Ma Carmen adorée

Michela Marzano su Repubblica di oggi:
Si continua a chiamarli delitti passionali. Perché il movente sarebbe l’amore. Quello che non tollera incertezze e faglie. Quello che è esclusivo ed unico. Quello che spinge l’assassino ad uccidere la moglie o la compagna proprio perché la ama. Come dice Don José nell’opera di Bizet prima di uccidere l’amante: “Sono io che ho ucciso la mia amata Carmen”. Ma cosa resta dell’amore quando la vittima non è altro che un oggetto di possesso e di gelosia? Che ruolo occupa la donna all’interno di una relazione malata e ossessiva che la priva di ogni autonomia e libertà?
Per secoli, il “dispotismo domestico”, come lo chiamava nel XIX secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, è stato giustificato nel nome della superiorità maschile. Dotate di una natura irrazionale, “uterina”, e utili solo – o principalmente – alla procreazione e alla gestione della vita domestica, le donne dovevano accettare quello che gli uomini decidevano per loro (e per il loro bene) e sottomettersi al volere del pater familias. Sprovviste di autonomia morale, erano costrette ad incarnare tutta una serie di “virtù femminili” come l’obbedienza, il silenzio, la fedeltà. Caste e pure, dovevano preservarsi per il legittimo sposo. Fino alla rinuncia definitiva. Al disinteresse, in sostanza, per il proprio destino. A meno di non accettare la messa al bando dalla società. Essere considerate delle donne di malaffare. E, in casi estremi, subire la morte come punizione.
Le battaglie femministe del secolo scorso avrebbero dovuto far uscire le donne da questa terribile impasse e sbriciolare definitivamente la divisione tra “donne per bene” e “donne di malaffare”. In nome della parità uomo/donna, le donne hanno lottato duramente per rivendicare la possibilità di essere al tempo stesso mogli, madri e amanti. Come diceva uno slogan del 1968: “Non più puttane, non più madonne, ma solo donne!”. Ma i rapporti tra gli uomini e le donne sono veramente cambiati? Perché i delitti passionali continuano ad essere considerati dei “delitti a parte”? Come è possibile che le violenze contro le donne aumentino e siano ormai trasversali a tutti gli ambiti sociali?
Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all’uomo, tanto più l’uomo reagisce in modo violento. La paura di perdere anche solo alcune briciole di potere lo rende volgare, aggressivo, violento. Grazie ad alcune inchieste sociologiche, oggi sappiamo che la violenza contro le donne non è più solo l’unico modo in cui può esprimersi un pazzo, un mostro, un malato; un uomo che proviene necessariamente da un milieu sociale povero e incolto. L’uomo violento può essere di buona famiglia e avere un buon livello di istruzione. Poco importa il lavoro che fa o la posizione sociale che occupa. Si tratta di uomini che non accettano l’autonomia femminile e che, spesso per debolezza, vogliono controllare la donna e sottometterla al proprio volere. Talvolta sono insicuri e hanno poca fiducia in se stessi, ma, invece di cercare di capire cosa esattamente non vada bene nella propria vita, accusano le donne e le considerano responsabili dei propri fallimenti. Progressivamente, trasformano la vita della donna in un incubo. E, quando la donna cerca di rifarsi la vita con un altro, la cercano, la minacciano, la picchiano, talvolta l’uccidono.
Paradossalmente, molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del “declino dell’impero patriarcale”. Come se la violenza fosse l’unico modo per sventare la minaccia della perdita. Per continuare a mantenere un controllo sulla donna. Per ridurla a mero oggetto di possesso. Ma quando la persona che si ama non è altro che un oggetto, non solo il mondo relazionale diventa un inferno, ma anche l’amore si dissolve e sparisce. Certo, quando si ama, si dipende in parte dall’altra persona. Ma la dipendenza non esclude mai l’autonomia. Al contrario, talvolta è proprio quando si è consapevoli del valore che ha per se stessi un’altra persona che si può capire meglio chi si è e ciò che si vuole. Come scrive Hannah Arendt in una lettera al marito, l’amore permette di rendersi conto che, da soli, si è profondamente incompleti e che è solo quando si è accanto ad un’altra persona che si ha la forza di esplorare zone sconosciute del proprio essere. Ma, per amare, bisogna anche essere pronti a rinunciare a qualcosa. L’altro non è a nostra completa disposizione. L’altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice “cosa”. È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. E che pensano di salvaguardare la propria virilità negando all’altro la possibilità di esistere.

42 pensieri su “Ma Carmen adorée

  1. Non lo so. Non sono d’accordo completamente con questa prospettiva.
    Io credo che il “dispotismo domestico” sia un terreno fertile, ma non la causa.
    Possiamo fare un parallelo con il rapporto tra il consumo di alcol in una nazione e l’alcolismo. Si sa che la percentuale di persone alcoliste è proporzionale al consumo di alcol della nazione in cui vivono. Più è alto il consumo medio, più ci sono alcolisti. Però, poi, dietro ogni uomo che diventa alcolista non c’è solo una media nazionale, o un costume, ma molto invece di radicato in una storia personale, in un dolore.
    Non voglio in NESSUN modo giustificare le violenze sulle donne, ci mancherebbe. Però immagino che questi uomini che arrivano a uccidere l’oggetto che gli è sfuggito di mano, vivano dipendenze abissali, primordiali:
    non possono esistere da soli. L’autonomia dell’altro è una minaccia di abbandono insopportabile. Un ambiente sociale che li incoraggia, certo, aiuta ( e per questo va fatto molto, ancora molto, perché non si sentano più legittimati) ma non è la causa. La causa è interna, è da cercare nella loro storia personale, è unica di volta in volta, non è un numero in una statistica.
    Si uccide nell’altro lo specchio di se stessi. Come in William Wilson di Poe, si muore, uccidendo l’altro.

  2. «È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. »
    Mannò. L’uomo di cui sopra uccide perché si rende conto che non riesce a ridurre l’altra sotto il suo controllo, quando constata che l’altra sta opponendo resistenza. Non perché dimentica o non vede.
    E comunque, bell’analisi, non originalissima, ma continuerò a chiamarli delitti passionali, basta sapere di che si tratta.

