Il 2013 sarà un anno cruciale per la democrazia paritaria e la rappresentanza femminile.
Se ne parlerà a Milano sabato14, a Palazzo Reale, Piazza Duomo 14, dalle 10 del mattino: incontro nazionale di Se non ora quando.
Raggiungendo la massa critica nelle istituzioni rappresentative le donne potranno contribuire con il loro sguardo e la loro differenza alla formazione delle agende politiche e alla costruzione di una nuova visione per il Paese.
L’obiettivo è riprodurre a livello nazionale l’esperienza delle giunte di Milano, Bologna, Torino, Cagliari: 50/50 a ogni livello, condizione necessaria, anche se non sufficiente –sul passaggio dal 50/50 al patto di genere c’è molto da lavorare- per il cambiamento che noi tutt*, donne e uomini, auspichiamo.
Grande parte delle nostre energie dovranno convergere in questa direzione, individuando gli strumenti più efficaci.
Eccone alcuni
LEGGE ELETTORALE
Anche se nessun dispositivo può sostituire la volontà politica di eleggere un maggior numero di donne, sono indispensabili misure antidiscriminatorie che variano secondo il modello elettorale. In coda al post, alcune proposte elaborate dalla costituzionalista Marilisa D’Amico e da Stefania Leone (*).
Dopo le elezioni di maggio alla Camera si voterà su un testo unificato bipartisan sulla doppia preferenza di genere al voto amministrativo. Solo il lavoro trasversale delle donne di tutti gli schieramenti unite nel patto di genere può garantire risultati in tema di rappresentanza, come dimostrato dalla legge Golfo-Mosca sui cda delle società quotate in Borsa.
C’è il rischio che il voto segreto –bastano 40 firme per ottenerlo- consenta la sparatoria dei franchi tiratori –uomini- di tutti gli schieramenti. E’ capitato sullo stesso tema in Regione Sicilia. La proposta è organizzare in tutte le città mobilitazioni e presidi informativi contemporanei all’aula, per testimoniare un alto livello di vigilanza e di attenzione.
CANDIDATURE
Apertura di consultazioni formali con i leader di tutti gli schieramenti, nonché con i promotori di liste civiche, per verificarne la volontà politica in tema di rappresentanza femminile. Collaborazione attiva con le donne dei partiti.
Verifica dell’impegno dei candidati premier a porre in atto il 50/50 nell’attribuzione di incarichi di governo, facendone punto qualificante del loro programma, come già avvenuto a Milano e in altre realtà locali: le candidature non bastano.
Appello al Presidente della Repubblica per un alto pronunciamento, a conferma dell’attenzione già espressa per un riequilibrio della rappresentanza.
Impegno anche economico dei partiti a sostegno delle candidature femminil.
Sostegno e accompagnamento attivo di Snoq a libere candidature femminili in tutte le liste, con eventuale indicazione, tra le candidate, di quelle esplicitamente legate al movimento delle donne e al patto di genere.
Tenersi pronte a un piano B: possibilità di liste civiche o liste Snoq, anche in partecipazione con altre proposte civiche, nel caso in cui l’impegno dei partiti sia giudicato insufficiente per il riequilibrio di genere.
Sottoscrizione unitaria della Lettera ai partiti.
CAMPAGNE
Campagna di sensibilizzazione sulla democrazia paritaria, di qui al momento del voto. L’interesse delle donne per la rappresentanza politica resta piuttosto tiepido, e va in ogni modo suscitato: senza adeguata rappresentanza, nessuna delle nostre priorità entrerà a far parte delle agende politiche.
Nell’imminenza del voto, se la legge elettorale consentirà l’espressione di preferenze, campagna capillare “scegli una donna” rivolta a donne e uomini: il vota donna non ha mai funzionato, tenerlo ben presente.
Coinvolgimento come testimonial delle giunte 50/50 già operative.
Mobilitazione straordinaria di operatrici e operatori dei media e della comunicazione a favore di un riequilibrio di genere nella rappresentanza e a garanzia di pari opportunità nei dibattiti politici e negli spazi pre-elettorali.
Coordinamento con opinioniste internazionali che si sono già mostrate sensibili alla situazione delle donne italiane, come Tina Brown di “Newsweek” e Jill Abramson del “New York Times”, nonché con le giornaliste tedesche unite per il 30 per cento.
Coordinamento con il movimento delle donne di altri paesi per fare della parabola politica delle donne italiane, dal 13 febbraio delle”indignate” alla democrazia paritaria, una vicenda-simbolo per le donne di tutto il mondo.
* MISURE PER UN RIEQUILIBRIO DI GENERE NELLA RAPPRESENTANZA POLITICA
Esempi di misure antidiscriminatorie nell’ambito di un sistema elettorale proporzionale
1. per il proporzionale a liste bloccate (Porcellum), parità nelle liste: “Nelle liste dei candidati i generi devono essere ugualmente rappresentati”. (posizione di eleggibilità per le candidate).
Primarie per le candidature, con doppia preferenza di genere o con altro dispositivo a garanzia della selezione di candidate.
