ORWELL, ZADIE SMITH E LE SEDIE DI ROTH

Zadie Smith scrive per Repubblica un estratto dalla lectio magistralis sulla scrittura che terrà dopodomani al Festival degli scrittori di Firenze. Lo trovo molto interessante, anche perchè affronta, con intelligenza, alcune delle tematiche su lettura e scrittura che sono, in effetti, centrali.
Nel suo saggio Perché scrivo, George Orwell ci descrive i “quattro grandi motivi per scrivere”. Il primo è il mio preferito:
«1. Puro egoismo. Desiderio di apparire intelligente, di far parlare di sé, di essere ricordato dopo la morte, di prendersi la rivincita sugli adulti che ti snobbavano quando eri bambino, e via dicendo. È ipocrita fingere che questo non sia un motivo, e un motivo forte. (…) La grande massa degli esseri umani non è formata da persone intensamente egoiste. Dall´età di trent´anni in poi, o giù di lì, abbandonano quasi del tutto la sensazione di essere individui: e vivono soprattutto per gli altri, o semplicemente schiacciati sotto il peso di un lavoro abbrutente. Ma c´è anche una minoranza di persone armate di talento e forza di volontà che si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine, e gli scrittori appartengono a questa categoria».
Dovrebbero stamparlo su delle magliette e distribuirle ai festival letterari. Il secondo motivo Orwell lo chiama “Entusiasmo estetico”, e lo intende sia nel senso della percezione della bellezza del mondo esterno, sia di quella delle parole e della loro giusta disposizione. Il terzo motivo è l´”Impulso storico”, definito in senso ampio come il “Desiderio di vedere le cose come stanno, di portare alla luce dati di fatto veri e conservarli a beneficio della posterità”. L´ultimo è lo “Scopo politico”: “Desiderio di spingere il mondo in una certa direzione, di modificare l´altrui concezione del tipo di società alla quale bisogna tendere”.
Ciò che mi interessa di questo sistema di classificazione è cercare di capire se in qualche sua parte è ancora valido o meno. Vedo subito un problema con il motivo numero uno: Puro egoismo. Non metto in dubbio la sua esattezza per quanto riguarda gli scrittori. Ma penso che Orwell, se fosse vivo oggi, sarebbe sorpreso nel vedere fino a che punto gli scrittori hanno smesso di essere l´eccezione. Quella grande massa degli esseri umani che “abbandonano la sensazione di essere individui” è in larga misura scomparsa, almeno nel mondo sviluppato. Oggi tutti “si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine”, a prescindere dalla loro condizione sociale ed economica, e quelle che Orwell avrebbe considerato professioni decorose e onorevoli – l´insegnante, l´infermiera – ora sono viste come lavoro abbrutente. Il desiderio di fama e autorealizzazione è ovunque. E dato che è così, non dovrebbe sorprendere il fatto che quella dello “scrittore” sia diventata una carriera di fantasia.
Senz´altro non sono l´unica scrittrice ad aver notato che, quando fa una presentazione in pubblico, la platea non è più piena di lettori. È piena di gente che si identifica con questa parola, “scrittore”. Non sono venuti perché hanno letto il mio libro, o altri libri qualunque. Sono venuti perché io sono una scrittrice e anche loro sono scrittori. Per loro, la scrittura ha ben poco a che fare con la lettura. È un´identità, che sembra offrire l´irresistibile e moderna opportunità di fare ciò che sei. Ne consegue, secondo me, che gli scrittori non possono più sperare di definirsi come “persone armate di forza di volontà che si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine”. Un tempo era possibile guardare con ammirazione un singolo individuo che si esprimeva con onestà compulsiva in una serie di romanzi: osando scrivere ciò che nessun altro osava dire. Era possibile che un libro come Lamento di Portnoy, per dire, venisse accusato di minacciare il tessuto morale dell´America! Oggi Internet è affollata di Roth in miniatura che rivelano tutto a chiunque li voglia ascoltare. Il “Puro Egoismo” un tempo era una caratteristica vagamente mostruosa che pochi avrebbero ammesso di possedere: adesso è diventato praticamente un diritto umano.
Perché scrivere? Perché sono uno scrittore! Be´, lo puoi gridare forte quanto ti pare, ma sappi che intorno a te lo sta gridando chiunque, e avete tutti lo stesso diritto di usare quella parola. Per reazione a questo assalto di massa alla Bastiglia letteraria, alcuni tentano di difendere i loro privilegi appoggiandosi vigorosamente alla parola “pubblicato”, ossia: “Ma io sono uno scrittore pubblicato!” Presto però la distinzione sarà obsoleta, e comunque è un´argomentazione che regge poco. Molti finti scrittori sono pubblicati, e su Internet esistono molti scrittori veri: la contrapposizione non durerà ancora a lungo.
