Dubbio.
Con Uto Ughi (e, oggi, con Cesare Mazzonis che scrive una lettera di fuoco a Corrado Augias) o con Giovanni Allevi?
A dire il vero, il fatto che si torni, oggi, a riproporre la disputa musica colta versus musica (come la definiamo? Contaminata, popular?) “altra”, mi fa sorridere. La vostra eccetera (che ha già detto quasi tutto qui) sceglie la classica posizione mediana: la difesa di casta del mondo cosiddetto classico è insopportabile. Ma l’esaltazione incondizionata di Allevi non mi convince: ai tempi, Walter Carlos fece conoscere Beethoven a molti giovani che di musica classica poco sapevano. Senza diventare un’icona.
E questo signore ha molti meriti in Italia misconosciuti (sì, sto parlando di videogames: so che questo provocherà qualche crampo a certi scrittori nostrani che trasvolano di blog in blog esternando la propria indignazione per il fatto che qui si equiparano i videogiochi – Cielo!- alla Letteratura). Coraggio, passa.
Be’, sinceramente, per quanto io sia uno dedito al meticiatto, qui c’è poco da sfogliar verze: Allevi per me è stata una delusione cocente. Mi ricordo che quando lo ascoltai per la prima volta (senza pregiudizio alcuno, anzi con una propensione positiva, dato che era pure conoscente di un mio carissimo amico che lavora alla Scala) rimasi allibito per la povertà espressiva, per la prevedibilità armonico-melodica. Tutto il culto attorno a lui è, musicalmente, incomprensibile, la spiegazione del suo successo ha a che fare con la sociologia, non con l’arte. Non ostante i toni piccati di Ughi, condivido il suo ragionamento: in fondo citando Modugno o Mina afferma che anche la musica pop può avere personalità (ed essere esteticamente valida). Quella di Allevi è “paracula”. E per quanto possa vedere, in certi passaggi di alcuni suoi pezzi, focolai di talento che potrebbero essere sviluppati ed esaltati (Allevi, insomma, può dare di più e meglio), è anche il modo di porsi suo, così messianico e ottocentesco, che mi indispone. Ma questo ha a che fare con la persona, non con l’artista.
Mah velocissima il tema mi è caro e la disputa e vecchia e hai ragione – superata.
– Io amo moltissimo la musica tutta e a furia di sentire tanto jazz e tanta classica e tanto pop so’ spocchiosa e trovo allevi facile. Non perchè nun è Bethoven ma perchè è facile anche rispetto a un pop serio e ben fatto. Rispetto a certo jazz imbarazza. Detto questo è gradevole al mondo c’è ben di peggio e trovo il comportamento di uto Ughi non degno del suo talento e del suo ruolo istituzionale, livoroso in maniera indecorosa. Un uomo con delle spalle larghe un età e una cultura non dovrebbe comportarsi in quel modo e con quella spocchia.
Trovo il caso Allevi particolarmente interessante: la reazione irritata di Ughi è la stessa, mi pare di poter dire, del mondo classico nel suo complesso, ma suona – per quanto comprensibile – particolarmente isterica: Allevi ha buon gioco nel parlare di una “lobby di potere (…) nascosta nelle stanze di palazzi per molti irraggiungibili. Dalla casta emerge sempre lo stesso monito: «La gente è ignorante, noi siamo i veri detentori della cultura»”. Il cosiddetto mondo della musica classica è (o perlomeno viene percepito) spesso e volentieri conservatore, avulso per scelta dai linguaggi del contemporaneo, preoccupato che il suo status “colto” non venga sporcato dal benché minimo sospetto di contaminazione “bassa”.
Al tempo stesso fa sorridere questo accanimento di Allevi nel considerarsi un “musicista classico”. Di più: talune affermazioni – “dopo di me la musica classica non sarà più la stessa” –, il suo considerarsi, senza tanti giri di parole, un genio rivoluzionario ecc, sfociano abbondantemente nel grottesco. Perché sì, la musica di Allevi è musica pop (e che male mai ci sarebbe?) e il suo rifiutare a priori l’accostamento altro non fa che replicare lo stesso atteggiamento di cui sopra.
Allevi poi dimostra una certa ignoranza sia su cosa è il pop (e da qui la sua affermazione che se la musica è scritta, non cantata ecc, allora ecco che diventa musica classica), sia sul rapporto tra musica contemporanea e pubblico. La lista di compositori “contemporanei” che sono riusciti a imporsi anche presso il pubblico dei non appassionati è lunga: autori come Glass, Part, Gorecki, Nyman, in minor misura Reich o Shnittke, godono o hanno goduto di una visibilità non molto dissimile da quella delle popstar. E persino la tanto disprezzata musica di estrazione atonale/dodecafonica/seriale ecc è riuscita a infiltrarsi nelle maglie dell’immaginario popular, sin da quando Stockhausen comparve sulla copertina del Sgt Pepper’s dei Beatles (e Stockhausen è un autore molto amato dalle ultimissime generazioni “elettroniche” cresciute a techno & affini), per non parlare del Ligeti di 2001 Odissea, o – per restare a Kubrick – del Walter/Wendy Carlos da te citato/a, anche se quest’ultimo caso fa scuola a sé.