2. per il proporzionale con voto di preferenza, le misure potrebbero essere le seguenti: “Nelle liste dei candidati nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento. L’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza” (doppia preferenza di genere)
Esempi di misure antidiscriminatorie nell’ambito di un sistema elettorale maggioritario
1. Doppia candidatura di collegio
“In ogni collegio il partito presenta due candidati, di genere diverso. L’elettore vota tracciando un segno sul rettangolo contenente il contrassegno del partito e il nome e cognome del candidato o della candidata. Il seggio viene assegnato al partito che ottiene più voti sommando quelli ricevuti da entrambi i candidati. Fra questi due, risulta eletto chi abbia ottenuto più voti”
oppure
2. Quota complessiva sul totale dei collegi uninominali
“Nel numero totale delle candidature presentate da ciascun partito per la parte dei seggi da assegnare nei collegi uninominali, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento”.
Queste alcune delle proposte su cui avviare il confronto.
post condiviso da:
Marina Terragni
Manuela Mimosa Ravasio
Lorella Zanardo
Sono le 14.33, questo post è stato pubblicato da molte ore e sotto non c’è ancora nemmeno un commento. E’ un post molto “politico”, programmatico mi verrebbe da dire, il che mi ispira una riflessione sul rapporto tra donne e politica, supportata (per quello che può valere) dalla mia limitata esperienza personale. Post che scavano nella psiche, nell’antropologia e nella cultura delle differenze di genere, discorsi anche molto complicati, testi filosofici e letterari raccolgono di solito decine e decine di pareri, anche infiammati. Questo no.
Nei millanta movimenti di cui ho fatto parte, la partecipazione femminile l’abbiamo spesso dovuta sollecitare con insistenza. Sia a livello di base, sia (molto di più) al momento di conferire incarichi rappresentativi. So di dire una cosa molto discutibile, ma mi viene il dubbio che la maggior parte delle donne non si trovino a proprio agio con la politica tradizionale e tendano ad evitarla. Il che vuol dire, certamente, che qualcosa deve essere cambiato, se si vuole rimuovere la barriera all’accesso di donne di talento, a beneficio loro e della comunità; ma credo che sia necessario anche uno sforzo della parte interessata, se non altro perché rifondare dalle basi qualcosa che esiste da quando è iniziata la storia è forse un obiettivo troppo ambizioso per chiunque, e quindi almeno nel breve periodo un adattamento delle donne alle strutture di potere esistenti si rende necessario. Personalmente, riconosco che discutere di temi politici mi riesce di solito più facile con altri uomini, piuttosto che con le donne, salvo ovviamente diverse eccezioni. Spero, dicendo questo, di non aver offeso nessuna sensibilità. Probabilmente è molto poco politically correct questo mio pensiero, ma mi rendo conto di condividerlo con molti uomini non trinariciuti e mi piacerebbe discuterne, se ci sono persone interessate.
Grazie infinite, Maurizio. E’ un post programmatico, più che altro: ritengo “politici” anche quelli precedenti. Però c’è molta ragione in quello che scrivi: esiste un disagio. Mi fa piacere che qualcuno lo sottolinei. L’idea è quella di superarlo, e di provare a gettare almeno le basi.
Grazie; molto interessante. Segnalo però che manca il link per la sottoscrizione della lettera ai partiti.
Per chi interessato, la firma si può inviare per e-mail a:
ilvotodelledonne@gmail.com
oppure si può firmare qua: http://www.petizionionline.it/petizione/lettera-aperta-ai-partiti-il-voto-delle-donne/6493
Beh, sì, il problema c’è. Sarà disagio, diffidenza, o tempi di riflessione. Maurizio dice che ‘viene il dubbio che la maggior parte delle donne non si trovino a proprio agio con la politica tradizionale e tendano ad evitarla.’ In generale forse sì, ma non quando si tratta di propagandare e catturare prede elettorali per qualche familiare candidato, ti assicuro…vivendo in un piccolo centro la realtà è spesso questa. Ma c’è anche diffidenza verso l’attuarsi di dinamiche personali aggressive tra donne. Diciamo che ho visto ragazze meravigliose per cui ho fatto un tifo sfegatato, mollare tutto dopo aver tentato di scardinare ostacoli su ostacoli e parecchie cattiverie. Praticamente impossibile combattere su tutti i fronti contemporaneamente.
Quindi mi preme dire: disinteresse mai. Ma alla ‘periferia’ vincono spesso scoraggiamento, e diffidenza. Soprattutto quando non ci si può ‘allenare’ al bar, per ore ed ore…
Però, questo disagio va assolutamente superato. Va superata la base del problema, che è anche semplicemente ignoranza. Ovviamente parlo di aree sociali e territoriali ben precise. Il post è per tutt*
Scusate, ero anonimo, ora non più spero.
be’, Maurizio, ad un livello comune si interessano di più gli uomini perché è una sorta di completamento. Prima il calcio poi la politica. non ha a che fare con il potere o le strutture di potere. era una faccenda per maschi. è che i maschi non conoscono la cosmetica…
@#…: Confesso di non aver capito niente. Qualche delucidazione?
