Nell’estate che ormai è alle spalle e già rimpiango, ho avuto modo di incontrare un gruppo di storici che agiscono nel territorio maceratese: Paolo Coppari, Marco Moroni e Augusto Ciuffetti dei Cantieri Mobili di Storia. Abbiamo esplorato sibille e vestigia di castelli sepolti e soprattutto abbiamo parlato, e io ho ascoltato molto dei loro progetti. Uno inizia domani, a Recanati. Si chiama Paesaggi/Passaggi e nasce con un’ambizione che sembra piccola ma è gigantesca. Unire costa e montagna, laddove una è parte dell’altra, e senza l’altra non può darsi. Quando, nella promozione turistica marchigiana (ma non solo), si insiste sulle acque cristalline e sulle bianche sabbie, si taglia fuori un mondo ricco di bellezza e di potenzialità, da cui davvero è possibile costruire un modello nuovo (come, di recente, ha dimostrato la Sibillini Summer School ideata da Francesca Chiappa, Michele Serafini e Silvia Sorana: tre classi, Legno, Lana, Leggende – o Territorio che dir si voglia – da cui sono nate idee e progetti, anche molto tangibili).
Abitare, camminare, progettare. E’ quello che dovremmo immaginare tutti, e non solo i marchigiani. Capire come riannodare i fili spezzati, la rapida dimenticanza in atto del nostro scontento e del nostro sgomento, non solo ripopolare ma ripensare.
Esattamente cinque anni fa, in queste ore, ero ad Amatrice. Mi ci aveva mandato, per partecipare a una diretta di Rainews, Marino Sinibaldi. Erano passati trenta giorni dal terremoto. Allora, avevo scritto questo:
“Il silenzio è quello che rende l’idea. Il silenzio nella zona rossa, a pochi passi da dov’ero questa mattina, dove vedi il campanile con l’orologio fermo alle 3.36 e le case schiacciate, senza quasi fessure tra le travi e i tubi e i telai delle finestre e le cose della vita quotidiana – i cuscini di un divano, il piatto di una doccia – che non riesci a guardare senza sentirti una schifosa spiona, perché sono le cose che dovresti guardare se invitato a entrare, e non in quella tumulilande che è ora Amatrice. Valeva la pena viaggiare tre ore e alzarsi all’alba, a prescindere dalla manciata di minuti a Rainews, per capire da vicino com’è stato. E com’è. Non ho visto altro che vigili del fuoco, volontari, poliziotti, militari. Com’è giusto, certo. Ma non ho visto gli abitanti di Amatrice. La tendopoli, così vien detto, sta per essere smantellata, era solo possibile scorgerla, silenziosa nella mattina di sole. Eppure dovrebbero poter rimanere, adesso. Nei container, magari, fino alle famigerate casette di legno. Dovrebbero poter restare insieme, se lo desiderano. E da quanto capisco molti, moltissimi, lo desiderano con tutto il cuore”.
Sono passati cinque anni. E non solo la restanza di chi ha perso il paese (e i propri cari) per il terremoto non c’è stata o c’è stata solo in parte. E’ il nostro stesso concetto di essere nei luoghi che va urgentemente pensato. Neanche ripensato: pensato per la prima volta dopo quel che ci è accaduto, reso nuovo, resto possibile. Buon lavoro, intanto, a Paesaggi/Passaggi, e voi tenetevi informati su quel che faranno.