Che dire del secondo motivo, il motivo estetico? Il microlavoro della cura per la bellezza e l´efficacia di una frase sembrerebbe un salutare antidoto alle rivendicazioni pseudospirituali con cui a volte si difende la professione “scrittore”. Meglio considerarsi artigiani specializzati. In molti sanno assemblare una sedia alla bell´e meglio: capiscono i principi basilari di una sedia. Ma sono in grado di costruire una sedia ben rifinita come la tua? In un mondo in cui chiunque è uno scrittore e chiunque è “pubblicato”, la scrittura deve distinguersi per la sua abilità, per la sua chiarezza e la sua perizia tecnica, e gli scrittori giustificheranno la loro esistenza solo se le loro frasi sapranno ricordarci le vere potenzialità del linguaggio. Può sembrare che questo non sia un ruolo molto nobile o prestigioso per lo scrittore del ventunesimo secolo: forse detto così somiglia un po´ troppo a un lavoro abbrutente.
Pensando a questi problemi è difficile non cadere in un romantico vittimismo o in una stereotipata disperazione. Sto costruendo una sedia che non vuole nessuno! Perfino Philip Roth – che in pratica ha più persone sedute sulle sue sedie di chiunque altro al mondo – guarda al futuro prossimo con poetica rassegnazione: «Credo che diventerà una specie di culto. Penso che la gente continuerà a leggere ma sarà un piccolo gruppo di persone. Forse più di quelle che oggi leggono la poesia latina, ma suppergiù in quell´ordine di grandezza…».
Ha ragione, ne sono certa – ma questa opinione compiace troppo l´abituale vittimismo degli scrittori. Forse se le nostre sedie non vanno per la maggiore è per altri motivi: magari sembrano superflue, non necessarie. In questo senso il terzo e l´ultimo motivo di Orwell – l´”Impulso storico” e lo “Scopo politico” – offrono la possibilità di costruire una vita da scrittore su basi più solide. Danno allo scrittore un´occasione per rendersi utile, o quanto meno per impegnarsi in un dialogo con il mondo circostante. Il desiderio di vedere le cose come stanno.
Lo spiegherò con un´analogia. Recentemente, stavo leggendo su Internet un articoletto satirico sulla pubblicazione ufficiale del certificato di nascita “integrale” di Obama. Sotto la battuta, un Anonimo aveva commentato: “Una vittoria per i sostenitori della dimostrazione empirica!” Io spero che l´Anonimo sia uno scrittore. Tutti gli scrittori dovrebbero essere fermi ed entusiasti sostenitori della dimostrazione empirica. In questo momento storico, in cui la natura stessa di ciò che costituisce una “prova” viene messa in discussione da chi ritiene che lo scetticismo staccato dal giudizio sia di per sé una virtù, è fondamentale che chi si definisce “Scrittore” faccia lo sforzo di dimostrare, nella propria opera, che è possibile essere scettici e allo stesso tempo possedere una conoscenza vera, leggere fra le righe e anche leggere le righe. Ma preparatevi a una bella lotta.
Di recente ho avuto un´accesa discussione con un ragazzo convinto che le Torri Gemelle siano state fatte saltare con la dinamite dagli stessi americani. Non credeva ai filmati tv (“Ologrammi!”) e non credeva alla mia lunga descrizione dei retroscena, derivata da Le altissime torri, libro del giornalista investigativo Lawrence Wright (“Chi è Lawrence Wright?”). Di lì a poco mi sono ritrovata a snocciolare disperatamente nomi di riviste autorevoli che il mio interlocutore non aveva mai letto (“Cos´è il New Yorker?”) e di studiosi e università di cui non gli importava niente, e di giornalisti che avevano intervistato Bin Laden per testate che dal suo punto di vista non valevano nulla. Tutte queste “prove” lui le ha radunate per benino sotto la categoria “Media” e le ha liquidate in un batter d´occhio. Gli facevo pena: “Non crederai mica a tutto quello che dicono i media, vero?” Di base, ero impotente di fronte a lui. “Perché credere che un aereo abbia abbattuto le torri?” si rivela, sul piano ontologico, una domanda molto simile a “Perché credere di essere uno scrittore?” Non si può dare risposta ricorrendo ai canali e ai tramiti accettati in passato: le università, gli organi di informazione, le riviste, le case editrici. Questa nuova forma di scetticismo è semplicemente troppo vasta. A livello epistemologico, siamo tornati a un periodo più arretrato, in cui la gente esigeva di avere un incontro in prima persona con la verità prima di accettarla. Perciò le Hawaii devono disseppellire il certificato di nascita integrale di Obama, e uno scrittore a suo modo deve continuare a dimostrare, frase per frase, che appartiene ai sostenitori della dimostrazione empirica.
Oggigiorno uno scrittore deve fare uno sforzo incredibile per contrastare l´enorme massa di realtà false che vengono massicciamente propinate alle persone tramite i loro dispositivi elettronici. Opporre resistenza a questo tsunami di cazzate dovrebbe dare a un giovane scrittore tutta la “motivazione politica” di cui potrebbe mai aver bisogno.
In un momento in cui siamo circondati da realtà contraffatte, il desiderio di vedere le cose come stanno è già in sé un atto rivoluzionario. Ma vedere lucidamente non significa vedere univocamente: viceversa, sono le realtà contraffatte quelle che tendono a essere lineari e univoche. Un terrorista è questo. Un immigrato è questo. I sostenitori della dimostrazione empirica hanno il dovere di tentare di complicare il racconto: di rappresentare il mondo in tutta la sua incredibile varietà.