Ah, e infine: come possiamo sorvolare sul fatto che 3/4 delle colonne sonore di film horror sono musiche di stampo… atonale?!?
Ho acquistato i biglietti e ascoltato entrambi con la stessa voglia di godermi le emozioni che questi due musicisti mi danno. Allevi sarà pure facile e popolare ma non ci trovo niente di male! Uto Ughi resta per me un mito ma sono d’accordo con zauberei quando parla dell’indegnità del suo comportamento. Che avessero invitato Allevi al senato ha stupito anche me e l’ho letta più come una mossa per l’auditel che per altro…
Quello che Uto Ughi forse ancora non ha capito è che nonostante la fondazione per i giovani, non ha ancora trovato il modo per far venire la curiosità di avvicinarsi alla musica classica… a parte piccole eccezioni come la sottoscritta (lo ascoltai la prima volta all’università!) cosa che invece ad Allevi riesce benissimo (basta vedere l’età media ai suoi concerti).
La mia impressione è che il nuovo faccia sempre paura… che pena.
Io dico entrambi.
I toni di Ughi sono duri e forse eccessivi, ma non posso che dargli ragione.
Allevi è un personaggio, e come spesso capita in Italia, si da più valore all’estro, alle capacità comunicative, di marketing e all’immagine piuttosto che alla vera capacità dell’artista.
E’ innegabile il fatto che lui non sia diventato quello che è non per la qualità della sua musica, ma per la sua capacità di comunicare, di fare il personaggio, di apparire come lo stereotipo mediatico dell’artista nella versione secchiona che piace tanto alle mamme (capelli arruffati, occhiali, sorriso facile, non convenzionale nei suoi modi di fare).
Io della musica di Allevi non sento mai parlare, sento parlare dei suoi libri, delle sue apparizioni in tv, dei suoi riconoscimenti al di fuori dell’ambiente musicale, MAI della sua musica… è un caso?
Guarda Allevi è un mediocre tendente all’alto. Altrimenti non sarebbe emerso.
Nessun grande vende di questi tempi…
classico o popolare non c’entrano molto, mi pare. Il punto è che Allevi è un compositore di una tale levatura che fa sembrare i pezzi di Ludovido Einaudi delle pensose sonate beethoveniane (curioso, com’è che nessuno tira in ballo Einaudi e la “svolta post-tonale” della musica contemporanea italiana” – Einaudi-Cognolato-Sollima – talmente rivoluzionaria da arrivare 40 anni buoni dopo quella americana? Allevi è più insapore persino di costoro, pur copiandoli senza nemmeno un po’ di ritegno).
La reazione dei musicisti “classici” (oggesù) sarà anche isterica e sgradevole, ma vorrei vedere voi. Anni a farsi il mazzo con quindici persone ai concerti e nessuno che ti mandi in radio manco morto, poi arriva uno che suona jingle più mosci di Clayderman e stravende. E fin qui niente da dire, ci sta tutto, intendiamoci. De gustibus. Poi però questo, per ingenuità o mal consigliato, se ne esce con frasi tipo la musica non sarà la stessa dopo di me, sono un genio classico… Lo invitano pure al Senato (che vabbè, Battiato ha suonato dal papa, e allora?). Capite però che a qualcuno possano anche girare le balle, per puro amore della decenza e della verità storica.
Allevi non è popolare: è populista. Il modo in cui si presenta e lo presentano è ricattatorio: se non ti piace quel che faccio, allora sei un trombone, un intellettualoide, uno che non ha capito. Retorica non tanto diversa da quella leghista/berlusconiana. E ormai lo ficcano ovunque, come l’aspartame o il glutammato di sodio, finte soluzioni – peggiori del male – a problemi come la roba dolce che ingrassa o il cibo industriale che non sa di un cazzo. Essere “pop”, poi, non significa per forza essere nel giusto. Il fatto che il pop sia una dimensione fondamentale e un mondo da bazzicare senza pregiudizi non significa che non sia anche – e in gran parte! – cacca. E un artista pop non è necessariamente… umile, là fuori è pieno zeppo di boriosi, arroganti cazzoni.
Se poi Tizio o Caio da Allevi passeranno ad ascoltare qualcosa di meglio, non so dire quanto, in proporzione, sarà merito di Allevi (che onestamente non mi sembra si veda in quel ruolo propedeutico, dato che considera se stesso il meglio che c’è) e quanto invece
1. di Tizio e Caio;
2. dell’ambiente formativo che ha assecondato la curiosità di Tizio e Caio e la loro capacità di spaziare;
3. di chi gli proporrà di meglio.