  3. Sergio Leone aveva mostrato tutto in C’era una volta in America. L’avvento della donna e la violenza conseguente dell’uomo. Ma le femministe di allora non capirono una mazza e criticarono il Maestro per le scene di violenza.

  4. Sono d’accordo su questo articolo per buona parte: anche perchè i dati Istat parlano chiaro, la violenza intrafamiliare è in percentuale maggiore nel nord e nelle grandi città. Quindi come discorso di massima ci sta. Dopo di che il discorso psicologico ci convive perfettamente. Ma mo ci penso per bene per benino ci scrivo su – poi torno.

  5. vorrei timidamente dire una cosa, molto probabilmente una castroneria, che pero’ mi frulla in testa da qualche giorno, seguendo questi ultimi post, una cosa che e’ una domanda genuina, non polemica, e mi rivolgo soprattutto a chi ha competenze per rispondere.
    Allora, pensando ad alta voce, comincio da una premessa.
    Partendo dalle statistiche del messaggio di ieri, che mi sono andata a vedere sul sito italiano, e poi anche per confronto sul sito analogo qui in inghilterra dove vivo, mi pare di capire che se stiamo a guardare solo i numeri comunque il numero di donne oggetto di atti violenti e’ inferiore al numero di uomini, tipo uno su quattro se non ricordo male: ossia ci sono circa 4 atti di violenza su un uomo (furto violento, pestaggio, omicidio eccetera) per ogni atto di violenza su una donna. La componente che fa la grossa differenza fra le due categorie e’ la tipizzazione di chi compie la violenza. Per gli uomini e’ molto piu’ probabile che la violenza venga perpetrata da sconosciuti. Questo (e questa e’ la mia prima osservazione) mi fa pensare con un po’ di disagio alla parola femminicidio: so bene che viene usata con un’accezione molto particolare e polemica e ad effetto retorico, ma etimologicamente suggerisce una violenza indiscriminata, compiuta verso sconosciuti solo perche’ appartenenti ad una certa categoria. Il dato statistico sterile potrebbe indurre pensare che ci sia un maschicidio in atto, nel senso che uno che decide di compiere un atto di violenza su sconosciuti sceglie piu’ frequentemente un uomo rispetto ad una donna. Questo direbbe la statistica, ma a nessuno viene in mente di dire che questi sono aggrediti “in quanto” uomini. La violenza sulle donne “in quanto donne” e’ da parte di persone note, quindi e’ legata a fattori diversi e non mi piace il termine femminicidio per indicarlo, l’urgenza esiste, ma non e’ del tipo che la parola suggerirebbe (la soppressione delle neonate bambine in Cina, quello e’ un femminicidio invece).
    Finita la premessa, il parlare della violenza sulle donne, nei termini in cui stiamo parlando qui, cioe’ come violenza domestica o comunque violenza da parte di persone note, persone che magari sono “normali”, una parola che piu’ volte si e’ menzionata nei giorni passati, persone che mostrano di essere perfettamente civili all’esterno delle mura domestiche, non puo’ non farmi venire in mente un tipo di violenza che io considero a questo punto analogo, cioe’ quella sui bambini. Non sto parlando dell’infanticidio, della madre in situazioni estreme, eccetera, ma dell’abuso domestico, appunto. I dati sono altrettanto agghiaccianti, ne riporto qualcuno dall’inghilterra dal sito della NSPCC, ci sono in media 80 bambini uccisi all’anno fra inghilterra e galles, 35 per mano dei genitori, cioe’ in media un bambino ogni 10 giorni viene ucciso per mano dei genitori, a seguito di violenze, tipicamente punizioni corporali che degenerano in modo drammatico, quindi non omicidio premeditato, e non mi pare che ci sia molta differenza fra la mano di padri o madri. Ed ecco la mia domanda per gli esperti: sono paragonabili le due violenze? Stiamo parlando dello stesso problema di voler “mantenere il controllo”? Dell’approfittare del fatto che chi e’ davanti e’ piu’ debole fisicamente e quindi ci si sente in grado di sopraffarlo? Di non riuscire ad accettare nell’altro un modo di essere che non si conforma ad uno schema? Davvero, voglio capire. Grazie.

  6. Non sono d’accordo, Anna Castagnoli. Hai ragione quando dici che ognuno di questi omicidi è un caso a se, ma mi sembra che le cause scatenanti di questi delitti non siano affatto primordiali o profonde, ma siano caratterizzate da un molto più superficiale e gretto mix tra egoismo e narcisismo sul quale si innesta un background culturale di tipo patriarcale e violento. Questa è solo una mia idea, ma non credo che dietro di questi fatti ci sia una mente spezzata dall’abbandono e dall’amore deluso, quanto piuttosto il vir umiliato socialmente che deve porre rimedio al disonore subito. Proprio stamane, a La7 una criminologa (di cui non ricordo il nome, scusate) diceva che molti di questi assassini, intervistati su come si sentivano dopo aver ucciso le donne che perseguitavano, non mostravano nessun pentimento e neanche nostalgia o sentimenti d’amore per la persona che perseguitavano… anzi, erano convinti della giustezza del loro gesto e che le vittime si meritassero una fine del genere. Sono convinto che anche coloro che scelgono il suicidio dopo aver compiuto questi delitti ragionino in questo modo. Non che si tratti di una scelta premeditata, quanto decisa nell’immediatezza del delitto nella consapevolezza di non poterla fare franca e confortati dalla certezza che, andarsene con un gesto del genere, significo non essere completamente condannati, anzi..in fondo in fondo, capiti e giustificati…
    Volevo però dire un’altra cosa, in un certo senso sono contento che si stia parlando del femminicidio come di un’emergenza.. i media si sarebbero dovuti svegliare prima perché non è certamente un’emergenza che è scoppiata nelle ultime 2 settimane come vogliono farci credere. Tuttavia ho paura che questa emergenza venga gestita come tutte le altre emergenze italiani, in modo dilettantesco e secondo la stessa mentalità patriarcale che fa capolino sullo sfondo di questi omicidi. C’è sempre da sospettare quando certi gruppi o linee di pensiero sposano una causa giusta (basta guardare il businnes delle energie rinnovabili in sardegna) quindi spero che non vengano prese decisione di tipo restrittivo per la libertà delle donne con la scusa di proteggerle da maschi che vengono considerati solo come troppo suscettibili…

