Anna Bravo, storica, su Repubblica di oggi:
Non capisco perché alcuni uomini debbano fare appello alla propria componente femminile per indignarsi di fronte al cosiddetto Rubygate, mentre avrebbero di che indignarsi in prima persona. A uscire devastata dalla vicenda è più l´immagine maschile che l´immagine femminile. Ragazze che si vendono – un fatto che mette ansia, perché la prima giovinezza è un impasto delicato di furbizia, ingenuità, voglia di spadroneggiare, vulnerabilità. Ma soprattutto uomini che soltanto grazie al denaro e al potere dispongono del loro corpo (o magari solo della loro attenzione) e le gratificano con regali comprati all´ingrosso.
Eppure, mentre molte di noi si preoccupano della dignità femminile, nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere quella del genere maschile. Certo, il modello Berlusconi è così grezzo e simbolicamente violento che per un uomo di buona volontà può essere difficile vederlo come una ferita inferta (anche) alla propria immagine. Ma, cari, quel modello vi rappresenta in giro per il mondo. Mi stupisce che la vergogna provata da tanti di voi riguardi l´essere italiani, e non l´essere uomini italiani.
Vi sentite incolpevoli? ma allora dovreste sentirvi incolpevoli anche come italiani. Berlusconi vi sembra un alieno? forse, ma non cambia il fatto che appartenete allo stesso sesso.
Alcuni uomini (penso a singoli, all´associazione Maschile plurale, a vari altri gruppi) hanno capito da decenni che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno. Uno sforzo, e potreste capire che neppure dallo svilimento delle donne è possibile chiamarsi fuori, che c´è una responsabilità sovraindividuale – beninteso, non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare (o a lasciar sopravvivere) un clima.
Non mi riferisco soltanto al sesso in compravendita, e neanche al rischio di degradazione che pesa sulle relazioni uomo/donna – problema politico per eccellenza, a dispetto di chi invoca: «torniamo alle cose serie». Intendo un clima in cui le parole delle donne spesso non sono richieste, e se sì, si ascoltano con l´orecchio sinistro, in cui i vertici di qualsiasi realtà sono clan maschili. Eccetera. Un clima, anche, in cui pochissimi e pochissime possono invecchiare in pace senza sognare/temere/detestare la bellezza e la giovinezza.
Prima di indignarsi per interposta donna, alcuni di voi potrebbero aiutarsi con la memoria. Nel Sessantotto e con molta più forza nel femminismo, c´era la buona abitudine di chiedere alle persone da che luogo parlassero, e il luogo era la condizione personale, i comportamenti, l´ideologia, l´istituzione di cui si faceva parte e altro ancora. Voi parlate come se viveste in una camera sterile, con un filtro all´entrata per proteggervi dal contagio delle brutture altrui, e uno all´uscita per fare il restyling alle vostre – diverse, perché no, ma brutture comunque. Parlate come se la buona volontà e un po´ di buon gusto vi mettessero per così dire al di sopra delle parti. Il che può spiegare certe dichiarazioni stravaganti, ma fa anche sospettare che in un angolo della vostra mente riposi la vecchia filosofia secondo cui il maschile equivale all´universale. Capire che i soggetti sono due, uomo e donna, e che il primo non può rappresentare il secondo, per noi è stata una delizia.
Su, non fateci ripetere cose tanto ovvie!
Mi dispiace, ma non credo che le tesi dell’autrice portino un contributo utile alla discussione. Vediamo: sono un essere umano sessuato maschile, secondo la definizione del gruppo “Diotima”. Questo mi rende italiano? No, non me ne frega nulla della patria (intesa come nazione che mi definisce, rappresenta, etc). Mi rende “rappresentato” da Berlusconi? Nemmeno, mi faccio rappresentare politicamente da chi voto, ben consapevole che mi rappresentano solo in “ufficio” (se ci arrivano: come altri/e, ho votato per gente che non ce l’ha fatta ad arrivare in parlamento). Il mio genere esce male dal corrente puttanaio che e’ la vita privata del signor b.? E cosa centro io? Come essere umano sessuato maschile, mi fanno vergognare assai di piu’, e seriamente incazzare, e chiedere in che cosa sbaglio, le statistiche che raccontano che 1 donna su 4 *nei super ricchi e ben curati* campus universitari americani (in uno dei quali lavoro) e’ vittima di molestie sessuali (ma, pare, anche 1 maschio su 6) da parte di esserei umani che potrebbero anche essere miei studenti. Come non mi passa per la testa di pensare che siccome prostituirsi, oggi, in Italia, porta donne in parlamento, in consiglio regionale, o sull’Isola dei famosi, e dunque tutte le donne dovrebbero vergognarsi, cosi non mi sento affatto chiamato in causa dalla situazione patologica che colpisce colui che, per una serie di circostanze indipendenti dalla mia volonta’, si trova a ricoprire la carica di primo ministro italiano. Se fosse possibile processarlo e incriminarlo, non sentirei nessuna oppressione perche’ un essere umano del mio genere finisce in prigione…
Un’amica mi ha suggerito di aggiungere questo ulteriore commento, che avevo inviato a lei per spiegarmi ulteriormente:
Secondo me nell’articolo il problema e’ mal posto, semplicemente.
