NON E' UN PAESE PER VECCHIE SU GIOIA

Oggi è uscita una bella intervista di Rosella Simone per Donna Moderna. La settimana scorsa, un’altra bella intervista di Paola Maraone per Gioia, che vi riporto qui.

In Italia la vecchiaia è sparita persino dall’enciclopedia. A cercarla su Wikipedia – provare per credere – ti reindirizzano automaticamente verso “senilità”. «A giugno l’Istat ha pubblicato i dati dell’ultima indagine sulla terza età: sui quotidiani, appena un trafiletto. I vecchi non vendono, non piacciono, non hanno appeal. Sui giornali e in tv appaiono solo quando sono vittime di una truffa o di un colpo di calore. Per quanto possibile, si finge di non vederli», spiega Loredana Lipperini. L’onda lunga del film dei fratelli Coen le ha permesso di inserire la parola nel titolo del suo ultimo libro, declinata però al femminile: Non è un paese per vecchie. Dopo il fortunato Ancora dalla parte delle bambine, «un’altra indagine sulle donne e sulla discriminazione, che questa volta è una discriminazione doppia. Legata al genere, e anche all’età».

Ma fare finta di niente non è stupido? La vita media si allunga, tutti siamo destinati a diventare vecchi.

In Italia amiamo vivere di emergenze. E fin quando quella degli anziani non esploderà come tale, andremo avanti così. Siamo il paese più vecchio del mondo: ma anche all’ultimo posto, tra le nazioni industrializzate, quanto ad assistenza e sostegno agli anziani.

E perché alle donne va peggio che agli uomini?

Perché le pensioni femminili sono molto più basse. E poi per le anziane, molto più che per gli anziani, vale il diktat che le vuole eternamente giovani.

Quindi è un problema di modelli?

Ci ha fatto caso? Le ultime cinque Miss Italia sono tutte uguali. In generale, pubblicità e tv continuano a proporre alle donne l’omologazione totale; in particolare, il messaggio martellante per le 50/60enni è che dopo la menopausa non è cambiato nulla. Per le donne scatta la corsa al botox, nell’assurda ossessione di cancellare i segni del tempo e nel tentativo di allungare quell’età come un elastico. Fino a quando bisogna davvero lasciare perdere, e arrendersi.

Agli uomini vengono offerte più alternative?

Sono meno interessanti per il marketing e quindi più liberi. E poi: se un uomo anziano appare decisivo, autorevole, serio, una donna anziana è solo una vecchia. E in quanto tale ha due ruoli possibili: la strega mezza pazza, borderline, un po’ ai margini della società, oppure la nonna.

Consacrata alla cura dei nipoti.

Magari! Il problema delle donne nella fascia d’età tra 55 e 65 anni, sulla soglia statistica della vecchiaia, è che spesso sono schiacciate tra i figli/nipoti da un lato e i cosiddetti grandi anziani – un genitore ultraottantenne, una zia – dall’altro. Non a caso per loro è stata coniata la definizione di “generazione sandwich”.

E non a caso quel che manca in Italia, oltre alle strutture per gli anziani, sono gli asili nido.

Infatti si torna sempre al punto di partenza: se il welfare funzionasse davvero non avremmo questi problemi. Non è che vai a letto una sera giovane e ti svegli al mattino, all’improvviso, vecchio. L’arrivo della terza età va preparato culturalmente.

C’è chi lo fa?

Per esempio, la Svezia, tra l’altro in cima alle classifiche come paese in cui la donna è meno discriminata in tutto il mondo. Lì la pressione fiscale è più alta che in Italia – più del 49 per cento – ma nessuno evade le tasse.

Perché?

Perché la sensazione è che siano soldi che lo Stato ti restituisce, in ogni fase della vita: il congedo di maternità dura 18 mesi e può essere equamente diviso tra i genitori. Allo stesso modo, ci sono strutture efficienti e gratuite per la terza età, e agli anziani autosufficienti, due volte al giorno, un dipendente comunale bussa alla porta di casa per chiedere se va tutto bene e se serve qualcosa.

Da noi sarebbe utopia.

È paradossale: pensi che in India, con la menopausa, alle donne vengono concesse libertà che prima non possedevano. Possono uscire di casa da sole e vengono incluse nella categoria dei saggi da ricoprire di reverenza. In Italia le donne anziane non conquistano diritti ma solo doveri: e anche le battaglie al femminile degli ultimi decenni – la contraccezione, l’aborto – sono tutte legate all’età fertile.

Se più donne in Italia lavorassero, le cose andrebbero meglio?

Sì e non lo dico io, lo dice Mario Draghi della Banca d’Italia: più le donne lavorano, più fanno figli, più cresce il Pil. Invece l’occupazione femminile, che secondo le previsioni avrebbe dovuto raggiungere il 60 per cento entro il 2010, è ferma al 46,3 contro il 57,4 della media Ue. E le donne che non hanno lavorato avranno inevitabilmente pensioni più basse…

Come si spezza questo circolo vizioso? Dobbiamo scappare tutte in Svezia?