17 pensieri su “ORWELL, ZADIE SMITH E LE SEDIE DI ROTH

  1. Verissimo. Quello di scrittore è ormai un mestiere abbrutente e usurante. Sempre lì a mendicare attenzione da editori sempre più interessati a pubblicare solo le mere celebrities televisive; costretti a massacranti presentazioni in giro per l’Italia… senza contare che di 100 scrittori pubblicati, appena un paio escono dal ristretto giro dei parenti e degli amici compassionevoli. Meglio dimettersi dalla squallida carica e vivere nasacosti, magari vagabondando tra le pieghe dei monti… *-°

  2. Io ho una sorta di pre-giudizio positivo nei confronti di Zadie Smith: l’apparente semplicità (registro medio-basso, si sarebbe detto in altri tempi) della sua scrittura. Il ch evuol dire: cercare di parlare di argomenti di livello decisamente alto (Kafka, Orwell, D.F.W), m a anche “popular” (K. Hepburn e Spencer Tracy) in modo da essere compresa da qualunque ascoltatore. O almeno, evitando il primo muro, quello del linguaggio. Lo trovo etico.
    Sui contenuti: molto interessante, e molto problematica, la discussione col giovane seguace della teoria del complotto (o dell’autoattentato). Anch’io non credo plausibile che le Twun Towers siano state fatte crollare con la dinamite; ma il punto è proprio questo: che cos’è un “oggetto”, un “fatto”, un “ente”? Quali sono le condizioni che ci consentono di dire che “X esiste”? Perché quelle condizioni sono le stesse che dovremo convocare a sostegno delle nostre convinzioni quando cercheremo di convincere i nostri interlocutori, cioè quando cercheremo di comunicare. E questo potrebbe essere un ottimo motivo per scrivere, visto l’indebolimento dei 4 orwelliani. Ma con una piccola correzione: anche ieri, nell’altro secolo, nell’altro millennio, nel mondo antico, ecc. non era così scontato affermare che “X” esiste, e non era certo scontato che i criteri di affermazione dell’esistenza di questo o quell’ente/oggetto/evento fossero condivisi (empirismo o meno).

  3. “In un momento in cui siamo circondati da realtà contraffatte, il desiderio di vedere le cose come stanno è già in sé un atto rivoluzionario”, credo che Orwell sarebbe stato più che contrario a questa affermazione.
    Diciamo pure che ha ragione Zadie Smith, oggigiorno Orwell è un po’ incomprensibile, sotto molti punti di vista. Scriveva infatti in Omaggio alla Catalogna: “E’ difficile essere sicuri di qualcosa al di fuori di ciò che si è visto con i propri occhi e, consapevolmente o meno, chiunque scriva è partigiano”. Curiosamente proprio nello stesso libro Orwell accusa i media di aver falsificato la realtà..suppongo che ora i tempi siano diversi ed abbiano improvvisamente acquistato credibilità. O no?