  7. Molto proficua questa serie di post&comment… stiamo ampliando l’analisi in varie direzioni:
    – spostando l’attenzione dagli atti concreti al contesto generale
    – riferendo gli atti alle storie individuali
    – ponderando il peso specifico del potere giudiziario in merito
    – valutando il peso specifico di disagio e patologia
    intorno a tutto ciò, mi chiedo, se vada valutato anche il vuoto simbolico relativo al vissuto di vita e di morte (la morte grande rimossa ecc ecc) e se questo si concretizzi in modo diverso in uomini e donne. Ovvero, continua a ronzarmi in testa La Ballata di Reading Gaol…

  8. “Hai ragione quando dici che ognuno di questi omicidi è un caso a se, ma mi sembra che le cause scatenanti di questi delitti non siano affatto primordiali o profonde, ma siano caratterizzate da un molto più superficiale e gretto mix tra egoismo e narcisismo sul quale si innesta un background culturale di tipo patriarcale e violento.” (Ginko)
    Sì, sono d’accordo, mi sono espressa male. Non credo che questo uomini siano preda di furori ancestrali incontrollabili. Ma arrivare a uccidere -intenzionalmente o perché è scappata la mano- un essere con cui abbiamo condiviso tempo ed esperienze, comporta un grado di egoismo/narcisismo che non è quello del “bullo” che sente la sua virilità sminuita, ma quello di un essere umano che non ha sviluppato la capacità di riconoscere nell’altro “un soggetto”.
    Per la stessa ragione non sentono il rimorso, perché il rimorso e il senso di colpa sono le espressioni di uno sviluppo riuscito della persona: oltre il narcisismo che caratterizza i primi anni di vita della psiche.
    Lo so che è una prospettiva molto psicanalitica, ma io la vedo così: non vedo differenza sostanziale tra un infanticidio, un parricidio, un femminicidio, etc, se non nell’eco sociale, nello sdegno o nell’accoglienza che la società riserva a questi atti.

  9. Certi uomini sono violenti, alcuni di questi esercitano la loro violenza in famiglia, alcuni di questi quando vanno fuori, potrebbero fare di tutto, anche uccidere.
    Qual’è la cosa che più manda fuori una persona? L’abbandono, il rifiuto.
    Quando un uomo viene rifiutato e abbandonato e va fuori di brutto, purtroppo nel raggio di azione c’è, il più delle volte la malcapitata, che lo ha rifutato/abbandonato.
    Chi muore tra i due? L’energumeno impazzito di rabbia, o la giovane donna che vuole semplicemente seguire la propria strada?
    Queste donne che poi vengono pestate e ammazzate non cercano l’autonomia, non nel senso esistenziale, se non non venivano attratte da questi personaggi, non è che si viene fatte fuori perché ci si vuole iscrivere all’università o andare a lavorare, il fatto è che perlopiù si muore cercando di lasciare questi soggetti.
    Poi dopo aver ammazzato c’è chi ammazza i figli, chi tenta il suicidio, chi si rifugia nel delirio del ‘se lo meritava’ …
    Il patriarcale non c’entra nulla. Non è un modello culturale volto contro la donna inferiore, anche se va a braccetto con certe idee sui sessi e sui ruoli per lo più condivise dalla donne che si accompagnano a tali uomini, ma il fatto è che solo la donna amata da costoro è in grado, per la natura e la profondità del rapporto a farli uscire fuori a tal punto.
    Coi figli spesso è la donna che mitiga la furia di tali mariti, ma purtroppo a lei chi l’aiuta?
    Un uomo del genere resiste a tutto, o quasi, eccetto che a una moglie o fidanzata che lo lascia o lo mette in crisi a tal punto.
    Mi sembra tragicamente semplice.
    D.

  10. Poi forse la cosa peggiora rispetto ad anni fa, perchè oggi è la coppia la cellula su cui si basa la vita di una persona e non la famiglia allargata, o la comunità di paese per cui, quando un uomo viene lasciato, veramente si disperde nel nulla. In certe città la coppia è l’unico guscio che protegge le persone in un mare anonimo ed ostile di sconosciuti e problemi.
    D.

  11. E invece secondo me il sistema patriarcale c’entra, così come c’entra l’incapacità di vedere l’altro come soggetto di cui parla Anna Castagnoli.
    Un uomo imbevuto di cultura patriarcale vede la donna come un essere inferiore, per capacità mentali, per forza fisica, per “valore”. Una donna è un po’ meno un essere umano di un uomo, è un po’ meno un soggetto: è qualcuno verso il quale scatta più facilmente il disprezzo e la violenza.

  12. Noi tutti vediamo ben poche persone come soggetti, se proprio ne vogliamo parlare, i pregiudizi si sprecano a tutti i livelli, il capufficio è ‘solo’ stronzo, la vicina studentessa è ‘solo’ una gran gnocca, il leader del partito è ‘solo’ un capo potente a cui leccare il culo, mio cugino è ‘solo’ un debole inconcludente e sua moglie è ‘solo’ un’ipocrita pettegola, la fidanzata moldava del nostro amico è ‘solo’ una poco di buono.
    Gli unici soggetti siamo noi, e nemmeno sempre…
    Chiediamoci purtroppo, tutti noi, chi ci ha fatto più male nella vita? Non è forse stato un partner o un genitore?
    E’ li la questione, come reagiamo a un dolore psichico insostenibile?
    D.

