NON PENSATE ALLA FARFALLA

Proviamo a fare il punto?
Qualche giorno fa, a proposito del Festival di Sanremo, ho parlato di “trappolone”, e resto convinta della definizione. Di cosa aveva bisogno un team autorale vecchio, scollato dal mondo, incapace di concepire uno spettacolo valido per la sua struttura e non per il rimbalzo sui giornali o su Internet? Di un po’ di polemiche.  Bene. Quale migliore appeal di una polemica femminista – che tanto le femministe al momento non servono, anzi, potrebbero disturbare i manovratori, quindi meglio ridicolizzarle – che permetta di spaccare il fronte in bigotte sì-bigotte no?
Detto, fatto.  Basta passare un paio d’ore in rete, su siti e social network, e leggere tutto e il contrario di tutto, e passare addirittura da Belen alle donne cattive use a collaborare  all’infibulazione  delle proprie figlie e allevare allegramente figli maschi stupratori (non scherzo).
Punto, a capo.
Questione numero uno, legata alla rappresentazione delle donne in televisione. Non è faccenda relativa a  Sanremo, è questione più complessa e fa parte di un continuum mai affrontato seriamente:  peraltro esiste un nuovo contratto di servizio Rai (Gazzetta Ufficiale del 27 giugno 2011) che prevede una  rappresentazione del femminile aderente alla realtà e non alle convinzioni o alle astuzie di qualche autore.  Di quel contratto nulla si sa. Anzi,  in caso si avessero notizie fresche avvertitemi, perché non mi sembra che si sia stato fatto un solo passo in questa direzione.
Questione numero due.  Giorgia Vezzoli ha scritto una lettera alla ministra Fornero in questo senso, e bene ha fatto.  Credo che la ministra medesima non abbia molta difficoltà a rispondere (del resto, è intervenuta in proposito alcuni giorni fa). Sarebbe però necessario e auspicabile che rispondesse anche su quanto le riforme pregresse sulle pensioni e quella ventura sul lavoro andranno a penalizzare (o hanno penalizzato) soprattutto le donne, che sono e restano soggetti discriminati per quanto riguarda reddito e occupazione.  Come detto un fantastiliardo di volte, immaginario e sociale vanno di pari passo, né è possibile mettere mano all’uno senza toccare l’altro.
Questione numero tre.  “E adesso che si fa, eh?”, diceva il vecchio Alex di A Clockwork Orange.  Come detto da mesi, siamo in pieno gender backslash: i furbissimi autori sanremesi se ne sono accorti prima di molti e molte di noi. Negli ultimi tempi quello che sembrava il nuovo femminismo avanzante viene dipinto con sempre maggiore frequenza come rigurgito conservatore.  Ora, Marina Terragni ha lanciato un appello alle altre blogger: nella diversità che ci contraddistingue, concordo sulla necessità di fare fronte comune. Ci sono punti che stanno a cuore a tutte e tutti, a Lorella Zanardo come a Femminismo a Sud: identifichiamoli, evidenziamoli, battiamo su questi.
Non tira una bella aria. Proprio no.

97 pensieri su “NON PENSATE ALLA FARFALLA

  1. E aggiungo: capirsi, non arrivare alle stesse conclusioni ma acquisire elementi di conoscenza delle rispettive posizioni. E poi magari trovarsi sui famosi minimi comun denominatori che delle volte, giuro mi è capitato, si rivelano il massimo peruna progettualità condivisa. Postulata la buonafede, è ovvio.

  2. Donatella, francesca, zauberei:
    zauberei: non è chiaro forse che il punto in agenda scelto da terragni e chi per lei NON è un punto comune, non nell’interpretazione, negli obiettivi, in termini di priorità e se NON lo è c’è poco da dire che siamo tutte d’accordo e dunque bla bla bla facciamoci una bella rete che punti alla demolizione di sanscemo.
    donatella: proprio perchè facciamo comunicazione dobbiamo sapere in che senso orientiamo le nostre campagne. se tutte assieme scrivessimo di precarietà, di welfare in un altro senso, di lavoro e reddito e di tutto quello che dicevo, se si riuscisse a orientare il dibattito in quella direzione invece che verso le varie sponde comode di indignazione che ora demonizzano un premier sessista e ora una trasmissione retrò, noi avremmo una chance e ce l’abbiamo perché continueremo a battere su quel tasto.
    francesca: che una madre non possa lavorare e ci si debba muovere affinché le donne abbiano diritto (ma anche gli uomini, i padri) ad un congedo, alla maternità, a tutti i santi diritti che altre hanno conquistato per noi non c’è dubbio. da lì a dire che dunque sarebbe più comodo (comodo per chi? per le imprese?) stabilire dei termini di conciliazione affinché l’azienda possa rendere flessibile il tuo lavoro e tu (senti che uso della semantica sopraffino) sentirti libera di trascorrere più tempo a svolgere i tuoi doveri familiari, ce ne corre. le politiche di conciliazione non conciliano alcunché ma giocano al ribasso sui nostri diritti, inclusi quelli delle madri e se non siamo consapevoli del fatto che c’è una parte del centro sinistra che da sempre – non da ora – esercita una brutta mediazione per dare appeal alle modalità flessibili che impone il mercato del lavoro non andiamo da nessuna parte. diritti di maternità non significa meno lavoro, part time, contratti a tempo, contratti precari ed è questo che invece viene propagandato come un riconoscimento del nostro estremo desiderio di essere madri (“tempo di essere madri” è la proposta di casapound) e di accudire la famiglia. In ogni caso ti rimando ad un dibattito che si è ampiamente svolto e continua a svolgersi e che ha dato vita a più di una iniziativa nella quale si è riflettuto di precarietà da un punto di vista di genere. http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/04/07/roma-stati-generali-della-precarieta-perfettamente-inconciliabili/
    Resta intatta comunque la certezza che non si vuole andare ai veri nodi della questione restando in superficie. La differenza di classe è una di queste. perché lì ci rendiamo conto che le donne:
    a) non sono tutte sorelle, anzi;
    b) c’è una reale divisione di classe e di prospettiva nei progetti di futuro di ciascuna e anche nei metodi di lotta;
    c) è tanto bello fare balletti e sfegatarsi su questioni che si, per me, sono conseguenziali e non principali.
    Perché se le donne fossero libere di scegliere si sottrarrebbero ad un mercato del lavoro che le usa in ogni senso a prescindere dal fatto che esse mostrino parti del corpo o meno. E si sottrarrebbero anche a quel bell’inghippo che è l’uso più uso che esista nella società italiana ovvero il matrimonio e la famiglia. Luoghi in cui le donne sono stra-abusate e rispetto ai quali non ho visto né lotte per dignità offese né invocazioni all’unità da parte di nessuna. Siamo nella situazione in cui le donne sono “costrette” a stare in coppia con un un partner anche violento, per avere un tetto e giudichiamo male quegli ambiti in cui le donne, anche vendendo il proprio corpo, si rendono indipendenti? http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/02/16/la-prima-violenza-contro-le-donne-la-dipendenza-economica/
    Scusate ma no, non lo capisco.

