L’inverno passava qualcuno di lì
Il nastro girava, suonava “Lilly”,
Girava il pallone, lo stadio impazzì
La voce tremava, l’inverno finì.
E poi primavera, e qualcosa cambiò
Qualcuno moriva, e su un ponte lasciò
Lasciò i suoi vent’anni e qualcosa di più
E dentro i miei panni, la rabbia che tu
Da sempre mi dai, parlando per me
Scavando nei pensieri miei,
Guardandomi poi dall’alto all’ingiù
E forse io valgo di più.
L’estate moriva, Bologna, tremò,
La dalia fioriva e la gente pensò
Dei tanti domani vestiti di jeans
Chiamandoli “strani”, ma non fu così
E quando m’incontri, se pensi di me
Tu sappi che il sole che splende per te
E il grano che nasce, e l’acqua che va
E’ un dono di tutti, padroni non ha
E il grano che nasce, e l’acqua che va
E’ un dono di tutti, padroni non ha.
Questa canzone di Stefano Rosso, Bologna 77, appare inopinatamente nel saggio di Enrico Terrinoni Oltre abita il silenzio, su traduzione e letteratura, saggio coltissimo dove, in poche parole, si dice che tutti noi siamo traducenti, e che la vita stessa, oltre che la scrittura, è gesto di accompagnamento e di attraversamento.
Il 12 maggio 1977 è alle nostre spalle da decenni, e da poche settimane anche l’ultimo 12 maggio, quello che al Salone del Libro ha visto l’omaggio a Radio Radicale.
La storia di Giorgiana Masi (per chi vuole ricostruita qui, qualche anno fa) è stata raccontata grazie a Radio radicale, in un lungo servizio montato nella notte (eravamo in tanti a darci i turni, ricordo Elio Subini, ricordo Paolo Chiarelli), anzi, in più notti di troppe sigarette e di lacrime.
Spesso sono i fatti e la memoria dei fatti a generare complessità. E questi non sono tempi di complessità, lo so benissimo, e ancora più spesso chi complessità rivendica, in quanto necessaria non solo alla letteratura ma alla nostra vita, viene preso per tremebondo, o indifferente. Ma dai fatti e dalla memoria dei fatti nasce il pensiero politico di cui, credo, abbiamo bisogno.
Mancano poche ore. Di Radio Radicale abbiamo bisogno. Molto. Moltissimo.