“Bisogna prima creare l’orrore, il disgusto insopportabile – e nel caso della chirurgia estetica un vero e proprio odio per la parte – affinché la ricerca del bello diventi una vera e propria motivazione esistenziale. Bisogna che si crei un disagio, bisogna sottrarre agli individui ogni amore di sé”.
“La chirurgia estetica distrugge non il nostro corpo, ma l’adesione al nostro corpo. Ci separa da noi stessi, ponendo il problema paradossale dello stare bene “con se stessi”. Si può stare bene con sé solo se prima è avvenuta una separazione, dovuta a disprezzo, dal proprio corpo”.
Qualche consiglio di lettura prima che l’anno finisca: comincio con un piccolo quanto prezioso saggio di Tommaso Ariemma, “Contro la falsa bellezza”, pubblicato dal Melangolo. Negazione del pluralismo estetico e strategie dell’ordine, Nip & Tuc e Foucault.
E, soprattutto, la portata politica di quella che sembra una moda.
E’ quello che nel marketing si dice “creare il bisogno”; lo so fa anche con le “malattie”: ad uno che magari con la sua timidezza conviveva in maniera relativamente serena lo si convince che soffre di una patologia che richiede ansiolitici e il gioco è fatto.
Pecunia non olet…
sembra lo script per un pre/sequel di brazil.O six feet under
http://8106.tv/blog/audio/2010_11/idiot.mp3
Della sottrazione dell’amore di sé, e delle sue conseguenze, le donne ne sanno davvero qualcosa, e, come scriveva Leopardi nel ‘Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani’, la lotta di tutti contro tutti è possibile a partire in primo luogo dalla mancanza di stima verso se stessi. E tante conseguenze politiche le aveva già intuite e raccontate in quel bel saggio, dove scrive che “il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.” Per l’Italia, è una lunga storia. Bel consiglio, che seguirò immediatamente.
Giusto. Senza dimenticare, peraltro, che la chirurgia plastica, quando è ricostruttiva, quando cioé interviene per rimuovere gli effetti devastanti di un trauma, magari al volto, per cancellare una cicatrice deturpante, o anche le stesse protesi dopo un intervento di chirurgia per un tumore al seno, va proprio nella direzione opposta, cioé aiuta a ristabilire “l’adesione al nostro corpo” (parole, queste, veramente azzeccate).
Premetto che non ho letto il libro di Ariemma ma che mi sembra molto interessante e quindi lo cercherò.
Sulla citazione mi vengono in mente due cose.
La prima è che non si può dissociare l’estetismo chirurgico da un più generale progressismo tecnologico che è stata l’anima trasversale del capitalismo avanzato (la natura è de destra ecc.) e su cui forse sarebbe ora di fare un po’ di autocoscienza.
La seconda è che, quando sento dire che a Milano alcune signore-bene regalano “una taglia in più” al compleanno della figlia diciottenne, oltre a cercare la pistola (azz…non l’ho mai avuta) penso che la categoria religiosa del peccato d’orgoglio spiega molto più della pressione sociologica delle mode certi comportamenti e, per quanto mi riguarda, se fossi una donna non credo che la solidarietà di genere mi impedirebbe di considerare queste signore delle pericolose criminali da rinchiudere.
“Si può stare bene con sé solo se prima è avvenuta una separazione, dovuta a disprezzo, dal proprio corpo.”
Si può stare bene senza arrivare a questo punto. Mente, spirito e corpo formano un insieme: se si accetta questo, si è a un buon punto. Il corpo lo si può curare, anche migliorare senza trasformarlo, soprattutto accettarlo perché non è stata una nostra scelta averlo e non guardare a quello che vogliono gli altri, ai modelli costruiti per creare profitto, ma quello che si vuole personalmente.
Non voglio entrare il merito alla questione spinosa della ‘tecnocrazia’ e meno che mai della dicotomia tecnica/natura, ma a me pare che prima della possibilità tecnica di intervenire sul proprio corpo, ci sia l’induzione manipolativa a ‘voler’ intervenire sul proprio corpo.
Così, perlomeno, mi pare di aver capito dal post di Loredana.