  3. @Zauberei, no, lo so che non è facile, soprattutto perchè anche io ragiono in certi termini e capita che mi trovo ad un punto morto con le persone… però questo punto si supera nel momento in cui l’evidenza, a mio avviso, ci mette di fronte alla realtà, che per come la vedo io è quella che ho già detto nei termini lavorativi, per cui non puoi avere un minimo di soddisfazioni nella vita, di indipendenza, e percepisci continuamente il limite della precarietà – cosa che poi, a mio avviso, fa anche capire quanto (QUANTO!!!) il modello self-made (wo)man non funziona, però è questo è veramente un altro discorso 🙂
    Però certo, esistono tante realtà, io personalmente non le nego, ma immagino che se tu sei qui a parlare è perché ti sta a cuore, e immagino anche che sta a cuore a molte donne di SNOQ.. però non nei comunicati nazionali, per i motivi sopracitati da marij. A me personalmente interessano le lotte delle donne, non di SNOQ in sé, se poi quelle donne sono comuni mortali come me ma stanno in SNOQ pace, che te devo dì, la vediamo differentemente ma fa niente! Sì, bisogna organizzarsi, ma io lo farei con le donne e basta, non con i grandi comitati. Perchè se c’è un comitato che, puta caso, non condanna casapound a prescindere, per dire una cosa a caso che succede e va di moda oggidì, a me personalmente non sta bene, ma non perché mi piace fare la diversa a tutti i costi, è perché cpi non è dalla parte delle donne, è una realtà dei fatti questi, quindi… che ci sta a fare in una battaglia per le donne?

  4. “a farti una vita senza l’obbligo di far famiglia” serena
    e anche la libertà di fartela questa famiglia e diventare madre, genitore senza venir licenziata per questo, ovviamente. Chi vuol vivere in maniera più “tradizionale” può farlo ma deve o dovrebbe essere una scelta legittima come le altre

  5. zauberei, se mi dici in cosa ti sembra che io travisi e sposti nel terreno della malafede chi invece ha un modo di vedere le cose diverso dal mio posso tranquillamente spiegarmi meglio.

  6. Cara Giorgia, cercherò di non essere troppo OT, visti i tanti e tali input che stanno venendo fuori da questa discussione. Non voglio però che le mie domande siano state scambiate per benaltrismo, non mi risulta di aver sostenuto che una battaglia sia più importante dell’altra, anzi è proprio tutto l’opposto.
    Ho chiesto esplicitamente come mai ricevo un sacco di richieste di adesioni a mailbombing, segnalazioni allo Iap, lettere a questo o quest’altra persona potente quasi sempre quando si tratta di donne seminude o volgarità in tv e mai nessuno muove un dito per tutto il resto che viene mandato in onda.
    Sarò ancora più terra-terra e cercherò di spiegarmi meglio: come mai migliaia di firme sono state riservate ad un servizio del tg1 di qualche minuto dove due vecchi in atteggiamento viscido presentano una modella mentre per mezz’ora di spottone del movimento per la vita http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9eda91a5-1cab-4bb2-855a-4b7d651d2d5d.html all’ora di pranzo con delle specie di nazisti che indirizzano i giovani a boicottare l’interruzione volontaria di gravidanza non s’è levata mezza voce?
    Io capisco che significa occuparsi di stereotipi di genere e mi sta benissimo che qualcuno stia lì a sottolineare i danni di un’educazione dove le donne vengono trattate come oggetti ecc, ma purtroppo (e sottolineo il purtroppo) vedo levate di scudi e mobilitazioni solo quando c’è qualche ragazza mezza nuda o muta.
    Ho il terrore di affrontare l’argomento “sessismo nei media” perchè si pensa sempre e solo alla donna discinta, invece il sessismo ahimè, non è affatto un discorso di nudità, e credo che sia pericoloso far passare solo questo frame sulle discriminazioni di genere.
    Chiudo con un OT: io ho posto delle domande sulla tv, non mi sento affatto di trattare l’argomento dello scollamento tra bloggers e realtà femministe che è tangibile ed evidente per chiunque..il fatto che stiamo ancora discutendo della rappresentazione della donna nei media mentre magari le compagne di Lucha y Siesta stanno protestando davanti al Campidoglio per tutt’altri motivi la dice lunga..Prima o poi dovremmo anche un po’ interrogarci su quanto spazio abbiamo tolto a chi agisce nel territorio preferendo optare per argomenti più facili, prima o poi.

  7. “Bisogna essere due – o per lo meno bisogna essere stati due(1) – per comprendere un cielo blu, per nominare un aurora!
    Le cose infinite… non trovano il loro nome che in un cuore amante”
    (Gaston Bachelard, Prefazione a Je et tu di Martin Buber)
    Quando leggo una cosa così mi par di capire cosa ci sia di costituzionalmente sbagliato nel femminismo. Si può tentare di ridefinire da una parte sola ciò che è di due (immaginario, sessualità, ruoli genitoriali ecc)?

