NEL MODO PIU’ DIRETTO, MA CON I MIEI TEMPI: SUL CASO CAFFO

Nel modo più diretto possibile.
Venerdì scorso ero a Catania per un workshop di scrittura piuttosto intenso: venti ore spalmate in un pomeriggio, un giorno e una mattina. Dunque, sono stata molto disattenta a quello che succedeva nel mondo perché il tempo per fare altro era poco. Nella serata di venerdì, mi sono resa conto che il cellulare era zeppo di messaggi, mail, vocali, tag nei commenti sui social dove mi si chiedeva cosa ne pensassi del caso Caffo. Di cui, fino a quel momento, non sapevo assolutamente nulla: e, anche se è stato scritto  che Leonardo Caffo medesimo era mio amico perché lo avevo intervistato a Fahrenheit (è stato l’unico commento che mi ha strappato una risata, confesso: in quindici anni credo di aver intervistato mezzo mondo, e neanche me lo ricordavo), non sapevo nulla neanche di lui. Avrei dovuto? Sì, penso proprio di sì e, mi dispiace per la distrazione, che non è leggera.
Sempre nel modo più diretto possibile: io ho bisogno di tempo per dire la mia. Questa non è una lezione su come si interviene e quando: è così che mi pongo nelle situazioni complesse. Evidentemente in caso di ddl sicurezza o di altre azioni o esternazioni di governo è più semplice. Ma quando qualcosa si pone come inaspettato, e quando le conseguenze di quel qualcosa sono non prevedibili, e comunque pesanti (lo sono e lo saranno, certo), ho bisogno di pensarci su. Ed è per questo che mi sono limitata a dire, sui social, che la mia priorità era e resta l’antagonismo a questo governo.
Il che non significa che non occorra parlarne.
Così, finalmente a casa e finalmente davanti a un computer, e finalmente edotta su tutto quello che è accaduto, dico quello che penso, nello spazio in cui ho i tempi e modi per farlo: questo blog. Perché credo che dovremo continuare a discutere. Non in vista di una pacificazione, ma proprio per far sì che dissenso e spaccature producano altri fatti e altre azioni. E mutazioni, anche. E comprensioni reciproche: non accordi, comprensioni, che sono cosa diversa.
Dunque, sempre per essere dirette.
E’ stato un errore invitare Caffo, sotto processo per maltrattamenti e lesioni alla ex compagna, a Più Libri Più Libri? Sì. Specie in una fiera dedicata a Giulia Cecchettin.
E’ stato un errore difendere quella scelta? Sì. Soprattutto a Propaganda. La stessa Propaganda, se posso togliermi io un sassolino dalla scarpa, per una volta, che ai tempi del caso Altaforte al Salone del Libro, si schierò per il boicottaggio al Salone medesimo: e ancora mi fa male, malissimo, la vignetta del “genio Makkox” dove un padre diceva al bambino di non leggere perché al Salone c’erano solo i libri dei fascisti. Sia.
Anche allora ci si divise. Boicotto o no? Vado o non vado?
Anche allora sono stata in silenzio: per proteggere e difendere il lavoro di un intero gruppo, quello del comitato editoriale del Salone di cui facevo parte.
Anche allora ci furono amici e amiche che scelsero un’altra strada: i Wu Ming, per esempio, che sono miei compagni di strada da 30 anni, e che non potevano che agire in estrema coerenza con la propria storia.
Anche allora, quando ho scritto, l’ho fatto  non per un generico invito all’unione: la forza comune si basa sulla diversità di posizioni, anche, e sul conflitto, anche, e acceso, persino. Altrimenti, dopo la fiammata della polemica, non resta che cenere.

