QUANDO RODARI DIFESE GOLDRAKE

Erano altri anni, da ogni punto di vista e anche per la mia piccola vita. Venticinque anni fa collaboravo regolarmente con Repubblica e il 13 aprile 2000 scrissi questo articolo su Gianni Rodari. E dal momento che il giornale oggi lo ripropone on line, lo ripropongo pure io. Con immensa nostalgia per Rodari.

C’ è una cosa che non si dice abbastanza sul celebratissimo Gianni Rodari, in questi giorni ancor più celebrato in occasione del ventennale dalla morte. Una cosa che viene anzi dimenticata del tutto, forse perché non in linea con il politicamente ipercorretto che si vuol forzatamente attribuire allo scrittore di Omegna. Il fatto è che Rodari fu probabilmente l’unico intellettuale italiano a prendere posizione a favore di un mondo che tutti gli altri odiavano perché lo percepivano estraneo e dunque minaccioso, un mondo che, non casualmente, sarebbe diventato la cultura di riconoscimento per una generazione intera: quello dei cartoni giapponesi. Era il 1980, l’anno della sua morte, e Rodari scrisse per Rinascita un articolo che si chiamava Dalla parte di Goldrake, il robot appena approdato in Italia e già oggetto di interpellanze parlamentari e anatemi pedagogici. Schivando le saette, Rodari proponeva: “Invece di polemizzare con Goldrake, cerchiamo di far parlare i bambini di Goldrake, questa specie di Ercole moderno. Il vecchio Ercole era metà uomo e metà dio, questo in pratica è metà uomo e metà macchina spaziale, ma è lo stesso, ogni volta ha una grande impresa da affrontare, l’affronta e la supera. Cosa c’è di moralmente degenere rispetto ai miti di Ercole?”.
Da far leggere e distribuire nelle scuole che portano il suo nome e nei circoli a lui intitolati: magari insieme all’attacco diretto allo stesso Rodari che apparve ancora su Rinascita, ma nel dicembre 1951 e a firma di Nilde Iotti, che gli contestava l’eccessiva tolleranza nei confronti dei fumetti, strettamente collegati a “decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani”. Parole simili a quelle che avrebbero utilizzato sia nel 1980 che ai giorni nostri gli avversari di Goldrake e dei suoi epigoni, quelli che sostengono che Sailor Moon provoca l’omosessualità e che i videogiochi rendono autistici.
Non è bello fare previsioni, ma la sensazione è che Rodari avrebbe difeso anche South Park e SuperMario, e che comunque avrebbe cercato di capire perché erano amati dai bambini. Invece, sorte ingrata, è destinato ad essere perpetuato nei secoli come Gianni il Buono (o, peggio, il buonista), quello di Ci vuole un fiore e dei Quindici (su cui si sarebbe pasciuta una generazione di futuri e cattivissimi pulp), l’antimilitarista e multiculturale padre di tutte le gabbianelle. Insomma, un pensatore positivo da masscult, un Pennac per piccoli, un Saint-Exupery dei pedagogisti, un predicatore intellettuale per “under dodici”: i quali, magari, sognavano allora un Roald Dahl che scrivesse di caccole e, chissà, sognano oggi che la loro scuola elementare sia intitolata a Bart Simpson.
“Quanta retorica su Rodari, e quanto sbagliata l’ eredità che si raccoglie”, si amareggia un appassionato esperto di letteratura per l’infanzia, nonché intimo amico dello scrittore come Roberto Denti, fondatore della Libreria per Ragazzi di Milano: “Rodari è stato molto diverso da quel che dicono e pensano gli onnipresenti buonisti. Tanto per cominciare, è nato come scrittore per adulti, e questo gli ha permesso poi di rivolgersi ai ragazzi con rispetto, di avere fiducia nelle loro capacità. Non si sarebbe mai permesso di imporre loro una storia con la morale, di dir loro ‘leggi come questo bravo gatto insegna a volare ad un uccellino invece di mangiarselo, e impara’. Pensava ai bambini come a suoi pari. Tant’è vero che non ha mai scritto per i piccoli, anche se oggi si leggono le Favole al telefono all’asilo”.
Rodari l’incompreso, dunque. Pur se nell’affollato programma della manifestazione che lo commemora, Casa Rodari (fino al 21 aprile al Palazzo delle Esposizioni di Roma), appaiono parole che gli furono care come fantasia creatività. Che magari, però, vengono ripetute da studiosi e operatori fieramente contrari all’idea che un videogioco non solo sia creativo, ma che probabilmente rappresenterà la cultura autonoma di questa generazione, come il rock lo fu per gli adolescenti degli anni Cinquanta. Rodari non fece in tempo a conoscere Gameboy e Playstation, ma fu comunque lui, dopo la sua morte, a fornire lo spunto per uno dei primi esperimenti ipertestuali italiani: era il 1995 e per Editori Riuniti uscirono due dischetti interattivi e molto costruttivi, Stroccofillo e I viaggi di Stroccofillo, collegati rispettivamente al Libro dei perché e a Filastrocche lunghe e corte.
Dice Roberto Maragliano, docente di tecnologie dell’Istruzione e curatore del progetto: “Rodari si prestava benissimo a quell’operazione, perché possiede due anime, una di rottura e una stabilizzante: la prima era decisamente incuriosita dalle macchine ed è facile credere che lo sarebbe stata dal computer. Riusciva a mettere insieme Pinocchio e Cuore, anche se si tende a ricordare solo quest’ultimo”. “Collodi fu il grande maestro di Rodari”, concorda Denti, “così come lo furono Rousseau e, anche se non è più molto di moda citarlo, Marx. Marxianamente, Rodari voleva conoscere il mondo per modificarlo. Voleva conoscere il mondo dei bambini, non imporre loro quello degli adulti. Meglio: sapeva parlare loro dei problemi del mondo, mentre oggi si evade. Ed era in polemica con il suo partito, sa? Pungolava il Pci perché si occupasse di più, e davvero, dei problemi dell’infanzia. E quando ci fu il tentativo di compromesso storico, si oppose in tutti i modi: con quelli là, diceva, non abbiamo niente a che fare… E “quelli là” li conosceva bene: aveva passato quattro anni in seminario, l’unico modo che aveva sua madre per farlo studiare, perché erano poveri. Poi scappò e si diplomò maestro: ma non insegnò mai, attenzione, fece soltanto l’istitutore per una famiglia tedesca. è lunga e complessa la storia, anche politica, di Rodari. Altro che buonista”.

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