  8. @Jo: io non posso parlare per le altre. io posso parlare solo per me. Io ho aperto il mio blog per parlare di stereotipi di genere e approfondire QUESTO tema, sia con le parole che, anche, con iniziative di sensibilizzazione. Perché questo è il campo che a me interessa studiare e analizzare, che ritengo centrale nell’evoluzione della società e dove le mie competenze possono essere messe a frutto e dove quindi ritengo di poter fare la differenza nella sua evoluzione.
    Posto che tutte le battaglie per i diritti sono valevoli (e mi pare siamo quasi tutte d’accordo su questo), io personalmente non avrei né il tempo né le competenze per mettermi ad affrontare altri argomenti relativi alle donne se non marginalmente dal momento che già solo seguirne uno bene mi è impossibile. Perché, è vero, il sessimo nella comunicazione non è solo la donnina e se mai avessi avuto l’opportunità di leggere gli argomenti di cui trattiamo e le campagne che facciamo, avresti visto che parliamo sempre di stereotipi che vanno ben oltre quello della donna-oggetto, parliamo di sessismo nel linguaggio, di coerenza editoriale delle testate, di articoli sessisti etc etc.
    Sai quante volte vorrei fare delle denunce che non ho tempo di fare? Sai quanti programmi vorrei recensire?
    Non lo so perché manchino altri tipi di battaglie, sinceramente, a me pare che che ci siano così come ci sono persone, associazioni, unioni di donne che si battono per questo.
    Però se tu avverti questa mancanza a livello di numeri secondo me invece di “lamentarti” (passami il termine, non me ne veniva uno migliore al momento) con chi ha scelto di occuparsi di rappresentazione delle donne e di stereotipi di genere, potresti cominciare tu creare un blog dove tratti le tematiche a tuo avviso sono più prioritarie.
    Con stima.

  9. No non voglio dire assolutamente che discutere sia inutile – è che so per esperienza che certe posizioni su certi temi sono difficilmente conciliabili. In ragione di esperienze passate – dibattiti di rete, vita di sezione, una famiglia fondamentalmente militante – io trovo più profiquo per me e per tutti separare le agende. La più importante tenerla per le affinità politiche, quelle di genere invece, possono costellarsi nella famosa rete a maglie larghe.
    Poi non so, mi ha molto colpito anche quello che ha scritto Giorgia. Io pure come lei scelgo certe battaglie piuttosto di altre in corrispondenza a un talento e a una competenza. Per occuparsi di economia io penso che bisogna sapere di economia, e di lavoro di diritto del lavoro. Io sono psicologa e perciò investo nelle questioni in cui il mio sapere è più utile, e nelle cose in cui io mi diverto di più – perchè il divertimento è la garanzia della mia efficacia. Per questo magari mi viene meglio impegnarmi sul fronte della 194 e della mancata educazione sessuale nelle scuole, o mi viene meglio riflettere sull’impatto nei processi mentali collettivi degli stereotipi di genere.

  10. Ma non capisco perché saltare a pie’ pari la questione di classe. Io non sono un’economista e nemmeno un’esperta di diritto del lavoro, però so benissimo che significa barcamenarsi a vivere con un lavoro precario da circa mille euro al mese a seconda delle ore che faccio e non per tutti i mesi dell’anno. Non ho bisogno che mi dia lezioni chi quella cifra la spende per un paio di scarpe o per una collana. E non mi diverto proprio per niente.
    Non da ultimo, inviterei a riflettere su come mai la 194 e l’art. 18 siano entrambi sotto assedio e come mai si stia retrocedendo in materia di “diritti”, o presunti tali, sotto ogni fronte. La salvaguardia della 194 mi sta tanto a cuore tanto quanto la salvaguardia dell’art. 18.
    E da ultimo, tanto per chiarire ulteriormente le mie posizioni, io non ci tengo proprio a unirmi con chi ha difeso fino alla prescrizione un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. E questa non è malafede, è storia contemporanea.

  11. A proposito di quello che dice Jo’ e anche di quello che dice Giorgia io vorrei aggiungere che una della cose più belle e ben riuscite del Feminist Blog Camp era ed è proprio il fatto di mettere assieme diverse competenze e peculiarità. Non possono esistere le lotte in rete senza quelle territoriali e non sarebbero visibili le lotte territoriali senza una militanza consapevole in rete.
    Una delle cose belle che è uscita fuori dal FemBlogCamp è stato l’impegno di collettivi e militanti del web di dedicarsi alla questione della privatizzazione dei consultori, dell’ingerenza del movimento per la vita dentro di essi e della limitazione della nostra libertà di scelta. E poi è stato tutto un fiorire di iniziative e la rete ha funzionato eccome perché le lotte territoriali sono rimbalzate sulla rete ricevendo ampia visibilità con reciproco riconoscimento e così è stato per la campagna di solidarietà nei confronti delle donne licenziate dalla Omsa. Una campagna virale che ha determinato perfino un minimo cambiamento, con lotte territoriali, presìdi e iniziative e il tam tam della rete a rendere visibile lo sforzo delle compagne. Non si può immaginare uno scollamento tra le due cose perché non siamo entità separate e ciascuno (certo Zauberei) presta la propria competenza e la propria peculiarità e il proprio interesse ma in una direzione che sia di buon senso e che realizzi DAVVERO una rete e non così in maniera superficiale. La Terragni o chi per lei dov’erano mentre noi facevamo queste cose? Ma il punto non è neppure questo. Si sono svegliate? Benissimo. Ma perché non tenere conto delle esperienze già in atto e immaginare di poter dettare agenda, parole d’ordine eccetera sulla base delle questioni che si dicevano nei commenti sopra? C’è qualcosa che non torna e non è così che a me, personalmente, piace fare rete. A Torino al Feminist Blog Camp l’aria di una rete si sentiva, era reale ed è reale. Noi esistiamo per dare forza alle lotte che le compagne fanno ovunque. Esistiamo anche per moltiplicare lo sforzo che le altre fanno perfino su cose che ci riguardano poco perché abbiamo dato voce all’iniziativa su Sanremo come daremo voce per valorizzare qualunque cosa venga in mente a quella splendida sorella che è Giorgia così come a Loredana o a Lorella che sono comunque due donne che stimo perché si mettono in gioco sulla base di ciò che ritengono giusto. Proseguono. Ci provano. Ma io so che loro ci sono sempre state. Ci sono sempre. Sono con noi. Sono già in rete. Ora ditemi perché la Terragni, per esempio, nel suo appello ha inteso nominare una presunta èlite di nomi papabili trascurando il fatto che esistono centinaia di donne che da mattina a sera si fanno il culo per lottare per obiettivi di vario genere? E che significa quel riferimento, tra i suoi commenti, a giornaliste e dunque ancora ad una èlite per fare non so cosa, ad una presunta decisione su quanto c’è da fare? Dove sta la partecipazione dal basso? Dov’è l’umiltà, stare a sentire cosa hanno fatto e fanno le altre… insomma… no… c’è proprio un mondo tra quella proposta e me. E sono certa che Jo’, Giorgia, Loredana, Lorella e altre compagne e amiche incluse quelle che stanno mettendo in piedi il progetto della rete delle reti, possono capire quello che dico. Continua ad esserci troppo Snoq Mode On in questa proposta e nel frattempo che il dibattito continua noi proseguiamo le lotte e proseguiamo a rendere visibili i movimenti che nei territori fanno cose senza che nessuno se ne interessi e ne sappia nulla.