A me da piccolissimo è capitato di ascoltare “Il valzer del moscerino”, ma se oggi ascolto altro il merito è solo infinitesimalmente di Cristina d’Avena.
Il fenomeno Allevi ha un effetto abbastanza strano sul pubblic, soprattutto quello pù giovane. Le mie tre nipoti (12, 14 e 17 anni) impazziscono per Allevi, ma quando hanno iniziato ad ascoltarlo, stando a quello che mi hanno detto, non lo percepivano come musica classica ma come musica pop (e avevano ragione). Quando hanno sentito che lui si considerava un musicista classico hanno cambiato idea su che cosa fosse la musica classica, che pensavano fosse pallosa e basta (e qui forse bisognerebbe aprire una parentesi su come si insegna musica nelle scuole, se gli studenti rimangono talmente inorriditi dalla parola “classica” dal tenersi lontani a priori) e hanno incominciato a chiedermi consigli su che cosa ascoltare di classico. Intendiamoci: non credo che Allevi porterà la musica classica a tutti, ma se le mie nipoti provano ad ascoltare Bach senza scappare a gambe levate dal titolo del cd, io lo considero già un successo.
anche se, a pensarci bene, “il valzer del moscerino” ha il suo perché… 😉
Ma allora cos’è? Un Bignami, un puledrino di Troia verso musiche più interessanti/belle/importanti etc., o uno la cui arta cambierà faccia al mondo e “avrà l’impatto che ha l’Islam sulla civiltà occidentale” (parole sue, peraltro oscure)? La prima interpretazione, se in qualche modo ne valorizza un ruolo (ma non è detto che dal sax di Papetti si passi a quello di Coltrane), crea un tale divario con l’immagine che egli ha di sé (un genio senza precedenti, l’unico musicista classico che sa toccare i cuori etc.), da illuminarlo con una luce ancor più crudele, lo fa sembrare ancor più piccolo, tracotante, vanaglorioso.
Per me Allevi è un unico, grande, polimorfo equivoco musicale.
Si può equivocare più o meno in buona fede, non sta a me dire se egli ci è o ci fa. Ma questo non toglie che l’equivoco abbia generato una certa qual confusione (l’ennesima) etica ed estetica poco salutare per lo stato attuale della musica in Italia. Di cui sentivano il bisogno solo i suoi produttori e i suoi sponsor.
le posizioni di allevi e di mazzonis/ughi mi sembrano speculari: ognuno di loro sa cosa è la musica (la propria), e quindi o stai con me o contro di me. La frase sull’islam di allevi, detta tanto per stupire, è meglio non commentarla… mi sembra che come sempre si ragioni per steccati senza domandarsi se una cosa valga in sé e per sé. Anche Nyman era conosciuto come autore di colonne sonore, poi si è scoperto che, guarda caso, era anche un grande musicista. Come Morricone: quante canzoni di musica “leggera” ha orchestrato Morricone? E chissà come mai reggono ancora oggi.
(mi associo comunque ai fan del valzer del moscerino) 😉
io trovo francamente incomprensibile quale tipo di vanto ci possa essere nel comporre musica che vuole essere contemporanea ma che “rifiuta qualunque contaminazione, con le parole, con le immagini, con strumenti musicali e forme che non siano propri della tradizione classica”.
Il che porta alla solita, menosa, concezione di musica “colta” come moloch intoccabile che perpetua innaturalmente le scelte (in questo caso di strumentazione) di un determinato periodo storico; capisco che se uno va a sentire un concerto di brani di Beethoven può storcere il naso se al posto dei violini c’è un moog (ma dipende dal contesto). Allora tanto vale mandare Allevi a vivere con gli Amish, perché così, senza corrente elettrica, può ricollegarsi ancora di più alla tradizione classica.
Mi concentro su un punto apparentemente marginale: è poi vero che Allevi avvicina il pubblico alla musica classica? Io temo che i fan di Allevi che prima non ascoltavano classica si fermino ad Allevi senza fare passi ulteriori. La colpa non è di Allevi, naturalmente. E’ una diffusa propensione al ruolo di fan (o di osservatore del dito che cerca di mostrarti la Luna).
scusate, non avevo letto tutti i commenti fino in fondo, qualcuno aveva già proposto il punto 🙂
rossi, la differenza tra Allevi e Nyman è quella tra chi pur ricopiando (ché l’arte è anche copia) nel contempo inventa, e chi copia e basta. E copia male, oltretutto, perché un conto e ricopiare frasi barocche e inserirle in un tessuto iterativo – stravolgendo sia il barocco che il minimalismo con intenzioni palesemente postmoderniste e un tantino funeree – un altro è copiare frasi tipo-clayderman e ripeterle ben oltre la noia avendo di mira “la bellezza”. Questo è solo kitsch, purtroppo, cioè, nella definizione di Kundera, “creazione di un mondo in cui la merda non esiste”.