Che non esisterebbe se non fosse prima passata l’equazione
si può tecnicamente fare=è lecito fare
cioè la sostituzione dell’agire tecnico all’etica dell’azione
dopodichè chirurgia estetica, eugenetica più o meno mascherata e altre a amenità migliorative diventano l’ineluttabile
Scusa valter, ma a me questo determinismo tecnologico non ha mai convinto, faccio fatica ad accettarlo (limiti miei, probabilmente) ma, ammesso anche che ci sia, siamo sicuri che un’azione ‘naturale’, non determinata dalla tecnica sia di per sé libera, non eterodiretta, e dunque ‘etica’?
Sempre difficile spiegarsi senza banalizzare.
Dunque, diciamo che c’è un punto oltre il quale l’homo sapiens e faber, che nasce trascendendo la datità dell’ambiente naturale, come direbbe Marx “producendo da sè i propri mezzi si sussistenza” e con essi linguaggio e identità, giunge alla negazione della condizione creaturale, al delirio di autopossesso, il che secondo me è meravigliosamente adombrato dal mito di Faust, l’uomo che chiede più tempo e più vita per dare compimento al proprio sogno di auto-formazione, a qualsiasi costo, anche a costo di sacrificare gli altri (leggasi Margherita).
Questa soglia è stata garantita fino a un certo momento dal “sacro” che proteggeva il mistero della vita e poneva la dignità della condizione umana nel suo statuto creaturale, e la suprema libertà nella sua accettazione.
Non certo l’ateismo ideologico ma il superomismo pratico della modernità è responsabile insieme dell’orrore per la propria condizione (solo lo sguardo di un Dio può contemplare la miseria umana senza ritrarsene disgustato) e della furibonda ossessione di superarla tecnicamente, appunto, mentre macabri corifei del nulla, da Bataille ad Agamben, proclamano la necessità di spingere la profanazione all’estremo, per rendere indefinitamente dis-ponibile l’essere alla volontà di potenza scatenata che si traveste da libertà.
La possibilità di ri-farsi è già tutta nelle mani sudate e nella precisione chirurgica del dottor Frankenstein, ma la motivazione a farlo sta in Adamo ed Eva che si vergognano della propria nudità (bisogna essere coglioni tre volte per interpretare questo sguardo come ribrezzo per la sessualità, quando si tratta dello sguardo sull’incompiutezza umana non più sorretto dalla pietà di Dio).
E non cercare l’origine di cui parlo nell’abbandono di qualche fede storica o confessione religiosa: qui la cosa è più profonda, ancestrale e contemporanea insieme. Ciò di cui parla la Genesi (ma anche la maggior parte dei miti delle origini di tutti i popoli) non è accaduto in illo tempore nè in un momento storico preciso, ma è destino che accada.
L’unica via d’uscita è l’accettazione del paradosso umano; una mente che coglie l’universale in un corpo che geme la propria manchevolezza. L’incarnazione è il compito unico e inesauribile di ogni esistenza umana. Non può essere eluso ma se ne può fuggire attraverso una delle numerose forme di gnosi dualistiche, sognando un paradiso oltremondano o uno tecnicamente intramondano che prolungano l’illusione di essere un giorno, prima o poi, il Dio di sè stessi.
Si io sapevo che andavi a parare li Valter – segna perfettamente il confine dove, per persone più progressiste si crea il pericolo della prescrizione etico cristiana quando si fanno discorsi del genere. Perchè per me – le considerazioni che partono da questo libro e questa citazione non devono intaccare la libertà di agire con il mio corpo. Ossia se non mi piace il mio naso me lo rifò, per dire. Il discorso per me riguarda molto la massificazione della forma dei nasi, o posso dire che ci sono casi di psicopatologia sintomatizzata sul naso a patata, ma la libertà in fatto di naso per me rimane uguale ecco. Cioè non sempre la psicopatologia combacia con l’immoralità – e non so se sia etico estendere sempre la morale in tutti i territori.
Non la morale, Zaub, la metafisica.
E’ l’esistenza che è metafisica, proprio perchè l’uomo è l’unico essere che può trascendere e perfino detestare sè stesso.
Se si rifiuta questo, si banalizza quello che invece è molto serio.
