Gira in rete un protocollo contro la pubblicità sessita, promosso da un fotografo, Ico Gasparri. Ve lo posto.
Contro la pubblicità sessista
Il Protocollo contro la pubblicità sessista intende proporsi come uno strumento di partecipazione attiva delle cittadine e dei cittadini alla vita collettiva: una militanza per un diritto violato, una vera e propria campagna di civiltà.
Questo strumento intende ostacolare con campagne di opinione civile la diffusione di tutte quelle forme di “comunicazione pubblicitaria a fruizione obbligatoria” – in altri termini dicampagne pubblicitarie affisse in luoghi pubblici – che trasmettano non solo esplicitamente, ma anche in maniera subdola, edulcorata, camuffata, allusiva, simbolica e subliminale, messaggi che suggeriscano, incitino o non combattano il ricorso alla violenza esplicita o velata, alla discriminazione, alla sottovalutazione, alla ridicolizzazione, all’offesa nei confronti delle donne.
Con il protocollo non si intende contestare i prodotti, i concetti, le aziende o i marchi rappresentati, ma la comunicazione discriminante e sessista attraverso la quale questi vengono.
L’adesione al Protocollo è aperta a cittadine/i di qualsiasi nazionalità e avviene mediante la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica pcps@fastwebnet.it del proprio Cognome, Nome, data di nascita, professione, città di residenza e indirizzo di posta elettronico (indispensabile) e la frase: “aderisco al protocollo contro la pubblicità sessista”. L’obiettivo è quello di raggiungere il più alto numero di firme a livello nazionale ed internazionale, anche collegandosi ad altri gruppi di opinione presenti in altri paesi che perseguano i medesimi fini. Anche i gruppi e le associazioni possono aderire. L’adesione si intende effettuata una volta per tutte e sarà valida fino alla richiesta esplicita di rimozione da parte dell’interessata/o.
Il Protocollo con un testo di contestazione e l’elenco aggiornato degli aderenti, con cognome, nome, data di nascita, residenza e professione (senza la e-mail), unitamente a una riproduzione fotografica della campagna in oggetto, sarà presentato tutte le volte che si riterrà opportuno, anche se questo dovesse significare decine e di volte:
alla direzione (commerciale, strategica e marketing) dell’azienda reclamizzata;
all’agenzia pubblicitaria che ha firmato la campagna;
alle modelle o ai modelli, ai testimonial che abbiano prestato la propria immagine;
al Sindaco della Città che ospita le affissioni, differenziando di volta in volta le città, trattandosi in genere di campagne nazionali;
agli organi di stampa e TV che accoglieranno questa protesta e gli daranno risalto;
ai direttori delle riviste, quotidiani o altro organi di informazione cartacea o multimediale che abbiano ripubblicato la medesima campagna affissa in luoghi pubblici.
I firmatari sono avvertiti con la posta elettronica ogni volta che il protocollo sarà messo in atto.
Tutti i singoli aderenti contribuiranno alla diffusione del Protocollo come modello di cittadinanza attiva, raccogliendo ulteriori firme a sostegno in ogni sede e modalità possibile.
PROTOCOLLO CONTRO LA PUBBLICITA’ SESSISTA
pcps@fastwebnet.it
“Bevete più latte/il latte fa bene/il latte conviene/a tutte le età… ” (Fellini, Boccaccio 70, Le tentazioni del dottor Antonio)
interessante iniziativa…
“Con il protocollo non si intende contestare i prodotti, i concetti, le aziende o i marchi rappresentati, ma la comunicazione discriminante e sessista attraverso la quale questi vengono”.
E se qualcuno dicesse con convinzione che comunicare è arte? E se qualcuno si appellasse al art.21 della Costituzione che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”?
Più avanti, nel medesimo articolo si legge: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contarie al buon costume”. Cos’è il “buon costume” con precisione, possiamo definirlo con chiarezza e in modo universale?
Dubbioso. Molto dubbioso. Anche se comprendo benissimo le ragioni del protocollo.
Mah io sto cominciando a pensare che si può tentare invece qualcosa di più incisivo. Per ora non dico nient. Ma intanto per primi bisogna trovare il coraggio di difendere un discrimine etico. Penso che sarebbe salubre una rilettura del dibattito che ha attraversato la cultura nera, quando si è dovuta affrancare dal PROPRIO ziotomismo: la tendenza a rappresentarsi come i bianchi volevano che i neri fossero rappresentati. Louis Armstrong che era un genio eppure faceva er grande grosso e giuggiolone. Il deficiente. Gli spettacolini con i neri pittati di nero e la faccia de selvaggio.
Un po’ di Leroy Jones per il femminismo ecco.
E poi io, per questioni di efficacia, sto pensando di modulare un intervento -. per la verità di carattere legale – non tanto sulla scivolosa faccenda del canone estetico imposto – passibile di numerose interpretazioni o delle donne nude o troppo sorridenti. Ma vorrei concentrarmi su certe rappresentazioni che secondo me sono veramente contro i diritti umani.
Voglio dire: La tizia a gamba de tavolo.
Magari mi ripeto. Ma per me la tizia a gamba di tavolo è un discrimine.
Sew non lo è allora ci sono una serie di cose che la legge odierna considera illegali e che invece dovrebbero esserlo.
Ho mandato la mail di adesione proprio adesso. Spero proprio che sia l’inizio di una nuova era antisessista.
Nuovo e utile di questa settimana apre con Corpo femminile, immaginario e creatività: qualche idea?
All’interno riferimenti al filmato di Lorella Zanardo e ai blog di Loredana e di Giovanna Cosenza.
E’ vero Zaub.
Quando uscì quella trasmissione e Flavia Vento finì sotto il tavolo, ricordo tanti polveroni. Ma alla fine si disse: “Ironia”. Posso capire per una puntata, ma non certo per tutta la stagione.
Io inizio sempre più a convincermi che bisognerebbe fare qualche chiacchierata con le menti geniali che in tv hanno queste idee. Perché alcune di esse sono donne.
E capire se è proprio un’ignoranza di fondo che spinge la Parietti o la Carlucci a nascondersi dietro un dito, oppure se sono fermamente convinte che certe rappresentazioni non siano affatto volgari o lesive della dignità (di una persona, aggiungo, a prescindere dal sesso).
Oltretutto, se davvero le donne in questo paese devono conquistarsi o riconquistarsi il rispetto come persone (come lo fu per gli africans), beh lo status del movimento mi pare assolutamente alle origini.
Dagli anni sessanta evidentemente c’è stata un’ellissi temporale che ha portato ad oggi.
Ironia per tutta una lunghissima stagione, perché no? Mi tornano in mente le analisi di Wuming: ironia e alibi, farsi di lato alla storia e irridere alla responsabilità.
Quell’ellissi temporale di cui parli, Ekerot, potrebbe chiamarsi anche ‘postmoderno’.
ma questo schifo di pubblicità l’avevate visto?
http://www.youtube.com/watch?v=SpApITku5aw
Lo spot segnalato da ilse mi ha raggelata.