  4. La teoria del ragazzo è una delle tante, anch’essa supportata da molto materiale (usato anche da Giulietto Chiesa).
    A me pare che il problema principale sia oggi costituito dall’uso del tempo: in questa marea di materiali e di versioni da cui siamo sommersi, chi può permettersi il lusso del tempo di star lì a dirimere il tutto? Chi legge la valanga di libri che escono continuamente? In questo caos, ogni cosa sembra paradossalmente nuova, perché tutto quello che viene prima si dimentica velocemente…

  5. Da notare che scrittore è molto più del suo significato etimologico. Colui che scrive dovrebbe avere anche un minimo di “letterarietà”, altrimenti poi i primi libri nelle classifiche sono i manuali di cucina creativa, le ricette di onna pina e le interviste/biografie ai campioni dello sport.

  6. Lo trovo proprio un articolo bellissimo. Mi viene solo da dire che, l’entusiasmo estetico pure serve – e anche la coazione a ripetere dell’artigiano ossessivo, perchè saremo tutti scrittori pure eh, ma taluni so’ pigri, altri so pippe certi terzi so storici, so documentaristi, ma non scrittori. Senza estetica la letteratura non può fare politica. Tutt’al più genere.

  7. Bellissimo post. “Desiderio di spingere il mondo in una certa direzione, di modificare l´altrui concezione del tipo di società alla quale bisogna tendere”. Bellissima giornata :-))

  8. Ho letto, come promesso. Interessante tutto, Orwell in primis. Poi mi soffermo sul ragionamento che, in pratica, pone al centro del discorso chi è che ha il diritto di definirsi scrittore. Chi pubblica? O chi, invece, ha letterarietà anche se non pubblica?
    Così viene fuori il vecchio (forse anche sorpassato e travolto) discorso su Internet. E allora mi viene da pensare che nemmeno il più distopico Orwell avrebbe mai potuto immaginare quanta differenza ci sia tra la scrittura “in rete” e la scrittura “per la rete”. Oggi, mi pare, siamo sommersi dalla seconda. La prima, se mai ha espresso qualcosa di rilevante, è tramontata. Ha lasciato il posto a cose fatte per colpire a bruciapelo, una botta e via. Ceffoni da blog, schicchere da Facebook. Cose al confronto delle quali Silvia Avallone è una luminare del pensiero contemporaneo.

  9. Credo che non sia tanto il “vedere le cose come stanno” il punto a cui tende Smith, quanto il modo in cui uno scrittore deve raggiungere questa meta: complicando le cose. Sta lì la difficoltà e in parte la novità, nell’essere in grado di “rappresentare il mondo in tutta la sua incredibile varietà”.

  10. Una buona riflessione sul mestiere di scrivere all’epoca del web 2.0.
    L’individualismo come diritto, il protagonismo dilagante, l’umiltà nella sua accezione negativa, un’accresciuta concorrenza che paradossalmente non ha elevato la qualità.
    Vorrei far notare alla Smith che sono passati 60 anni dalla morte di Orwell, ma è come se fosse passato un millennio. La massiccia ondata di informazioni, l’isterica produzione di testi che si bruciano in pochi istanti, il ritmo forsennato e disumano a cui abbiamo consegnato ogni cosa, ha profondamente modificato la nostra percezione della realtà.

  11. Lo scrittore come alfiere della complessità…Sergio Tramma nel suo bel manuale L’educazione informale parla di didattiche della paura e distingue tra educazione alla paura (paura come fine, intesa sia come “ragionevole paura”che come paura immobilizzante e paralizzante) ed educazione attraverso la paura (strumento che convince ad essere o non essere e provoca reazioni semi-automatiche dovute a semplificazioni cognitive basate su coppie oppositive)…”è come se ci fossero difficoltà a costruire pensieri complessi e adatti ai tempi, come se si riproponesse, ancora una volta, quella semplificazione nell’analisi del presente che sembra essere tipica dei tempi odierni”…il problema delle storie, trasversale dal giornalismo alla letteratura, al cinema, al teatro…

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