@Paola Di Giulio: capisco bene quello che vuoi dire, e in effetti le esperienze a cui facevo riferimento nel raccontare la difficoltà di portare avanti progetti politici insieme, uomini e donne, hanno come sfondo la provincia, in cui sono nato e ho vissuto per vari decenni. Ci sono due cose che tu dici che mi incuriosiscono molto. La prima è una piccola folgorazione, una chicca da pensiero laterale, unoristico forse ma con un fondo di verità: non avevo mai pensato al bar in termini di palestra tribunizia, e anche se può sembrare una cosa triviale da dire (e certo non edificante) mi rendo conto ora di che parte importante abbia avuto quell’ambiente, nella formazione di molti che non si interessavano (soltanto) di calcio. Compreso il sottoscritto. La seconda è più sostanziale: parli della “diffidenza verso l’attuarsi di dinamiche personali aggressive tra donne”. Proprio ieri ne parlavo con alcune colleghe, che mi avevano segnalato un testo di Giulia Bongiorno pubblicato sul Corriere della Sera e che io non condivido nemmeno un po’. Il testo è reperibile qui:
http://www.dirittiglobali.it/index.php?view=article&catid=28:diritti-umani-a-discriminazioni&id=30874:lle-divisioni-tra-noi-donne-che-ci-escludono-dal-poterer&format=pdf&ml=2&mlt=yoo_explorer&tmpl=component.
Non so se è a tematiche come questa che volevi riferirti. In ogni caso, io trovo che questa lettera contenga molti di quegli errori di fondo che, a mio avviso, le donne commettono nel rapportarsi alla politica.
Maurizio, grazie per il coraggio della riflessione, con cui concordo pienamente. La nostra sorta di mancanza di dimestichezza verso la politica tradizionale, l’imbarazzo, il disagio, la non familiarità e, forse, anche il senso di soggezione verso la politica è in parte riflessa anche dalle proposte avanzate nel post. La questione mi pare tutta incentrata sulla rappresentanza politica, che è sì importante, ma non fondamentale per cambiare la politica di un paese. Servono i contenuti, intesi non solo come un elenco programmatico di obiettivi. Mi spiego meglio: se anche al governo ci fosse una metà di ministre che continuano a perseguire le stesse politiche neoliberiste che stiamo subendo, alla stragrande maggioranza delle donne (ma anche degli uomini) non rimarrebbe che cominciare a scavarsi la fossa con le mani, ché anche l’acquisto di una vanga comincerebbe a essere una spesa importante da sostenere. Questo non mi pare sia molto chiaro, né che ci sia troppa voglia di starci a discutere sopra. Per cui, si avanzano proposte per riequilibrare la rappresentanza di genere, senza star troppo a riflettere su cosa si vuole rappresentare, di quale politica si vuole essere espressione. Non credo affatto che il problema della rappresentanza sia il primo passo, anzi, dovrebbe essere tra gli ultimi. Ci si candida quando si hanno delle idee, delle proposte concrete, non prima, a prescindere, perché si deve rappresentare il genere. Così magari, a corto di strumenti, si finisce per fare da cornice, da sfondo alle decisioni prese da chi quegli strumenti ce li ha, ripetendo, tutto sommato, lo schema delle vallette e del conduttore.
Leggo la lettera dopo, adesso non posso
@ Maurizio.
nn ho detto niente di particolare. è più frequente discutere di politica tra uomini perché banalmente con le donne uno non ha interesse a discutere. banalmente perché in genere un uomo ha più amicizie maschili con le quali o andrà d’accordo o no politicamente. e non sto parlando di situazioni di politica attiva, ma di semplici chiacchiere quotidiane. per quanto riguarda la distanza con la politica, io ne facevo una questione più a monte, di formazione personale, più che di disagio per le forme attuali. non penso esista una politica tradizionale. quando e se ci sarà maggiore interesse per la politica fra le donne, le cose verranno da sé. uno può anche chiedersi perché alle donne il calcio piace meno che agli uomini, ma non c’è un vero motivo sotto, e non è detto che un giorno non sarà vero il contrario.
l’obiezione di antonella f non l’avevo vista arrivare, ma davvero mi ha aperto gli occhi. sono da tempo sostenitrice che si debba cambiare un mattoncino alla volta, che dove ci sono piu’ donne si e’ innescato un meccanismo – magari lento – di cambiamento. e lo sono per via delle mie esperienze sul lavoro, dove i vertici di certo non hanno ruoli di rappresentanza.
non sara’ che stiamo cercando di attivare un meccanismo che e’ sano per le aziende (se anche le prime donne che si inseriscono in certe dinamiche si “adeguano” al modello preesistente, nel naturale ciclo del tempo pian piano le cose possono cambiare proprio perche’ si e’ creata una condizione per accedere a responsabilita’ prima precluse) in un ambito in cui altrettanto sano non e’?