Stando al tuo esempio, il punto non è rifarsi il naso, ma pensare che veramente l’accettazione profonda di sè possa essere risolta con un intervento chirirgico. Se veramente dopo un’operazione del genere la disistima si trasforma in serenità, vai tranquilla che è un effetto placebo.
Valter non tutti i rifacimenti di naso hanno la stessa storia, la psiche non è un monolite, e a considerarla tale chi ci lavora prende delle regolari cantonate. Ossia no non è sempre un effetto placebo.
Giusto la psicanalisi.
Guarda che non è di minuzie che si parla nella citazione di Ariemma.
Vieni a spiegarmi che per “creare l’orrore, il disgusto insopportabile” e “sottrarre agli individui ogni amore di sé” basta il giusto clima pubblicitario e non un senso di colpa ancestrale, che andrebbe innanzitutto riconosciuto come tale. Che poi io preferisca Kierkegaard a Freud è risaputo, ma non è questo il punto, visto che anche Freud a forza di scavare ha trovato Thanatos.
Hai presente l’idra di lerna? Quella che ha sette teste che ricrescono se ne tagli solo una alla volta? Non è un simbolo della terapia, è un simbolo della disperazione: non poter essere sè stessi, non poter non essere sè stessi. La malattia mortale.
Se si parla di guarigione, non pretendo di meno.
perchè te lo puoi permettere, Valter. Ma questo è ot. E forse dovremmo continuare questa discussione altrove – nel mio blog i duetti degli utenti mi infastidiscono molto, forse non è carino da parte mia predicare in un modo e razzolare in un altro. Perciò se ti va continuiamo che so nello zauberfumoir o per mail.
ennò! scusate ma a proposito di idre e miti vari, che facciamo noi comuni mortali? A parte le considerazioni della padrona di casa, penso il duetto sia comunque IT, mica ve state a dà li bacetti o a tirà li piatti. poi fate come volete, scusate se mi permetto. Nel caso @ Binaghi, se puoi evitare frasi come “che io preferisca kirkegar a froid ( porello sempre a scavare ), tze, è risaputo”, e anche una certa tendenza ad addobbare l’alberello con nomi presi qua e là, lo so che non lo fai per darti un tono, però non spiegano neanche quello che vuoi dire. sempre con tutto il rispetto possibile naturalmente, e l’interesse è sincero.
Non so cosa intendi. Me lo posso permettere perchè sono in salute?
Da ex tossico pesante ti posso dire che tossici si resta per tutta la vita perchè – per l’appunto – l’eroina è un pretesto e la guarigione un mito.
Ma, in effetti, lasciamo pure spazio a nasi e tette rifatte se no v’intristisco.
Il commento sopra era per Zaub.
Paperinoramone, chiedo scusa.
L’alberello, comunque lo addobbi, resta comunque meschino.
Scusami Valter non immaginavo.
Di solito quste prese di posizioni totali e ambiziose arrivano o da vissuti come il tuo – oppure dall’opposto cioè da chi non ha attraversato molto e gli piace pontificare. Io ti ho associato al secondo gruppo. Fidandomi di quello che dici eh, perchè che ne so.
Ma non è questo il punto comunque. Il punto è che ci sono anche altre storie, altre vicende, alcune non possono semplicemente ambire alla totalità – qualsiasi essa sia e a prescindere da quanto e da cosa è ideologicamente permeata, per altre è arrogante dire che non sono completamente redente se non si ristrutturano da capo a piedi – sono quelli che a differenza di te e se ti può far piacere di me – si possono assolutamente permettere di rifarsi un naso senza ridiscutersi metafisicamente, senza rifiutarsi totalmente come soggetti. Addirittura per certi il rifacimento di naso è un approdo, è una conquista identitaria (rari mi rendo conto, ma ci sono).
Credo che tu comunque – abbia ragione per molti nasi. Come l’ha ragione in generale la citazione del libro quando parla di disprezzo di se. Però non in tutti ecco.