  13. Mi sono convinto sempre di più che quello che accade contemporaneamente all’interno di un sistema sia da comprendere in modo unitario. Violenza dei maschi sulle femmine. violenza delle femmine sul proprio corpo (anoressia, per esempio, ma anche diete e chirurgia estetica con alte percentuali di rischio). Ecco perchè non sono soddisfatto di questa diagnosi che mette in primo piano una guerra tra i sessi. Ribadisco che l’unica sintesi che rende comprensibili entrambi i fenomeni sia una sovraesposizione dell’immagine di sè che stimola pulsioni narcisistiche. Un estetismo de noantri che non tollera il diverso, l’imperfetto, lo smacco, Nelle relazioni lo spauracchio è la ferita narcisistica: l’onta, l’affronto, il possibile ludibrio. Una civiltà di vergogna che torna ad avere la meglio su una civiltà di colpa. Un regresso paganeggiante che l’etica monoteista aveva scongiurato.
    Responsabilità indirette? Certo il berlusconismo ha dato la stura a pulsioni machiste mai sopite (ma di cui negli anni Settanta ci si vergognava, almeno). Ma anche la pedagogia de sinistra, con l’idea che gli affetti si educano da soli e che la direzione autorevole è sempre e solo fascista, ha fatto il suo peggio.

  14. Inspiegabile come cento anni e più di psicoterapia ne abbiano fatto un lascia passare per commenti assolutamente fuorvianti (tanto perché non mi si dica che frequento amichetti fuori rebibbia mi viene in mente Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, Raffaello Cortina, 1993 di James Hillman). Allibito da sbandieramenti di psicologia prêt-à-porter e da questa ricerca della Diagnosi (mah) a tutti i costi, ribadisco come hanno fatto altri meglio di me, che se gli uomini vedono le donne come oggetto di possesso con quel che ne consegue (perdita del ruolo patriarcale, disistima, odio verso l’altro da sé), siamo di fronte a una tragedia squisitamente culturale.

  15. In caso contrario si ritorna mestamente, con aggiustamenti ipocriti. a Cesare Lombroso e anche il berlusconismo con le sue pulsione machiste come concausa fa un poco sorridere. Ammettere di navigare a vista, senza ricette né rimedi è così grave? Non di meno imparo molto dalle vostre riflessioni, non panacee.

  16. Io credo che il circuito funzioni così.
    Le cornici culturali creano una semantica psicologica di fondo, che è una specie di calamita per certe patologie piuttosto che per altre. Lo fanno in molti modi, per esempio erigendo a modello positivo un valore psicologicamente autolesivo, simmetricamente squalificando modelli comportamentali alternativi – perchè minoritari, ma anche perchè psicologicamente costosi.
    Ma la cultura agisce anche in modi semplicemente incontrollabili. Per me è stato illuminante un passaggio di Chodorow, in La funzione materna, dove spiega come per esempio in organizzazioni familiari in cui le figure paterne sono molto assenti, un bambino piccolo non ha a disposizione un padre reale e quindi un modello maschile reale, arricchito dei contenuti emotivi e dei modi emotivi della tenerezza del grande verso il piccolo, e allora supplisce introiettando un padre culturale, una figura maschile considerata positiva dal suo contesto, ed epurata dalla possibilità di essere in relazione in maniera affettiva, perchè non la esperisce. In un paese con i canoni culturali sessisti che conosciamo, specie in ambienti meno nutriti da sottogruppi culturali diversi, possiamo immaginare come è questo maschile immaginario stilizzato.
    Quindi ecco, si può partire da una doppia via: o un modello familiare arcaico come funzionamento o l’assenza di un modello. In ogni caso, il contesto culturale offre dei contenitori – anche per il tramite delle aspettative della madre. Io ho sentito molte madri, dire ai loro piccoli che a scuola dovevano picchiare i compagni. L’adesione al modello culturale per questi piccoli, può passare dall’edipo. Può essere un modo per essere il figlio che la madre vuole. Ma ci sono ancora altre vie. Per esempio, la madre che la cultura e la sua relazione hanno scalzato fuori dalla femminilità cacciandola a randellate nel materno, suo malgrado (sapete che nel sud ci sono donne che rimaste incinte a quarant’anni, abortiscono di nascosto perchè giudicate male dai figli grandi? Storia di quest’anno) può tendere a squalificare potentemente la sessualità femminile delle donne più giovani potenziali compagne del figlio. Giacchè essa è stata a forza strappata dalla vita deve squalificare la vitalità e la libertà delle altre. E’ un’altra opzione.
    Questo è il fondo. Perchè si arrivi al femminocidio (io comunque ho apprezzato il commento di Supermamambanana) ci vuole altro. Credo che ci voglia un attaccamento patogeno (Andreoli sul corsera non sbaglia a tirare fuori il costrutto dell’attaccamento) e dei nuclei patologici sedimentati. Ma Su come questo si crei, io in questo momento non ho dati certi per poter rispondere, non è detto che sia questione semplice di difficoltà a contenere la rabbia, perchè la cosa allucinante che c’è dietro è il provare tutta questa rabbia. Non basta pensare alla credenza della donna come essere nferiore – anzi dietro c’è quasi il contrario: generalmente non si ammazzano i cani da guardia. La grande rabbia deve avere a che fare con i contentuti proiettati sull’altra, e che variano da persona a persona storia clinica e storia clinica. E da relazione patologica a relazione patologica. Non bisogna neanche sottovalutare il perchè le donne spesso si cacciino in questo tipo di relazioni, e anche reiteratamente. Nei centri per le donne vittime di violenza questa coazione a ripetere è sempre motivo di sconcerto, e di lavoro successivo.
    Un’ultima cosa: io qui mi sono tenuta sul possibilista. Chiederei a Daniele Marotta e Anna Castagnoli di fare altrettanto. Magari ci sono delle intuizioni nei vostri commenti, ma anche perdonate l’dore di semplicità e ingenuità, generalizzazioni indebite. Che poi fanno si che la disciplina che volete difendere sia poi attaccata come poco seria.
    Non sono cose che si possano liquidare così ecco – io pure temo di essere stata superficiale.
    Vincent nun te arabbià:) Io scherzavo: solo che quello che dici l’hai già detto. Mo’ argomenta.