Io sono del tutto dalla parte di Uto Ughi, anche se me ne stupisco io per primo. Una volta Lorenzo Bartoli, grande sceneggiatore di fumetti, disse che si era stufato della definizione ‘pop’, perchè sembra che quando una cosa fa schifo, etichettandola come ‘pop’ la si recupera. E giustamente, a uno seriamente ‘pop’ come uno sceneggiatore di fumetti, la cosa da fastidio. Ecco il punto, secondo me.
Allevi è un inno alla zappa. Uto Ughi è un professionista serio che, giustamente, si incazza se vede il suo lavoro trattato a pesci in faccia. Qui non è questione di opporre ‘alto’ e ‘basso’, qui è questione di opporre buon artigianato e scarabocchi.
Se io, da scrittore, dico che la Meyer fa schifo e la Mazzantini è peggio, non lo dico per via di oscuri valori di Kultur: lo dico da professionista che ama il suo lavoro e odia vederlo fatto male, odia vedere della robaccia raffazzonata che passa per ‘narrazione’ o ‘letteratura’ (categoria del tutto superficiale: Stanley Fish avrebbe un paio di cose da dire, al riguardo).
Poi, si può discutere sui gusti finchè si vuole, ma una sedia storta è una sedia storta, punto. Può anche piacere, e uno a cui piace ha il sacrosanto diritto di godersela – resta storta, però. E se tutti la acclamano come un capolavoro di sedietà, un falegname bravo (‘bravo’ in senso artigianale: non un artista, non un genio, niente, uno bravo, che sa di esserlo e ha il diritto di saperlo, come un bravo avvocato sa di esserlo e come lo sa un bravo merciaio) giustamente reagisce.
La Mazzantini fa letteratura, Allevi musica. Roba da immanentizzare l’Eschaton.
Allevi… Ughi… il ggiovane d’oggi (che mi pare abbia in realtà una quarantina d’anni) contro il vecchio parruccone che pensa di dimostrare la vitalità della “vera” musica portando in giro uno scheletro di minimo duecento anni.
E intanto veri geni contemporanei della musica rock (non pop) come Nuno Bettencourt, Buckethead, Paul Gilbert, Ron Thal, vengono cagati solo dai soliti quattro metallari. Il Bel Paese…
“Wagner riassume la modernità”.Così cominciava il Caso Wagner, (nietzsche) e certamente il concetto di modeno che continua da un secolo e più… a insidiare ambiguamente quello di progresso o di rivoluzione,non esaurisce Wagner; ma lo comprende,trova in lui un principio.Si riferisce infatti al tipo di integrazione che nemmeno Wagner negò di ricercare,e che Nietzsche combatteva.La sua critica ebbe i limiti del suo vitalismo-un pessimismo della razionalità-,ma colpiva i momenti di alienazione,fino ai risvolti di conformismo della modernità,percepiti in anticipo.Forse il Maestro Uto Ughi non sopporta le mescolanze che il M.Giovanni Allevi nascostamente o in modo imperioso impone.Anche il M.Cesare Mazzonis è un’impulsivo e come tale difende le sue idee e qualche valido motivo ce l’ha pure.Forse o sicuramente.Un cordiale saluto a tutti.Contro e contraria.
I musicisti classici componevano non per soldi ma per denaro. Questo in tanti sembrano dimenticarlo. Un tempo non c’erano addetti stampa e televisione, ma si muovevano mecenati, sovrani, chiesa e editori per promuovere le opere musicali. Tuttavia, quelli che oggi consideriamo geni della musica, spesso finivano i loro giorni in miseria, pazzi, drogati, malati eccetera. Tutto ciò per dire che la contrapposizione tra musica “colta” e “non colta” è un’invenzione moderna ormai passata di moda, perché i musicisti sono sempre stati considerati gente poco seria e instabile. Allevi ha successo e questo a Ughi dà fastidio. Niente di nuovo sotto il sole, mi pare. Il violinista sembra dimenticare che viviamo nel paese in cui in libreria vendono i comici e in televisione vince l’Isola dei Famosi. Credo che il livello di Allevi sia di qualche gradino superiore a quello medio televisivo, anche se certe sue affermazioni recenti un poco lo degradano. Tuttavia, mi pare che ci sia spazio per tutti. Ughi dovrebbe indignarsi, piuttosto, col comune di Milano. che ha spacciato per evento culturale di capodanno il concerto di Katia Ricciarelli, in carriera un mediocre soprano e oggi una mediocre attrice. Ma non ho sentito alcuna voce di dissenso.
