NELLA PANDEMIA: GUARDARE IL MONDO COME IN UN QUADRO DI VERMEER

Con chiunque parli, la risposta è sempre la stessa: non ne posso più. Non solo della situazione, dell’altalenarsi di chiusure e aperture, del coprifuoco, della paura, della conta dei morti e dei contagiati. Naturalmente vale anche per me. Non sopporto di abituarmi da quasi un anno a una vita non pensabile prima, confinata dentro le mura di casa, anche con il privilegio della casa e di un lavoro preservato. Non sopporto il considerare al passato i gesti che mi hanno accompagnato per tutta l’esistenza, i gesti stupidi, non soppesati: toccare qualcuno sulla spalla, e naturalmente stringere la mano abbracciare baciare. Bere un aperitivo con un’amica. Cenare fuori. Viaggiare. In questo periodo, un anno fa, viaggiavo come una sconsiderata, non trascorrevo un week end a casa, conoscevo alberghi di ogni tipo, prime colazioni sontuose o miserrime, strade illuminate e sconosciute. Incontravo persone. Ridevo un sacco.
Che ridiamo di meno è un fatto. Che la lunga introspezione sia, però, anche utile è certo un altro fatto. Anche se a forza di dissezionare la propria vita, i propri equilibri, i rapporti con gli altri, amicali, professionali, casuali che siano, viene voglia di dire basta adesso, adesso andiamo avanti.
Eppure, una volta ribadito tutto questo, occorre anche dire che dopo quasi un anno mi sembra di avere la vista più acuta, come quando John Berger descrisse in un libro l’esperienza di chi si è operato di cataratta. Una rinascita visiva, la chiamava. Da plurioperata di cataratta precoce, concordo. E forse è questo sguardo anche ferocemente nitido che dovremmo tenere per noi, da cui dovremmo ripartire.

John Berger, Cataratta, Gallucci editore.
QUALCHE APPUNTO DOPO UN’ASPORTAZIONE DI CATARATTA DALL’OCCHIO SINISTRO.
“Cataratta”, dal greco kataraktes, cascata o inferriata, un’ostruzione che discende dall’alto. Rimozione della grata che sbarrava l’occhio sinistro. Sull’occhio destro la cataratta resta al suo posto.
Mi diverto a guardare un oggetto chiudendo prima l’occhio sinistro, quindi il destro. Le due visioni sono nettamente diverse. Definire la (le) differenza (e).
Con il solo occhio destro pare tutto usurato, con il solo occhio sinistro pare tutto nuovo. Non vuol dire che l’oggetto osservato dimostri un’età diversa; i segni relativi alla sua età o alla sua freschezza restano gli stessi. Quel che cambia è la luce che cade su di esso e ne è riflessa. È la luce a ringiovanirlo o, quando diminuisce, a invecchiarlo. Un’altra differenza tra la visione dei due occhi riguarda la distanza. L’inferriata si chiude. Con l’occhio sinistro posso avventurarmi all’esterno e la distanza aumenta in due modi. Vedo più lontano e, nello stesso tempo, ogni misura di distanza si estende: un chilometro diventa più lungo, e così un centimetro. Divento più cosciente dell’aria, dello spazio tra le cose, perché quello spazio è pieno di luce come un bicchiere può essere pieno d’acqua. Con la cataratta, ovunque ci si trovi, si è, in un certo senso, in interni .
La mia accresciuta percezione dello spazio fa sì che il mio senso della lateralità — di quel che accade da sinistra a destra, di quel che è parallelo all’orizzonte — sia potenziato. Ho maggior coscienza di quel che mi passa davanti, rispetto a quel che viene verso di me. Mentre la distanza diventa più lunga, la larghezza si fa più ampia.
30 maggio. Cielo insolitamente blu, da tutti i punti di vista, sopra Parigi. Alzo gli occhi verso il pino e ho l’impressione che i piccoli frammenti frattali di cielo che vedo tra i ciuffi di aghi siano i fiori blu dell’albero, del colore del delphinium.
Domani saranno trascorse tre settimane dall’intervento. Se provassi a riassumere l’esperienza che ha trasformato il mio modo di guardare, direi che è come trovarsi d’un tratto in una scena dipinta da Vermeer. Per esempio La lattaia (Rijksmuseum, Amsterdam). Osservi gli oggetti e il pane sul tavolo su cui è posata una ciotola; la fanciulla versa il latte da un bricco, e la superficie di tutto quel che guardi è coperta da una rugiada di luce…
QUALCHE ALTRO APPUNTO DOPO L’OPERAZIONE ALL’OCCHIO DESTRO (26 MARZO 2010), LA CUI CATARATTA ERA PIÙ RIGIDA E OPACA .
Questa volta l’afflusso di luce è meno specifico e più generalizzato. Non è tanto che le cose mi appaiano illuminate meglio, quanto piuttosto che sono acutamente consapevole di come tutto sia circondato dalla luce. L’elemento aria è diventato l’elemento luce. Mentre i pesci vivono e nuotano nell’acqua, noi viviamo e ci muoviamo nella luce.
L’asportazione di una cataratta è paragonabile alla rimozione di una particolare forma di smemoratezza. I vostri occhi cominciano a riricordare le prime volte. Ecco perché quel che sperimentano dopo l’intervento somiglia a una specie di rinascita visiva.
Facciamo chiarezza sulle implicazioni di quel che sto dicendo. Va da sé che, finita l’infanzia, per vari decenni ho visto fogli di carta bianca bianchi come questo. A poco a poco, però, il biancore si è smorzato senza che me ne accorgessi. Perciò quel che chiamavo carta bianca cambiava, diventava più spento. Questo pomeriggio non sono io a rendermene conto con l’intelligenza: è il biancore del foglio a precipitare incontro ai miei occhi, e sono i miei occhi ad abbracciarlo come si fa con un amico che non si vede da molto tempo.
Quando si apre un dizionario per consultarlo, si ritrova o si scopre per la prima volta la precisione di una parola. Non soltanto la precisione di ciò che quella parola denota, ma anche il posto preciso che essa occupa nella varietà della lingua.
Adesso che mi sono state asportate entrambe le cataratte, quel che vedo con i miei occhi somiglia a un dizionario che posso consultare riguardo alla precisione delle cose. Riguardo alla cosa in sé, e anche al suo posto fra le altre cose.
La familiare eterogeneità dell’esistente è meravigliosamente tornata. I due occhi, tolta di mezzo l’inferriata, non si stancano di registrare la continua sorpresa. ( Traduzione di Maria Nadotti)

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