  17. @ Zauberei: leggendo, leggendo forse troverò il modo per argomentare. Ora non mi viene niente e ripeterei le stesse cose, come un disco rotto. Ho presente la premessa non lo svolgimento a quanto pare. Tu invece hai trovato il quid, che mi trova solo in parte d’accordo.
    In ogni caso trovo anche io Marotta e Castagnoli con commenti da bus, un po’ “signora mia”. Buttati là, ma almeno dicono qualcosa. Il pungolatore 🙂

  18. Al volo sul commento di Zauberei: Zoja ne Il gesto di Ettore fa un discorso in linea con quello di Chodorow (che mi pare fondato e sensato) parlando della generazione degli italiani figli di reduci della prima guerra mondiale: in generale sentivano di aver avuto dei “padri” (reali e metaforici) difettivi dal punto di vista dell’espressione della virilità: traditi, mezzi perdenti, disorientati… e hanno costruito il loro modello di riferimento basandosi indovinate su chi…

  19. Colgo l’invito di Zauberei, che mi sembra che abbia scritto il commento più preciso, e dico: non volevo essere categorica, e mi scuso se lo sono sembrata. Solo mi sembrava troppo semplice mettere sotto il cappello dell'”impero patriarcale” tutti i generi di violenza sulle donne.
    Così come mi sembra riduttivo non cercare diagnosi ma accontentarsi della visione dal sapore un po’ troppo estetico di “tragedia squisitamente culturale” (@Vincent).
    Provo a spiegarmi meglio, e scusate se peccherò di nuovo di pensieri spiccioli.
    Continuo a sentire appropriato il mio parallelismo consumo medio di alcol/alcolismo.
    In epoche in cui l’isteria andava di gran moda, c’erano casi di isteria. Oggi sono scomparsi. L’anoressia, che qualcuno ha citato, è un fenomeno del tutto moderno. Etc. Io credo che i modelli esterni costituiscano solo un gran paniere dove prendere a prestito le forme per un disagio che è proprio – in misure diverse e personali – dell’essere umano: la paura dell’altro, del diverso, la difficoltà (per alcuni intollerabile) di scoprirsi fallibili o fragili o soli, l’invidia, …etc. Ma non tutte le ragazze diventano anoressiche, non tutti gli uomini in una società che istiga il machismo, diventano machisti. Questo si spiega solo (mi sembra) in termini di capacità del singolo di reagire alle pressioni sociali, di difendersi dai modelli precostituiti, e non posso che ritornare a vedere nello sviluppo personale e umano di ogni individuo, l’unico antidoto.
    (Se poi questo sviluppo sia di natura culturale, psicologica, religiosa, magica, psicomagica, possiamo discuterne. Io personalmente lo vedo in termini di sviluppo psicanalitico, ma è una mia deformazione data dal fatto che oltre che consultare riviste di psicologia da parrucchiere (scherzo!) mi sono fatta sulla pelle 10 anni di psicanalisi e credo di esserne stata per sempre felicemente incantata).
    Ora per non divagare ritorniamo al machismo come fenomeno sociale. Come gran paniere dove molti uomini (non tutti per fortuna) mettono e prendono atteggiamenti e modalità relazionali di prevaricazione sulle donne. Forse mi sbaglio, ma c’è sempre un modo di pensare i costumi sociali, presenti o passati, come generati da un atto di volontà consapevole, che non mi ha mai troppo convinto. Della serie: gli uomini cattivi che hanno, solo per difendere la loro virilità (minacciata da cosa poi?), costruito una società machista?
    Osservando che questo fenomeno si verifica in moltissime società, e in diversissime epoche, con picchi più o meno alti, e tristi ritorni, perché non fare un passo indietro e chiedersi quali potrebbero essere le sue ragioni profonde?
    Per capire, non per giustificare.

  20. @ Vincent:
    è anche molto “da bus” lamentarsi dei commenti degli altri senza avere granché d’altro da dire. 😉
    Sul rischio di determinismo e di giustificazionismo delle responsabilità personali (in stile Lombroso) che potrebbe derivare dalla mia visione (che è poi molto influenzata da Alice Miller), sono completamente d’accordo. Anche se secondo me descrivere perché una mela cade secondo le leggi fisiche di Newton, non esaurisce il mistero di una mela che cade, ma ne descrive semplicemente il moto (forse apparente).

