Due notizie, anzi tre.
La prima è personale: ieri sera ho finalmente messo la parola fine al libro sulla vecchiaia (femminile e non solo). Dopo quasi due anni: sollievo e anche un po’ di malinconia, come avviene tutte le volte che occorre lasciar andare un testo.
La seconda è politica. Da un articolo di Anais Ginori per Repubblica apprendo che la mia molto amata Elisabeth Badinter è tornata alla carica con un saggio sulla (contro la) Madre perfetta. Ovvero:
«Sono una madre mediocre e rivendico il diritto a esserlo», spiega lei, femminista storica e mamma di tre figli. Il libro arriverà nelle librerie francesi tra pochi giorni ma le prime anticipazioni hanno già provocato spaccato in due l’opinione pubblica, divisa tra elogi e contumelie. “Il Conflitto. La donna e la madre”, pubblicato da Flammarion, è un lungo atto d’accusa contro la retorica familistica imperante. Ma è anche un’amara presa d’atto. La famosa conciliazione tra lavoro e famiglia, tanto auspicata alla fine degli anni Settanta, è ancora impossibile. La rivoluzione femminile non ha portato pari opportunità nel mondo del lavoro e così spesso le donne devono scegliere tra professione e desiderio di maternità: diventano, scrive Badinter, ostaggio di questo conflitto. Per la filosofa francese, il nuovo pamphlet è il seguito ideale di L’amore in più (1980) che già si scagliava contro la teoria dell’istinto materno innato, sul quale le femministe discutono da decenni. Ora invece denuncia la cancellazione della “ambivalenza” nella maternità. L’essere madre oggi non prevede sfumature, contraddizioni. Soltanto un modello di perfezione al quale omologarsi. La conclusione è ironica, ma neanche troppo: il dominio maschile è stato sostituito da quello del bambino, piccolo tiranno che detta legge in casa.
Al fondo di tutto c’è la colpevolizzazione delle donne. Che si sentono sempre in affanno, inadeguate. Badinter identifica nei primi anni ’90 il momento in cui è iniziato il declino. Con la crisi economica di allora, le donne sono state costrette a tornare tra le mura domestiche, ad accudirei figli. «Da quel momento – analizza la filosofa – non siamo più andate avanti». Le lavoratrici guadagnano ancora il 20 per cento in meno dei colleghi, sono le prime licenziate e hanno spesso impieghi precari o part time.
Nell’ultima parte del libro, Elisabeth Badinter attribuisce colpe e responsabilità di questa involuzione. Ed è questo il passaggio che sta suscitando più reazioni.A suo parere, le prime indiziate sono le neofemministe che hanno sposato la retorica familistica. Seguono poi alcuni psicologi infantili, che scoraggiano le madri lavoratrici, fino ai militanti della Lega Latte e persino agli ambientalisti che costringono la donna a tornare nei ruoli più tradizionali.
«Badinter è una vetero-femminista che rifiuta la maternità», ha commentato Edwige Antier, deputata del partito di destra Ump e psicologa. «Forse – aggiunge – non ha capito che le donne oggi scelgono liberamente di non rinunciare al desiderio di maternità. È un progresso, non un arretramento». Anche la leader dei Verdi, Cécile Duflot, si è sentita chiamata in causa. Ha 34 anni, quattro figli, eppure sta girando la Francia per la campagna elettorale delle regionali. «Rimettere la natura al centro delle nostre vite non vuole dire accettare per forza un modello patriarcale. Quello di Badinter – ha detto Duflot – mi sembra un approccio sbagliato e soprattutto un po’ datato».
Ho una gran voglia di leggerlo.
Terza notizia, dal New York Times. Ultima tendenza editoriale americana: offrire download gratuiti su Amazon del proprio libro in formato ebook. Per incrementare le vendite cartacee del medesimo. Già sentito, vero?