Ughi è incontestabile. Ha dato amplissima prova di sè ovunque. Allevi è il giovanottino rampante, aggressivo, di indubbio talento mediatico, che si propone come innovatore con l’illusione di risolvere l’eterno problema del superamento della suddivisione in generi della musica. Lui (Allevi) si propone, ma dubito che lui stesso creda fino in fondo a quello che fa. Per parafrasare una regina del pop “Fin che la barca va…”
Orso
o trovo difficile da cogliere una distinzione che invece andrebbe chiarita: è una polemica Ughi-Allevi, o una disputa tra classicisti e “poppettari”? Ughi sostiene la prima, Allevi dice che in realtà è vera la seconda. Io faccio parte di quelli che Allevi sono andati a sentirlo per vedere di che pasta è fatto, e ne sono usciti perplessi: e le considerazioni di David Foster Wallace sulla ripetitività di certa musica andata di moda negli anno ’80-’90 (DFW parlava di Glass e Reich) e delle sue relazioni con la perdita di valore dell’originalità mi fanno ancor più malpensare di Allevi. Mi viene da dare ragione a Ughi, quindi. Ma spero che lo stesso Ughi sia uno di quei “classicisti” alla Igor Stravinsky, che considerava “classici” i 3B’s: Bach, Beethoven e James Brown (e non era una battuta).
l’assurdo è questa storia secondo la quale avvicina alla musica classica…ma quando mai? e soprattutto non è detto che se anche succede questo sia un bene , sembra la storia dello spinello e dell’eroina che poi si muore pieni d’overdose come diceva il mai troppo citato Elio…io ho iniziato ad ascoltare musica classica recentemente non grazie ad Allevi ma a SoulSeek e proprio perchè ho passato gran parte della mia vita a ascoltare musica di tutti i tipi…dico che Allievi non mi dice un cazzo.
@ girolamo: be’, Allevi rifiuta sdegnatamente l’epiteto di poppettaro. Lui si considera un “classicista” – anzi, l’unico classicista capace di arrivare al cuore della “ggente” – e la sua è, a quanto è dato sapere, Vera Grande Musica nel solco dei Liszt e degli Chopin (questi mi pare, a memoria, che siano i suoi modelli).
E’ curioso come tra i commenti siano stati fatti un paio di paralleli che tiro fuori sempre anch’io quando mi capita di parlare del Giovannino nazionale: quello con Richard Clayderman, e quello tra Papetti e Coltrane. Non capisco invece il riferimento a Glass e Reich (indipendentemente da DFW).
E bravo Girolamo! Stravinsky era un puro come lo era Hanslick.Nessuno dei due pensava alla musica non come a qualcosa di misurabile o puramente di matematico.Per loro la musica era poesia che solleva fuori da ogni esperimento fisico,ma libera le emozioni dentro lo spirituale,e quindi di incalcolabile.Con Allevi,questo non l’ho mai provato,con Ughi,si! Cordiali saluti a tutti.Contro e contraria
Essendo le mie conoscenze di musica classica vicine allo zero non entro nel merito della questione, ma un plauso a Loredana per aver citato Nobuo Uematsu è doveroso
@valerio mattioli
mi riferivo alla moda per una musica ripetitiva, poco incline all’invenzione e alla sorpresa, insomma “coltamente pallosa”, come lo era la new age e come mi sembra Allevi dopo una decina di minuti di ascolto (soprattutto quando s’ispira alla natura). Ma io sono uno che stravede (oltre che per Stravinsky) per gli Eisturzende Neubeuten e i Rage Against the Machine, magari ci sono sfumature che non colgo per carenza di udito.
Noto un particolare, piuttosto: nessuno finora ha citato le città natali o residenziali di Allevi e Ughi, o le rispettive case discografiche, per ricostruirne le camarille, le appartenenze lobbistiche, le consorterie. Una bella polemica sulla musica in cui si parla di musica: averne, anche sui libri e gli scrittori!
Al termine della giornata, dopo che ho pensato a tutt’altro, mi sovviene qualcosa. Il titolo del post è: “Né l’uno, né l’altro”. Io, se proprio devo pendere da una parte, dico: l’uno. Uto Ughi avrà i suoi tic, le sue fìsime, ma non si può essere equidistanti tra lui e quell’altro, in nessun modo.
Grazie, Mazzonis! Era indispensabile giungesse una voce della Sua competenza a rinforzo del parere esposto dal M° Uto Ughi. Ed era indispensabile questa voce giungesse dall’ambito Rai. Un amico tedesco, dopo aver visto quel penoso spettacolo, mi ha telefonato da Berlino canzonandomi per quello che aveva visto in Eurovisione! Miglior modo per ravvivare il luogo comune degli italiani cialtroni non si poteva trovare. Mi sono vergognato come italiano, non sapevo che cosa rispondere.
Ha ben fatto, prof. Mazzonis, a dirigere la Sua missiva al quotidiano La Repubblica, finora distintosi brillantemente per non aver trattato la questione scandalosa del M° Allevi al Senato. Anzi la domanda è proprio questa: perchè La Repubblica ha taciuto, finchè non è giunta una missiva della Sua autorevolezza a rendere ineludibile una risposta? Forse perchè qualcuno pensa davvero il M° Allevi sia “un artista di sinistra”? O forse perchè il quotidiano La Repubblica ha rieditato in allegato cd del maestro di Ascoli e preferisce tacere in nome del business?
