Ancora non farò post quotidiani. Solo una visita, per riportare qui la famosa chiacchierata con Francesco Dimitri, uscita su Mente e Cervello. Piano piano, si ritorna alla normalità: oggi leggo qualche pagina di libro (quale, ancora non so). Ancora grazie a tutti!
Francesco Dimitri è un giocatore di ruolo (un master, per essere esatti), uno studioso di esoterismo, un saggista, un autore di horror (La ragazza dei miei sogni, per la piccola e coraggiosa Gargoyle Books). Ed è arrivato come una bomba nel mondo del fantasy italiano, realtà quanto mai singolare e sottovalutata. In breve: la narrativa fantasy avrebbe una platea sterminata di potenziali lettori già usciti dall’infanzia. Non lettori qualunque, peraltro: ma in grado di tracciare connessioni fra opere, analizzare, anche spietatamente, i mondi creati, valutarne la tenuta e l’originalità, discuterne fino allo sfinimento. Fin qui, benissimo: peccato che molti editori italiani non lo sappiano. O non siano consapevoli fino in fondo di quello che hanno davanti, proponendo con allarmante frequenza libri fitti di avvenimenti ma poveri di emozioni, oppure incoerenti, o palesemente e pesantemente influenzati dai grandi numi tutelari (Tolkien su tutti). Con conseguenze disillusione degli appassionati e l’alimentazione del preconcetto secondo il quale il fantasy, in Italia, funziona solo per i giovanissimi.
Bene: non è vero. Quando Dimitri ha pubblicato Pan, inducendo alla scommessa una casa editrice fin qui al di fuori dal circuito fantasy come Marsilio, ha ottenuto un plebiscito anche tra i fan più esigenti. Come ha fatto? Gli è bastato mettere in pratica quello che scrisse Stephen King quando iniziò il primo dei sette volumi della Torre nera. Per sfuggire all’ombra di Tolkien occorre inventare nuovi mondi. O creare ibridi, come fece King stesso ispirandosi dichiaratamente ai western di Sergio Leone per la creazione di Roland di Gilead.
Dimitri si è ispirato invece a James Barrie, facendo giustizia dell’edulcorazione di Peter Pan che a Barrie è successiva. Si è ispirato anche ad un altro capolavoro misconosciuto, Il grande dio Pan di Arthur Machen. E ha riportato in un ambiente cittadino il mistero, il terrore del sacro, l’estraneità e la necessità del fantastico nel mondo attuale. Pan è il dio che porta scompiglio, non un adorabile ragazzino. I Bambini perduti sono feroci. Il loro caos è primordiale e si oppone alle ordinate strutture umane difese da Capitan Uncino. La realtà non è solo quella che tocchiamo: il pavimento della nostra casa può diventare, se lo vogliamo, la spiaggia di un’Isola perduta.
Un libro visionario, anche. E anche nel senso letterale del termine :”Se non vedo non scrivo – dice Dimitri – Io detesto la retorica dell’artista: cerco di scrivere in modo kinghiano, mi siedo alla scrivania ogni giorno alla stessa ora e riprendo dal punto dove mi sono fermato. Anche se per una volta non scrivo nulla, cerco comunque di svolgere quotidianamente il mio lavoro di artigiano. E, appunto, di vedere. Devi vedere le cose che scrivi, o il lettore non ti viene dietro. Vedere significa credere, in senso profondo: poi la tecnica ti aiuta a raccontare quel che hai visto. Ho provato a scrivere altro: un noir, per esempio, ma non ci sono riuscito proprio perché non lo vedevo. Vedo satiri, che posso farci?
Satiri e dei in un contesto di urban fantasy. Ambientazione che in Italia è poco nota: posto che si accetti il fantasy, lo si presuppone alla Tolkien, con elfi e orchi e draghi. Diciamo che c’è qualcosa che non va?