Il vero problema, dice Brunetta, non è allevare figli (conciliando maternità/paternità e lavoro), ma riuscire a buttarli fuori da casa una volta che abbiano raggiunto la maggiore età…
Buongiorno,
il mio commento forse sarà banale, ritengo che la genitorialità non sia un diritto ma una libera e soprattutto ponderata scelta.
Ha senso diventare genitore quando si lavora per otto/ dieci ore e più ?
Vale anche per i padri, per il momento solo le donne, vuoi per cultura indotta, vuoi per comodità hanno deciso di “sacrificarsi” per la causa.
In un famoso paese nordico obbligano i padri a prendere il congedo parentale, come mai si deve obbligare? Perchè la cura, la crescita di un altro essere umano è considera unanimemente un lavoro poco qualificato, abbruttente e svilente? Forse perché non è retribuito?
Me lo chiedo da anni, non vedo luce, non vedo chiarezza in merito e tante, tantissime volte, pur amando mio figlio, preferirei, anche per poco tornare indietro.. Di che cosa abbiamo bisogno, noi donne e uomini a questo punto? Del riconoscimento sociale? Della pacca sulla spalla? Io leggo, mi informo, rifletto , valuto, studio per diventare “una madre sufficientemente buona” eppure qualcuno, pensi, che riconosca questo impegno? No, tanto tutti sono capaci di diventare genitori!
Mary
1. in bocca al lupo con il libro.
2. mi piace la tendenza editoriale di cui sopra e auspico che la guerra in corso tra amazon e apple non faccia troppi danni. Sarà sempre troppo tardi quando i nostri editori adotteranno le stesse tecniche di marketing sul digitale.
3. un argomento sicuramente scottante. Ma ti pongo una domanda, l’autrice parla di sensi di colpa delle madri. Io mi domando e vi/ti domando come mai nessuno si sofferma su quelli dei padri? A me capita spesso di sentirmi assente, perché il mio lavoro mi fa oggettivamente essere tale e come me immagino molti altri uomini. Allora forse La questione è come chi lavora sia masticato dal sistema senza avere la benché minima possibilità di scelta.
La parte più interessante o allarmante di quanto propone Badinter, secondo me, è quella del bambinocentrismo, che è così oscenamente vera da non venir nemmeno contestata dai detrattori. Ma “oggi” non è esattamente il bambino a dettare legge (un certo tipo di bambini lo ha sempre fatto, come nel racconto di Buzzati Il tiranno): è l’immagine del bambino, vero e proprio flic-dans-la-tête per troppi disgraziati genitori…
Paolo c’è pure da dire che da genitore se tuo figlio eccede nei capricci un sana sculacciata non ha mai ucciso nessuno eh. Solo che oggi si teme di procurare danni psicologici alla creatura se quando fa i capricci non glieli si passa tutti. Mi spiace ma qui ha perfettamente ragione lei a dire che siamo una massa di rimbambiti a dargliele tutte vinte, il ruolo di un genitore deve essere educativo, e l’educazione passa attraverso dei no, difficili da dire, ma utili alla formazione della persona. Ma i genitori di oggi no non sanno più dirlo. Ahiloro.
Calma e sangue freddo: Badinter è una filosofa, non una pedagoga, Eleas. Qui non si tratta di sculaccioni, ma di meccanismi sociali e culturali complessi, e che è importante decifrare.
Anche per trovare una risposta alle domande che pone Mary.
loredana capisco perfettamente, ma quando parla di “dominio maschile… sostituito da quello del bambino” sfora in un ambito pedagogico rilevando credo un dato di fatto.
Le domande di Mary specie sul congedo parentale maschile sono estremamente interessanti, MA anche qui a me ai tempi sarebbe piaciuto poterlo prendere peccato che avrei subito delle inevitabili ritorsioni lavorative. E credo che molti italiani siano in questa condizione.
Brava per il libro! In bocca al lupo.
