PARLARNE FRA AMICI: LA QUESTIONE DELL’AMICHETTISMO LETTERARIO

Vorrei porre una questione scomoda. Da qualche giorno sulla Stampa e ieri a Fahrenheit si è discusso di critica letteraria. Sul vacillare dell’autorevolezza della medesima molto si è detto: qui, non posso che ribadire che a mio parere in gran parte è una questione di luoghi su cui la critica si esprime. Siamo circondati di informazioni, e questo è noto, e la gran parte di quelle informazioni non ci arrivano dai quotidiani o dalle riviste: per meglio dire, arrivano a una piccola porzione di chi già legge molto e legge, dunque, anche le recensioni sui quotidiani. Dunque, quelle recensioni, se le immaginiamo come possibile veicolo della vendita di un libro, funzionano poco. E naturalmente è ingeneroso e riduttivo considerare la critica letteraria esclusivamente in questo ambito: suppongo che alla medesima occorra chiedere un’analisi, un’interpretazione ampia, una contestualizzazione. Ne abbiamo bisogno, la troviamo a fatica: e molto spesso la si trova in rete e, sì, anche sui social.
Mi interessa un altro punto, però. Piero Dorfles, nel suo intervento su La Stampa, lamenta quello che in lingua corrente si chiama “amichettismo”, ovvero la consuetudine di recensirsi a vicenda fra scrittori lodandosi (c’è anche un rovescio mai evocato: il nemichettismo, quelli che sparano a pallettoni su un’autrice – e non uso il femminile a caso – senza neanche averne aperto una pagina, ma pazienza).
Non nego che la questione possa esistere: ma ridurre tutta l’informazione (non solo la critica) a questo rischia di non fare bene e di rafforzare quel fantasma della casta chiusa di cui son pieni i post e i tweet.
Il problema che pongo è antico. Nel dicembre 2005, in quella che era la newsletter dei Wu Ming (Nandropausa) viene affrontato apertamente. Wu Ming 1 vuole scrivere de L’anno luce di Giuseppe Genna. Lo fa, proprio perché è consapevole delle critiche che gli arriveranno:

“Genna è dispartecipe. Non vuole essere recensito da me o da Wu Ming. Teme l’accusa di “congrega”. Teme che si parli di “pastette” e reciproci favori. Lui ha recensito i nostri libri in modo “capolavoristico”. Se ti piace un libro italiano e lo dici, sei un “capolavorista”. Se parlo de L’anno luce può dunque sembrare cortesia ricambiata. “Capolavoristica”. Diranno che è cortesia ricambiata. Diranno che è capolavorismo. Genna prova fastidio preventivo, non vuole essere nominato. Non lo abbiamo mai recensito, pregasi continuare a non recensirlo. Lo chiede con sincerità.
Capolavorismo è l’accusa di chi ripete che in Italia non c’è niente, non si scrive niente, nessuno scrive, questa è la linea!, obbediscano gli schiavi, non c’è niente! Nessuno osi dire che in Italia si scrivono romanzi potenti, è IM-POS-SI-BI-LE!, all’estero si sbagliano tutti, NON sta succedendo! Nessuno osi alzarsi in piedi o verrà impallinato. La lamentela è obbligatoria e imposta dall’alto. Tutto è finito, nulla cominci più, si canti solo la chanson égocentrique del fascismo nientista:
Non c’è niente / Non c’è niente / Non c’è niente / Non pensare a elefanti rosa / NO! / Ho detto di non pensare a elefanti rosa! / Non c’è niente…
La letteratura italiana è Piazza dei Miracoli. La Torre è la coppia Pasolini-Calvino, e pende sulla “fine del romanzo”. I giapponesi sono i nientisti. Sfruttano un gioco di prospettive, simulano un impegno, uno sforzo, fingono di sorreggere il ricordo di una grande stagione. Non sanno perché fu grande, non sanno quando e perché è finita, se è finita, non sanno di cosa fece parte, perché rifiutano di capire quel che è seguito e segue. Arrivano, si mettono in fila, dicono la cazzata, non li vedi in nessun’altra via o piazza della letteratura, la sera sono già via”.

Ecco, vorrei sommessamente dire che il problema, anni e anni dopo, è ancora questo: i bei libri esistono eccome. E a prescindere dall’autocensura (che personalmente applico e applicherò almeno fin quando condurrò Fahrenheit, con rarissime eccezioni), il problema è riuscirli a “vedere”, in un’onda di titoli almeno quadruplicata, credo, rispetto al 2005. La questione è qui, e pazienza se si continua a indicare il famigerato dito.

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