essendo sempre diverso, l’essere umano è ripetitivo e noioso e le storie raccontate sono anch’esse ripetitive e noiose.