Posso dire aggiungere una cosa: c’è una psicoanalista e filosofa che io amo molto Jessica Benjamin – che ha insistito molto su questi temi decostruendo il mito – in psicologia sostenuto con forza per decenni – del mito della madre totalmente dedita al figlio. Madri così producono danni psicologici inenarrabili, la madre non deve esaurirsi nel figlio, ci deve essere uno spazio vuoto di incontro paritario e dispiegamento del se.
Ce lo so che sei incasinata nera. Ma se per caso non lo hai letto, se percaaaaaaaaaaaaaaso ci hai tempo, rimediati “Legami d’amore” di jessica benjamin. er titolo è teribbile e la copertina era rosa! Ma lei è tosterrima.
Credo che non esistano le madri perfette, esiste solo il nostro senso di colpa e lo choc quando constatiamo nei fatti di non essere lontanamente adeguate al modello che ci viene proposto come “innato”, il senso di colpa quando la presenza del figlio ci pesa, la stanchezza ci opprime, la realta’ fa a pugni con le intenzioni.
Basta leggere certi testi, certe rubriche sui giornali (non solo su questo argomento) per capire come la ricerca della perfezione, in una donna, sia data per scontata, fino a sconfinare nel grottesco.
La frustrazione perenne che ne deriva e’ un corollario non preso in considerazione. Non presi in considerazione sono anche l’autolesionismo, il disagio, lo scaricare sugli altri le proprie ansie o il rivolgerle contro se stesse.
Avevo letto “l’amore in piu’ “, a suo tempo. Cerchero’ di procurarmi anche questo, sembra molto interessante.
Probabilmente dico delle ovvietà, però a mio parere i problemi sono questi:
1. al mito della “madre perfetta” non si affianca il mito del “padre perfetto”. E dallo squilibrio simbolico a quello economico-sociale il passo è mediato ma breve.
2. il diritto a essere madre mediocre mi sembra chiaramente una provocazione, derivante dal luogo comune che la donna che sceglie – liberamente – di privilegiare la famiglia rispetto al lavoro fa una scelta coraggiosa. Sarò cinico e miope, ma se quello della madre è un lavoro, mi sembra uno dei pochi impieghi rimasti a tempo indeterminato e senza rischio di licenziamento (Erike e Omari a parte), quindi il discorso del coraggio è relativo.
3. la tirannia del bambino, per me, deriva dall’incertezza sul ruolo della famiglia verso i figli: mantenerli e sostentarli almeno sino alla maggiore età, ok; dargli un’istruzione di base propedeutica all’ingresso nella scuola, auspicabile; insegnargli i principi morali necessari alla convivenza civile, mi sembra il minimo. E poi? Garantirgli il diritto al gioco, ma sino a che punto prima che si trasformi in edonismo sfrenato? Proteggerlo dai pericoli sociali, ma sino a che punto prima di degenerare nella gabbia dorata?
A livello politico queste domande non incontrano particolare interesse; gli unici che parlano di famiglia sono ministri di ambito economico (Padoa Schioppa e Brunetta), con la retorica dei bamboccioni che si applica ai giovani che escono di casa, quando si dovrebbe affrontare ciò che avviene all’interno della casa stessa.
curioso che proprio ieri mi sia capitato di vedere l’ultimo programma della serie “the British family” su BBC e anche li’ la giornalista (la brava Kirsty Young) commentava che la societa’ in UK e’ diventata child centric negli ultimi decenni. Non fra le madri soltanto, ma nella sua interezza. Uno dei commenti che mi aveva colpito era legato al concetto di figli come scelta, che notava anche Mary nel secondo commento: se sono una scelta allora vuol dire che abbiamo ponderato altre cose, magari scartandone qualcuna, e quindi bisogna “giustificare” questa scelta, da cui l’inconscio (o conscio!) investimento eccessivo di risorse perche’ la scelta diventi di successo e non ci crei dissonanza.
Solo per farti i complimenti e gli auguri per la chiusura del libro.
Sul resto ho solo idee confuse.