  21. Quando si arriva ad uccidere una persona è sempre perché qualcosa dentro non ti sostiene a sufficenza per evitarlo. Perchè sembra l’unica scelta possibile.
    Non volevo fare discorsi da autobus ma la radice mi sembra proprio nella perdita del sé, quando si va in frantumi e si cerca una vittima, troppo spesso lì accanto c’è la compagna che ti ha mandato fuori di testa.
    Questo perché da noi per ammazzare devi essere talmente fuori da uccidere con le tue mani, in america per esempio, con la diffusione delle armi da fuoco basta essere un pò di fuori, abbastanza da predere la pistola in casa e premere il grilletto, una distanza maggiore che necessita di un’ira minore quindi oltre che alle compagne si spara ai vicini o ai passanti.
    Voglio dire che la brutalità necessaria per uccidere mi sembra più una molla delle intime dinamiche famigliari di coppia che scoppiano come vulcani, piuttosto che nella logica sociale di donna-oggetto, essere inferiore.
    Un maschilista pur ritenendo inferiore la propria donna l’adora, la ritiene un oggetto, certo, ma un oggetto amato, per lo più, quando l’oggetto d’amore ti lascia lo riconquisti, o piangi e poi ne scegli un’altro.
    Si fanno follie per le donne amate, ci si fa manovrare come marionette, per quanto maschilisti, le donne ancora ci preparano i vestiti, ci lavano, ci fanno mangiare, ci contengono le ansie e le preoccupazioni, ci aizzano, ci danno uno scopo.
    L’uomo è una creatura molto involuta rispetto alla donna, non ha passato un epoca di emancipazione, è rimasto tragicamente dipendente dalla natura e dalle pulsioni. Colto o ignorante è sempre ugualmente succube della sessualità che lo lega mani e piedi.
    Abbiamo un neurone e mezzo e lo usiamo principalmente perseguendo pulsioni di piacere, di competizione o d’odio da frustrazione, una alla volta sia chiaro se sapessimo fare più cose insieme saremmo donne.
    Molto del vuoto che c’è lo colmano le donne con meravigliose supposizioni sui silenzi o sulle nostre chiusure, ma, care amiche, anche se non ci credete… ..è solo spazio vuoto, il più delle volte.
    Ammazzare è un altra cosa, sono certo che la statistica degli uccisori comprende uomini di tutti i ceti ma anche uomini maschilisti e non.
    Un uomo che picchia una donna non è necessariamente maschilista, è uno che picchia le donne. Come chi tradisce abitualmente, lo farà sempre, perchè gli sembra normale, ma non è maschilismo, è uno che tradisce le donne. Fine.
    Lì bisogna guardare i modelli e gli oggetti interni.
    Chi ammazza moglie e magari anche i figli e non è un gangster, è qualcuno che ha varcato una soglia da cui non si torna indietro, è una soglia che ha varcato con la compagna che sta per uccidere, qualcuno che non regge di perdere il terreno da sotto i piedi.
    Volevo semplicemente semplificare il semplificabile.
    Non mi sembra che esista un sistema da vedere in modo unitario. L’idea di ‘femminicidio’ isola un’urgente questione sociale e va bene per evidenziare mediaticamente il problema, ma da qui a usarla come chiave per capire o men che meno risolvere il cuore del problema ce ne corre.
    Credo che quest’ottica presupporrebbe che uomini diversi uccidono donne diverse spinti da motivi comuni, classificabili.
    Se dovessimo vendere tutte le varie forme di violenza che accadono contemporaneamente, violenze grandi e piccole, gravi e meno gravi nell’ipotetico ‘sistema’ citato da valter binaghi la nostra percezione andrebbe in tilt.
    Secondo il mio modesto parare mi sembra più logico vedere quello che è realmente comune a tutto noi ovvero la modalità di sistemi affettivi e sociali e non la modalità omicida che rappresenta una gravissima anomalia.
    Siamo di fronte a grave analfabetismo affettivo e terribile fragilità psichica che, non più sostenuta da collettività agglomeranti come il paese, il partito, la parrocchia, la famiglia allargata ecc. lascia a molti come unico rifugio per l’integrità del sè, la coppia. Quando si trova l’amore ci si stringe nell’amore come in una terra promessa, se poi la coppia viene meno ecco che la distruzione interiore chiama distruzione concreta.
    Indipendentemente che si viva in due cuori e una capanna o se si lascia la moglie a casa per tradirla o folleggiare con gli amici, la coppia resta la sede della stabilità , della forza interiore e il fondamento del proprio mondo, per un numero, di uomini.
    Essere abbandonati e lasciati per un altro, è sempre il peggiore dei lutti, è la perdita per eccellenza, è vissuta da qualsiasi uomo come un’annientamento, l’essere scartati per un maschio più di noi, è biologia di base, e chi c’è passato lo sa, in un quadro normo-patologico fusivo, ossessivo, in qualcuno può scatenare la pulsione a distruggere l’altro, a volte simbolicamente, offendendo, vendicandosi, sputtanando, sparlando, cercando soddisfazione altre purtroppo concretamente si perde il lume e si ammazza.
    Spesso succede che qualche padre di famiglia uccide anche i figli, prima di tentare il suicidio o di andarsi a costituire.
    Un’aspetto sociale e culturale da cambiare piuttosto mi sembra quello che vede nell’amore la cura di tutti i problemi, il fatto che non ci si preoccupa di nutrire il sé con contenuti sufficienti da reggere dolori e frustrazioni.

  22. @Anna Castagnoli: hai ragione, è molto da “bus”, ma siamo in un blog e non devo sostenere una tesi in femminicidio e poi magari potessi. Preferisco una noterella a un commento copiaincollato che non sento mio. Poi non mi sono lamentato, anzi, ora so anche dei tuoi dieci anni di psicanalisi. Io sarei scappato dopo due minuti, figurati.
    @Daniele Marotta: sì ho capito, hai semplificato all’osso. Più di così.

  23. Ho riguardato l’articolo di Repubblica segnalato da Loredana l’altro ieri sui casi recenti di omicidio di donne.
    in realtà quello che emerge prima di tutto mi sembra che l’amore sia mutato in ‘ossessione’, in cinque casi su sette si tratta di persone che non hanno tollerato la separazione uccidendo e poi uccidendosi o tentando. Il progetto di uccidersi toglie di mezzo l’idea maschilista della donna oggetto in quanto progetta la stessa sorte per entrambi. Addirittura un caso riguardava una coppia omosessuale di due uomini. De carlo uccidendo due amanti porta quest’ossessione al paradosso diventando omicida suicida addirittura seriale..
    Solo il caso della povera Simona Melchionda uccisa a botte da uno che le ha dato un passaggio e a cui ha rifiutato le avances può rientrare in una dinamica predatoria, coma anche la Chiara Brandonisio che ha chattato col suo assassino raccontandole cose e dati personali prima di capire che era un mostroide armato.
    Praticamente nessuno dei casi di questi giorni ha visto coinvolti uomini violenti con donne amate considerate inferiori a sé e uccise per maschilismo.
    Se parlando parlando ci portiamo su altri temi rischiamo di perdere di vista i fatti.
    D.