Il concerto di Allevi in Senato è stata l’ennesima trappola del centro-destra. Scelta perfetta – Schifani sei un genio! – per intercettare un nuovo potenziale elettorato giovanile (quello che segue estasiato gli esangui conati creativi del genio di Ascoli), avendo nel contempo la sinistra imbavagliata, impossibilitata a dire qualche cosa di fronte a tanta vergogna (perchè se Allevi è dei “nostri”, quel che fa deve essere bellissimo per forza)! Per fortuna abbiamo artisti coraggiosi come Lei, come il M° Ughi, che all’assopirsi della ragione, reagiscono gagliardamente additando lo scempio. Grazie ancora.
Se si facesse il gioco della torre, Ughi tutta la vita.
Ma riguardo alle due interviste rilasciate su La Stampa, entrambi mi pare abbiano pienamente sfigurato.
Allevi si è sovragiudicato, Ughi si è dimenticato che se oggi chiedesse ad un campione “medio” di fare il nome di un virtuoso della musica, il suo nome non uscirebbe mai. Verrebbe battuto da Steve Vai, Malmsteen o Hendrix per i più anziani. E questo, senza togliere niente al trio (ma proprio niente), è anche colpa del suo “isolazionismo”. Poi, per carità, ha avuto una carriera esaltante. Ma oggi, per riprendere le parole della Lipperini, “Uto Ughi non è rock”.
Anche io come Anghelos faccio tanto di cappello. E, già che si sono, faccio anche il nome di un altro gigante nipponico adorato da milioni di fan in tutto il mondo (come segnala il tubo), ossia Seiji Yokohama.
Ekerot, però Malmsteen è da oltre vent’anni un Allevi panzone con la chitarra elettrica, il cui virtuosismo è spesso puro effetto speciale da baraccone (la cover di Dream On degli Aerosmith è un manuale di come NON si dovrebbero fare cover).
Come Allevi, cerca di infilarsi sotto il cappello della musica classica per darsi un tono (e la cosa triste è che il pubblico metal ci casca spesso e volentieri in questo giochetto, basta vedere il successo dei Rhapsody o la deriva “sinfonica” dei Manowar).
Ughi nell’intervista ha il tono giustamente incazzato di chi vede degli idioti acclamare un altro idiota e sa che non riuscirà a far loro cambiare idea. Allevi parte con un altro di quegli aneddoti da Nuovo Messia che fanno tanto genio incompreso se non dagli spiriti puri (i bambini, gli adolescenti) e poi rovescia una serie di piccate boiate per le quali andrebbe cosparso di pece e piume. E poi dato alle fiamme.
@ girolamo
“mi riferivo alla moda per una musica ripetitiva, poco incline all’invenzione e alla sorpresa, insomma “coltamente pallosa”, come lo era la new age e come mi sembra Allevi dopo una decina di minuti di ascolto”
DFW si riferiva invece specificamente al minimalismo americano di Glass e Reich, che non è una moda ma una corrente (anni ’60-’70) che da una parte rifiuta l’atonalità (o pantonalità) che aveva imperversato dalle avanguardie di inizio novecento in poi, tornando a un’impostazione tonale classica, dall’altra sposta la ricerca a livello della costruzione, rifiutando radicalmente l’idea romantica di sviluppo e sostituendola con quelle di iterazione, modularità e variazione. Si può gradire o meno a livello di gusto personale questa corrente, ma non si può certo negarne il valore intrinseco e il ruolo quasi pervasivo nella musica moderna (stavo per dire nello “sviluppo” della musica moderna, per amore di paradosso…).
uno e entrambi due elementi, tonalismo di ritorno e iterazione/variazione, sono stati progressivamente “imbastarditi” e meticciati un po’ dovunque da musicisti “colti” e consapevoli (a prescindere che operassero in ambito classico o pop), con esiti a volte elettrizzanti altre meno, da nymann (col barocco) alla techno detroit (col jazz), da r.d.james al deep ambient, giù giù fino ai nostri neo-tonali da cartolina (i già citati einaudi-cognolato-sollima). A un livello ancora più epigonale sta allevi, che cuce e ricuce melodie alla clayderman (cioè “chicciamente” romantiche) in una blanda iterazione sghemba e annebbiata che ha perso del tutto i suoi scopi, riducendosi a ripetizione economicamente motivata (si fa men fatica a ripetere una frase che a dirne due)
e soprattutto girolamo ricorda, senza steve reich niente einsturzende!