  12. ahò e quanno so separatista me rompono che so separatista, e quanno so collaborativa me rompono che so collaborativa . ragazze care io ci ho provato – ma so sfiancata 🙂

  13. Care tutte, premetto che mi sento consonante con Giorgia e Zauberei, perché penso che ognuna debba e possa offrire il suo contributo secondo i suoi talenti. E condivido, quindi, direi tutto dell’ultimo commento di Marij, anche se non mi trovano concorde molte cose dette prima. Personalmente ho aderito al progetto de La Rete delle reti proprio perché mi sembrava, e mi sembra, essere il contrario del verticismo e del dirigismo e del personalismo e dell’unanimismo. E quindi, arrivata all’assemblea del 28, non soltanto già sapevo che la mia idea di rete corrispondeva (più o meno) a quella di Sanzo e Vezzoli, cui mi ero ispirata, ma ho constatato, proprio lì, che questo progetto poteva articolarsi in uno strumento del tutto fluido, circolare, e libero, come quello proposto dalle ideatrici del portale. Se andate a vedere c’è anche chi parla con particolare passione dell’agire sul territorio. Però, visto che è stato lungamente discussa l’opposizione “oppressione di classe/oppressione di genere”, con tutto il rispetto per Joyce Lussu, io continuo a pensare che esista, e che sia sempre esistita, un’oppressione di genere, che è indipendente dall’oppressione di classe, che la attraversa, che la articola, ma che sta a monte di questa. L’oppressione di genere è sempre esistita, in passato, ed esiste, oggi, in tutte le sue più varie configurazioni, nelle diverse forme di società. E’ molto più vecchia del capitalismo, è molto più vecchia di qualsiasi sistema di vita, non solo economico, ma politico, che sia stato teorizzato nella storia: questo lo sappiamo tutte, no? Bene, allora dovremo pure ricordarci che è stato il Karl Marx a scrivere che la prima forma di asservimento nella storia dell’umanità è stata quella degli uomini sulle donne. E non credo che l’autore di questo pensiero sottovalutasse la lotta di classe. Dunque? Certo che le donne appartenenti alle classi dominanti sfruttavano le donne appartenenti alle classi subordinate: ma non è questo il punto, o meglio, non è solo questo il punto. Mettiamoci dal punto di vista del genere: allora vedremo che anche le donne delle classi dominanti, sfruttatrici delle donne delle classi subordinate, erano a loro volta subordinate e minorate rispetto agli uomini delle classi dominanti, e che le donne delle classi subordinate, erano a loro volta sfruttate e tenute in stato di minorità dagli uomini delle classi subordinate. Ecco, è questo che ha scoperto l femminismo, ed io a questo non rinuncio. Il che non mi impedisce di vedere che il reddito, cioè l’autonomia economica che si consegue attraverso un lavoro adeguatamente retribuito e sicuro, sia un dato fondamentale per il conseguimento dell’autodeterminazione delle donne. Ma questa era l’idea fissa di mia madre (“l’indipendenza economica è la prima cosa”) che aveva ragionissima, negli anni ’60-’70, epperò questa visione è proprio quella del cosiddetto “emancipazionsmo”, quella visione che il femminismo degli anni ’70 si accorse essere incompleta e non risolutiva dell’autodeterminazione etc. etc. Allora ci vorrà anche qualche altra cosa, oltre al lavoro, non dico prima o dopo, ma insieme. E temo che il discorso femminista sul simbolico fosse, ahimé, l’oggetto, in quegli anni, della polemica di Joyce Lussu.

  14. Il bello di questa discussione è che ogni 6 ore una viene a vedere cosa succede di nuovo e vedi così anche una certa evoluzione, se vogliamo convergenza, nei commenti. Non ho molto da aggiungere a quanto detto finora, se non che anche a me la questione di genere abbia un’urgenza di intervento, con quella di classe che le sta in parallelo, ma per altri motivi.
    Mi spiego, noi stiamo tutte qui a parlare (dico tutte, anche se il povero Valter ci prova a inserirsi ma vedo che in questo momento non se lo fila nessuno, troppo prese dall’ urgenza di chiarirci internamente. Il che mi fa ben sperare nel famoso fronte comune sui denominatori minimi, ci sfilettiamo su questo, ma l’ insistenza con cui ci si torna mi suggerisce che a livello di aspirazione questa in questo momento è la nostra consapevolezza, fare fronte, su quel paio di cose fondamentali), dicevo, stiamo a discutere per e su e in nome del genere.
    Che in questo calderone emergano anche le contraddizioni tra chi nel precariato deve campare con la cifra che un’ altra spende per una collana (non per fare i conti in tasca a nessuno, ma qui della collana siamo poche a prescindere, mi sa), non è il motivo di questa discussione, ma una delle ramificazioni. una ramificazione che peraltro, a sé, non è più solo di genere, ma trasversale a uomini e donne. così come trasversale, a mio avviso, dovrebbe essere il discorso della conciliazione tra genitorialità e lavoro, che potrebbe davvero fare grossi passi in avanti anche solo grazie a una cosa semplice come il congedo di paternità obbligatorio – ci torno a parte.
    Loredana, grazie per aver offerto questo spazio a questi sviluppi. Non è la prima volta che penso che certi forum siano più adatti di altri al confronto costruttivo anche dove non mancano le prese di posizione vivaci, ma non vedo mancanza di rispetto, non vedo chiusure ideologiche, finora vedo solo e davvero una gran voglia di proseguire nel confronto, magari arrivare anche in fondo fino a dove fa male, ma sempre rispettando l’ altro in quanto altro e cercando davvero di sentire cosa ha a dire, fosse fosse che sia una cosa utile anche a me.
    E poi diciamocelo, la zauberei collaborativa e Marij in dibattito a me personalmente arricchisce leggerle:-).