specifico, sto pensando a come Planned Parenthood ha creato una sub-organizzazione (women are watching) che si occupa di informare e in caso sostenere formalmente candidate – e candidati – che si schierino dalla parte delle donne. si, in USA la rappresentanza monogenere e’ meno un problema che in Italia, ma anche qui alla fine alle donne rimane la seconda scelta (penso alla Clinton, o alla Rice – il problema e’ bipartisan).
concretamente: dopo aver letto il commento di antonella, darei il piu’ ampio risalto (e la priorita’) al punto
“Sostegno e accompagnamento attivo di Snoq a libere candidature femminili in tutte le liste, con eventuale indicazione, tra le candidate, di quelle esplicitamente legate al movimento delle donne e al patto di genere. Tenersi pronte a un piano B: possibilità di liste civiche o liste Snoq, anche in partecipazione con altre proposte civiche, nel caso in cui l’impegno dei partiti sia giudicato insufficiente per il riequilibrio di genere.”
Ma non direi in tutte le liste. Dal punto di vista del legiferare si, del sostenere, anche con propaganda attiva, no. Segnaliamo e sosteniamo chi concretamente lavora perche’ noi tutte – e di conseguenza tutti – si viva in modo piu’ equilibrato nella societa’ italiana.
Se facciamo partire questo aspetto – insieme a quelli sulla legge elettorale – stiamo gia’ cambiando la politica.
aggiungo che all’ultima riunione politica cui ho partecipato, a parlare era una giovane appassionata, coinvolgente e preparata, e che se proprio devo trovare un punto in disaccordo con ciò che dici @ Maurizio è quando segnali la lettera di Giulia Bongiorno ( che vado a leggere ) come paradigmatica degli errori delle donne. Nel senso che dobbiamo smettere il prima possibile di riferirci a “donne” e “uomini”.
in pratica Giulia Bongiorno propone di abbandonare le vecchie logiche della politica ( è straordinario quante frasi fatte siamo in grado di elaborare ) chiedendo alle donne di opporsi alla loro presunta “incapacità ontologica” di fare gruppo per adeguarsi ad un comportamento più strategico, e più utile. ecco, è da tempo che sento parlare di questo mito delle donne che non sanno fare gruppo. poi magari è vero, ma allora non c’è niente da fare. però se giulia bongiorno dice ogni tanto una cazzata non facciamone una cazzata detta da una donna.
@Maurizio, certo, le ore al bar sono una palestra, come qualsiasi altro momento di incontro maschile nei paesi, con gli scambi di commenti e soprattutto strategie nei confronti delle varie amministrazioni locali. Un ‘aggiornamento’ quotidiano e una ragnatela di relazioni ‘proficue’, non solo calcio.
Ho visto molta competitività tra donne candidate, e una specie di ‘confidenza’ che permetteva attacchi diretti ai punti deboli, chiamiamoli così. Anche a base di mail anonime (che poi era una rivale di partito) per ‘rivelare’ che una era incinta di non si sa chi – tanto per non lasciare nulla di intentato!
Più che emotività era aggressività bella e buona che faceva perdere di vista i programmi e le strategie. Personalismi, senz’altro.
Però la forza di certi programmi concreti, sul territorio, era eccezionale. Ho visto idee di interventi per sradicare inerzia e soggezione politica che se realizzati sarebbero stati veramente capillari ed efficaci. E anche ‘storicizzati’, andando cioè alla radice dei problemi locali.
L’articolo della Bongiorno, boh, non sono d’accordo su alcuni giudizi, e vedere solo il gallinaio non mi convince. Forse l’aggressività becera, quando c’è, diminuirebbe in proporzione ad una minore astrattezza dei programmi…
“La lotta armata al bar…” cantano Le Luci
A me piacerebbe che si rimanesse ai contenuti della proposta. Lo scrivo sommessamente, si sa mai.
Detto che mi auguro che questa lotta abbia successo come ognuna contro le discriminazioni di (qualunque) genere, detto anche anche che forse oggi quel che può spingere molte/i a evitare di considerare questa proposta come degna di considerazione è il disagio generico e generalizzato verso la politica rappresentativa (“col porcellum che te ne frega di aver donne elette? Saran sempre quelle che…”, per dire, obiezioni non senza una ragione), quello che mi spinge a scrivere è che trovo un po’ cervellotica e irrealistica nei confronti dell’elettorato (nonché potenzialmente non vincente) la doppia candidatura di collegio. Alla lunga potrebbe essere molto più efficace, produttiva, ma a parte il fatto che alla lunga è difficile ipotizzare realisticamente di poterci arrivare nel dispiegarsi di queste dinamiche, solo nel caso che si voglia postulare (senza riscontri credibili, mi pare) un’attitudine all’impegno intellettuale dell’elettorato disposto a votare.