Forse l’idea che la donna debba essere perfetta per qualcuno c’è sempre stata: perfetta genitrice (cioè fertile per fare l’erede all’uomo), perfetta donnina di casa- cuoca-massaia (per trovare marito e tenerselo), perfetta donna in carriera (che dimostrasse all’azienda l’abnegazione prima riservata alla casa), più recentemente perfetta partner sessuale, perfetto corpo (ricordo bene qualche anno fa l’ansia nel leggere la sfilza degli articoli di Cosmoplotian del tipo: glutei perfetti?Ecco come!). A me non stupisce che ora sia il turno della perfetta mammina. Ci vuole calma e gesso, per non farsi schiacciare. Ora e sempre. E fortuna. E che se ne parli.
…e a presto leggere la sua nuova fatica, LL!
Per supermambanana e tutti.
In che senso la scelta deve essere di successo. Forse non ho capito il tuo punto di vista.
Metto al mondo un figlio, mettiamo il caso, spero sia il più frequente, di farlo nascere nel pieno delle nostre facoltà mentali, quindi per quella sera o più sere sesso non protetto; orbene sono o non sono a conoscenza delle inevitabili responsabilità che letteralmente graveranno sulle mie spalle dal giorno del primo vagito del pargolo o della pargola?
Mettere al centro le proprie responsabilità che poi sono i diritti del nascituro fino a che punto si possono considerare cari alla tesi del bambinocentrismo? E certamente lo stesso , almeno nella mia piccola opinione, è altrettanto auspicabile per chi decide di diventare genitore adottivo.
Lo so, faccio solo domande. Le risposte non le ho ancora trovate. Ed è per questo sono qui.
A 20 anni lessi Badinter “Storia dell’amore materno”. Ne rimasi affascinata e provavo una forte concordanza di sentimenti, una corrente sotteranea, la stessa che ho provato negli scritti della Lipperini, della Belotti e di tante “altre”… Eppure a 35 anni ho deciso di avere un figlio consapevole che mi avrebbero obbligato a lasciare il lavoro, non voglio scivolare sul privato e quindi sul patetico ma come me, altre donne si trovano nella stessa situazione, indecise, sempre a metà. In più, se madri di un figlio maschio, l’onere terribile di educarlo al rispetto del genere femminile. (brutta frase quest’ultima, sa di trito e ritrito ma non sono una buona scrittrice!).
Ultima domanda : “Un figlio maschio che vede la su mamma interessata-colta-lettrice-blogger-volontaria-manifestatrice-cuoca e chi ha più fantasia aggiunga per favore- NON Lavoratrice/Retribuita che idea si farà?”
Ok. Per oggi ho dato abbastanza. Adesso mi bevo un bicchiere come fanno le brave casalinghe disperate.
Buon pomeriggio.
Mary
Ovviamente non ho le risposte, Mary. Magari le avessi e magari ce ne fossero di certe.
Quello che io trovo coraggioso e giusto in Badinter è ribadire proprio la “scelta” della maternità, contro chi sostiene che è “istinto”. Sull’obbligo alla perfezione delle madri, che ho tentato di affrontare anche in “Ancora dalla parte delle bambine”, non posso che concordare quasi a priori con Badinter. Del resto, dalle donne ci si aspetta perfezione: fisica e non solo.
Questo, dal punto di vista culturale. Dal punto di vista sociale si apre un discorso gigantesco.
interessante la questione della perfezione e allora mi vengono in mente anche a me una serie di domande: ma non è forse vero che anche dall’uomo la si esige? Perfetto partner, perfetto fisico con tartaruga girata dal lato giusto non come la mia che s’è ribaltata, perfetto il conto in banca, perfetto a letto, perfetta la carriera lavorativa.
Allora domanda numero due: non è che la questione della perfezione prescinde dai generi ed è una patologia del nostro assurdo modo di vivere?