No, possiamo fare qualcosa anche da qua. Cominciamo col fare un po’ di networking: a partire dai blog e dai siti di donne e di mamme, e più in generale dalla Rete. Il primo passo per cambiare le cose è aumentare lo stato di consapevolezza delle persone. E quindi innescare discussioni, parlarne sui giornali, nelle piazze…

In tv no?

Quella è la piazza più potente, ma il “formato Mediaset”, poi scivolato pari pari sugli altri canali, è il più difficile da smantellare. Pensi alle fiction televisive: le donne affermate sono poco femminili, spesso cattive, quasi sempre sole e infelici.

E le casalinghe disperate?

Solo nella serie omonima. Per il resto, soprattutto nella pubblicità, è vincente il modello di una donna attraente, felice, amata e buona, racchiusa nelle pareti domestiche e di ciò soddisfatta.

Sta dicendo che è colpa di Berlusconi?

Berlusconi non è che il risultato di un processo. È solo uno dei tasselli dei puzzle. Tra le sue colpe più grandi, semmai, metto quella di far passare come legittimo il modello dell’uomo anziano con una ragazza giovane accanto. Il contrario, come insegna Iris Robinson, moglie del primo ministro dell’Ulster che a 60 anni si è innamorata di un ventenne, desta scandalo e orrore.

Salvo diventare di moda: ultimamente le coguare vanno molto.

Se si chiamano Madonna o Demi Moore. Si fidanzasse la casalinga di Voghera, con uno che ha 20 anni meno di lei, si scatenerebbe la caccia alle streghe. Ma il mio obiettivo non è quello di sdoganare gli “amori diseguali”.

Quale, allora?

Che i maschi aprano gli occhi. Per dire, sogno che il prossimo libro sul tema lo scriva un uomo…

17 pensieri su “NON E' UN PAESE PER VECCHIE SU GIOIA

  1. Alla domanda: “E perché alle donne va peggio che agli uomini?” penso che bisognerebbe rispondere che, a dispetto delle ipocrisie, la nostra cultura è intimamente maschilista e patriarcale, e Berlusconi incarna perfettamente questo modello, aggiungendoci per buon peso anche l’esercizio della ricchezza e del potere.
    E gli ultimi vent’anni di “impiego” del corpo femminile nella televisione commerciale – e non solo – hanno finito per rendere vani i precedenti venti di lotta per l’emancipazione femminile.

  2. Un’intervista che è un colloquio tra due donne che stimo e seguo da tempo. Per me una specie di regalo. La sensazione però è che ci parliamo sempre tra noi e la cosa più difficile rimane “destare” il resto del mondo…

  3. Mo se pure le donne aprono l’occhi non è che poi je cascano ecco:)
    Per il resto mi piace l’intervista e dico che nelle prossime interviste sarebbe paraculerrimo dilatare la parte del Baca d’Italia Pil etc. Sono argomenti che bucano, gli altri sono i principi che li muovono, ma un po’ come in certe sedute analitiche non è sempre produttivo svelarli. Qualche volta si eh, ma altre no:)

  4. In Svezia vive un quarto della popolazione di quella italiana. Li ti puoi permettere certe cose, qua no. Non facciamo paragoni inutili, please 🙂

  5. Un’altra cosa che sottolineerei (magari la trovo nel libro, preso stamattina) è che il lavoro non può essere alternativo alla generazione e all’accudimento della prole, perchè realizza una dimensione diversa della personalità, senza la quale manca interazione sociale piena ed espressione creativa del Sè. Troppo spesso invece si pensa che l’importante è essere occupati in qualche modo, e che una donna che non deve per forza guadagnarsi la pagnotta può anche rinunciare a lavorare. Errore gravissimo: non viviamo più in un mondo dove la famiglia era un’unità produttiva, quindi ad essa restano compiti biologici ed affettivi: il “rifugio in un mondo senza cuore” di cui parlava Lasch, responsabile di tutte le frustrazioni ingenerate dal romanticismo deteriore. Chiedere troppo o addirittura tutto alla vita famigliare è il modo migliore per farla saltare per aria.

  6. @nome
    non penso che il nocciolo della faccenda sia la densita’ di popolazione.
    E’ questione di modello: da una parte lo Stato sociale, solidale, rispettato, che chiede e che da’ in cambio; dall’altra il modello ultraliberista dove lo Stato e’ visto con diffidenza, come un nemico pronto a fregarti, dove e’ giusto evadere le tasse, dove privato e’ bello, dove se sei povero e’ un po’ colpa tua e ciascuno si arrangi da se’, che e’ meglio.
    Non credo proprio che il primo modello si possa applicare solo dove si e’ in pochi, e che il secondo sia inevitabile in Paesi piu’ affollati. Se l’economia funziona, anche con l’apporto femminile, se tutti pagano le tasse e si dimostrano civili, se sentono solidarieta’ e non ostilita’ verso il prossimo, magari il Paese prospera e puo’ permettersi di redistribuire con piu’ equita’.
    Magari.
    Poi, e’ questione di opinione, certo. Qui da noi c’e’ un cortocircuito consolidato fra Stato sprecone o clientelare e ribellismo diffuso. Su cui hanno marciato ampiamente certe forze politiche per imporre le loro tesi.
    I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma a qualcuno continua a star bene cosi’…