Ma certo, l’acquirente deve essere scontento perchè il prodotto (che può essere anche un politico, faccione sorridente e pacco regalo inclusi) colmi questo vuoto. Un acquirente felice non acquista: ha già quello che gli basta. Perciò l’infelicità vende. E vende *ogni* cosa dato che ciò che viene offerto non è mai ciò che è stato prima negato, strappato all’acquirente ma semmai un suo simulacro, un suo sostituto, una toppa, o per dirla in informatichese, una patch malamente confezionata.
Dato ciò, pressochè ogni cosa può fungere da improvvisato “tappo” alla ferita, da un vestito ad un partito, da un’operazione chirurgica ad una posizione in una qualsivoglia gerarchia fittizia – il mito falso del successo coincidente con una fama spesso stracciona e inconsistente.
Con un sistema simile, fidatevi, si vendono anche frigoriferi agli eschimesi
ah, @A Non volevo affrontare il punto per non impantanarmi in un settore delicato ma chiaramente sì, specie quando la dinamica della mancanza sopraccitata (anche quando questa è naturale o non si riescono a distinguere i confini fra la sofferenza originaria e la suggestione negativa che ad essa si somma quando cambia la considerazione che di te ha il prossimo) non è chiarissima il prodotto può anche consistere in un palliativo o un farmaco (ma ugualmente anche in una terapia non chimica o peggio ancora in una figura carismatica colla quale compensare i difetti che lui stesso ti ha imputato- Pensa ad esempio a ciò che avviene in una setta religiosa…)
Ultimo PS Ho più volte sentito linee di difesa da queste accuse del tipo “migliorarsi è lecito”, “lo si fa prima di tutto per sè”, ma anche “rincorro il mio sogno, che male c’è”. Il punto è che un essere umano che è disposto a sacrificare gli altri per sè stesso li intende come strumenti (e già questa è la linea etica del capitalismo estremo, del darwinismo sociale). Se poi fra sè e sè usa questo potere “demoniaco” nemmeno per realizzarsi armonicamente ma bruciando ogni sua risorsa sull’ altare di un Unico Obiettivo, di una singola Ambizione, questo non è più l’uomo ma una sorta di Doctor Faust, che ha subito una specie di scissione, diventando per ironico contrappasso lo strumento di sè stesso e non un individuo realizzato. Il tema è presente fin dalle favole e dei racconti più antichi (il mito dell’immortalità, la storia dell’uomo che ha venduto la propria anima o la propria ombra) e non ha fatto che esplicitarsi nel cyberpunk con il degrado dell’uomo ad automa. Valter parla di “disponibilità” ed ha ragione, ma non ne coglie il nesso con il concetto questionabile- ma passato per ovvioma -che fruire di qualcosa equivalga a renderla definitivamente indisponibile in seguito (oggi si dice “consumarla”). E il proprio sè stesso non viene escluso da questa logica: “per riuscire nella vita” è come se ti venisse detto “occorre che tu stesso ti venda”, sdoppiandoti in padrone che vende ma anche in schiavo che viene venduto per soddisfare un qualcosa. Questo qualcosa è un desiderio precedentemente alienato che ha preso vita propria e ora esige anche in pegno chi l’ha concepito. A questo punto, di fronte a questo vitello d’oro, siamo sicuri, in fondo, che questa esosa felicità sia davvero *la nostra* o non, piuttosto, quella di qualcun altro che c’ha fatto fessi? Auspico, davvero, un ritorno non alla religione ma al senso di sacralità, di riguardo per certe cose, o ci butteremo via tutti per tre denari che magari non andranno nemmeno nelle nostre tasche
Io torno al post di Loredana, dove colgo il segnale di un pericolo di omologazione.
Ora, se una delle forme più subdole di potere è quello di sottrarre opzioni alla scelta di un individuo, sopprimendole o rendendogliele invisibili, proporgli modelli standard di bellezza, martellandogli in testa l’idea che, per essere felice, a quel modello deve uniformarsi, io vedo qui una forma di potere, che non è, in partenza, di natura tecnologica.
Forme di potere di questo tipo sono sempre state esercitate fin dall’età della pietra.
E, a proposito, da quella a questa età, qualcuno mi può dire il momento esatto in cui l’homo sapiens-faber doveva smettere di produrre innovazione tecnologica? No, perchè tra le tante altre cose, è anche questo il punto che io non riesco a capire.