Non amo la perfezione, soprattutto quando serve (come nelle madri) ad esaurire un ruolo, anche “sociale”. Credo invece nella capacità di interagire con quei piccoli despoti proprio per evitare che lo diventino: perché poi l’educazione costa fatica e intervenire sui comportamenti vuol dire fare proprio educazione.
Mi piace inoltre la partecipazione alla vita dei miei figli, al di là degli spazi di lavoro (scelgo spesso loro invece del lavoro) e penso che “mettere le mani dentro la merda” della vita e degli accudimenti non sia così drammatico: sarò un po’ grullo ma il benessere che se ne ricava (e niente affatto con spirito “missionario”) ripaga di tanto.
mary non era il ‘mio’ punto di vista, era uno dei commenti nel programma di cui parlavo, la giornalista notava che per esempio che si parla molto di piu’ dei figli, anche nelle serate fra amici, mentre prima (almeno in UK) non erano argomento di conversazione piu’ di tanto, che molte scelte nella vita si basano su come i figli le percepiranno, mentre prima si agiva in modo piu’ basato sulla coppia e sul lavoro (di entrambi o di uno) e che in media si dedica molto piu’ tempo ai figli ora, nonostante il lavoro delle mamme (ma ricordiamoci che nella societa’ inglese le donne lavorano da piu’ tempo che in italia), mentre prima si stava meno ‘con’ loro in senso stretto (si, erano in casa con la mamma forse, ma la mamma era occupata con le faccende domestiche, non era ‘con’ i bambini in senso stretto), non ricordo ora le statistiche ma la giornalista aveva dei dati numerici sulle ore che in media si passano con i bambini alla settimana. Insomma, erano considerazioni sul fatto che i bambini nell’ultimo decennio specialmente sono diventati al centro di qualsiasi attivita’ della famiglia, mentre soltanto una trentina di anni fa, statisticamente, questo non era valido.
Non avevo notato, alla prima lettura, questo contrasto: quanto la sofisticazione sempre maggiore degli stili di vita faccia leva su un supposto istinto universale.
Ovviamente il contrasto è del tutto apparente, oltreché ‘studiato’: l’istinto naturale è esattamente il falso appoggio di cui la sofisticazione ha bisogno per nascondere sé stessa. Esattamente come certi culturisti che si ipernutrono di proteine citano il cibo e i muscoli dei grandi felini per propugnare una dieta piuttosto squilibrata.
Anche qui, c’è una questione di framing difficile da decostruire…
La mia storia personale si ritrova in quello che dici Supermambana…Io ho passato pochissimo tempo coi miei genitori, all’epoca dei quali sembrava che allevare i figli fosse più che altro un sacrificio necessario. Oggi mi pare che l’allevamento dei figli sia spesso concepito come scelta consapevole (anche se a volte sofferta, quando ad esempio richiede di rinunciare al lavoro). In ogni caso mi sembra che la genitorialità sia oggi vissuta più come un piacere che come u ndovere, e talvolta, vista la congiuntura economica, persino come un privilegio. Un tempo forse si rimpiangeva quello a cui si rinunciava per i figli: oggi si sceglie di farli tardi, dopo essersi quasi nauseati di altre esperienze edonistiche e autogratificanti, e quindi credo sia naturale che diventino poi loro stessi una gratificazione per i genitori, qualcosa anche da godere.
Non vedo l’ora di leggerlo, il libro della Badinter. La sua provocazione è un sospiro di sollievo. Da qualche anno ormai seguo da vicino le maternità di amiche e colleghe, e ho avuto modo di vedere a quante pressioni sociali e culturali siano sottoposte le neo-mamme: a partire dalle ostetriche in ospedale, passando per le mille riviste per genitori, fino a arrivare alle altre mamme. Tutti/e a guardarti con disprezzo se non sai esattamente la modalità con cui fare il lavaggio del naso al neonato, o preferisci l’allattamento ogni tot ore invece di quello “a chiamata”, oppure osi dire di voler tornare presto al lavoro.