Diciamo che la nostra cultura è attivamente contraria al fantasy. Se pensi che a scuola ti obbligano a studiare Dante ma non ti dicono che La divina commedia è un fantasy. Se pensi che la Chiesa esercita un controllo strettissimo sul sacro, che pure appartiene agli esseri umani tutti, non solo ai cattolici. Se pensi che questo controllo espunge ogni tipo di visione parallela, sacrificandola. Se pensi che Clive Barker, in Imagica fa proprio una riscrittura fantasy del cristianesimo.
Penso anche che la cultura laica non scherzi, però. Ricordi quanto a lungo Tolkien, e anche la saga di Harry Potter, sono stati tacciati di luddismo da sinistra?
Certo, e concordo con Campanile: Don Camillo e Peppone sono la stessa cosa. Laici e cattolici, in Italia, sono ugualmente mortiferi: consumare è male, la morale viene prima della vita e della gioia. Almeno la cultura cattolica conserva il gusto per il mistero, mentre nella maggior parte dei casi i laici hanno pensieri poveri che riducono questioni complesse all’esistenza o alla non esistenza dei fantasmi. Senza neanche sapere che da oltre cento anni la letteratura parapsicologica sostiene che apparizioni spiritiche e anime dei morti non hanno niente in comune.
Anche il fantasy è una questione complessa ridotta a pensiero povero: per esempio, si ritiene che sia una lettura facile. Con testi magari corposi, ma meno elaborati rispetto ad un romanzo mainstream.
Quando è vero il contrario. Il fantasy puro è il genere più difficile che esista. Devi partire da zero, creare regole credibili per uno o più mondi, un linguaggio, interfacciarti in modo onesto con i lettori, curare i dettagli. Insisto sulla questione dei dettagli. In un buon fantasy è importantissimo anche come disponi i tavoli in una locanda. Se le gambe sono inchiodate al suolo, significa che siamo in periodo di guerra, e che quella è una precauzione per non farli rovesciare durante una battaglia. Non dico che senza i chiodi un libro non sia buono. Dico che, se stabilisci le regole, non puoi cambiarle o dimenticarle: anche a costo di spaccarti la testa per rispettarle. Questa è la cosa più importante, anche più dell’originalità. Non è un grande pregio, essere originali: E’ un pregio riuscire a farti seguire dal lettore in un altro mondo. In poche parole: un buon autore fantasy non scrive per i critici, ma per quelli che vogliono sognare. In Italia, invece, si tende a scrivere per i secchioni e per i critici. A dispetto di un risveglio di interesse verso il genere. Ignorato allo stesso modo in cui si minimizza la necessità di coerenza narrativa. Una delle cose che mi stupisce di più è che una blogger come Gamberetta di Fantasy Gamberi, che scrive recensioni anche ferocissime, ma intelligenti, lucide, attente ad ogni passaggio, non sia già stata assunta come editor.
Stupisce anche me, avendola letta. E mi stupiscono altre cose: l’identificazione del fantasy, o comunque della narrativa fantastica, con un target di preadolescenti o under diciotto. Non è vero.
Infatti non lo è. In parte hanno fatto seri danni i fenomeni alla Stephenie Meyer, con il suo vampiro educato. Vende, è la risposta. Ma io non critico un libro perché ha successo, anzi. Il mercato editoriale non è a somma zero: non ho bisogno di essere geloso di un altro autore. Anzi, voglio che abbia successo, perché se il lettore è contento continuerà a frequentare il fantasy, e magari comprerà anche il mio romanzo. Viceversa, se un libro non soddisfa il lettore di genere, si dice che è il genere che non funziona.