@giorgio
scusa il ritardo nella risposta, nel mio intervento non volevo paragonare allevi a nyman, ma solo dire che in questa disputa allevi vs ughi&mazzonis entrambi i contendenti parlano per partito preso, facendo capire poco a chi li legge cosa si rimproverano a parte i propri tiramenti. Per esempio, io conosco per niente l’opera di Allevi, e leggendo i vari commenti in questo blog ho potuto avere una plurarità di opinioni, sia favorevoli sia contrarie, che mi hanno chiarito più cose degli interventi dei diretti interessati o di chi ne ha parlato sui quotidiani.
Ho citato Nyman e Morricone per dire che per me un grande musicista si dimostra tale anche se arrangia (bene, ovvio) una canzone di musica leggera o compone musica per film, non solo se esegue uno spartito in una sala da concerto, e chi si occupa di musica (ma il discorso è facilmente estensibile alla letteratura o al fumetto o che volete) sia come creatore sia come fruitore dovrebbe saperlo e non avere troppi paraocchi a priori, un po’ come lo stravinsky citato da de michele a cui piaceva james brown che mostrava un’esemplare apertura mentale.
@ giorgio
un solo rilievo: ci sono correnti musicali che non “vanno mai di moda”, e correnti che “diventano una moda”. DFW univa un giudizio di merito (credo che avesse competenze tecniche, diversamente da me che vado a orecchio) ad un’analisi sociologica (“perché Glass e Reich oggi, in questa situazione culturale, piacciono tanto?”). Per il resto, non ho problemi a riconoscere filiazioni e padri nobili rispetto alla musica che ascolto, anzi: quello che mi affascina di ogni forma artistica che riesco a comprendere è la “trasparenza” nella quale ciò che c’è dietro (stilisticamente o cronologicamente) emerge all’interno dell’attuale. Non è però la stessa cosa del piacere dell’ascolto, o della lettura, o della visione.
resto sorpreso che tale diatriba sia capitata in quella che per antonomasia ama definirsi la Musica (con la emme orgogliosamente maiuscola mi raccomando)..anzi no..non ne resto sorpreso affatto perchè è il mondo più snob e volutamente aristocratico che ci sia..non è la prima volta che Uto Ughi spara a zero su qualcosa (il pop , la musica moderna in generale)che non venga dal suo violino(ricordo un’ intervista sul venerdì) e non è la prima volta che Allevi si senta un genio incompreso..queste persone pur essendo grandi musicisti dovrebbero scendere dalla vetta alla quale sono arrivati perchè ormai non vedono più a terra e capire che al di fuori di loro c’è tutto un mondo musicale intorno..io faccio musica da 15 anni con una passione e una carica incredibile e sentirmi apostrofare da un relitto da conservatorio come un prodotto di qualità mediocre solo perchè non faccio musica COLTA è troppo..quindi sono contento che sia nata questa bella diatriba…anzi stavolta mi permetto di criticare io loro : BUFFONI
In Italia l’unica cosa che non si perdona é il successo. Ughi ed Allevi sono persone di successo, sostantivo che può essere aggettivato a piacere. Ognuno quindi continui pure a pensarla così come si è espresso in questa vivacissima discussione con il proprio commento, con parole pregne di significato e troppe volte vicino ad essere offensive. In Italia pane e polemica, si sa.
La mia speranza è che tutto questo bailamme serva alla diffusione di una cultura musicale, tentativo espresso sia da Ughi che da Allevi, che da moltissimi partecipanti a questa chiacchiera. I gusti personali servono alla persona, l’invidia a nessuno. Il giudizio sull’essere eccelsi musicisti od esecutori lasciamolo per favore ai posteri. Un saluto
Mah, caro (o cara) Cric-Croc, i posteri faranno un po’ quel che gli pare, quando toccherà a loro. Adesso su questa terra ci siamo noi, ed è a noi che si rivolge la musica di Allevi, visto che attualmente i dischi glieli comprano i vivi e non quelli che devono ancora nascere, così come vivi sono quelli che pagano il biglietto per andare ai suoi concerti.
Quindi, visto che Allevi scrive ed esegue la sua musica proprio perché sia ascoltata e consumata, non vedo perché debba essere tolta al pubblico la possibilità di esprimere un giudizio di merito su quanto l’autore decide di proporre. Questo, naturalmente, vale anche per le interpretazioni di Ughi.
Mi pare, anzi che se, c’è una cosa venerata e perdonata dalla maggioranza degli italiani è proprio il successo (oltre che il potere), a tal punto che il successo (o il potere) di una persona finisce spesso per far passare in secondo o terzo piano qualunque giudizio di merito su quel che la suddetta persona fa. Ovvero, nella mentalità corrente, se Allevi ha successo vuol dire che è bravo.
Non in grado di giudicare sul piano musicale (quest’Allevi non l’ho mai sentito) posso però valutare le interviste proposte dalla Lipperini: in quella di Ughi si sente la rabbia e il dolore GENUINI di un profondo conoscitore della materia che vede rivenduto come oro (con la complicità delle istituzioni dello stato) quel che lui giudica, a torto o a ragione, di princisbecco.
