Punto, a capo, tre spazietti. Così si diceva un tempo, così facevo quando nel mondo che fu iniziavo a scrivere i primi articoli, ed era davvero lontano, quel tempo, erano addirittura gli anni di Notizie radicali, agenzia di stampa quotidiana era la dicitura, e doveva essere per le tre del pomeriggio sui tavoli dei giornalisti, sosteneva Marco Pannella, e aveva ragione. Il punto a capo tre spazietti si batteva a macchina sulle matrici per il ciclostile, e accanto alla macchina da scrivere c’era una boccettina con un liquido fucsia che sembrava smalto, e che serviva a correggere gli errori (in effetti funzionava come lo smalto: una pennellata sopra la parola sbagliata, poi soffi, poi ci riscrivi sopra quando si è indurito).
Punto, a capo, tre spazietti. Sembrava difficile e con gli occhi di oggi era facile. Memorizzare regole, applicare quel che hai imparato a scuola, appena un anno prima, a un’altra scrittura, a un’altra relazione col mondo. Capire quando inserire la punteggiatura e come e quale. Spezzare le frasi, impedirti di cedere agli svolazzi quando non servono. Chiarezza, sintesi, fatti.
Quella fu la scuola, ma era la fine degli anni Settanta e davvero, davvero, il mondo era più decifrabile, e la parte che non si riusciva a vedere andava esplorata, o denunciata, e a volte per rischiararla si moriva sul serio, come accadde a Graziella.
Questa mattina pensavo alla settimana appena passata, e ai pensieri espressi qui e sui social, e ai discorsi sulla complessità perduta, e pensavo, va bene, ma quando è cominciato? E’ cominciata, la perdita, con gli anni Ottanta, davvero? E’ cominciata con le televisioni commerciali, con certo capitalismo casareccio, compra e sarai felice, davvero? E’ cominciata con l’inizio degli anni Zero, Genova, le Torri gemelle, la sensazione che la prospettiva si fosse chiusa? E’ cominciata con tu, You, sulla copertina di Time? E’ cominciata nel 2008, con l’idea che essere nei social (ma accadeva anche qualche anno prima, con i blog e prima ancora con le famigerate start up) potesse portare ricchezza, o quanto meno fama, e che essere una blogstar, o un profilo visitato su Facebook e infine un influencer su Instagram o dove volete appagasse quel desiderio di essere seguito, cercato, amato, qualunque cosa si dicesse e scrivesse, fino, in certi casi, a considerare la parola come superflua, perché quelle che hai detto prima ti illuminano ancora: davvero è cominciata così?
Punto, a capo, tre spazietti. Non ho risposte sull’inizio. Eppure quel mondo, quello in cui siamo oggi, continua a richiedere complessità. La richiede più di prima, anzi, e tanto più ne richiede quanto sembra semplicissimo da abitare. Perché in ogni momento ti illude che basta la parolina giusta, la polemica giusta, l’immagine giusta ed è fatta. Ma così non è. Per capire e per muoversi ci vuole uno sforzo enormemente maggiore rispetto a quando si apriva un giornale, o due o tre, per incrociare le notizie e le opinioni. Per spezzare quella barriera che impedisce a chi legge di alzare gli occhi alla prima riga e di proiettare il proprio pensiero sull’altro prima ancora di aver capito cosa l’altro vuole dire, ci vuole fatica. Ci vuole anche un po’ di coraggio, perché non la faccenda non è indolore affatto, e ti porta nemici, come avviene a molte persone che stimo, e che vengono continuamente non fraintese, ma non lette davvero.
Punto, a capo, tre spazietti. Però, a forza di insistere, ci si riesce. Almeno spero.
Conicidenze, stamani mentre andavo al lavoro in auto stavo pensando se fosse giusta l’analisi che fa partire dagli 80 l’inzio del cambiamento che il turbocapitalismo a impresso alla società, almeno quella italiana. Chiaramente non sono arrivato a nessuna conclusione però mi chiedevo se anche questa visione che ho sempre dato per scontato non fosse una semplificazione di una dinamica più complessa.