L'INNESCO

In questi giorni sto rileggendo, e credo di avervelo consigliato più volte, Dissipatio H.G. di Guido Morselli. Romanzo postumo, uscito alla fine degli anni Settanta, che di fatto racconta la scomparsa improvvisa del genere umano: tutti, tranne uno, l’io narrante. Come spesso avviene, la letteratura, quando è buona, sia pur quando si infila nel non amato irreale, sa non solo scrutare nel presente, ma presagire il futuro. Buon week end.
Eppure, l’Inspiegabile si è inaugurato per opera mia. Per lo meno, gli eventi hanno coinciso (all’inizio) con un evento strettamente privato e mio; coincidenza, oso pensarlo, non casuale.
La notte favolosa fra il I e il 2 giugno. Quella notte, era deciso, io mi sarei ammazzato.
Perché.
Per il prevalere del negativo sul positivo. Nel mio bilancio. Una prevalenza del 70 per cento. Motivazione banale, comune? Non ne sono certo. Quanto alla precisione contabile, devo dire che la mia vita psichica è povera. Anche nel senso della semplicità, della elementarità. Si presta alla ragioneria: le frustrazioni inconsce e i pathos viscerali, i mali oscuri che connoterebbero l’uomo moderno, io, devo confessarlo, non me li trovo. Un mio collega mi accusò di « critica riduttiva ». Andavo ripetendo (« toutes choses sont déjà dites, mais comme personne n’écoute il faut toujours recommencer ») che il monologo interiore, tipo esemplare della letteratura d’oggi, nel quale si esalano i mali inconsci e i patemi viscerali, fra ispezioni capillari dell’io e pseudoscontri col non-io, conferma che siamo fermi allo psicologismo del subsentire e del subpensare, che era già artificioso (e noioso) un secolo fa. Ma se qualcuno si occupasse del mio individuo caso, non cadrebbe certo nello psicologismo. Dovrebbe essere riduttivo, per forza. Avevo deciso di uccidermi, anzitutto perché ero vittima di una mafia. E dalla mafia non c’è scampo, lo sapevo.
Cominciò con una malattia. Corporale, non mentale, vera, non immaginaria; cronicheggiante. Una di quelle malattie, però, che lasciano vivere e, curate con un po’ d’umanità, guariscono. In concreto, stavo guarendo. Il medico, a Crisopoli, che avrebbe dovuto curarmi, mi mandò invece da uno specialista, e lo specialista da un radiologo, il quale chiese uno specialista 2°, e costui chiese un radiologo 2°, il quale prescrisse alcuni controlli (oh, solo 11, dalla Wassermann alla V.S.), in una clinica, sempre a Crisopoli; dopo l’ultimo dei quali controlli mi fu consigliata una serie di esami biologici, in esito ai quali uno specialista (3°) rese necessario il radiologo omologo (3°). E così successivamente, a coppie, anzi a terne (specialista, radiologo, clinica con laboratorio d’analisi, breve soggiorno), in progressione esponenziale, sino a poche settimane or sono, per un totale, in 2 anni e 8 mesi, di 12 specialisti, 12 radiologi, 33 cicli di controlli e 27 serie di esami biologici vari. Cose note a milioni di vittime, con le quali io ero caduto nel racket della « diagnosi precoce». Il fenomeno, per essere parte del Sistema (in senso marcusiano), viene accolto con benevolenza dalla sociologia, ossia ignorato o non denunciato, ma ha le caratteristiche precise della estorsione mafiosa. La malattia di partenza non è grave, ma può diventarlo, ovviamente, sicché occorre « seguirla », occorrono interventi medici frequenti per accertare « in sede diagnostica », si osservi, eventuali degenerazioni. Ma – si domanda il soggetto (passivo) – a che scopo, visto che le « eventuali degenerazioni », ove mai si verifichino, sono incurabili, e incurate? Ogni tre mesi mi costringete all’attesa del verdetto : « c’è o non c’è». A che scopo, visto che se « c’è », è l’agonia lenta e sicura, consapevole, e senza rimedio?
Lo scopo, patet: non tanto i miliardi, a centinaia, quanto il potere. L’asservimento di folle di uomini e donne a una classe. O clan, o corporazione. Non penso più a drammatizzare, ora; ma ho idea che lo sfruttamento capitalistico, padrone su lavoratore, sia un ameno giuoco da società, a paragone qualitativo con quest’altra sudditanza coatta. Inevitabile: a escludere la fuga funziona il più vischioso, e il più feroce, dei ricatti.
Così questa industria fonda su una base ferrea. Non è esposta a cali di congiuntura. È rigidamente solidale al proprio interno. Non subisce concorrenze dall’esterno. Niente crisi, per lei. Per noi, per me, sì : nel mio caso una crisi che dovrei chiamare schifo.
Coinvolgente me stesso. Ci sono state mattine che, nel mentre mi facevo la barba, cercavo di non vedermi nello specchio. Quando uno scavalca il balcone o si butta sotto il treno, c’è un meccanismo psichico motore, si capisce; che però, da solo, non basta.
Dev’esserci un innesco: diceva il vecchio Durkheim, che non era privo di
acume. Se ripenso storicamente il mio caso, trovo, l’autunno scorso, l’apparire a qualche centinaio di passi dal mio buon ritiro (quota 1395 sul livello d. m.) di paletti, picchetti, teodoliti. Mi è venuta la febbre. Letteralmente. Inchiesta affannosa, consultazioni con gli amici informati, a Crisopoli. Io le ho messo nome: Crisopoli, la Città-d’Oro, ma è, oltretutto, il centro operativo del Paese, dove si prendono le decisioni; in ispecie le decisioni obbrobriose. Notizie di morte. Un’infame « Euro- Autoroute », società « anonima » notoriamente intestata a due grossissimi imprenditori locali, progettava l’arteria continentale Le Havre-Atene. Nel suo tratto transmontano 1’« arteria » avrebbe « interessato » la zona di Widmad Lewrosen. Si prevedevano: un imponente traforo sboccante nell’alta valle, diverse « opere d’arte » fra cui un « ardito viadotto » in cemento armato sul torrente Zemmi (il mio Zemmi), nonché raccordi e rampe d’accesso. E un motel.
Per dirla con Durkheim, ecco l’innesco. Che non fu a azione immediata.
Passò l’inverno, spuntò la primavera, che quassù è tardiva, e squisita. Per me, con quei picchetti rossi e bianchi sotto il naso, luttuosa. La mia decisione è maturata, con compiaciuto e un po’ comico indugio nella scelta dei dettagli,ma coscienziosa e tranquilla.
Andarmene, dunque, senza lasciare traccia. Questo mi è parso essenziale.

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