Se mi si dice che:
a) la societa’ e’ maschilista
b) penalizza le donne
c) il discorso prevalente e’ sessista (anti-donna)
d) etc…
io sto contrito e dico si, sono totalmente d’accordo e cerco di appoggiare pensiero parola opera etc femminile, laddove posso intervenire.
Ma qui si tratta di altro, meramente etico-politico: un ormai totalmente svilito contratto sociale, una corrotta moralmente classe dirigente (si fa per dire). Questi non teorizzano nulla, semplicemente sviliscono e travolgono, massacrano e sputtanano, in tutti i sensi. Ecco perche’ l’articolo non contribuisce al dibattito. E’ questo e’ secondo me il suo limite.
La questione non è Valeria che gli uomini non debbano considerare questo esempio culturale come un cattivo esempio per loro stessi – e neanche ha torto Wuming4 quando allude ai tic sessisti che hanno anche gli uomini meno sessisti (anche io esercito mio marito alla dura scuola dello scassamento di palle sulle situazioni quotidiane) ma il problema – è in un tono dicotomico che crea una barricata, e che sente dentro l’eco di una rabbia tutta delle donne verso tutti gli uomini. Le reazioni sentite che ha indotto mi sembra mi diano ragione. Quel tono, che tanto si sintonizza con il nostro stato emotivo, non induce nell’effettto sperato, perchè la gente giustamente si difende. E’ un problema di stile oltre che di impostazione mentale. Se a me viene uno su un giornale e con questo simpatico tono di scrittura mi comincia a dire, oh incazzati vergognati perchè se ci sono le veline è anche colpa tua, se ci sono le minorenni che la danno al premier sei un po’ te evidentemente un po’ zoccola – io me ne risentirei. Tu no Valeria? La nostra percezione di attenzione alla nostra struttura mentale, la nostra più semplice presunzione – è meno realistica di quella degli uomini? Ti dici che questi toni non sono gentili, come se la gentilezza fosse una robetta che fa schifo. Ma in certi casi la gentilezza è una forma di rispetto, oltre che una forma di saggezza.
Fermo restando che – Berlusconi non è un problema dei maschi, e le regazzette non sono un problema delle femmine, ma entrambi sono problemi della cultura.
Sinceramente non capisco l’accanimento di molti contro l’articolo di Anna Bravo. C’è un passaggio, in particolare, che chiarisce molto bene la questione:
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“C´è una responsabilità sovraindividuale – beninteso, non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare (o a lasciar sopravvivere) un clima.”
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Nessuna “dannazione originaria” che deriverebbe a noi maschi dal solo fatto “di avere un uccello”, come ha detto qualcuno con grande finezza… soltanto la necessità di riconoscere una “responsabilità sovraindividuale”… e riconoscere una responsabilità di questo tipo significa smettere di guardarsi come singoli, e acquisire una percezione di sé, appunto, come gruppo, come genere, con tutto quello che ne consegue.
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Se non interpreto male, quindi, Bravo propone, al pari di molt* altr*, un lavoro sull’immaginario maschile… quel “cambiare le impostazioni” di cui ha parlato WM1.
La questione della colpa collettiva è difficile, spinosa. Dolorosa.
Tuttavia, non può essere derubricata con un’alzata di spalle. Con un “io non c’entro, io non stupro, io non abuso.”
Un sudafricano bianco liberale e di larghe vedute non poteva chiamarsi fuori dall’apartheid e dal regime con uno sbrigativo “io non discrimino, non torturo, non uccido.” Il contesto lo interrogava per via diretta, sempre, molto aldilà dei pur importanti comportamenti personali. Perchè quel contesto forniva circostanze, opportunità, vantaggi, che comunque eccedevano la semplice sfera personale per avere ricadute e ripercussioni sull’intero corpo sociale.