Non avrei scritto, non fosse stata enunciata la seconda ipotesi, ché verosimilmente non ci sarebbe tempo per discuterne. Ma già che è in campo, invito caldamente a considerarla (non conosco nemmeno di nome chi l’ha avanzata): si distribuiscono i seggi in modo più o meno paritario (purché con soglie prefissate) in base ai voti ricevuti dalle formazioni politiche e, fra i candidati di quegli schieramenti, se ne distribuiscono diciamo la metà alle donne (le più votate di quel collegio se nel frattempo prende corpo qualcosa tipo il senato delle regioni, anche no se si continuano a catapultare i candidati a prescindere dal rapporto col territorio, o in base a criteri articolati, magari pure complessi, possibilmente sensati, comunque prestabiliti).
Rischia di venir un po’ meno la correlazione fra eletta e territorio ma, clientele a parte, è risibile pensare che essa abbia una sussistenza anche solo paragonabile alle differenze di genere (sempre ammesso che esse possano trovare rappresentazione in conseguenza di un’elezione democratica).
Insomma: “viva” la quota complessiva.
…
ok, vado fuori dalla porta. io personalmente non saprei avanzare proposte alternative. poi anche se avessi delle obiezioni di principio non vedo il senso di esporle. chi ha da dire circa i contenuti della proposta dica, non sia timido.
mi insegni a scrivere sommessamente?
Scrivere sommessamente significa dire: quando non si sa come commentare un post, è preferibile non commentarlo Il che non significa: fuori dalla porta. Significa: leggi gli altri interventi e fatti un’idea. E’ un invito, non un obbligo, ovviamente.
“L’alunno #… giustifica la sua impertinenza dovuta a motivi di salute, come attestato dal certificato medico allegato”.
però io mi sono inserito nello spin off proposto da Maurizio, circa il presunto disagio femminile nei confronti della politica tradizionale.
“L’alunno #… reitera nell’impertinenza e disturba la sua compagna di banco, e si accomoda spontaneamente fuori dalla porta”.
cmq un passaggio che proprio non mi piace sopra è “le donne potranno contribuire con il loro sguardo e la loro differenza”…
Cercherò di stare in topic. Leggo:
Esempi di misure antidiscriminatorie nell’ambito di un sistema elettorale proporzionale […]
Esempi di misure antidiscriminatorie nell’ambito di un sistema elettorale maggioritario[…]
Ne deduco che, per chi scrive la proposta, proporzionale o maggioritario non importa, l’importante è avere garantito un pari numero di poltrone.
La politica non si può fare così, questa è autoreferenzialità della politica stessa, che conduce al fallimento. Le così chiamate politiche di genere vanno considerate nell’ambito di un progetto organico, che contempli tutto il meccanismo elettorale. Che significa: proporzionale o maggioritario non mi pronuncio, basta che mi sia garantita la rappresentanza? La mia proposta è di evitare di considerare la rappresentanza come questione a sé, a prescindere dal sistema elettorale e dall’orientamento di chi si intende candidare.
@antonellaf: Antonella, a me sembra che quanto proponi tu si inserisca proprio nel solco, che credo sbagliato, del discorso della Bongiorno. Lei propone (semplifico molto) che le donne non si diano battaglia apertamente, per non minare alla base le posizioni reciproche; tu vorresti che, prima di parlare di rappresentanza, si delinei una piattaforma politica. In entrambi i casi, si dà per scontato che l’essere donne (ma secondo questa logica anche essere neri, o ebrei, o giovani o qualsiasi altra cosa) sia sufficiente a garantire una comunanza di idee, oltre che di genere. Ma non è così, con ogni evidenza: esistono sindacaliste di sinistra ed emule della Tatcher come la ministra Fornero, donne che credono nell’egualitarismo e altre che ritengono le differenze un valore, anche nel reddito e nella ricchezza, donne che seguono i dettami della gerarchia cattolica e donne atee, o musulmane, o buddiste. Esattamente come gli uomini e qualsiasi altra comunità definita da un attributo ontologico. Quindi, senza entrare nel merito delle proposte di questo documento, che non ho titolo per valutare, penso che l’impostazione “metapolitica” sia quella giusta: indipendentemente da come la si pensa e dallo schieramento di apprtenenza, e qualsiasi sia il sistema elettorale, deve essere garantita la rappresentanza femminile. Poi le donne di schieramenti opposti si confronteranno, anche aspramente se è il caso, sulle diverse idee del mondo di cui sono portatrici. Un discorso come il tuo, io credo, obbliga le donne a una scelta di campo preventiva, come se fosse già noto a priori il loro posto e fossero codificati i loro interessi. Ma non è così. La Fornero, tanto per fare un esempio vicino, non è necessariamente una donna venduta al nemico che rema consapevolmente contro gli interessi delle altre donne: più probabilmente, ha un’idea del mondo tale per cui i provvediimenti che propone le sembrano i migliori possibili, anche se magari a te (e per inciso pure a me) fanno orrore. Insomma, credo che non possa esistere una posizione politica “delle donne”. Semmai una posizione metapolitica, volta a stabilire regole che garantiscano adeguate garanzie in politica, sul lavoro e in ogni altro contesto sociale.
nel post si ammette che sul tema della rappresentanza le italiane restano tiepide, e che si deve lavorare anche su questo. Perché ci sta costando troppo, l’estraneità.
