OGNI TANTO, NEL PROPRIO PICCOLO, CI SI INCAZZA

No, non si riesce a parlare degli anni Settanta. Quando se ne parla, ci si spacca di nuovo in due (o tre, o mille frammenti). Esempio freschissimo: ho già scritto qui del Libro dell’incontro. Oggi se ne parla come una faccenda di perdono, da parte delle vittime, verso gli ex terroristi. Non è questo e non so in quale lingua dovrebbero spiegarlo gli autori, perché a quanto pare non si vuole capire. E’ una narrazione. Doppia. Una fra le molte possibili, d’accordo? La carità cristiana non ha nulla a che vedere con quella narrazione. Che è solo una parte di un tutto non compreso e certamente non raccontato.
Cosa si prova a dire, cosa io – che ero presente, all’epoca dei fatti, signori giudici, anche se la mia strada era una strada terza, pacifista e nonviolenta, dal momento che militavo fra i radicali – provo a dire da anni? Che la narrazione sugli anni Settanta è ancora parziale. Che – e questo lo dice Giovanni De Luna in La Repubblica del dolore – abbiamo il problema, storico in primo luogo, di un discorso fin qui basato sulle parole delle vittime. Che hanno un proprio, sacrosanto e rispettabile, e umanamente intangibile, punto di vista. Ma quel punto di vista non può essere l’unico. Aggiungo io, non solo dal punto di vista storico, ma politico. Perché il nostro presente è condizionato da una rimozione o da un racconto parziale. E dunque dobbiamo ampliare la conoscenza.
In questo senso Il libro dell’incontro è utilissimo. Per noi, non per le vittime e gli ex terroristi. Per ascoltare due voci. Poi, certamente, è necessario – sarebbe necessario – andare ancora oltre, e capire cosa stava realmente accadendo in quegli anni, e fin qui non c’è ancora “il” racconto. All’elenco di storie, fatto nel 2011 da Demetrio Paolin (qui il suo bell’intervento) aggiungerei almeno Tre uomini paradossali di Girolamo De Michele e L’aspra stagione di Mauro Favale e Tommaso De Lorenzis.
Detto questo, occorre anche uno stato d’animo di disponibilità all’ascolto. Perché mi ha ferita, e lo scrivo non serenamente, l’accusa di essere una serva del potere che mi è stata fatta da due persone, ieri sera, e di voler diffondere (anzi: di diffondere su imposizione dall’alto) una narrazione che criminalizza gli anni Settanta.
E’, questo,  esattamente lo stesso atteggiamento che ha portato al dissolvimento e alla reale criminalizzazione di quegli anni. Sentirsi, ovvero, portatori di una verità assoluta, e chiudere gli occhi nella semplificazione che ci si è dati (buoni di qua, cattivi di là) cullando la bellezza ribelle della propria giovinezza. Che era bella ed era ribelle, grazie: lo era anche la mia. Ma finché non si esce dal proprio cortiletto santo, e non si cerca di tirare le fila di un nodo di tenebre che ancora grava su di noi, ne resteremo soffocati.
Ci sto lavorando, con le mie piccole forze. Sarebbe utile che altre e altri lo facessero, invece di rasserenarsi col proprio schizzetto sui social. Buon week end, e al diavolo.

2 pensieri su “OGNI TANTO, NEL PROPRIO PICCOLO, CI SI INCAZZA

  1. Si va bè lo schizzetto sui social , riconosco che è poca cosa; io so’ vecchia anni ’50 e quindi per anagrafe i ’70 sono stati importanti per me; e le mie giovani amiche sono sempre lì a dire : ” che anni tristi, che anni bui, gli anni di piombo, gli anni del terrorismo, chissà che grigiore, invece gli anni ’80 , anni colorati”. Certo non si può limitarsi al proprio cortiletto, soprattutto quello angusto della provincia, come il mio; il terrorismo, la violenza, gli omicidi, il sangue versato, cose di ogni giorno che abbiamo visto più o meno da vicino. Argomenti ancora aperti che in una nazione bigotta e poco laica come la nostra non si riesce mai a guardare con un po’ più di distanza. Vittime ed ex terroristi che s’incontrano, che c’entra il perdono? la carità cristiana? non potrebbe essere l’incontro di essere umani differenti che provano a raccontare gli uni agli altri la loro storia? Forse gli anni ’70 a me hanno insegnato proprio questo: il dubbio, il guardare le cose da diverse angolazioni, non accontentarsi di stare o di qui o di là anche perchè di scelte e di possibilità ce n’erano davvero tante.

  2. Venir aggrediti per le idee; comunque venir aggrediti fa nascere sconcerto, dolore e rabbia dentro di noi.
    Ottimi quelli che ci consolano dicendo:” Non te la prendere, non vale la pena.”
    Se non sei stato aggredito non senti quello che si agita dentro la persona, sopratutto un senso di ingiustizia, perché quello che volevamo intendere è stato frainteso, magari è l’esatto contrario di quello che ci viene attribuito.
    Eppure Loredana che per le idee in cui credi entri in contatto con tante persone e con le loro convinzioni vorrei dire che mi specchio in quello che dici e siccome sono in buona fede, sono portata a credere che lo siano anche gli altri fino a prova contraria.
    Sono buonista e tutte le altre brutte cose denigrate nelle attuali sorti non progressive.
    Se non vuoi entrare in contatto con la rabbia di tanti, lo trovo giusto.
    Sugli anni settanta vorrei dire, incidentalmente che per me gli anni settanta sono stati quelli in cui abbiamo conquistato tanti diritti sociali, sul resto non sono all’altezza di dire niente.

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