Un sudafricano bianco liberale e di larghe vedute in ogni caso si giovava di una quota di privilegio derivata direttamente da un abuso, da uno stupro, da un omicidio.
I tedeschi, settant’anni dopo, sono ancora lì che ci ragionano sopra.
Un motivo dovrà pur esserci.
L.
«Un sudafricano bianco liberale e di larghe vedute in ogni caso si giovava di una quota di privilegio derivata direttamente da un abuso, da uno stupro, da un omicidio». Sono 14 anni che faccio della questione della colpa collettiva un argomento didattico, faccio leggere e commentare Arendt e Jaspers, e non avevo ancora trovato una frase che condensasse con tanta chiarezza, precisione e sinteticità l’intera questione. Mi inchino al collega (e maestro) scrittore, e lo ringrazio per aver dimostrato che la scrittura è, prima di ogni cosa, un fatto etico: chapeau, Luca.
Al volo. In sintonia con Don Cave, Luca e Girolamo.
@Zaub. Sì, il ‘come’ parli per me è importante tanto che a volte tradurre anche nel tono l’esasperazione fa significato.
E per me l’articolo di Anna Bravo significa anche questo: adesso basta con il parlare sulle donne, delle donne, di quello che fanno, di quello che non fanno, di come lo fanno, di dove stanno ecc. ecc. ecc., parlo a te ‘uomo situato’: ‘tu’ che fai, che pensi, come ti poni ecc. ecc. ecc.?
E’ un’interrogazione, sì, e certe volte va fatta. Brusca, ma non ci ho visto malanimo, né dicotomie.
Che poi ‘Berlusconi’ sia un problema della ‘cultura’ è un fatto a cui, secondo me, si arriva anche attraverso l’interrogazione di Anna Bravo.
Credo sia molto significativa la reazione stizzita, a volte rabbiosa (spesso all’insegna del “benaltrismo”), di certi commentatori maschi davanti alla chiamata di correo della Bravo. E trovo altrettanto significativo il fatto che venga letta come una colpevolizzazione ab origine del genere maschile, invece che come una provocazione a interrogarsi non tanto su quanto ciascuno di noi possa essere connivente con il vecchio puttaniere, ma sulla nostra indisponibilità a vedere una rendita di posizione di genere nella nostra vita.
Per quanto mi riguarda, posso dire che è vero “ascolto solo dall’orecchio sinistro”.
Ma è anche l’unico che mi funziona.
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A parte la battuta, io ho ripensato ad alcuni commenti fatti da giovani user femminili di Lipperatura che dicevano di non riconoscersi affatto nel mondo “disegnato” da questo genere di post. Che insomma le donne non sono tutte zoccole. E tutto sommato questa grossa disparità non esiste.
Ora è sempre pericoloso fare delle generalizzazioni generazionali.
Sarebbe ingiusto oltreché falso affermare che in Italia “le ventenni” o “le trentenni” non abbiano a cuore la questione di genere.
Ma, ecco, la percezione è che molte mie coetanee (e non posso dimostrarlo, mi baso sulle mie esperienze dirette, con tutti i limiti che sappiamo) approdino al problema della parità e quindi della devastante condizione della donna soltanto alla fine del percorso universitario. E neanche allora.
Come se la società non le avesse già da piccole inserite su un altro binario.
In molti casi ho sentito: “Beh Ruby non è certo innocente!”. Anche qui il discorso “Berlusconi, 72enne, primo ministro, dedito alle orge” non appare. Come non fosse la reale “depravazione”.
Questo può sembrare sconfortante.
Ma direi che ancora più sconfortante resta la questione vista dalla mia parte consessuale.
Il vuoto, più o meno totale.
Per avvicinarmi alla questione “femminile” ho dovuto attendere di approdare – casualmente – su questo blog. La storica Anna Bravo si starà rivolgendo evidentemente ai suoi pari, lettori di Repubblica.
Ma nel numero\novero andrebbero inseriti anche dei maschi italiani più giovani. Persone che sull’argomento somigliano un po’ a questi sudafricani liberal dalle spalle larghe.
Certo dipende da dove nasci e cresci. Essere adolescenti a Roma, non è la stessa cosa che diventarlo a Cecina.
Qui però si sta parlando del sistema-Italia. Troppi amici miei.
Troppi amici che sul numero devastante di omicidi e violenza contro le donne pensano di sentire soltanto “tamburi lontani”. O che questo rientri nella voragine socio-culturale storica e cronicizzata del Belpaese.