  15. Mi stava ripartendo il pippone che ho deciso di elaborare a casa mia, dico solo che parimenti all’ obbligo scolastico che ha portato, in paesi emergenti si vede bene, anche a una diminuzione della natalità, che di suo permetterebbe una migliore distribuzione delle risorse, l’ obbligo del congedo di paternità a mio avviso creerebbe da sè i presupposti di tutta una serie di cambiamenti nel settore: genitorialità, lavoro e servizi, che si potrebbe configurare come una piccola rivoluzione socio-economica. Non so se sono io che la vedo troppo facile o se è davvero una cosa che si spiega da se. E da questo punto di vista, il congedo di paternità mi sembra uno di quegli obiettivi che riuniscono sia il discorso di genere che quello di classe, ma me o vado ad elaborare altrove.

  16. Anzitutto, grazie per la bellissima discussione. Provo a elaborare una risposta in post ulteriore. Qui, solo una piccola precisazione a Ondina: non sono una blogger professionale. Gestisco Lipperatura dal 2004 GRATIS: non vengo pagata per aggiornare i post, non lo sarò mai, non voglio esserlo. Stesso discorso, se posso permettermi, vale per Lorella, Giovanna e molte altre. Tanto per mettere qualche puntino su qualche i. 🙂

  17. La discussione dura ormai da giorni. Io volevo dire, da blogger sconosciuta, che le blogger che si occupano di studi di genere, pubblicità offensiva etc, a volte mi sembra che vivano nel mondo delle idee platoniche. Parlare da un blog, o scrivere articoli, o raccontarsi, tra le solite 4-5-6 note, che si rincorrono di blog in blog, di forum in forum, e sembrano parlare solo tra loro “elette”, o fondare uno, due, mille movimenti, e manifesti…perché invece non pensare di intervenire dall’interno del sistema? Perchè non candidarsi alle comunali della propria città o cittadina e provare a fare l’assessore ai servizi sociali? Perché non offrire le proprie competenze a politici o amministratori locali, magari non solo di sinistra? Perchè non andare ad aiutare le operaie del distretto delle calze (Omsa etc) a Castiglione delle Stiviere, che tra cassa integrazione e licenziamenti prossimi venturi magari hanno bisogno di un aiuto concreto? Perché invece di gloriarsi del proprio essere mummy bloggin o antimummy bloggin, non andare a rompere le scatole alla propria azienda per ottenere un nido aziendale? O fondare una cooperativa che possa aprirlo,anche in un paese piccolo? Perché invece di pensare a favorire il rientro delle mamme al lavoro si deve pensare al congedo per il padre? Non è meglio la madre nei primi mesi e poi tanti asili nidi, tante forme di tagesmutter (madri a domicilio)?
    Mi sento tanto allergica ultimamente ai mille proclami, ai mille manifesti, ai mille “armiamoci e partite”…
    Per chi se lo chiede io sono impegnata sindacalmente nella scuola e collaboro con il mio comune, sul blog invece parlo solo di scuola o di mia figlia, non di studi di genere. Però il documentario della Zardo alle mie classi lo faccio vedere.

  18. Labiondaprof: nel mio piccolo è quel che cerco di fare. Non ritengo opportuno candidarmi in qualsivoglia lista: non è il mio lavoro. Il mio lavoro è quello che faccio, tutti i giorni, qui, alla radio, nei libri. Il benaltrismo lo lascio ad altri.

  19. @paola m
    non volevo entrare nella vexata quaestio dell’è nato prima l’uovo o la gallina, né mi interessa in questo momento discettare sulle teorie di Marx. Vorrei semplicemente sollecitare a non mettere da parte, come se non esistesse, la differenza di classe. E mi sono appoggiata alla Lussu semplicemente perché ha ben analizzato come tale differenza, storicamente, è stata (e per me continua a esserlo) una discriminante che ha danneggiato le donne delle classi più deboli. Le donne delle classi dominanti sfruttavano e SFRUTTANO le donne delle classi subordinate e a me non sembra il caso di lasciarlo correre come se non fosse importante. Vogliamo pensare alla vita che fanno le badanti e le colf a servizio delle famiglie benestanti? Soggette tanto a sfruttamento sul lavoro quanto a molestie sessuali. Ci interessa? ci appartiene? A me sì. Inoltre, mi sono appoggiata alla Lussu anche perché condivido il suo appello a non ripiegare esclusivamente su temi educazionali, ma a collegare quelli a lotte più specificatamente politiche, che riguardano le discriminanti di censo e ceto e non solo (ma anche ) di genere. Tale scissione è nefasta e la storia odierna ce lo insegna.A questo proposito, vogliamo riflettere sul perché 194 e art18 siano entrambi sotto assedio? Ma non per puro intellettualismo, semplicemente per muoversi in maniera più globale e dunque più efficace. Il mio è semplicemente un appello, che come tale può anche non essere colto. Ne prenderò atto.

  20. @labiondaprof: il mio lavoro non è quello di fare la blogger o la poeta attivista. il mio lavoro è fare la consulente di comunicazione e siccome a me non mantiene nessuno e ho pure una famiglia da sostentare, è al mio lavoro che devo dare la priorità.
    quello che faccio col blog è volontariato puro e lo devo svolgere nei ritagli di tempo, anzi già ora mi prende TROPPO tempo rispetto a quanto potrei dedicarne davvero. più volte, cara labiondaprof, sono stata sul punto di mollare tutto perché NON CE LA FACEVO.
    quando posso, inoltre, scendo anche dalla rete e vado a parlare fuori, nelle scuole e nei comuni. ma siccome anche spostarsi costa e prende tempo, non riesco ad essere in tutti i posti in cui vorrei.
    mi dai tu i soldi per fare l’attivista a tempo pieno? mi rimborsi tu del tempo di lavoro o dei clienti persi in vista di un eventuale impegno politico? io non ho un datore di lavoro che mi garantisce uno stipendio tutti i mesi, io il lavoro me la devo cercare e sudare ogni giorno.
    dai, per piacere. di fare le pulci alla vita delle persone non mi sembra proprio il caso. ognuno fa quel che può con ciò che ha e, soprattutto, mettendo in campo le proprie competenze che, nel mio caso, non sono certo quelle politiche.
    non è sufficiente?
    allora andate avanti voi, invece di chiedere a chi da già più di quel che potrebbe.