A me fa un po’ impressione questa misura proposta per il proporzionale con voto di preferenza: “Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista”. Secondo me la misura antidiscriminatoria non si deve imporre agli elettori, ma a chi esprime le liste: in generale sono convinta che sia dovere del partito (o alla lista civica) garantire che ci siano candidate donne in posizione di eleggibilità e visibilità equivalenti ai maschi: l’elettore deve poter liberamente eleggere chi ritiene più meritevole scegliendolo in una “rosa” (nel senso di selezione) creata a monte senza discriminare le donne.
Ma di cosa stiamo parlando, scusate? Di una scorciatoria che conduca a una paritaria rappresentanza di genere per via top-down e non bottom-up? E per quale motivo, e a vantaggio di chi, dovremmo costruire una simile rappresentanza quando le italiane sono così ciuche da aver favorito in gran parte candidati uomini a candidate donne? La libertà d’associazione è libera. Che le donne si conquistino le loro poltrone prendendo il potere all’interno dei propri partiti (ma se vogliamo rabbrividire potremmo guardare alle statistiche di quanti membri di un partito, o quanti iscritti, siano donne. Usare la formuletta retorica del dire che “le italiane sul tema della rappresentanza restano tiepide” evade la dura constatazione che alle donne non interessa più di troppo. Perciò questa richiesta di poltrone senza battaglia non mi vede vostro alleato, anzi. Imparate a convincere le donne a partecipare davvero, votando donne e non uomini. Qualcun* obietterà che non si deve votare il genere ma il merito. Ebbene, allora per quale motivo la rappresentatività dovrebbe essere equanime e decisa dall’altro? In un sistema democratico la rappresentatività può solo essere un processo che nasce e si legittima dal basso altrimenti è da porre già in discussione la rappresentatività stessa. Nel momento in cui il suffragio è universale a tutti i livelli di cittadinanza, l’introduzione di quote rosa, qualunque forma assumano, è semplicemente la ratifica di un fallimento femminile che andrebbe curato per via culturale, e non per decreto.
Se invece la mia analisi vi disturba, a voi il compito di giustificare a quale livello della catena la donna verrebbe estromessa dalla carriera politica e quindi dalla possibilità numerica di equiparare la corrispettiva parte maschile.
Maurizio, probabilmente mi sono espressa male, perché io non ritengo nella maniera più assoluta che “l’essere donne sia sufficiente a garantire una comunanza di idee, oltre che di genere.”, così come non credo proprio che una maggiore presenza femminile sia garanzia della possibilità di costruzione di una visione nuova (e possibilmente migliore) di questo paese. E non lo credo non in via pregiudiziale, ma osservando la realtà dei fatti. Un discorso come il mio presuppone una scelta di campo precedente alla candidatura non come se fossero già noti a priori gli interessi, ma proprio per definirli perché poi con questi interessi dobbiamo fare i conti tutt* ed è forse questo che sfugge alla metapolitica: che la politica non deve parlare di se stessa, ma dare una risposta ai bisogni della collettività. Allora, come donne, discutiamo di questo: quali sono i nostri bisogni? E ne risulterà che non sono gli stessi per tutte. “indipendentemente da come la si pensa e dallo schieramento di apprtenenza, e qualsiasi sia il sistema elettorale, deve essere garantita la rappresentanza femminile”. Non concordo, perché, come ho già detto in questa sede, quando poi mi ritrovo una Gelmini all’istruzione e ne devo subire la riforma, non mi consola, né mi esalta il fatto che porti la firma di una donna. Con lei non ho nulla in comune, a parte il genere, che considero niente di più di una costruzione sociale che produce gerarchie di potere. Mi piacerebbe che la politica delle donne fosse volta a smantellare questa costruzione sociale, non ad assumerla esse stesse, riproducendo in questo modo quelle gerarchie di potere di cui in troppe, ma guarda caso non tutte, paghiamo un prezzo carissimo.
Quanto all’articolo della Bongiorno, mi sono fermata all’esordio. Mi è bastato leggere delle “donne di valore” nei ministeri che contano per abbandonare la lettura.
Mi tocca dare ragione a hommequirit. Tranne ovviamente per il passaggio “alle donne non interessa più di troppo” : io credo che dietro questo fatto ci siano problemi di educazione, di immaginario e di tempo (non dimentichiamolo!).
Ma no: non credo alle quote rose (anche se funzionano). Credo – come dice hommequirit – che sia necessario “mparate a convincere le donne a partecipare davvero”.
Questo ovviamente passa anche attravero mosse pratiche: la rimozione degli ostacoli che le donne incontrano nel fare politica: mancanza di tempo (e quindi: congedi di paternità oblligatori, per esempio), pregiudizi sessisti ( quindi: educazione non sessista), etc..