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Bisogna assolutamente fare di tale questione “femminile” una questione di dignità e civiltà, che colpisca anche l’altra metà del cielo.
Tutte le volte che pubblico sul profilo di facebook certi abomini, sono sempre pochissime ragazze\donne a rispondere indignate.
I maschi mai.
La soluzione non è unica, certo. Ma quella di riformulare l’immaginario (poi sarà il caso di ri-parlare anche di questo) è senz’altro una via possibile.
Quando scoppiò la guerra nella ex-Jugoslavia, un mio carissimo amico cominciò ad attivarsi, a partecipare a riunioni, si recò a Sarajevo con il gruppo dei 500 per l’interposizione umanitaria che generò la prima tregua del conflitto. Ritornato a casa, continuò a lavorare per intervenire efficacemente nella zona di guerra. Con il suo gruppo, ad un certo punto, dovevano decidere come proseguire le loro azioni. Scelsero di concentrarsi su una cittadina media della Bosnia, Zavidovici, consapevoli che così avrebbero potuto fare la differenza, contribuire a curare alcune ferite, alleviare alcune pene. Mantenendo l’allegoria, l’articolo di Anna Bravo mi sembra un invito general generico alla pacificazione, e immagino che ciò incontrerebbe il plauso di molti uomini e molte donne di buona volontà. Secondo me, invece, bisogna “puntare su Zavidovici.” Con il corredo di emozioni che l’immersione in tale complicato scenario ci provoca.
forzando la mano(ma solo un pochino)si potrebbe citare Elie Wiesel
“Sono molte le atrocità
nel mondo e moltissimi
i pericoli:
Ma di una cosa
sono certo:
il male peggiore è l’indifferenza.
Il contrario dell’amore
non è l’odio, ma l’indifferenza;
il contrario della vita
non è la morte, ma l’indifferenza;
il contrario dell’intelligenza
non è la stupidità, ma l’indifferenza.
E’ contro di essa che bisogna
combattere con tutte
le proprie forze.
E per farlo un’arma
esiste: l’educazione.
Bisogna praticarla. diffonderla,
condividerla, esercitarla
sempre e dovunque.
Non arrendersi mai”.
http://twin-peaks.fr/multimedia/falling.mp3
Il mio intervento è in linea con alcune posizioni che sono state espresse (tanto per cominciare, da Zauberei), ma le riformula tramite altre categorie, quelle della linguistica. Io la contraddizione la vedo in questo passo: “Nel Sessantotto e con molta più forza nel femminismo, c´era la buona abitudine di chiedere alle persone da che luogo parlassero, e il luogo era la condizione personale, i comportamenti, l´ideologia, l´istituzione di cui si faceva parte e altro ancora. Voi parlate come se viveste in una camera sterile, con un filtro all´entrata per proteggervi dal contagio delle brutture altrui, e uno all´uscita per fare il restyling alle vostre – diverse, perché no, ma brutture comunque.”
Condivido l’appello a problematizzare la propria condizione, è indispensabile. Solo che, a seguire, non c’è un “io”, una presa di parola soggettiva: viene invece quel ‘voi’ generico e oggettivante. Quel “voi” è un’allocuzione: figura che appartiene di solito a un’altra retorica, per esempio quella del discorso religioso. E’ in questa contraddittorieta’ di regimi che sta, penso, il limite dell’articolo. Io credo invece che si dovrebbe, appunto, tornare a problematizzare la propria soggettività, a dichiarare il luogo da cui si parla, senza nascondersi dietro comodi noi e voi, inclusivi o esclusivi che siano.
Detto questo, rimane il fatto che molti esseri umani “sessuati maschili” si sentono chiamati in causa. Segno che la provocazione in qualche cosa colpisce. E ancora di più, domanda ai molti uomini che si definiscono “differenti”: perche queste differenze stentano ad articolarsi in discorso e ad essere percepibili come tali?
Valentina, per quanto mi riguarda le ragioni per cui rispondo ad alcuni post sono spesso contingenti. In questo caso, credo soprattutto la banalita’ delle asserzioni (imho) e il tono “condescending” dell’ultima frase (“Su, non fateci ripetere cose tanto ovvie!”), che si commenta da se’. Non credo ci sia necessita’ di un ulteriore discorso maschile: tutta la storia del “logos” e’ fallologocentrica, tutte le istituzioni, immaginarie e no, sono maschiliste, come insegna giustamente il pensiero della differenza. E’ ora di provare ad occupare il meno spazio possibile — a cominciare da me.