  21. Sento il bisogno di fare una precisazione, perché forse nel breve spazio di uno o più commentari si rischia di passare un’idea distorta da quella che si ha in mente. Non è mia intenzione criticare o sminuire il lavoro gratuito e volontario della bloggers che si spendono sui temi dell’immaginario simbolico, né ritengo che sia un lavoro inutile. Sto solo cercando di portare l’attenzione anche su altre differenze, oltre a quelle, innegabili, di genere. Non è una richiesta a fare un lavoro extra, ma un appello a considerare anche altri tipi di differenza, che incidono e non poco sulla vita di milioni di donne italiane e non, la maggior parte delle quali non ha nemmeno gli strumenti e il tempo per raccontarsi. Eppure esistono e sono la base su cui poggia questa società. Considerare significa anche porre attenzione a quelle voci che tentano di esprimere il punto della differenza di classe e non snobbarle e metterle a tacere con le motivazioni più svariate. Non è forse già questo un contributo? E’ chiaro che non tutte possiamo occuparci di tutto, ma almeno l’ascolto e il dialogo si possono chiedere, credo. Io non sono una politica di mestiere e non penso che bisogna esserlo per occuparsi di reddito, classe sociale e diritti. La politica non coincide con il partitismo, ma è ciò che concerne la vita della polis, della città e, in quanto tale, ci riguarda tutte e tutti in qualità di cittadini e cittadine. Non credo che ci sia bisogno di particolari competenze per osservare la profonda disuguaglianza tra chi campa con 20, 30, 40.000 euro al mese e occupa i luoghi decisionali e chi vive con 800/1000 euro quando e se lavora e non ha nemmeno un pc e una connessione, oltre al tempo, di aprirsi un blog.

  22. Sì, l’avevo capito, ma ci tenevo comunque a precisare la mia posizione. Non sto né criticando il lavoro altrui, né cercando di spaccare il fronte. Sono disposta al dialogo, ma non quando, di fronte alle richieste di messa in discussione di alcuni punti (vitali per tantissime, me inclusa), ci si sente rispondere “ronf”.Anche in questo caso, non mi sto riferendo a me, ma a casi come questo
    http://malafemmina.wordpress.com/2011/12/27/sono-precaria-le-snoq-mi-rappresentano-o-sono-di-un-ceto-differente-al-mio/

  23. Obiettivi concreti, stare insieme, unire le forze. Io sto con Loredana Lipperini quando dice che sta con tutte e dovunque sia invitata. E per questo che ho augurato il meglio alla Rete delle Reti, e ho aderito all’appello di Marina Terragni, sono nella mailing list del FemBlog Camp. Vorrei però che ci si fermasse un attimo a riflettere sul perché questo fiorire continuo di iniziative parallele simili e dissimili. Alcuni mesi fa l’iniziativa #2eurox10leggi, non un’associazione, non un comitato, fu solo un modo per dare voce, attraverso un primo esperimento di democrazia partecipata, alle donne fuori dalle associazioni, fuori dal mainstream, lo voglio chiamare così, del movimento femminile. E fu, in parte certo, l’ho già scritto, un modo per bypassare il “problema” della rappresentanza che affigge il movimento femminile, dando parola direttamente alle donne che hanno scelto “dal basso” le 10 richieste di legge che si ritenevano prioritarie per il Paese. L’agenda (che vuole accellerare i tempi della politica), come la chiamano Loredana Lipperini o Giovanna Cosenza. Devo dire che a quell’iniziativa, per cui continuo ancora a ricevere lettere, aderirono 2600 individui, uomini e donne, ma nessuna associazione (o pochissime). Le richieste di leggi sono ancora lì, nel sito blog di #2eurox10leggi, e a disposizione di tutte e di tutti. Per la verità la numero 10, quella sul bilancio di genere, dovrà essere sostituita con una richiesta sulla regolamentazione consultori/obiettori di coscienza/aborto, perché così si sono orientate le richieste, mentre il bilancio di genere è stato quasi ignorato, se non del tutto. E sono lì, nel sito, anche i contributi video di chi (tra queste Lorella Zanardo), a Milano il 17 dicembre, in modo autorevole e competente è venuto a raccontare e far conoscere i progetti di legge sulla paternità obbligatoria, sulla conciliazione dei tempi lavori e famiglie, sulla maternità universale, sulla democrazia paritaria, sugli stereotipi di genere, sul conteggio dei contributi per le pensioni delle donne. Lo fece davanti a una platea vuota mentre on line, esponenti piuttosto in vista del movimento femminile milanese bollavano le partecipanti (Marina Piazza, Alessandra Perrazzelli, Monica D’Ascenzo, Alessia Mosca, Marisa Montegiove, Lorella Zanardo, Iaia Caputo, Marilisa D’Amico) come noiosissime. Ecco la rivalità femminile. L’inimicizia tra donne che non solo è stupida, ma soprattutto è impolitica. Questo non per recriminare, ma per dire che troppi annunci, compreso i famosi Stati Generali delle Donne di Se Non Ora Quando a cui pure sono vicina per lo sforzo che va loro riconosciuto, troppi annunci sono finiti in iniziative autoreferenziali o autoriferite. Oppure sono finite le iniziative (il caso di 2×10) perché erano fumo negli occhi per chi una firma sotto ce la vuol mettere sempre. E perdonatemi se ho mostrato quelle che forse sono solo le mie paure, ma davvero credo che i tempi siano stretti, mentre la questione femminile rischia di diventare solo un belletto per chi vule rendersi più presentabile. Manuela Mimosa Ravasio, ipaziaevviva.com

