Ho riflettuto parecchio, in questi giorni, su L’ubicazione del bene di Giorgio Falco. Per chi non lo conoscesse, è un libro di racconti, collegati l’uno all’altro dal medesimo sfondo. Ovvero, Cortesforza, uno dei quartieri residenziali che spuntano alle periferie delle metropoli promettendo idromassaggio nei bagni e la possibilità di vivere in un piccolo mondo perfetto, separato da tutto il resto ma assai ben collegato a quel “resto” che rimane imprescindibile.
Nei racconti, si parla – apparentemente- di misere esistenze: uomini che sognano improbabili successi nel lavoro e donne che sognano la maternità. E’ attraverso queste piccolissime vite che passa non la riflessione, ma la registrazione di cosa siano oggi Bene e Male. E ci viene mostrata quella che è una disperazione senza quarti di nobilità: il libro, in breve, affaccia sul vicolo cieco che gli esseri umani imboccano quando i loro sogni si fanno piccoli.
Non solo giusto, ma appropriato al tempo che in questo momento, nel nostro paese, viviamo.
Ma nel momento in cui riconosco la pertinenza con il reale, mi viene un dubbio. Mi aiuta a formularlo, inconsapevolmente, Giorgio Vasta, con un bell’intervento sulla pagina culturale di Repubblica di oggi. Nel quale dice fra l’altro:
Attraversando gli anni Settanta Ottanta e Novanta, siamo cresciuti nella percezione non semplicemente della fine del nostro presente quanto del presente come fine, obiettivo e conclusione, il tempo nel quale tutto si genera e contro cui tutto si arresta. Diversamente da quanto è accaduto agli scrittori del dopoguerra, quando la meditazione sul presente si connetteva in maniera imprescindibile a quella sul passato e a un impulso verso il futuro, la coscienza acuta del presente ha determinato in noi un´incapacità prospettica. Scorniciati dalla storia, in caduta libera dentro un tempo immobile, abbiamo dovuto trasformare il limite in vantaggio, l´incapacità in risorsa, facendo della nostra esitazione – intesa come il modo in cui si reagisce all´incertezza – la prospettiva dalla quale osservare il mondo.
Parole lucide e condivisibili. Il romanzo di Giorgio Vasta, Il tempo materiale (meritatamente candidato allo Strega) mi aveva suscitato all’epoca sensazioni simili a quelle che mi ha offerto Falco. Una prospettiva bloccata che porta ad una precisa scelta di sguardo: non il grande, ma il grande nell’infinitamente piccolo.
Macroscrittura, appunto.
Il piccolo gesto diventa grandissimo. Il dettaglio diventa il centro della narrazione. Diventa la chiave per raccontare l’universo. E, va da sè, diventa terreno per sperimentare virtuosismi linguistici di grande raffinatezza.
Bene. C’è un però, e ho esitato a lungo prima di porlo sul tappeto. So di rischiare parecchio, facendolo, e di chiudermi con le mie mani nella definizione di fanatica. Provo a farlo comunque.
Per dirla fuori dai denti, trovo atroce la visione del femminile esposta nei racconti. Ho detestato le donne di Falco. Sono tutte uguali. Tutte (quasi tutte, via) petulanti, castranti, invidiose, con la maternità come unica possibilità di esistenza e il matrimonio come traguardo. Certo, anche gli uomini sono spaventosi: ma hanno qualche ventaglio di possibilità in più dove esprimere la loro pochezza. Le donne, qui, aiutano i compagni a scendere nel baratro più in fretta.
Bisogna scegliere questo punto di osservazione quando si parla di un libro? So che la risposta, fra i miei amici e affini che di libri si occupano, sarà no.Forse hanno ragione. Ma forse la questione di genere/i mi permette di esprimere un secondo, piccolo dubbio.
Perchè quando i personaggi diventano stereo(tipi) c’è qualcosa che a me non torna. Mi lascio trascinare dalla bravura di Falco, indubbia e degna di assoluta ammirazione, nel delineare un universo privo di speranza e destinato non all’apocalisse sfarzosa e drammatica che si immaginava, ma a consumarsi in sordina, a incenerirsi un po’ alla volta, grazie alla mancanza di etica e di utopia e di dignità degli abitanti di Cortesforza.
Eppure vorrei che almeno qualcuno dei suoi uomini e delle sue donne bucasse la pagina. Vorrei sentirlo vivo, e non limitarmi a raccogliere il suo messaggio. Tutto qui.
Ps. Sottolineo che su vari blog troverete recensioni assai più accurate della mia e decisamente più meritevoli: quella di Demetrio Paolin, di Giuseppe Genna, di Ade Zeno, e tante altre che sarà facile trovare.
io dalla narrativa non voglio pedagogia, non voglio lezioni morali e/o politiche o ideologiche altrimenti mi leggo un saggio, non pretendo nemmeno storie “originali” scritte in maniera “sorprendente”, voglio storie appassionanti e personaggi che si comportano in maniera coerente e credibile, voglio immergermi in quella vicenda e affidarmi totalmente alla narrazione questo è ciò che conta per me. Tutto il resto è secondario. E’ un parere personalissimo, ovviamente
Ciao Paolo1984, sì sono questioni assai interessanti. Nel mio intervento precedente, in effetti, intendevo parlare di critica letteraria: è solo quella che non può esimersi di essere (anche) impegnata,al contrario della narrativa che può tranquillamente infischiarsene – precisazione necessaria. Forse è però il mio modo di vedere le cose che mi impedisce di pensare a questa ultima come a un qualcosa che sia solamente bello di per sé e che trova il suo valore intrinseco in se stessa. Ciò andrebbe anche bene per carità, se non per il fatto che questa prospettiva viene propinata come metodo educativo obbligatorio nelle scuole, per cui l’istruzione avviene o facendo leggere i Promessi Sposi per chissà che motivo, o non avviene del tutto. Siamo poco abituati a leggere con il fine esplicito di esercitare le nostre riflessioni etiche in maniera critica, autonoma e creativa su qualcosa che trasmette valori morali in via potenziale; eppure quello etico è un metodo d’approccio al testo valido tanto quello stilistico, storico-letterario o anche solo emotivo. Bisognerebbe approfondirlo di più.
tutti i metodi d’approccio sono legittimi, per carità, ognuno legge quel che vuole e lo interpreta secondo la sua sensibilità, tra tutti i metodi quello etico (o politico o ideologico) è quello che mi lascia più perplesso ma ripeto, è una visione del tutto personale