Sullo sfondo questo messaggio schizofrenico che mette insieme la volontà di naturalizzazione dell’esperienza (allattamento al seno il più a lungo possibile, cibi biologici, parto il più naturale possibile e dopo poche ore bimbo accanto anche se piange tutta la notte) a una iperscientifizzazione della gravidanza, della cura, dell’educazione. Essere madri diventa una professione ad altissima richiesta di competenza. Beck e consorte parlano di delirio pedagogico, e credo renda bene l’idea. Visto da fuori, da non mamma, pare davvero un processo quotidiano, che non può non portare a misurare costante la propria inadeguatezza rispetto a questo standard iperspecialistico e irraggiungibile. Ed è talmente faticoso e opprimente, che queste donne scompaiono. Molte volte dal lavoro, spessissimo dalla vita pubblica. I padri continuano a discutere di politica, di lavoro, di sport. A fare ogni tanto vita sociale. Le mamme sembrano inghiottite in un buco nero da cui emergono per condividere con altre mamme la loro esperienza. In ufficio passano la pausa caffè o la pausa pranzo a raccontarti dei figli, quando chiedi loro “come va?”. Come se loro non esistessero più.
Anche io non vedo l’ora di leggerlo, anche se credo che sposerò senza ritegno ogni teoria. Non sono madre, per lo meno non ancora. Ma sono circondata da mamme e ne sono affascinata, spesso anche più che dai bimbi. Penso davvero che sia un tema della nostra società e della nostra individualità: credo che sia vero che siamo in qualche modo schiave del conflitto tra maternità e professione (o in senso più ampi realizzazione personale), credo che le aspettative esterne e le pressioni siano altissime, credo che una riflessione seria senza pregiudizi e aperta sia urgente! Il punto non è rinunciare ad avere figli per lavorare o viceversa, il punto è la pretesa di essere perfette in ogni ruolo, che è insostenibile.
p.s. Loredana, complimenti per il libro! Sono certa che mi darà materiale su cui riflettere, pensare, discutere e cambiare idea, come “Ancora dalla parte delle bambine”
@ Sonia C.
Ma dov’è la novità? Secondo me le donne sono tutte sottoposte a enormi pressioni sociali, e negli ultimi anni psicologi, sessuologi, dietologi, stilisti, fotografi, industria, showbiz…hanno detto e continuano a dire di tutto e di più su quanto perfette le donne dovrebbero essere. Le riviste per genitori spesso sono deliranti, ma quelle tipo Cosmopolitan non lo sono anche di più? E le pubblicità di giocattoli per bambine che propongono già un modello di coolness e trendyness? Secondo me la pressione sulle madri va di pari passo con quella sulle bambine, sulle adolescenti, sulle trentenni single, sulle cinquantenni.
E per le conversazioni, io mi ritrovo a parlare solo di figli con persone con cui, anche senza figli, dubito avrei avuto un vivace dibattito sull’ultimo libro di MacCarthy o sulle elezioni in Ucraina.
Sono d’accordo Francesca, sono molteplici le pressioni sociali a cui sono sottoposte le donne nelle diverse età e fasi di vita.
Però mi sembra che alcune pressioni siano state indagate meno di altre. Che per esempio, nonostante la società sia ben lontana dall’essere pienamente consapevole degli effetti, si sia comunque parlato – anche in luoghi più mainstream di questo blog o del dibattito di genere – delle aspettative sul corpo delle donne. Della bellezza come dovuta e stereotipata. Delle donne che non sono più libere di invecchiare (anche se aspetto con molta curiosità il libro di loredana sulla vecchiaia femminile!). Delle adolescenti condannate al velinismo.
Invece non mi sembra che si sia parlato granchè della retorica familista e di quello che significa OGGI per le donne, anche femministe o “emancipate”, in termini di autosegregazione e produzione di sensi di colpa per non essere la madre perfetta. Spero che il libro della Badinter darà l’occasione per farlo.