  24. Mi dispiace che il mio intervento sia stato colto come ingeneroso, e bollato come “benaltrismo” In realtà io non volevo criticare in modo mirato le scelte personali di nessuna blogger o scrittrice, presa una per una. CIò che critico è l’insieme di tutte queste scelte personali: volevo solo dire che, secondo me, non basta. Scrivere su un blog, fondare movimenti, collettivi, sfilare in piazza una volta ogni tanto, occuparsi di studi di genere: bellissime cose, ma non credo possano dare risultati concreti, se a tutto ciò non si unisce la capacità e la voglia di entrare nel sistema. Se tutte rispondono “ah, ma il lavoro è la comunicazione, io in politica non scendo”, “ah, ma io scrivo e questo è quello che so fare”, “ah, io vivo di questo, non posso/voglio fare altro”, credo che tutte le più buone intenzioni non avranno mai un risultato significativo. Secondo me, c’è bisogno di leggi che incidano davvero. Io sono nella scuola (tra l’altro, ho vissuto tanti anni di precariato in cui il lavoro non me lo dava nessuno, e nessuno mi manteneva, tanto per rispondere a chi si è sentita attaccata ingenerosamente, e vivevo di lavori alternativi e ripetizioni) e, per esempio, so che va benissimo parlare dei danni del fumo, e fare corsi contro le dipendenze etc, però la vera svolta si è avuta quando è entrata in vigore la legge che vieta di fumare anche nei bar, ristoranti etc. Puoi predicare quanto vuoi, se non trovi un modo di incidere, con sanzioni o altro, le persone non si sentono davvero toccate, convinte, coinvolte.
    Per questo vorrei più donne nei posti di comando, più donne candidate, e non ditemi che ci si candida solo con i partiti: nei comuni è tutto un fiorire di liste civiche, apartitiche, e lì ci si può mettere in gioco.
    Se poi ci si chiama sempre fuori, e si aspetta che le leggi sugli asili nido la facciano solo gli uomini…

  25. labiondaprof: è ingeneroso dire agli altri quello che dovrebbero fare, sempre. Per quanto mi riguarda, io non penso di essere una persona in grado di trascinare folle nelle piazze o di candidarmi con un partito (oltretutto, avrei giganteschi dubbi su quale). Quello che posso o comunque tento di fare è di contribuire alla consapevolezza di chi in piazza va o di chi, eventualmente, si candida. Ognuno ha un proprio ruolo e una propria competenza: questa è la mia, questo posso dare, questo sono in grado di dare. Può darsi che sia poco. Va bene.

  26. Gent. Lipperini, non credo che riusciamo a capirci. Io non ho il diritto di dire a nessuno/nessuna cosa deve o non deve fare, e non mi sembra di esseremelo preso. Dico solo che se ci si limita ad un certo tipo di azioni e di interventi, difficilmente si otterrà qualcosa. Non dico che lei o un’altra blogger o scrittrice in particolare debba candidarsi (sul fatto dei partiti ricordavo che peraltro esistono anche liste civiche o movimenti apartitici), ma nel grande numero di blogger-scrittrici-studiose di genere, o nel grande numero di chi le segue, perché nessuna, o ben poche, fa politica attiva, o si impegna nel sindacato, o nelle associazioni di quartiere? Perché lei vede questa mia domanda come ingenerosa? Non ci siamo già poste questo problema parlando delle famigerate quote rosa? Non è ingenerosità, è il tentativo di fare un passo aventi rispetto al denunciare la situazione. Io apprezzo molto i suoi articoli, in particolare tutte le denunce sulle IVG e sulla pillola del giorno dopo. Ok, il ruolo dell’intellettuale che denuncia. Lei lo sa fare, e bene. Però, perché dire che il mio è benaltrismo, o attacco ingeneroso, se dico che va tutto bene, ma non basta? Le rivoluzioni si fanno solo con le parole scritte e i dibattiti? Anche, ma non solo.

  27. Secondo me se proprio ottimista la bionda prof. Qui non c’è proprio nessuno che scrive solo e basta, è na’ fantasia tua. Io e Lippa e e altre donne ci siamo incontrate in privato più volte per fare politica fattuale, e io – una di quelle che secondo te sono sicura potrebbe dire: “io studio le questioni di genere” ste questioni di genere le applico, facendo psicoterapia anche in situazioni un tantinello disagiate. Ora non ho parlato di me per dire uh ah quanto so fica, ma per dire che al contrario sono assolutamente nella media, se non sotto. Qui si è parlato del feminist blog camp dove si è lavorato anche su tanti aspetti legali dei problemi di cui parliamo, e sono state improntate delle strade da percorrere per esempio per combattere la chiusura dei consultori. le cose che fa Giorgia Vezzoli, sono molto pratiche e concrete, beata a lei che ci riesce. Io ho la sensazione che tu cedi a un tipico stereotipo nato nella parte destrorsa equalunquista della cultura nazionale che tende a screditare il lavoro intellettuale contro il fatto che bisogna lavurà. La critica che fai alle blogger è figlia della critica che sempre si fa ai famosi intellettuali naa torre d’avorio. Prima sinceramente, mi documenterei.
    Piuttosto il problema grave di questo paese, è che se anche ti sbatti concretamente non riesci a invertire la corrente. Donde la mia idea del tuo ottimismo.

  28. Zauberei, io ti leggo e il tuo blog mi piace parecchio. Però ti dico che sei fuori strada quando pensi che il mio richiamo all’agire anche più concretamente sia figlio di un milieu destrorso e qualunquista. Io insegno, ho laurea, master e abilitazioni varie, e collaboro con l’assessorato alla cultura del mio comune: credi che possa pensare ad una svalutazione del lavoro intellettuale? Io svolgo un lavoro intellettuale, e mi dà fastidio, parecchio fastidio, lo stereotipo dell’insegnante fannullone, o rassegnato, o fancazzista. (Non che non ce ne siano, per carità, ma non mi sembrano la maggioranza). Ma proprio perché svolgo un lavoro intellettuale, so che non basta. Io a scuola parlo di discriminazione delle donne e diritti, e cittadinanza, e parità, poi però chiamo l’assessore ai servizi sociali del mio comune per riuscire a trattare con le famiglie di alunne extracomunitarie che non le mandano a scuola regolarmente. Ok sensibilizzare, però bisogna anche fare. Se poi tu questo lo chiami pregiudizio di chi pensa solo a lavurà, mi dispiace. Poi sono d’accordo che anche se fossero di più, numericamente, le donne in politica o nei posti di potere forse non si riuscirebbe comunque ad invertire la corrente. Però bisogna provarci, no?

