A proposito di complessità, di asticelle e tutti quei discorsi dei giorni scorsi che infiniti addussero articoli e guai. Ho visto Midnight Mass, che è una serie televisiva, su Netflix, diretta da Mike Flanagan dal romanzo di Paul Wilson. Bene, è bellissima. Eppure i materiali di partenza non facevano ben sperare: intanto, il romanzo di Wilson (che venne pubblicato dalla benemerita Gargoyle) era il classico apocalittico con vampiri, e umani coraggiosi che si oppongono alla distruzione generale. Avevano fatto di più e meglio Guillermo del Toro e Chuck Hogan con The Strain (e la trilogia di romanzi Nocturna). Quanto a Flanagan, mi aveva dato un colpo al cuore con il pessimo adattamento cinematografico di Doctor Sleep di Stephen King (poco meglio era andata, ma poco, con Il gioco di Gerald). Però, aveva firmato una serie molto contestata ma che ho molto amato, The haunting: due stagioni tratte rispettivamente da Hill House di Shirley Jackson e Il giro di vite di Henry James. Stagioni che tradivano decisamente i testi originali eppure, insieme, li rispettavano e li trasformavano: specie per quanto riguarda Hill House, la sceneggiatura era fittissima di rimandi al romanzo, dalle filastrocche alle citazioni ai nomi. Era un’altra storia, certo: ma era una bella storia.
Midnight Mass riesce a fare proprio quello di cui lamentavo l’assenza: moltiplicare la complessità, aumentare le porte d’ingresso alla trama, trasformare un romanzetto godibile ma abbastanza inutile in un grande testo sulla comunità, sulla morte, sulla fede. La storia è in apparenza semplice: c’è un’isola di pescatori, Crockett Island (al solito, le isole si confermano il luogo privilegiato per le storie fantastiche: sì, Squid Game inclusa), con le sue esclusioni e inclusioni, con uno sceriffo di fede musulmana che fatica a venir accettato dalla parte più bigotta e fanatica degli abitanti, capeggiata dalla perpetua Bev (sorella della Margaret White di Carrie, o della Mother Carmody di The Mist: ma apparentemente più ragionevole), una maestra incinta, un giovane uomo che torna dopo aver scontato quattro anni di carcere per aver provocato la morte di una ragazza mentre guidava completamente ubriaco, una ragazzina, Leeza, sulla sedia rotelle perché un altro alcolista del paese, anni prima, ha sparato alla cieca, colpendola, una dottoressa che si prende cura della madre malata. Un paese, insomma. Il paese è povero: crisi economica, uno sversamento di petrolio che ha reso la pesca difficile e che ha comportato solo un risarcimento esiguo, poche prospettive. Eppure, sembra aprirsi uno spiraglio di speranza quando sbarca sull’isola padre Paul, un giovane sacerdote che sostituisce il vecchio pastore, che a quanto pare necessita di un periodo di riposo. Paul conquista i suoi parrocchiani parlando insistentemente di resurrezione: narra di morte e di vita dopo la morte, di fiducia in Dio e di una ventura uscita dalle tenebre. La Pasqua, certo. Ma non solo: quello che prospetta è un disegno divino di rinascita miracolosa per tutta l’isola. E qui, doverosamente, mi fermo.
Ora: qualcuno potrà trovarlo “lento”. Non ci sono effettacci (o meglio: sì, ci sono, ma solo dopo una lunga bonaccia, e sono così diluiti che quando arrivano hanno il triplo della forza). C’è un’atmosfera oscura che puntata dopo puntata si addensa sui personaggi, a volte niente più di un presagio, altre una cupa malinconia che pesa sul cuore e che spinge alcuni personaggi a dialogare sulla morte, e su cosa significhi, e su cosa avverrà dopo. Su tutto, i salmi e gli inni che accompagnano chi guarda,e tutti i vincoli, anche, della colpa che la fede infligge. Anche padre Paul pone la morte al centro dei suoi discorsi, pur esortando a guardare a quell’oltre con fiducia, perché arriverà il tempo in cui la morte sarà sconfitta. Sì, è una serie costruita sui dialoghi e sui monologhi: non una parola lasciata al caso, e letteraria (ebbene sì) in più di un’occasione. Con uno sguardo insieme impietoso sulle piccole comunità e contemporaneamente pieno di speranza in ciò di cui gli esseri umani sono capaci.
Non piacerà a tutti, ma se c’è una serie che declina l’orrore nel suo significato più alto, è sicuramente questa. E certe visioni, fatemelo dire, valgono un libro, se quel libro lascia indifferenti alla fine della lettura: non questa storia, per niente.