Perché si fa coincidere genere e filone, questo è il punto. E dunque ci si adegua ai successi altrui. Harry Potter trionfa e giù con i libri sulle scuole di magia. Twilight ha successo e tutti scrivono, nuovamente, di vampiri…
In più, continuiamo ad alimentare un immaginario di marca anglosassone. Ti sei mai chiesta perché Nirvana di Salvatores fosse un brutto film? O perché in Italia non si possa scrivere narrativa cyberpunk? Secondo me è perché non esiste, da noi, il concetto di metropoli avanzata. Né esiste un’estetica della metropoli. Non ci sono gli alti e bassi di Londra. Non torni a casa sporco per i suoi fumi. Non puoi raccontarla, se non ti sporchi. Allo stesso modo, la piccola città maledetta dell’horror americano non ci appartiene. Né le campagne inglesi di Tolkien. Allora rimediamo con il luogo comune di quei paesaggi, invece di sforzarci per universalizzare quel che abbiamo. E abbiamo quel che abbiamo vissuto: non è pochissimo, anzi. Una matrice Wicca è nata in Toscana. Le stregherie sono italiane. Abbiamo una tradizione magica meravigliosa, ma non viene quasi mai raccontata.
Tu, infatti, racconti Roma intrecciandola alle creature di James Barrie.
E cercando di restituire loro la ferocia. Barrie è di una crudeltà inaudita. Io sono cresciuto a pane, horror e occultismo, eppure i due libri che da sempre mi terrorizzano sono Alice nel paese delle meraviglie, di cui non sono mai riuscito a superare il terzo capitolo. E Peter Pan.
Cos’è la paura?
Non è il mostro con gli artigli. La paura è nei dettagli. La paura è quando la realtà scricchiola. E’ qualcosa che non possiamo spiegare. E’ la ditata che ho trovato ieri sulla lente dei miei occhiali, senza che ci fosse una spiegazione logica per questo. E’ nelle geometrie storte di It, negli angoli sbagliati di Lovecraft. Nel nocciolo di pesca che, in Pan, riempie di terrore il giovane Michele. Puoi affrontare un vampiro o un mostro: ma non un nocciolo di pesca che non dovrebbe esserci.
A proposito di luoghi comuni, e di paura, e di emozioni. Si pensa che la narrativa fantastica sia fredda. Che sia, cioè, un’esposizione di luoghi e fatti e nomi, in grado forse di coinvolgere un lettore in un’avventura. Di distrarlo. Ma non di emozionarlo…
Il problema è che si pensa che emozione significhi leggere Margaret Mazzantini con le lacrime agli occhi. E invece l’interfaccia con il lettore, il suo coinvolgimento emotivo, non è un effetto secondario, ma il motivo per cui si legge. Ed è l’unico caso in cui la tecnica passa in secondo piano. C’era un episodio di Buffy con una chiarissima incongruenza: la protagonista non riesce a sconfiggere un supervampiro in una scena, e, poco dopo, ne elimina un battaglione insieme alle sue amiche. Incoerente, certo: ma era talmente potente che non si poteva non crederci. E poi, per tornare alla letteratura, c’è Lovecraft: non rispetta la tecnica, è debole da questo punto di vista, è logorroico. Ma è inarrivabile. Anche fuori dalla pagina scritta: esiste un gioco di ruolo tratto da Lovecraft che si chiama Il richiamo di Chtulhu. In una sessione è capitato che morissero tutti i giocatori. Tranne una. Si trovava in una casa stregata e doveva aprire una porta. Ma non ce la faceva: era spaventatissima e non voleva sapere cosa ci fosse dall’altra parte. “Vai tu”, mi ha detto, alla fine.
Già, la tua esperienza di master nei giochi di ruolo. Cosa insegna allo scrittore?
Molte cose. Su tutte, il coraggio di contraddire il lettore. I giocatori di ruolo pensano di volere cose che invece non vogliono. Pensano di desiderare poteri straordinari, punti esperienza per superare le sfide. Però, quando glieli concedi, non tornano più a giocare. Da quello che ho imparato, vogliono invece opporsi al master. Con correttezza. Vogliono un cattivo con cui misurarsi, e che li porti anche per mano nell’avventura. Inoltre, credo che il gioco di ruolo permetta di alterare le coscienze. Crea uno stato molto simile a quello allucinatorio: e gli studi sulle allucinazioni ci dicono che alle medesime corrispondono reazioni reali del cervello.
La letteratura fantastica fa qualcosa di simile?