  29. Oggesù pure te sur blog mio che bello:)
    Detto ciò quello che dico è – nè io nè te siamo casi tanto isolati. Non è che non hai ragione, è che se vai nel dettaglio in molte fanno quello che fai tu o io, veramente credo la maggior parte. Allora cosa è che fa pensare che non sia così? Si spesso penso che nei nostri illuminati e titolati ambienti, certi tic mentali siano penetrati. Non sarà così per te bon – non è sembrato, ma può capitare di sbagliarsi. Fatto sta che mi pare sottovaluti quello che molte persone fanno concretamente.

  30. @zauberei
    Forse, più che sottovalutare quello che molte persone fanno concretamente, non conosco tutto tutto quello che si fa, e l’impressione generale che ne ricavo è di appelli fatti da più soggetti che nemmeno loro si conoscono, o si coalizzano. Obiettivi altisonanti da parte di alcuni e interventi poco coordinati. Poi, per carità, quello che faccio io è una goccia nel mare, ma forse ciò che mi spinge a lamentarmi della poca “concretezza” è la voglia e l’impazienza di veder cambiare le cose. . Nella scuola le ragazze sono mediamente più brave, hanno voti più alti, si laureano prima e meglio. E poi, nel mondo del lavoro, arriva la musata contro la realtà: soffitto di cristallo, mobbing, pregiudizi, maternità ostacolate. C’è bisogno di leggi, anche le quote rosa, nelle liste elettorali e nei consigli di amministrazione. Poi, certo anche gli studi di genere, ma le cose, per me, dovrebbero andare di pari passo.
    Comunque il tuo blog mi piace proprio:-)

  31. beh capisco quello che dici, ma sai, c’è anche il lato positivo del bloggherismo, che combacia con quello negativo – la scarsa coordinazione combacia col fatto che non ci sono coordinatori. Si approda alla rete come capi di se stessi – per chi come me ha scritto sotto padrone, e se deve scrivere deve obbedire a delle norme – sta mancanza de coordinazione è una botta di ossigeno! Certo poi mettersi in rete diventa più difficile – ma si può fare:)
    grazie dei complal blog:)

  32. @antonella, ti assicuro che non metterei mai da parte la consapevolezza che le nostre società sono divise in classi, non potrei per imprinting e per formazione culturale. Ho sempre pensato alla vita che fannole badanti e le colf delle famiglie benestanti, mi interessa, e seguo con interesse chi se ne occupa meglio di me. Ma certo che le discriminazioni di genere si accompagnano anche alle discriminanti di classe, l’ho detto anch’io. Soltanto che poi ho messo in evidenza che la discriminante di genere attraversa tutte le classi, e ovviamente sarà peggiore nelle classi inferiori, laddove le donne saranno soggette a discriminazione di classe + doppia discriminazione di genere, proveniente da due diverse origini, dalle classi dominanti e dalla loro stessa classe. Anche questo mi sembrava fosse chiaro. E il tuo appello in questo senso è del tutto condivisibile. Bene, ma per me non c’è solo questo, per essere ancora più chiara dico che non credo affatto che un’utopica o reale società senza classi, o tendenzialmente tale, risolverebbe, o risolva, di per sé, il fatto della discriminazione di genere. E con questo, se permettete, mi ritiro.

  33. @paola m
    stiamo dicendo più o meno la stessa cosa. Se non fosse che io penso sia praticamente impossibile e fallimentario (perché la nostra storia recente ne è prova) affrontare le questioni di genere senza toccare quelle di classe.

  34. Sottoscrivo Antonellaf. E aggiungo una cosa: non cadiamo nel tranello (parlo per esperienza diretta!!) “io faccio questo, tu cosa fai, eh eh eh?”, perché come ho scritto ieri, tante donne vorrebbero ma non possono perché non stanno tutte facendo dei lavori che gli permettono di praticare femminismo, e secondo me e a quelle che dobbiamo soprattutto pensare, perché è anche l’unico modo per capire _cosa_ ci interessa, e da lì si crea una naturale distinzione tra chi è interessato a difendere tale battaglia e chi no.

  35. PaolaM
    Ho letto: sono d’accordo, d’accordissimo. Vedo che LIdia Castellani mette al primo punto della questione le quote rosa: 50 e 50. Precisamente quello che intendevo io sulla necessità di fare politica attiva.
    Grazie del link.

  36. ti rendi conto che dire “non pensare alla farfalla” vuol dire esattamente pensa alla farfalla? Il nostro cervello non è in grado di fare questa operazione. Per farla deve prima pensarci (trappola) e poi provare a negare. era meglio non parlarne neanche.

  37. E’ stato detto tanto, mentre purtroppo ero via, che non vorrei ora banalizzare, ma sento il desiderio di congratularmi con tutte per il dibattito davvero ricco. Mi piace l’evoluzione, e anche il rispetto in un confronto che è stato anche teso, ma che mi sembra abbia trovato una possibile, molto concreta risposta nella rete delle reti.
    Gli interventi di Paola M mi hanno fatta pensare a una scena del film “We want sex” – per chi non lo avesse visto, un film che racconta di uno sciopero di operaie inglesi per ottenere la parità retributiva (una legge la cui applicazione è questione ancora molto attuale, stando ad articoli recenti del Guardian). In quella scena, la moglie del dirigente della fabbrica di auto (la Ford se non ricordo male) prega l’operaia portavoce delle donne in sciopero di continuare la sua lotta, e lo fa spiegandole che ha studiato storia in una delle migliori università dell’Inghilterra, per ritrovarsi ad essere trattata dal marito come una cameriera e una persona priva di cervello e cultura. Sarò scema e troppo attaccata a questi temi, ma mi sono commossa proprio in quel momento del film, penso perché è un momento in cui le due questioni, di genere e di classe, trovano un punto di unione. Credo che grazie alla battaglia di genere dovremo trovare una solidarietà che attraversi le classi. Non si fa una battaglia senza fare l’altra, poi sul come mi pare che cominciamo davvero a organizzarci. Io vedo grandi progressi nei discorsi che stiamo facendo.
    E in quel film non è senza importanza il ruolo di solidarietà, spesso non facile, degli uomini, dei compagni delle operaie. Tanto per fare riferimento al punto importante di Mammamsterdam.

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