  7. Perché inorridisco quando sento le colleghe con figli piccoli parlare entusiaste del nido (privato) che tiene i bambini dalle 7.30 del mattino alle 7 di sera?
    Ma ci sembra una vita a misura di bimbo questa?
    Il welfare, i servizi sociali…ok, devono essere migliorati; ma continuo a sostenere che l’organizzazione della nostra società nel complesso andrebbe rivoluzionata. Un essere umano ha bisogno di tante cose, non solo di produrre, produrre, produrre

  8. Insegno. Parlavo di discriminazione sessuale nei paesi islamici a una classe di 13nni. Una di loro ha scritto: meno male che da noi non c’è. Le ho risposto traquilllamente che si sbaglia e lo scoprirà dopo, da piu grande. Però a dirlo quanta, quanta amarezza.

  9. @Alessandra hai ragione sui bambini
    ma qui una cosa è la teoria e un’altra è la pratica e la pratica è che le donne non stanno dove si decidono le LORO cose perchè hanno troppo da fare a casa, in politica non esistono e non sono nessuno.
    In Francia e resto d’Europa il part time non è una parolaccia, x fare un esempio e lì procreano che è una bellezza. Ma ci voleva molto ad aggiungere al congedo parentale x l’uomo la parola “obbligatorio”?
    Qui ci sarebbe da mettere le cose BENE in chiaro anche con le nostre dolci (?) metà perchè i bimbi non nascono per gemmazione, non sono proprietà privata della mamma e l’uomo italiano i figli non se li fila granchè, le statistiche lo dicono da secoli.
    Non è facile mettere in discussione il loro mondo fatto di irresponsabilità, comfort e cene pronte, abbiamo paura del senso di colpa per non essere “brave” come vorremmo, non sappiamo chiedere, non sia mai esigere e loro intanto sono lì belli tranquilli in poltrona o a tennis con gli amici…
    Il lamento è l’arma degli impotenti e spesso si ricaccia in gola anche quello per quieto vivere.
    P.s
    7.30 per una lavoratrice pendolare è anche tardi… 🙁

  10. A parte il welfare su cui siamo tutti più o meno d’accordo (se siamo di più che in Svezia non mi sembra pertinente, l’importante sarebbe pagare le tasse e avere dei servizi senza combutte o evasioni), mi sembra triste che la donna invecchiando perda di autorevolezza (se si interessa di politica, di questioni sociali, se scende in piazza è una pazza babbiona), mentre noi ometti si ciancia di tutto e leggere il quotidiano è segno di fu status (insegnante, impiegato, uno che lavorava).
    Poi le donne hanno sulla morte una forza mostruosa che gli uomini se la sognano, tapini. La parte riservata nel libro a G.L.Andrea è commovente, preziosa.

  11. intervista interessante ma:
    anche io diffido sempre dai paragoni con altri paesi, soprattutto quelli nordici che sono molto lontani dalla nostra storia. A livello di ragionamento si possono fare confronti, aprire dibattiti ma basta confrontare gli ultimi nostri 60 anni di storia ai loro e poi tirare le somme.
    e anche la storia del lavoro: forse come ho letto in un altro commento, la soluzione del lavoriamo tutti e tanto non penso che alla lunga porterà dei reali miglioramenti. anzi. forse bisognerebbe dire, lavoriamo meno e non ci uccidiamoci con lavori che non servono proprio a niente. (lo dico perchè ho passato anni scorsi a produrre oggetti in catena di montaggio di assoluta inutilità, rovinandomi la vita, insieme a donne, immigrati, ragazzi, eccetera, eccetera)

  12. Sono d’accordo con quanto scrive larobi, finchè il feto rimane nel ventre materno è giusto che sia la donna a decidere in ultima istanza su una cosa delicata come l’ aborto poichè ognuno di noi è padrone del proprio corpo e di quello che si trova al suo interno, ma dopo che il pupo è nato è giusto che entrambi i genitori se ne occupino se entrambi l’hanno desiderato.
    poi però ancora oggi, sia pure con lodevoli eccezioni, ci si aspetta che sia lei a rinuciare al lavoro per i figli e anche questo non è giusto.
    X Loredana: sì è vero che in India le donne anziane sono molto rispettate a differenza che da noi, però esagerano nel senso opposto, leggevo tempo fa di un tribunale indiano che aveva stabilito il diritto della suocera di picchiare la nuora per “educarla”

  13. “è giusto che sia la donna a decidere in ultima istanza su una cosa delicata come l’ aborto”
    fermo restando che la contraccezione va’ sempre incoraggiata per evitare gravidanze indesiderate.

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