Certo. Sempre di più. Io penso che i sogni scientifici stiano mostrando la corda e che siamo in tempi di risveglio: in questo senso l’arrivo di Pan è davvero imminente. Il che non significa diventare luddisti. Una parte degli avanzamenti scientifici sono stati non semplicemente anticipati dalla letteratura, ma condizionati. Penso a Verne. Al cyberpunk. E penso a Mark Pesce, l’inventore del Vrml (Virtual Reality Modeling Language), che è un occultista: e ha realizzato l’estensione tecnologica di una propria idea esoterica.
Del resto, il nuovo browser di Google non si chiama forse Chrome, come il racconto che William Gibson scrisse nel 1981?
“Faceva caldo, la notte che bruciammo Chrome…” Appunto.
Orpo! Se condivido al 100% tutte le osservazioni e apprezzo tutti i riferimenti di Francesco Dimitri è un segno buono o cattivo?
Io ero convinto che per i narratori nati negli anni ’70 i GdR sarebbero stati quello che i fumetti sono stati per la generazione dei padri. Ma i migliori talenti tra tutti i gamer di mia conoscenza si sono perduti come topi nei labirinti della banalità. Francesco mi fa sperare bene… molto bene!
Compro Pan, stasera.
E fai bene a comprarlo. Quel ragazzo ha una gran testa.
gentile loredana,
spero che le poche pagine che si accinge a leggere – che ormai avrà già letto, visto l’ora in cui scrivo – siano di uno dei 100 romanzi che partecipano al premio scerbanenco.
volevo metterci una faccina sorridente ma mi è partito il commento. comunque non vorrei essere nei suoi panni e in nessun altro della giuria.
riuscirete?
comincio a cogliere segni misteriosi proprio come i personaggi del libro di Dimitri. Ho appena iniziato a leggerlo e mi ritrovo una sua intervista su uno dei miei blog preferiti, e questo pomeriggio, in biblioteca, sfogliando un libro preso a caso da uno scaffale, mi imbatto in un mini saggio sul “perturbante”, termine che sembra inquadrare maledettamente bene proprio questo libro…poca roba, direte voi…chissà, magari sono semplicemente un tipo influenzabile…
L’esperienza con i giochi di ruolo l’ho fatta anch’io (master e giocatore per circa vent’anni) e non posso che essere pienamente d’accordo con Francesco. Aggiungo pure che il GdR ti aiuta molto nello sviluppo di un forte senso della narrazione, nel dosaggio dei momenti forti e di quelli riflessivi e nel rapportarsi agli altri vestendo i panni di un altro (o molti altri), modificando quindi la propria coscienza e il proprio punto di vista. Sono tutte cose fondamentali per uno scrittore, da conservare gelosamente nella scatola degli attrezzi.
Ora vado anch’io a comprare Pan! 😉
Bentornata Loredana!
“…Allora rimediamo con il luogo comune di quei paesaggi, invece di sforzarci per universalizzare quel che abbiamo. E abbiamo quel che abbiamo vissuto: non è pochissimo, anzi. Una matrice Wicca è nata in Toscana. Le stregherie sono italiane. Abbiamo una tradizione magica meravigliosa, ma non viene quasi mai raccontata.”
Questa è una considerazione che non è mai abbastanza sottolineata, io ho un ricordo straordinario della lettura di “La Pietra Lunare” di Tommaso Landolfi, dove il mondo magico dela provincia dell’italia meridionale viene raccontato con particolare vivezza.
Il problema è che l’italia ha rigettato quel mondo, il concilio vaticano secondo ha finito di sradicare, con il suo razionalismo, il senso del meraviglioso che questo paese conservava da secoli nonostante il tallone clericale.
Bon, la mia sparata mangiapreti è finita.
Ciao
Loredana ma se allora vai pure a Lucca Games sei il mio mito assoluto!
Right, Mario, anche alcune cose di Bontempelli sono fantastiche, Buzzati ci ha provato (e a volte ci è riuscito) per non parlare del Calvino migliore.
Bisogna dire che, pur avendo una tradizione magica piuttosto consistente, e personaggi più che degni di nota anche sotto il profilo romanzesco, quello che non “ci” riesce è la trasfigurazione fantastica.