Lungi da me qualsiasi tipo di ubris, ma se mi si dovesse spezzare una gamba, sarei molto contenta di vivere in un tempo in cui sono disponibili raffinatissime protesi tecnologiche. E non vedo in cosa Dio potrebbe dispiacersi: non mi oppongo al suo potere, cerco solo di arrangiarmi nella mia finitezza.
Con buona pace di Kierkegaard, Heidegger, Galimberti ecc.
So di esprimermi in modo rozzo, ma penso sia apprezzabile il fatto che accetti, senza infingimenti, i limiti intellettuali che il buon Dio ha voluto darmi. Più dolorosi di un naso malfatto, alla fin fine.
La rozzezza non è nell’espressione, nè nella mancanza di riferimenti filosofici, ma nel fare la caricatura di quello che un altro dice per confutarlo.
La possibilità tecnica è una conseguenza del sapere.
Il discernimento nell’uso è forse la più alta forma di libertà.
Solo i bambini mettono in bocca tutto quello che trovano.
Ma l’homo consumens non è un bambino, e non è innocente.
Di solito i popoli hanno come tiranno il vitello d’oro che si sono scelti.
Farei attenzione Valter perchè temo che la Valeria di riferimenti filosofici ne abbia a mazzi, mi potrò sbagliare ma è molto più probabile che sia irritata dall’uso in questa forma. Non è insomma il tipo da non averne – affatto (ciao Valeria:)
Io credo però che la questione non è la gamba, benchè la gamba persa e le faccende gravi rivelino una contraddizione logica – perchè Valter se devi accettare il tuo destino fisico in virtù del rispetto di un messaggio metafisico che combacia con l’accettazione di se lo devi far sempre mica solo quando te fa comodo. Anche perchè il discrimine è arbitrario, e soggettivamente vincolato. Per molte persone per esempio: rifarsi una gamba persa è etico, una mano è etico, un intervento di riassegnazione del sesso no. Fino al momento però dell’esempio del sesso, tutti ti dicono che è l’autopercezione di menomazione a portare all’intervento. Ma la percezione che ha persona che vuole l’intervento non è meno degna delle altre.
La sensazione che ho è che contro a una prescrittività di norma imposta dal mercato che porta alla formattazione di corpi a un range di variazione molto limitato, per cui a corpi resi uguali combaciano menti uguagliate e disinnescate dal loro potere ideologico eversivo, deprivate della loro imprevedibilità, è che tu schieri un’altra banalità di destino sostenuta da un desiderio di omologazione ideologica: puoi desiderare di operarti alla gamba che manca, e al seno deturpato da un’operazione perchè in questo modo rientri nell’umano del canone, l’umano medio dei mortali, ma non ti azzardare ad avere l’ambizione di forzare quella normalità, avvicinandoti a un desiderio di te. Non essere fuori dai ranghi mai, attieniti al modello esistenziale che era alla nostra origine, e non uscirne. Donna vai in menopausa e invecchi? Cazzi tua. Compierai peccato. Il peccato te lo dico io lo pagherai con la spirale del disamore di te.
Bisogna anche fare i conti con delle questioni tecniche – su questo vorrei proprio leggere il libro. La Chirurgia plastica è stata massificante anche per limiti tecnici dei primi anni di applicazione. Non c’era la capacità tecnica o la volonta di modulare degli interventi, e sono stati fatti anche degli scempi su dei volti noti e meno noti. Ora c’è la possibilità di fare delgi interventi più sofisticati e che non rimandano direttamente alla fica di plastica. Conosco io stessa una nonna, che si è fatta fare un intervento – non so esattamente dove nel volto – che non mira a farla essere quello che non è, non ha labbra a canotto, non ha zigomi di gomma, ma solo la rende più gradevole a se stessa. Non sembra particolarmente più giovane, ma una signora all’antica che si sente gradevole. Essa sa che deve schiattare comunque, ma si dice mi godo il mio tempo così. Non pagherà molto io credo. E non trovo la sua scelta insana.
Insano è l’uso politico della debolezza.