  24. @Daniele Marotta scrive: “Praticamente nessuno dei casi di questi giorni ha visto coinvolti uomini violenti con donne amate considerate inferiori a sé e uccise per maschilismo.”. Avalla questa simpatica (si fa per dire) considerazione perché gli uomini che uccidono molto spesso si suicidano e non solo, ammazzano anche altri uomini quando sono omosessuali. Perché il pezzo di Repubblica non andava oltre, come sarebbero catalogabili quelli che uccidono i trans? E nella confusione gender donne diventate “uome” per operazione che uccidono donne “normali”? E il neologismo non bellissimo di femminicidio va a ramengo. Suvvia.
    Una volta per tutti questo termine diffuso dopo la strage di donne di Ciudad Juarez, in Messico, è la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, rivolta contro la donna “in quanto donna”. Gli ammazzamenti gay ci portano in altri lidi, perigliosi anch’essi. Non mi stupisce che non per “perdere di vista i fatti” li si allarghi a dismisura.
    Al simpatico Marotta mi verrebbe da dire un “Si contenga”. Troppa carne al fuoco. Questi commenti poi fanno venir voglia di dibattito femminile tutto interno. I maschi, anche ravveduti, compreso chi scrive tutti fuori dal blog. Il femminismo non è una parolaccia, ma una conquista.

  25. Sono d’accordo con questo commento di daniele Marotta, nella violenza sulle donne mi pare di distinguere due dinamiche diverse: una, secondo me legata più direttamente al modello patriarcale e machista, del padre-compagno-fratello che picchia e maltratta regolarmente la femmina di casa per tenerla assoggettata, ed eventualmente una volta “esagera” e la uccide; l’altra, del compagno lasciato che, incapace di elaborare questa rottura, annienta la donna che ha privato di senso la sua vita, a volte addirittura i figli comuni, e poi spesso anche se stesso, dove secondo me il disagio individuale è fortissimo, insomma che per me rientra molto in quanto detto da Zauberei.
    E che comunque non mi pare alcunchè di giustificatorio, perchè disagio non vuol dire incapacità di intendere e di scegliere: in entrambi i casi il violento è in grado benissimo di distinguere il bene dal male, e di capire le conseguenze delle proprie azioni.

  26. Vincent, benchè io trovi trovi che Marotta spesso scivoli nella psicoanalisi selvaggia arrecando molto danno alla disciplina che crede di amare- non sivede perchè gli altri debbano fornire tesi di laurea e tu no. Gli altri debbano fare commenti fichi e tu sparare solo quattro cazzate. Meglio Marotta di te, che usi l’argomento per fare scena, sfondare le porte che la maggior parte delle persone qui ha sfondato a quindici anni e poi, no nun alzo na paja perchè non so pronto. Ah ma a me il romanesco alla lunga me annoia. E pace Ciccio, se è il contributo migliore che puoi offrire all’agone. Davvero non si sa tu che cose preziose hai fornito a questo dibattito!
    Gli stereotipi idi genere? La misoginia? Ma che ti credi di insegnare? Ma che pensi di spiegare in un blog dove non si parla di altro da anni? Questa è base comune qui, stai facendo seghe su un pianerottolo senza avere il coraggio di fare due scalini ma con la stessa prosopopea di chi ha scalato un grattacielo. Sei un provocatore, alla fine – che di norma non servono a niente.
    Si può essere benissimo femministi o femministe, tenendo a cuore gli strumenti psicoligici assieme a quelli socioculturali. Ma che te lo spiego a fa – tanto alla fine sei peggio di un disco rotto.

  27. ok, da osservatore piu’ o meno esterno a questo popo’ di dibattito mi pare di sentire che (io almeno) sto perdendo di vista il cosa per stare a spelare i come e i perche’. Il cosa e’ quello su cui la societa’ civile puo’ ragionare e su cui deliberare, il come e il perche’ afferiscono ad un’altra serie di preoccupazioni, certo molto importanti, ma che riguardano l’individuo, e in quanto tali vanno affrontati, da professionisti (psicologi o altro). Per fare un parallelo scemo, prendiamo che so lo schiavismo. La societa’, almeno da queste parti. ha da un bel po’ stabilito che rendere schiavo qualcuno non e’ accettabile. Stabilito in modo definitivo, semplicemente non e’ accettabile. Non esiste una mezza misura, non puoi dire che si ma quello si e’ messo davanti e mi ha detto “zi badrone” quindi mi ha provocato. Se lo fai sei fuorilegge, punto. Poi una volta stabilito che sei fuori legge, entrano in ballo tutti i come e i perche’, ma questo per decidere il che fare dopo, il come punire, se punire, il come aiutare ad uscire da una condizione di disagio, se si ritiene che uno che schiavizza un altro abbia problemi psicologici da risolvere, e si puo’ guardare all’ambiente, alla famiglia, eccetera, quello che volete. Ma questo e’ il passo successivo, e riguarda l’individuo, la singola storia. Per continuare col parallelismo scemo, cosi’ come non puoi accampare attenuanti sullo schiavizzare qualcuno, allo stesso modo e’ socialmente inaccettabile incitare alla schiavizzazione con, che ne so, pubblicita’ ammiccanti, fatti lo schiavetto che sei ganzo. Quello che stiamo dicendo qui e’ che invece per la violenza sulle donne (e aggiungo per continuare il mio commento di sopra per la violenza sui bambini, e ci metterei anche altri tipi di comportamenti inaccettabili verso incapaci e via discorrendo), per questi tipi di violenza dicevo non si e’ ancora arrivati come societa’ a ritenerli altrettanto inaccettabili, perche’ anche se ci si indigna davanti al singolo atto, certi discorsi (tipo, mi ha provocato, tipo, la famiglia lo ha incitato, tipo, la pubblicita’ lo ha titillato, tipo, era incapace di intendere, tipo, era sopraffatto dalla passione/rabbia/paura) vengono ancora presi in considerazione a monte, cioe’ quando si stabilisce il cosa, invece che ritenerli rilevanti a valle, soltanto quando, stabilito il cosa, si passa alla seconda fase del decidere sui come e i perche’ e il che fare dopo.

  28. Si supermambanana è l’unico merito che riconosco alla scelta del termine. E hai ragione a dire bisogna dare maggiore rilevanza. Ma detto questo il come eil perchè sono strumenti che possono lavorare non solo sul dopo ma anche sul prima. Su cosa fare per evitare. Perchè quelle sono le cose da fare ottenuta la rilevanza, la rilevanza senza progetto di intervento è assolutamente inutile.