Non ho mai letto gli aspiranti best seller italiani dove sono protagonisti Leonardo-mago, Dante-psicopompo, Raimondo di Sangro-necromante o simili. Ma ci sarà un motivo se nessuno di questi raggiunge mai una minima popolarità, mentre ha fatto il best seller il polpettone anti-esoterico e ombelicale di Eco…
Bisognerebbe avere le palle di scrivere una contro-storia della letteratura italiana in cui la narrazione e l’immaginario siano più centrali, e invece guardate un po’ come anche il nostro scrittore “fantastico” più noto al mondo si perde in intellettualismi quando scrive la prefazione a Ovidio!
Ma noi ti aspettiamo comunque…
Come procede il decorso?
il decorso decorre. a procedere semmai è il processo.
una scemenza, lo so, ma non ho resistito.
Ma non fai parte della giuria del premio Scerbanenco? E Dimitri non è uno dei candidati?
Mi sembra veramente scorretto l’aver pubblicato una sfacciata recensione ad un libro che concorre! Mi pare di capire che non sei una persona che può garantire l’obiettività.
francesca
Ora, da quando sono stati resi noti i nomi dei giurati e dei concorrenti al Premio Scerbanenco, ricevo commentini puntuti, del genere “ma ce la farete a leggere davvero tutta quella roba”. Oppure, cose del genere di questa “Francesca”.
Onestamente risibili. Se si guarda l’elenco dei libri in concorso, risulta evidente che moltissimi di quei titoli sono già stati recensiti nei mesi scorsi: in questo blog, sulle pagine dei giornali dove scrivono altri giurati, eccetera.
Altresì evidente, il fatto che ogni giurato esprimerà le proprie preferenze: dopo aver letto, a volte coraggiosamente, tutto quello che arriva. Vale anche per altri premi dove mi trovo per ventura ad essere giuria. Leggere tutto non significa giudicare tutto alla stessa stregua.
Mi sembrava ovvio. Ma la malafede non muore mai.
Evidente pure questo.
Ps. Questa è un’intervista, non una recensione, a casa mia.
@francesca: recensione è quando viene fatto un resoconto critico di un’opera, intervista quando una persona risponde al suo interlocutore.
Se poi nell’intervista questa persona dice “Ho provato a scrivere altro: un noir, per esempio, ma non ci sono riuscito proprio perché non lo vedevo.” e lo ritroviamo in lizza come MIGLIOR ROMANZO NOIR (ed infatti pure qui dicono che sia “difficile indovinare i motivi che hanno spinto gli organizzatori a considerare questo romanzo” http://www.fantasymagazine.it/notizie/9561/pan-si-veste-di-nero/) sarebbe più interessante capire come siano stati scelti e da chi i 100 romanzi in gara.
Beh, Carlo…a parte il fatto che mi diverte molto questo calore quando si parla del premio Scerbanenco. E mi dà anche da pensare, ma fa niente. 🙂
Personalmente (attenzione: PERSONALMENTE, parlo PER ME), penso che il concetto di “noir” possa includere anche romanzi che apparentemente non rientrano in quel canone, ma ne rispettano la filosofia, le atmosfere, gli intenti. Ribadisco che parlo solo ed esclusivamente a titolo personale, grazie.
Non sono daccordo con l’idea che la mancanza di fantasia e del senso della meraviglia abbia a che fare con il razionalismo del Concilio Vaticano Secondo (?) o comunque con il monopolio sul sacro della Chiesa (va bene che la Chiesa ha i suoi problemi, però facciamo a meno di inventarne). Non solo perché la dimensione della meraviglia, del soprannaturale o anche dell’orrore funzionano meglio se si appoggiano su una pratica culturale/sacra quotidiana (una divinità maligna azteca non mi fa né caldo né freddo, ma una possessione diabolica non mi fa dormire per una settimana). Inoltre, la stragrande maggioranza dell’immaginario fantastico o di genere del novecento nasce proprio dal razionalismo scientifico, capitalista e metropolitano (la fantascienza, il poliziesco, o il sense of wonder dei fumetti supereroistici della Silver Age). Mi rendo conto di dare ora un giudizio un po’ sommario che a molti non piacerà, ma gran parte dell’immaginario fantasy mi dà l’idea di essere al contrario poco fantasioso. Nel senso, c’è molto escapismo, si va in realtà completamente estranee alla nostra, però ha un sistema di regole tutto sommato rigide dalle quali non si scappa, e in questo per me non c’è affatto sense of wonder.