@ homme, “Nel momento in cui il suffragio è universale a tutti i livelli di cittadinanza, l’introduzione di quote rosa, qualunque forma assumano, è semplicemente la ratifica di un fallimento femminile che andrebbe curato per via culturale”
homme, se fino al giorno prima per secoli le donne erano considerate cittadini di razza inferiore e deficiente (ad esempio nel 1895 escluse dal diritto di voto insieme a “gli analfabeti … gli interdetti e gli inabilitati”), e in ogni caso con meno diritti, poteri, opportunità ecc. non è che dai loro il diritto di voto e dal giorno dopo hanno recuperato il divario. Persino la prima stesura del decreto del ’45, mentre concedeva alle donne il diritto di voto, non menzionava però il loro diritto a essere elette. Mia nonna, che è ancora viva, è cresciuta pensando che non era degna neppure di andare a scuola, figurati dire la sua sul futuro del paese. Mia madre è cresciuta studiando a scuola economia domestica (cioè che il posto di una donna è la casa)… Non per fare vittimismo, eh.
Insomma concordo che la cura sia culturale, ma provvedimenti antidiscriminazione potrebbero essere un buon accelerante, o almeno tali si sono dimostrate in altri paesi.
Credo che una situazione di palese svantaggio richieda, per essere superata, qualche strumento anche rozzo, come possono essere le quote rosa (denominazione orribile). Almeno nel breve periodo. E’ chiaro che ci possono essere valanghe obiezioni di principio contro simili strategie, dalle quali argomentazioni depennerei però quella che fa perno sul merito, se a far fede sulle competenze deve essere l’attuale classe dirigente, eletta senza quote rosa. Gli assertori di questa posizione dovrebbero riflettere su quali sono le caratteristiche che attualmente danno vantaggio in una competizione elettorale: siamo proprio certi che sia proprio la competenza ad essere premiata? Si tratta di fare qualche forzatura, e come sempre è una questione di misura e di sensibilità. Per quanto mi riguarda penso anch’io, entrando nel merito del documento, che la forzatura dovrebbe fermarsi al llivello di costituzione delle liste (e quindi di quote rosa), e non arrivare ad obbligare l’elettore a una preferenza di genere, che a me risulterebbe odiosa. Credo che si dovrebbero mettere in campo misure massicce per conseguire l’obiettivo di un effettivo coinvolgimento delle donne nelle responsabilità politiche e lavorative: per giustizia, ma anche perché la situazione attuale non consente alle società di tenere nella retroguardia un esercito di riserva, rinunciando ad impiegare i talenti che in quell’esercito si nascondono. Il disagio delle donne nei confronti della politica non può essere un alibi per sostenere che la rivendicazione di un ruolo è mero piagnisteo, non supportato da adeguato impegno. E’ un problema da risolvere, per il quale non esistono ancora soluzioni di provata efficacia. Quindi, ben venga anche la sperimentazione, purché si sia pronti a rapidi aggiustamenti se ci si rende conto che qualche strumento è inadeguato.
@Maurizio
Grande errore, Maurizio. Nessuno tiene le donne nelle retroguardie in quanto le donne sono già un esercito di riserva, e senza di loro non potresti far andare avanti il microcosmo del quotidiano che è già macrocosmo della società. Quanto al potere, ricordiamoci che non si prende il potere col merito, questa è una retorica ingenua. Nel nostro sistema il potere si prende con la forza e non richiede rappresentatività di genere per essere funzionale e imporsi all’esercito (di ambo i sessi). È buffo tuttavia che molti tra coloro che invocano quote rosa non si rendano conto che le donne non sono al potere semplicemente perché sono statisticamente ancora meno violente degli uomini e quando sono al potere non hanno nulla di femminile o maschile, ma semplicemente incarnano un ruolo che è asessuato per definizione. Perciò pensare che un potere distribuito più equamente tra i generi implichi una società più rappresentata o comunque migliore è un’indebita ipotesi. In sintesi: o le donne propongono una società diversa in modo intelligente e realizzabile, in cui la rappresentatività al potere implichi ragionate ricadute e dimostrabili benefici sui rappresentati, e allora voto ogni quota rosa possa essere funzionale a ciò, oppure mi dispiace ma se la richiesta è di semplice potere le donne se lo devono prendere con la forza e non vedo perché creare corsie preferenziali nella struggle for life.
A meno che non si voglia pensare, con piglio luciferino, che la richiesta di quote rosa femminile sia una strategia di forza con cui ottenere il potere per concessione maschile.