  29. …. nel senso che a “valle” per me ci sta sia come fare per recuperare chi ha commesso il fatto, sia come fare per operare una prevenzione

  30. E’ vero supermambana, maltrattare e persino alzare le mani sulla propria donna non è ancora ritenuto abbastanza inaccettabile. In effetti fino a pochi decenni fa ricorrere a insulti e botte come metodo disciplinare ed educativo, per far rigare dritto moglie e figli, era diffuso e, purchè non eccessivo, normale e accettabile; e comunque pur sempre un fatto privato.
    E secondo un’indagine ISTAT, ancora nel 2006 solo il 18% delle donne considera i maltrattamenti subiti in famiglia come un reato.

  31. Ti prego Zauberei di rinfoderare un tantino gli artigli, voglio dire non è che dalla tua tastiera, esca vangelo..
    Io adoro il confronto ma lasciami la libertà di scivolare dove mi aggrada e di “credere” di amare le discipline che ritengo opportune. Io poi posso al massimo incartarmi nell’esprimermi ma arrecare danno alla psicanalisi, insomma, e chi mi credo di essere?
    Dai, grintosa sei forte! ma nei limiti del personale..
    D.

  32. Daniele senti, capisco che l’artigliata possa essere parsa esagerata, e ti ringrazio davvero della risposta gentile.
    Io ci ho un enorme problema. Il mio problema è che di biologia non parla nessuno, di diritto societario manco, di termodinamica men che mai, ma di psicologia chiacchierano tutti. Esiste una psicologia popolare, che ammischia intuizioni anche utili, conoscenze sorpassata e magari anche disconofermate dalla ricerca e luoghi comuni. Affermazioni che si fidano di un generico indicativo: lo so io com’è andata! Perchè la psicologia dice questo. E giù il minestrone di argomenti, in cui ci precipita dentro l’ammore, mammà la soliutudine l’abbandono e compagnia cantante.
    Poi lo psicoterapeuta quello vero va a lavorare, e si trova trattato a pedate perchè mandrie di psicologi selvaggi hanno diffuso un’idea distorta della psicologia, hanno spacciato per psicologiche idee loro, fornendo un’idea della disciplina falsa, loffia non rigorosa, antiquata, comica. Parte di queste opinioni io mi trovo a combatterle anche con interlocutori di lusso giornalisti e giornaliste colte, che mi scambiano la psicologia per la psicoanalisi degli appassionati, che scambiano l’archeologia per la tecnologia.
    Quindi io non è che ti chiedo di non esprimere le tue opinioni, che spesso dicono anche cose interessanti. Io ti chiedo di qualificare esplicitamente il tuo rapporto con la materia (la studi? l’hai studiata? la leggi? sei un professionista? Io qui l’ho già fatto: sono psicologa e mi occupo di gender studies) ti chiedo di distinguere nel modo di scrivere ciò che ritieni strettamente psicologico e cosa invece ci aggiungi di tuo. E in generale di tenerti sul possibilista: perchè nessuno ti può dire cosa scrivere e cosa no non sarebbe certo giusto! Ma nell’interesse di chi legge, anche se mossa da meschini interessi lobbystici – qualcuno te dovrebbe di quando dici una cazzata. Ecco.
    Ti ringrazio comunque, e spero di essere stata aggressiva nei limiti. Lo faccio pure perchè ti leggo un interesse autentico per la materia.

  33. @Zauberei: posso anche smettere di commentare, non ho urgenze, né ricette e non provoco nessuno. Leggo questo blog da tempo e solo da poco ho iniziato a scriverci. Cosette, lo so da me. Prima o poi la smetterò, ma sarò io a deciderlo o Loredana Lipperini se lo ritiene opportuno. Punto. Cordialità.

  34. E chi ti ha detto di smettere di commentare? Sei stato criticato, con la stessa spocchia se vuoi, che hai riservatro a molti tu, qui. Poi decidi te che farne della critica, se accoglierla o rifiutarla. Alla fine è questione tua.

  35. @ Zauberei: ma io sta spocchia non la vedo, anche se ultimamente gli amici mi danno dell’arrogante. Mi devo preoccupare? Accolgo la critica e invito i lettori ad andare sul blog di Zaub per un articolo bello e importante sul femminicidio. Alla sua maniera. Basta se no mi becco anche del paravento.
    🙂

  36. Come sei gentile Vincent:) oggi sono nervoserrima – agisco la nervoseria scassando le palle a manetta – benchè con ragion d’essere – e vengo perdonata. Quello che volevo dire comunque è che devi buttatte come fa Daniele! Cioè non proprio proprio na via de mezzo ecco:) più righe! Come nel commento di la che naturalmente mi trova sintonica.
    Ciao 🙂

  37. @Super Zaub
    Grazie per le precisazioni, come avrai notato sono più facile alla prosopopea che al mite consiglio ma farò certamente attenzione nel distinguere le mie idee dalle teorie varie di varie discipline.
    Correggimi quando dico cazzate, finora hai bastonato me ma non ho capito cosa ho scritto di ‘bestiale’.
    😉
    ciao Nì.

  38. X Valter Binaghi
    Sì la direzione autorevole negli affetti può essere utile, a patto che educhi la gente a non considerare l’amore qualcosa di eterno (in modo he essere lasciati non diventi una tragedia) ma qui l’etica monoteista (e tantomeno quella cattolica) non è di alcun aiuto. semmai è di umanesimo secolare, di illuminismo che c’è bisogno.

  39. e non sono neanche tanto sicuro che l’etica della colpa sia migliore dell’etica della vergogna, diciamo che entrambi questi sistemi hanno pregi e difetti e ricordo, en passant, che nel paganesimo greco-romano, che pure relegava le donne in uno stato d’inferiorità, esistevano collegi sacerdotali femminili che avevano pari dignità con quelli maschili, cosa completamente scomparsa nel monoteismo giudaico-cristiano e islamico.

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