Quella di Allevi è puro Coelho! E’ l’Alchimista redivivo in salsa Tamaro:”Va dove ti porta il cuore, esso conosce tutte le cose..”!
Ma dài, sto Allevi sarà anche un gran musicista, ma dall’interviste non ho dubbi: Uto Ughi forever!
Ascoli Piceno è famosa per i suoi motti cinquecenteschi incisi sulla pietra, in particolare quelli scolpiti sugli architravi dei vetusti portali o delle finestre.
Uno in particolare si addice a stigmatizare questa diatriba sulla presunta elevatura musicale di Giovanni Allevi: esso è scolpito in caratteri lapidari sopra una finestra che si apre sulla famosa ed elegante Piazza del Popolo, nel centro storico della meravigliosa citta.
Il motto recita così: “DIFICILE PLACERE MULTIS”.
Spero che questo possa consolare il mio concittadino musicista e Maestro Giovanni Allevi.
Dante Fazzini
La cosa che Allevi non ha capito è che, lo dico un po’ alla Folengo, è IMPOSSIBILE PLACERE TUTTIS. Impossibile, e anche inauspicabile, perché sarebbe un mondo da incubo totalitario quello in cui a *tutti* piacesse la stessa musica. Chi pretende che tutti lo apprezzino e si risente perché così non è, chi pretende che la sua musica venga riconosciuta come *oggettivamente* bella/innovativa/emozionante, non sa nulla della cultura né dell’animo umano, e conosce ben poco anche se stesso.
Che poi, in realtà, non è detto che pure ad Ascoli Allevi piaccia a tutti; anzi, già mi immagino come nel prossimo carnevale possa, anche sulla scia di quest’ultima polemica, essere oggetto di molte beffarde caricature e macchiette da parte dei suoi stessi concittadini.
A parte questo, visto che il titolo del post è <i>Né l’uno né l’altro</i>, mi viene da segnalare un <a href=”http://www.newyorker.com/arts/critics/musical/2008/09/08/080908crmu_music_ross?printable=true” rel=”nofollow”>articolo</a> di un paio di mesi fa del critico musicale del «New Yorker» <a href=”http://www.therestisnoise.com” rel=”nofollow”>Alex Ross</a> (autore del pluripremiato <i>The Rest Is Noise. Listening to the Twentieth Century</i>, libro che presto dovrebbe uscire anche in Italia, da Bompiani) che avanza una critica all’eccessiva serietà della musica cosiddetta “seria” e soprattutto dell’impianto odierno dei concerti in sala, con questa conclusione: <i>«The problem isn’t that the modern way of giving concerts has grown hopelessly decrepit, as some say; it’s that music has for too long been restricted to a single, almost universally duplicated format. If the idea is to treat composers as serious artists, then concerts must become significantly more flexible, in order to accommodate the myriad shapes of music of the past thousand years. Superbly polished as today’s performances are, I sometimes get the feeling that the classics are a force more contained than unleashed, and that new works might still produce the tremendous effect that Beethoven had on Berlioz’s old music master at a concert in Paris: “When I came out of the box and tried to put on my hat, I could not find my own head.”»</i>
Ascoli Piceno è famosa soprattutto per la gente di merda che ci abita.
Carlo, sarai mica di Ancona? 😉
Luca Conti: sposami!
Egregio Signor Dante Fazzini,
il motto latino è pregevole, ma di che si lamenta? Il suo concittadino Giovanni Allevi piace già a moltissimi (anche troppi)!
Diffidi sempre dei consensi plebiscitari!
Piuttosto, se ha occasione di incontrare il Maestro, anzichè consolarlo inutilmente, lo esorti pure a fare la musica che sente nella sua testa, e a cercare di raccogliere con essa tutto il consenso e il successo che saprà meritarsi, come fa qualsiasi artista. Gli raccomandi soltanto un po’ più di cautela e soprattutto di risparmiarci le corbellerie para-filosofiche e gli improbabili apparentamenti estetici che dispensa in libri e interviste – l’ultima su Repubblica ha toccato un “vertice” difficilmente ripetibile -, se non altro per non adombrare pesantemente i titoli accademici di cui ha abitudine di vantarsi. Diversamente il M° Allevi si rassegni a strali sempre più insistenti, perchè “multi nescientes haud pauci mente capientes”. Dubito questo motto sia inciso su un portale ascolano cinquecentesco, comunque grazie.
A chi ancora non lo conosce regalo questo piccolo capolavoro, molto più chiarificatore di qualsiasi sterile bla-bla pr o contro:
http://www.joshuaheld.com/All/all.html
Wendy Carlos, si chiama Wendy non Walter.
Oggi sì. Ma ai tempi di Arancia meccanica si chiamava Walter.