Questo è un post di saluto. A Remo Chiosso,
scomparso due giorni fa, e che la comunità ludica sta commemorando nelle
mailing list, e non solo. Chiosso era la mente del Murder Party
italiano. Se non ne avete mai visto uno, meglio, se non vi avete mai
partecipato, sappiate che la definizione “gioco-di-ruolo-dal-vivo” è corretta,
ma stretta.
Comunque. Riposto qui un articolo di quattro anni fa per
Repubblica, dove la vostra eccetera cercò di raccontare chi era Chiosso e come
si sviluppavano le sue storie.
L’intervista. Remo Chiosso, torinese, ama definirsi dirigente pentito. Dopo anni
di lavoro nell’ industria e di curiosità personale per il gioco, viene
folgorato da un viaggio in Scozia, dove assiste a un Murder Party. Comincia
così un’ avventura che lo ha portato a scrivere copioni, a fondare una società,
un sito e una compagnia di 35 attori. «In un giallo letto o visto al
cinema si viene avviluppati dalla narrazione. In un Murder Party la si vive».
Per qualche tempo, Chiosso ha portato le sue storie nelle manifestazioni
italiane dedicate al gioco: «poi, sette anni fa, un’ agenzia pubblicitaria mi
chiese di organizzare un Murder Party per 120 persone a una convention
aziendale, in un albergo di Lecco. Non ho più smesso: oggi la media dei nostri
Murder Party è di quattro al mese».
Chi sono i clienti?
«Da una parte i comuni che vogliono un intrattenimento interattivo, che
somiglia a uno spettacolo teatrale ma con una partecipazione del pubblico.
Dall’ altra, le aziende che vogliono coinvolgere nelle loro convention: in
molti casi, forniscono ai partecipanti un gadget, lenti d’ ingrandimento con
manico d’ argento, o un cappellino da Sherlock Holmes per il vincitore. Poi c’
è la formazione, che è uno dei settori più attivi».
Come funziona?
«Ci siamo accorti che fra i giocatori di un Murder Party si sviluppano sinergie
interessanti: cadono i ruoli tradizionali, e all’ antagonismo subentra la
collaborazione e la formazione di un team. Di recente abbiamo realizzato
settanta Murder Party, divisi in gruppi da undici, per una grossa azienda
informatica. In quel caso, era prevista anche la presenza di uno psicologo
aziendale che valutava le reazioni dei giocatori».
I costi?
«Quello di una poltrona a teatro per persona. Aumentano se ci sono costumi,
castelli, riprese televisive".
Pericoli?
"Nessuno. A volte ci chiama qualche squilibrato che ci chiede di
spaventare venti persone. Ma non abbiamo mai acconsentito: nessuno, in un
Murder Party, deve avere davvero paura».
Murder
story. Un giorno Adeline, povera e malata,
viene trovata morta. Apparentemente per cause naturali: in realtà è stata avvelenata.
Da chi? Ancora: Mara è una psicologa che non vede di buon occhio la relazione
di suo padre con una chiromante. Viene soffocata con un cuscino. Perché? E chi
è l’ assassino?
Non è cronaca nera, sono due trame per Murder Party,
spettacoli interattivi dove attori e pubblico recitano un copione basato su un’
indagine criminale. Funziona così: si arriva nel luogo del delitto (un albergo,
un ristorante, un convento, una casa), si riceve un "rapporto
iniziale" che contiene una mappa, una presentazione dei personaggi e un’
indicazione su chi si interpreta, si attende l’ abbassarsi delle luci e il
colpo di pistola (o l’ urlo), e si cominciano le indagini. Scopo del gioco è
scoprire il colpevole (o, viceversa, non farsi individuare). I Murder Party
sono l’ ultima moda della formazione aziendale, delle convention, ma anche
delle feste fra appassionati giallisti.
Difficile datarne la nascita: c’ è chi li fa risalire al
diciassettesimo secolo, assicurando che la marchesa di Sévigné organizzava
serate nel corso delle quali gli invitati dovevano risolvere l’ enigma che
veniva loro sottoposto, ma quasi tutti concordano su un’ origine più vicina, i
primi anni del Novecento, in Inghilterra. In Francia, ne fu appassionata
promotrice la decoratrice d’ interni Elsie De Chasse. E persino Agatha Christie
e Groucho Marx. Quel che è certo è che, dopo il grande successo dei giochi di
ruolo negli anni Settanta, i giochi investigativi con finto delitto si sono
diffusi in tutto il mondo.
Ci sono Murder Party ambientati in Scozia, in Egitto, nel
Far West, a Wall Street, nella Roma Imperiale. Ci sono quelli d’ azione e non
di intrigo, dove bisogna sfuggire a un serial killer. Ne esistono versioni
senza sangue e senza morti per le feste dei bambini. Ci sono i giochi di
comitato, dove ci si riunisce per prendere una decisione su un fatto senza
conoscere gli obiettivi segreti che sono stati fissati (chi ne ha indovinati di
più, vince). Ma anche i gialli classici, quelli con delitto, investigazione e
soluzione, possono essere rivissuti in più modi: acquistando un set che
fornisce trame e accessori come lettere, finti ritagli di giornale, atti
notarili. Oppure ci si prenota in alberghi che hanno segnalato la disponibilità
per thrilling week end, o ci si rivolge a una delle società che organizzano
cene con delitto.
Cosa si ottiene? Intanto, un copione, un gruppo di attori,
a volte i costumi. E poi un buon ventaglio di possibilità. C’ è la semplice
cena in due versioni: investigativa o investigativa-interpretativa. Nel primo
caso, un gruppo di attori interpreta i personaggi della vicenda e risponde alle
domande poste dai concorrenti. Nel secondo, tutti i presenti interpretano la
parte di un personaggio. Per chi ha tempo, la cena si trasforma in week end in
casali o castelli. A seconda della disponibilità del committente, si può
giocare in centocinquanta. Ma l’ uso più interessante dei Murder Party è quello
aziendale, a scopo di formazione. Dicono che cooperare alla soluzione di un
finto delitto migliori l’ integrazione, affini la leadership, riduca il
conflitto e annienti lo stress. Si chiama, a proposito "Training Aziendale
a mezzo Attività Rappresentative e Simulative", e sembra che funzioni.
Ciao Loredana. Volevo solo dirti che sei molto carina sulla foto -;)
Peccato sia quella del giorno della prima comunione:- )
P.S. Nel mio blog il bando del “PREMIO LUCIO ANGELINI”, riservato a tutti i comuni italiani.
Io non lo conoscevo, ma una mia amica, che per un periodo di tempo è entrata a far parte del suo “mondo”, me ne parlava come un personaggio incredibile, continuamente alle prese con giochi ed esercizi di logica… peccato non essere mai riuscito ad assporare l’atmosfera di un Murder Party!
Saluti D
Diego, grazie per il messaggio e soprattutto per essere rientrato in topic.
Almeno in questo post, per la miseria.
Scoprire attraverso la rete che un amico non c’è più è un’esperienza agghiacciante. Navighi, esplori, cazzeggi… E d’un tratto ti geli. Remo se n’è andato. Era un amico, abbiamo lavorato e scritto insieme, ci siamo divertiti nel mettere su, insieme anche ad Antonello, trame inverosimili ma divertenti… Remo è stato e resta un maestro inarrivabile, ma soprattutto un vero signore. Mi mancherà, mancherà a tutti noi il suo genio.