Dunque? Dunque non cambiano, in me, il rispetto e la stima e l’affetto per Chiara Valerio: anche se ha commesso un errore, e anzi più di uno. E anche se ieri, infine, le scuse pubbliche di Più Libri sono arrivate. Come ha scritto Vera Gheno, che da subito ha espresso, come molte altre, il proprio dissenso per la scelta:

“Il dissenso nei confronti delle mosse della direttrice artistica non può venire minimizzato: dal mio punto di vista, è motivato. Ma criticare le azioni di una persona non deve, per me, corrispondere a demolire la persona stessa: un rapporto, lavorativo o amicale che sia, prevede che si possa dire anche “Penso che tu abbia sbagliato a fare questa cosa”, senza che ciò distrugga il rapporto stesso”.

Sono d’accordissimo. E aggiungo che siamo tutti e tutte fallibili, e che facciamo, abbiamo fatto e faremo cazzate incredibili. Ma che, per quanto mi riguarda, metto nel conto anche il tanto di buono che viene  fatto o che è stato fatto o che si farà. Mi interessa contestare la pratica e non la persona. Mai la persona.
Questo, lo ripeto ancora e lo metto in grassetto, per quanto riguarda me.
Il che non significa che stia facendo la lezione su come ci si deve comportare e come si deve parlare e che bisogna polemizzare sollevando il mignolo che regge la tazzina. Il che non significa che non comprenda la rabbia di chi sente smarrita o tradita. Quella la capisco. E va accolta.
Riconosco invece, e non condivido, l’astuzia di chi non vedeva l’ora di prender parte alla rissa per regolare vecchi conti con la persona o con quello che ritiene essere il potere culturale da combattere. Sarebbe bello capire come, e non scherzo: perché è il come a contare, non il chi metto al posto di. Ma, e questo è un ulteriore problema, si parla fin troppo spesso di persone e non di pratiche, per quanto riguarda il lavoro culturale.
Sui femminismi, invece, questo episodio apre infiniti discorsi che non vanno lasciati cadere: che sono “anche” generazionali, ma non solo. Che sono di pratiche e non solo. E che sono anche di timori: Simonetta Sciandivasci li ha ben espressi nel suo articolo per La Stampa.

Quanto a Più Libri. Ci andrò.  E non perché ho paura (ma di chi? Ho 68 anni, sai che paura). Non perché voglio vendere il librino (i libri non vendono alle fiere, vi do questa notizia. Si vendono nelle librerie e nei territori). Non perché qualcuno mi stronca la carriera, perché sono vecchia e non ho carriere da costruire, e il potere non mi interessava prima e a maggior ragione non mi interessa adesso.

Ci andrò perché altre persone sarebbero venute al Salone ai tempi di Altaforte, se non si fosse trovata infine la soluzione auspicata. Perché ci sono piccoli editori che hanno investito negli stand. Che costano. O autori e autrici che diranno cose importanti. O che interverranno negli spazi messi a disposizione per riflettere su quanto avvenuto.  Capisco anche chi non va e chi si sottrae: una sottrazione politica come quella di Giulia Siviero, o sottrazione personale E politica come quella di Fumettibrutti.

Ci andrò perché questa storia ci ha segnato e segnerà. E abbiamo bisogno di parlarne, molto a lungo. Io, almeno.

Ci andrò non perché ho sofferto – e ho sofferto – leggendo le accuse e spesso gli insulti di persone che stimo, di amici, persino. Persino amici carissimi. Ma proprio perché credo che  questa discussione sia comunque cosa preziosa, e dimostra che non è vero che la letteratura stessa sia fatta e letta da persone lontane dalla vita sociale e politica.

Ci andrò perché credo nell’intelligenza dei gruppi, non da oggi. Anche quando si dividono con forza. E credo, ancora, che solo l’intelligenza dei gruppi possa contrastare le antagoniste che ho indicato in quel breve post sui social: Giorgia Meloni, Eugenia Roccella e tutte e tutti coloro che lavorano, e parecchio, per ridurre le nostre libertà.

Non è facile, come non è stato facile decidere di scrivere questo post. Ma tant’è: le cose dolorose e difficili ci servono.

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