@hommequirit: vabbè che il mondo è bello perché è vario… ma sei talmente agli antipodi di ciò che io penso e sento che come faccio a risponderti? Qui sono gli assiomi ad essere in discussione. Non dico che tu abbia torto nel descrivere i meccanismi che nella società attuale generano il potere e i suoi gestori, ma il fatto è che io concepisco quei meccanismi come prodotto di una certa determinazione delle circostanze storiche e quindi modificabili in un senso che ritengo essere vantaggioso. Tu invece – mi sembra di capire – concepisci come privo di senso porsi il problema dell’equità e quello della convenienza o meno del persistere di questi meccanismi. Venuta a cadere l’illusione del “calculemus” di Leibniz, che Godel e in modo non formalizzato anche Kant hanno dimostrato essere impossibile anche all’interno di un sistema di assiomi condiviso… come possono pensare di pervenire a una soluzione per via logica due persone come me e te, che non condividono manco gli assiomi? Sia detto senza alcuna acrimonia, ma politicamente siamo inesorabilmente destinati ad essere avversari…
@Francesca
Ma il mondo sta già diventando delle donne, fortunatamente. Tutti gli indici di alfabetizzazione superiore di tutti i Paesi occidentali ci dicono che le donne licenziate dall’università sono più preparate e in numero maggiore, che nel tempo guadagnano sempre più e partecipano alla vita politica, seppur con marcate differenze tra Paesi per via dell’inerzia di un effetto volano interno. Perciò guardiamo le cose con il giusto ottimismo, perché è solo una questione di tempo e nessuno, ripeto, nessuno può negare che la condizione della donna è una marcia unidirezionale verso la parità in ogni contesto.
Quel che lamentate voi è solo un problema di tempo, un’aspettativa frettolosa sul processo che è già in atto. Fate benissimo, ma rischiate di vedere più nero di quanto sia in realtà.
@Maurizio “Venuta a cadere l’illusione del “calculemus” di Leibniz, che Godel e in modo non formalizzato anche Kant hanno dimostrato essere impossibile anche all’interno di un sistema di assiomi condiviso… come possono pensare di pervenire a una soluzione per via logica due persone come me e te, che non condividono manco gli assiomi? Sia detto senza alcuna acrimonia, ma politicamente siamo inesorabilmente destinati ad essere avversari… :)”
Invece io ripropongo proprio il calculemus leibniziano visto che Kant ha dimostrato solo che non ha senso porsi questioni metafisiche mentre Godel ha dimostrato solo una proprietà dell’aritmetica nel suo teorema dell’incompletezza – mentre per esempio la geometria è invece consistente e quindi coerente e completa, ma suppongo che chi sia affascinato dai limiti conosca più i risultati di Godel che di Tarski.
Ma in entrambi in casi nulla ha a che vedere con il problema degli assiomi tra di noi, perché nelle premesse siamo d’accordo. Credo che però lei scambi le premesse con i fini, che altra cosa. È quindi nei mezzi per realizzare quei fini che invece probabilmente divergiamo. Per questo raccolgo il suo invito al calculus. Se riesce a dimostrare di poter realizzare quei fini con i mezzi che propone mi iscrivo.
Sì, completezza dei sistemi logici e incompletezza dell’aritmetica, ok… ma francamente non mi pare che possa essere il calculemus la via per risolvere le questioni di genere. Come non lo è mai stato per alcuna questione politica. Sarà pure la forza il motore vero, come sostiene lei, ma non mi interessa stare al mondo solo per prendere atto di ciò che è. E in mancanza di qualcuno che sia in grado di provare incontrovertibilmente che certi meccanismi non possono essere cambiati, perseguo l’obiettivo di cambiarli. O lei è forse in grado di dimostrarmi che è più desiderabile, per l’individuo o la collettività, lasciar perdere?
@Maurizio
Non rivolti la frittata. Io non sostengo che la forza è il motore vero ma che la forza sia lo stato di fatto nella presa del potere attuale, perciò pretendo che se devo favorire il genere femminile nella sua scalata al potere è solo a patto che si voglia cambiare il sistema violento, non occuparne i posti. Anche perché non mi pare che qui si stia parlando del diritto di rappresentanza lavorativa nelle professioni edili o nelle miniere, luoghi da cui giustamente le donne non sentono il bisogno di parità di genere, ma di posizione chiave del potere politico ed economico.
Se permette sta a lei e alle donne che reclamano quote rosa d’ogni ordine e grado l’onore della prova persuasiva che ciò che si propone sta in piedi, non a me. Ma delle sue righe mi pare che lei voglia sentirsi migliore per il solo fatto di battersi il petto della retorica. Soluzioni, non sogni.
@hommequirit: devo dire che trovo particolarmente estenuante interloquire con lei, nonostante, mi creda, sia sinceramente ammirato dalla sua stupefacente capacità di orientarsi in una foresta di cavilli, distinguo, microclassificazioni, minuzie, astuzie, i col puntino, puntigli, virgole, contrappassi e contrappunti. Sarei quasi tentato di discutere a fondo con lei. Peccato che l’inestricabile groviglio intellettuale che sopra ho vanamente tentato di descrivere senza avere la capacità letteraria che sarebbe necessaria per rendere un simile prodigio inviluppi a tal punto la sua innegabile cultura da renderne indistinguibili gli spunti, con conseguente irrilevanza delle posizioni che ne conseguono. E quindi ritengo più produttivo convogliare altrove la spaventosa quantità di energia che mi costerebbe sostenere una tale discussione, per un esito che comunque non uscirebbe dallo stato di irrilevanza.
Cordialità