Il fantasy deve avere regole ferree. E non perché lo dicono tutti, o perché lo dicono i manuali.
E’ sancito nella sua natura, in quanto lo stesso lettore (salvo rare eccezioni) lo accetta come tale.
Se dico che il lupo parla con l’agnello, è una regola. Ci credo. Non mi pare lì per lì che ci sia niente di strano. Ma se quello stesso agnello volasse, lì mi fermerei dubbioso.
Ora non saprei spiegare scientificamente perché accada questo, come non so spiegare scientificamente perché mentre si legge si immagina in perfetta simultaneità.
Però so che senza regole il fantasy va poco lontano. Tutta la prima parte del Silmarillion che è un compendio di miti vari, mi pare frutto di una fantasia mirabile, tutt’altro che “grigio”.
Se per fantasia si intende l’anarchia totale, allora si finisce su David Lynch, ma non penso abbia niente a che vedere col fantasy.
Poi uno può ovviamente strapreferire Lynch a Tolkien.
E certo, Ekerot ha ragione: il fantasy è il genere più complesso proprio perchè regole e coerenza sono indispensabili. Però. Però è anche necessario uscire da Tolkien e cercare altre strade. Lo hanno fatto King, Barker, Gaiman. In Italia mi sembra che almeno si cominci a provarci, grazie al cielo.
E la fantasia non può, non deve, essere totalmente anarchica.
C’è la necessità di uscire dalle “regole” di Tolkien.
Elfi alti belli e immortali. La Terra che somiglia alla nostra ma è ferma al Medioevo. Divinità ricalcate su quelle greche (cioè che sono milioni e partecipano attivamente alla vita degli umani).
Un rapporto con la magia molto particolare, cioè esiste per alcuni e amen.
Tutta la sua suddivisione in razze: elfi, umani, nani, mezziuomini, draghi, orchi, orconi, orchetti.
E un certo prototipo di cattivo, ossia il Male assoluto.
Terry Brooks che è stato molto criticato per avere copiato a mano bassa da Tolkien, in realtà c’aveva provato a cambiare un po’ queste regole. Non è riuscito a discostarsene in toto, certo, ma c’ha provato.
Il King della Torre Nera che grazie a questo blog ho cominciato a leggere e ad adorare è un King che inventa di sana pianta. Però, anche qui, si è dato delle regole molto ben precise.
Il bello e il drammatico del fantasy (per uno scrittore s’intende, per il lettore è solo goduria) è proprio qui: il massimo della libertà e il massimo del rispetto delle regole. La scommessa è proprio sulle regole. E’ lì che si parrà la nobilitate dell’autore: quanto sono originali, quanto sono dissacratorie, quanto sono precise…
E le regole non valgono solo per il mondo creato, ma anche per le regole della narrativa. Cioè, in linea di massima il fantasy appartiene a quell’archetipo stranalizzato del “Viaggio dell’eroe”, ma non sta scritto da nessuna parte che debba essere rispettato in tutti i punti. Anche qui, credo, lo scrittore possa dare prova della sua fantasia, alterando e modificando.
Certo nel rispetto delle suddette regole e del lettore. “Il signore degli Anelli” avrebbe anche potuto concludersi con Frodo senza l’aiuto di Gollum che non jela fa a buttare di sotto l’anello…Ma…L’impatto emotivo sarebbe stato il medesimo?
Scusate l’ignoranza ma questo Dimitri è parente con quello della setta dei Bambini di Satana?
No. Solo lo stesso cognome.
Meglio. Grazie.