Questa volta, lo giuro, per puro vizio di cronaca. Perché dopo l’intervento di Tommaso De Lorenzis, sinceramente qui si sperava di non dover più fare cinque passi indietro e tornare alla superata, non proponibile, ingannatrice contrapposizione gialli vs letteratura. L’articolo di Cucchi sembrava l’ultimo, arrivato ormai fuori tempo massimo, da segnalare per poi passare ad altro (e l’altro, e il cuore del problema, è il Termidoro di cui sotto).
Però: se a distanza di pochi giorni lo stesso quotidiano, il Corriere della Sera, torna nuovamente sull’argomento in una delle cicliche interviste sull’impegno, stavolta ad Enzo Siciliano, beh, la cosa va forse almeno rilevata. Se non altro per la singolare insistenza sul punto: anzi, per quella che, nella sua domanda, l’intervistatore ammette essere “l’ossessione del giallo” (ossessione che affligge però il Corriere, temo, più che i suoi interlocutori).
Stralcio dalla parte finale dell’intervista:
E che cosa c’è di nuovo sotto il sole?
«Una voglia di narrazioni fondate sull’esperienza, un bisogno di testimonianza. Leggo tanti ragazzi tra i 20 e i 30 anni che scrivono di esperienze vissute con un occhio allo stile e con una notevole forza espressiva e inventiva. Il filone è quello che Guglielmi avrebbe definito dei franchi narratori, non secondo uno schema neorealistico, cioè epico-lirico, ma più testimoniale, con una voglia di presa diretta sulla realtà».
Con qualche facile moda. Per esempio l’ossessione del giallo:
«Mi sembrano un giochino, una malattia infantile della letteratura italiana, un tipo di impacchettamento kitsch e un po’ provinciale rispetto alla grande tradizione americana. Una scimmiottatura».
Veniamo ai nomi. I nati con la rivista (Nuovi Argomenti, ndL): Affinati, Albinati e Picca. Di Piperno si è detto:
«Un vero narratore anche quando scrive di critica: è il suo talento, leggendolo avverti una specie di musica, senti che le note cadono giuste sul pentagramma».
Altri: i giovani Leonardo Colombati e Mario Desiati. Una delusione per l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi:
«Non mi convince, lo sento diminuito nell’estro ironico, un po’ troppo fabbricato rispetto al talento delle Cronache italiane o degli Sfiorati ».
Poca fiducia in Alessandro Baricco:
«È un manierista di se stesso, in cui sento il vezzeggiamento stilistico, un lavoro di uncinetto fine a se stesso».
Un ex-pulp come Ammaniti?
«A me interessano i narratori veri e lui lo è. Sento nei suoi racconti un’ampia disponibilità di conoscenza nei confronti della vita e del mondo. Io non ho paura è un’esplosione di novità».
Ho letto l’intervento di Siciliano e condivido il peso alla questione che emerge dall’intero articolo. Ovvero non è rilevante, non è quello il problema della letteratura italiana.
Il provincialismo di cui parla Siciliano a mio parere sta nel continuare a riaffermare che ci siano due letterature, una di serie A e una di serie B.
E’ una finta questione…
“Mi sembrano un giochino, una malattia infantile della letteratura italiana”
Ma queste affermazioni a cosa si attaccano?
“…un’esplosione di novità”.
bum.
Un vero narratore oggi?
E’ un tema complicatuccio questo. C’è il problema delle mode editoriali (più che letterarie) che non lascia focalizzare bene l’argomento.
Oggi c’è di tutto sotto il sole: gli immeritevoli “100 colpi di … spazzola” e la talentosa Silvia Ballestra.
E ci sono anch’io, anche se il sole non mi bacia.
😀