E io continuo a sostenere che la casistica degli interventi non è il livello fondamentale del ragionamento. Lì veramente ognuno decida per sè quello che vuole e mi sentirei ridicolo a dire “questo si, questo no”.
Il piano fondamentale è quello di una pedagogia del sè che le religioni a loro modo svolgevano e che la società secolarizzata ha del tutto rimosso, sostituendolo per l’appunto con un’ informazione tecnologica e relativa pedagogia miracolistica (su questa fa leva il mimetismo indotto della società dei consumi). E l’insidia maggiore, per chi si lamenta di questo stato di cose, è di accusare “il potere” (in questo caso un fantasma di comodo” di approfittarne, quando dovrebbe in realtà mettere in discussione le basi stesse di una cultura psicologicamente regressiva.
In pratica, il mio slogan potrebbe essere: preoccupati di sviluppare coscienze eticamente adulte, capaci di cogliere la verità dell’incarnazione, e loro decideranno il meglio per sè (è il pendant del motto Agostiniano “ama et fac quod vis” = ama e fai quello che vuoi: sarà la cosa giusta).
Quanto all’omologazione ideologica, non so di che parli.
Se si tratta di aggiustare quello che è rotto o di portare a termine ciò che è incompiuto, anche una sessualità “indefinita” va aiutata a realizzarsi.
Quanto all’invecchiamento, la cosmesi esiste da che mondo e mondo, certi interventi possono equipararsi a quella, ma certe maschere il cui scopo è rimuovere il tempo mi fanno dire che non si può lamentare un giorno la negazione della vecchiaia (Lipperini docet) e il giorno dopo plaudire alle medesime via chirurgica. Il problema è sempre lo stesso: si può differire l’accettazione della propria decadenza corporea, ma è come rimandare il trapano del dentista. Ne vale la pena, visto che la carie avanza?
Valter ho un trauma! Siamo d’accordo! Anche sulla funzione psichica della religione (della sua parte migliore magari).
Me devo ripijà.
Sono d’accordissimo con l’intervento di Zaub delle 7.55, parola per parola.
Quella di Valter mi pare una demonizzazione a tutto tondo della tecnologia che io non riesco a condividere, probabilmente per mancanza di riferimenti filosofici ma non certo per sottovalutare, disprezzare o fare la caricatura alle convinzioni altrui.
Lo storico Aldo Schiavone qualche anno fa ha scritto un libro ‘Storia e destino’ (che sicuramente non piacerebbe a Valter) in cui, accanto a un racconto e a una visione entusiasiastica della scienza e della tecnica, lamentava che, a fronte di uno sviluppo così dirompente delle tecnologie, manca la consapevolezza e la presa d’atto di questo vertiginoso mutamento, con il conseguente drammatico ritardo nell’elaborazione di un’etica e di una politica adeguate a gestire scenari che stanno cambiando tanto rapidamente.
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Riguardo alla parola ‘potere’ l’ho usato in modo astratto, ma so che è sempre determinato, anche quando si mimetizza e si nasconde e vuole dare di sè l’idea di un’istanza immateriale.
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La religione. Ho avuto un’educazione cattolica, dopo di che sono diventata agnostica, ma continuo ad avere con Dio ottimi rapporti. Tanto che sono tra quei pochissimi che pensa che le religioni monoteistiche sono (potrebbero essere) una educazione alla libertà.
‘Non avrai altro Dio fuori che me’ è un comando che mette in guardia da tutte le idolatrie, compresa quella del proprio ego e dei propri riferimenti ideologici, filosofici e pure religiosi.
Vitelli d’oro nella storia ce ne sono stati, ce ne sono stati e ce ne saranno sempre, visto che l’innocenza non è di questo mondo, né consumistico né arcaico. Poi uno si costruisce i mti che vuole, ovviamente.
Un grande comandamento sottovalutato pure dai pedagoghi religiosi, perché io a questa pedagogia del sé svolta non dalle ‘Religioni’ in astratto, ma da chi queste le religioni le amministrano non ci credo.
Perché poi è con la concretezza della storia che dobbiamo fare i conti, o no?
Bene, ti risparmio il solito Prosperi, troppo desinistra, e ti cito invece uno studioso olandese, Wietse de Boer, che ha scritto quello che secondo me è un libro straordinario ‘La conquista dell’anima. Fede, disciplina e ordine pubblico nella Milano della Controriforma’.
