La discussione sulla Gpa e sul “reato universale”, come è immaginabile, è andata avanti e purtroppo ha spesso raggiunto toni molto duri, e divisivi. Come ho scritto qualche giorno fa, l’argomento è complesso e difficile ed è inevitabile che le posizioni siano diverse: ripeto che molte mie amiche care sono su posizioni lontane dalla mia, e ci sta, e non per questo smettono di essere mie amiche, grazie alla dea, e non per questo smetto di amarle e di stimarle.
Però c’è un’argomentazione che non mi piace affatto, e che respingo: l’idea che si possano bollare le donne che hanno posizioni diverse, o giustamente contraddittorie e incerte, come “false femministe”. Questo, a mio parere, è intollerabile: perché vorrei tanto sapere come si prende la patente di femminista, e se bisogna superare un esame di teoria e come e dove, o se funziona come la psicostasia dell’antico Egitto, quando Anubi pesa il cuore del defunto sulla bilancia e decide dove mandare la sua anima.
Per me, che non ho alcun ruolo e non ho alcuna posizione da difendere, i femminismi sono stati e sono e resteranno plurali: fatti di scambio di idee, anche dure (ma non offensive, non cattive, non ad personam, non diffamatorie). Ma scambio, non accusa. Mi è molto difficile parlare con alcune femministe, specie sui social, non perché aderiscano a un pensiero che non condivido, ma perché si pongono fin dal primo messaggio su X, o dal commento sotto qualche post su Facebook, in modo aggressivo e squalificante. E’ un tavolo a cui non ci si può sedere, se i termini sono questi.
Ma spero che cambino.
Perché ci sono molti altri modi di intervenire. Ho ricevuto ieri una mail di Marzia Bisognin. E’ una doula, è cofondatrice del Melograno di Bologna, che unisce operatrici con diverse competenze per accompagnare il tempo dei 1000 Giorni: dalla gravidanza ai primissimi anni di vita dei bambini e delle bambine. E trovo bello, giusto e aperto il loro intervento. Eccolo:
“In questi giorni i nostri pensieri vanno a tutti i bambini e le bambine e ragazzi e ragazze nati e nate da una Gestazione Per Altri.
Certo, tutte le solide certezze cui eravamo abituati ad appoggiarci fino a poco tempo fa per comprendere la vita, si sono fatti friabili. Il panorama è cambiato, che ci piaccia o no, e da qui dovremmo partire, nutrendo il pensiero critico con le storie dei vissuti delle persone, con l’ascolto di queste persone, perché dietro le GPA ci sono donne, uomini, bambine e bambini; ci sono sentimenti, desideri, speranza, coraggio, gioia e dolore. Sarebbe ora di adottare un pensiero ospitale e di costruire collettivamente una narrazione delle origini che sia rispettosa di chi è nato così, ma ancora non siamo riusciti a farlo verso chi è nato grazie alle tante altre tecniche di PMA, ben più praticate.
La GPA interrompe la relazione cresciuta in nove mesi di gravidanza, vero. Ma quel bambino o quella bambina nasce grazie alla donna gestante, grazie a dei genitori intenzionali che lo hanno fortemente desiderato (che nel 90% dei casi sono coppie eterosessuali) e grazie non di rado anche alla famiglia della gestante che crea lo spazio necessario affinché questa nascita avvenga. E’ un grembo simbolico forse azzardato, o forse semplicemente bello, ricco di relazioni inedite e vitali.
Preoccuparci del benessere del nascituro è primario, ma cerchiamo di non dare per scontato di sapere già tutto.
Sono molti i paesi dove la GPA è consentita, e spesso regolamentata, dalla legge. In alcuni posti è consentita solo in forma solidale, in altri dietro pagamento. Ma no, non si pagano i neonati come fossero merce, che orribile idea, si paga il tempo della cura. Perché la gravidanza è un tempo di cura.
Ci sono casi di sfruttamento? Certo che sì, e la criminalizzazione galattica non aiuterà. Vergogniamoci piuttosto di tollerare che ci siano donne nel mondo che non hanno da dar da mangiare ai propri figli. Perseguiamo i casi di sfruttamento, laddove la donna fa una gravidanza per altri senza averlo scelto, ma sono casi già perseguibili. Non c’era bisogno di definire la GPA crimine universale, come i reati di pedofilia, strage e genocidio. Reati per cui è previsto il massimo della pena, e invece per il “crimine” di GPA un paio d’anni. Il tema della GPA è delicato e complesso, e occorre parlarne, ed è quello che dovremmo fare, ma la battaglia per la sua criminalizzazione universale (era già reato in Italia, stabilito dalla legge 40 che governa la procreazione assistita) ha solo ostacolato questo dialogo, alzando muri contro muri. Il risultato è che da un lato si fa un torto gigantesco ai bambini, ai ragazzi nati da un supposto “crimine universale”, e dall’altro si banalizzano quelli che erano già definiti crimini universali.
E poi, se è vero, ed è vero, che si ha diritto alla conoscenza delle proprie origini, le coppie eterosessuali che hanno fatto ricorso alla GPA, dopo questa legge avranno voglia di raccontare ai figli la storia delle loro origini? Avranno voglia di dire loro che sono figli di un crimine universale? Che secondo il paese dove vivono non sarebbero dovuti nascere? Le coppie di uomini non possono nascondere ai loro figli la storia della loro nascita, ma le coppie eterosessuali (che ricordiamoci sono il 90% dei casi) possono farlo, possono conservare questo scheletro nell’armadio.
Come Melograno lavoriamo ogni giorno per accompagnare tutti i tipi di famiglie e continueremo a farlo perché crediamo in una società dove nessuno possa crescere sentendosi escluso. Crediamo che solo così si possa far crescere un paese fondato sul rispetto dell’altro e sul suo riconoscimento. Attraverso le nostre azioni vogliamo contribuire a prevenire atti di violenza, bullismo, autolesionismo, disagio mentale”.