Documenti alla mano, de Boer descrive il gigantesco progetto prima di Carlo Borromeo vescovo di Milano, poi di Gaspare Visconti e Federigo Borromeo, di riforma della società milanese, realizzato attraverso un piano puntiglioso di interventi su tutti gli aspetti, macro e micro, della vita dei parrocchiani.
Una pedagogia del sè, dici. Io torno a riferirmi a quelle pratiche del potere (e, come vedi, qui ti ho dato nomi e cognomi di coloro che lo esercitarono), pedagogiche nel senso più deteriore del termine, che orientano le coscienze e le scelte degli individui attraverso abilissime tecniche dell’indicare e del nascondere. E anche queste sono ‘tecniche’, Valter. Molto, molto raffinate.
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Per finire, riguardo sempre all’omologazione, che è la mia bestia nera, un consiglio di lettura: ‘Souvenir’ di P.k. Dick. Mi pare che sia nel primo volume dei racconti editi da Fanucci.
E dice tutto. Come di solito il grandissimo PKD.
Sono stata più sgrammatica del solito. Scusate sviste, refusi e forma. Spero, comunque, di essermi fatta capire.
Su Philip Dick ti sposo, Valeria,
E’ uno dei pochissimi profeti del terzo millennio.
Sul resto, ci sarebbero molti distinguo. Troppi per un blog.
Concordo per il ‘troppi’. Almeno su due cose siamo d’accordo:-)
Tre cose e poi basta:
1) io critico la sinistra, ma da sinistra.
2) io non demonizzo la tecnologia, lamento un difetto di discernimento nel suo uso indiscriminato
3) comunque la si giri, l’evoluzione spirituale non nasce mai da una tecnologia più o meno raffinata, ma da un “insight”, un atto di consapevolezza e di decisione interiore. L’abbondanza di termini per descrivere la tecnologia e la difficoltà di “dire” il secondo danno la misura dell’involuzione di un linguaggio e di una cultura
Sul primo punto niente da dire. Mi pare che siamo sulla stessa barca.
Sul terzo sì, non ero io a difendere la promozione dell’evoluzione spirituale attraverso le tecniche, riferivo solo di un fatto storico.
Sul secondo punto. Bisogna capire a chi o a cosa imputi il difetto di discernimento nell’uso indiscriminato della tecnonologia. A me pareva che lo imputassi alla tecnologia stessa. Da qui è nato l’equivoco, se di un equivoco si tratta.
Comunque proprio per questo deficit di discernimento, che mi pare un dato di fatto, ho citato il libro di Schiavone e la sua denuncia del drammatico ritardo nell’elaborazione di risposte etiche e politiche per fronteggiare il vertiginoso sviluppo tecnologico, della cui entità credo non ci rendiamo nemmeno conto.
E qui chiudo veramente.
Che bello. Uno trova settecento commenti di valter binaghi e ne rimane stranamente affascinato. Sempre puntuti, scritti benissimo. Ma andiamo avanti. Io vivo in un ambiente in cui da mia zia a mia cugina sono tutte rifatte. Io non conosco non rifatte nella mia famiglia, a parte mia madre e mia nonna. Quindi ho mandato a molte di loro la frase succitata via sms. Mi hanno risposto:” Ma vaffanculo te e il disprezzo, sto sfigato di merda”. C’è da dire che alcune le ho disturbate perché stanno pensando all’ultima dell’anno da un mese. Sono dei mostri o sono nuove donne. Con le dovute eccezioni economiche ricordano, le più giovani, “Il dottor T e le donne” di Altman. Più tamarre, assolutamente illetterate, con lauree da 110 e lode scritte da altri per loro, lavori buoni, ovvero tutto il giorno su facebook. Chi sono le donne che mi stanno intorno?
Potresti metter su un bel circo, con le tue parenti.
“La penisola del dottor Moreau”
Ti piace?
Wells non mi attira. Io descrivevo un pezzo di realtà, la mia. Gli uomini e le donne, quasi tutti tranne eccezioni, sono dei mostri. Saluti.