RACCONTARE LA VIOLENZA

Bene. Proviamo a fare una riflessione pacata sulla narrazione della violenza: mi sembra che sia importante e che ce ne sia bisogno.
Parto da tre esempi letterari.
Primo. American Psycho, di Bret Easton Ellis. Uno dei libri più importanti, a mio umile modo di vedere, degli anni Novanta e non solo: e questo al di là di ogni interpretazione sociologica che di quel romanzo si possa dare (e che, nei fatti, è stata data). Ellis sceglie la prima persona per raccontare le ossessioni glamour di Patrick Bateman. A narrazione avanzata, lo stesso tono è riservato al catalogo di omicidi, torture, stupri, mutilazioni, necrofilia, cannibalismo che entrano nella vita di Bateman e che sono posti sullo stesso piano dei completi Armani e della musica dei Genesis.
Secondo. Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist. Nel romanzo c’è una scena in cui Håkan, l’uomo che procaccia sangue per  Eli, è in agguato in uno spogliatoio maschile. Håkan è un pedofilo (questa, anzi, la motivazione che lo porta a uccidere per conto del vampiro): spiando gli adolescenti sotto le docce si eccita e ha  un fugace orgasmo.
Terzo. Terre desolate, terzo libro della saga della Torre Nera, di Stephen King. Susannah viene stuprata da un demone. Scelgo questa scena, ma nella produzione di King sono moltissime le opere che avrei potuto chiamare in causa.
Cosa hanno in comune i tre libri, a parte la durezza dei temi trattati?
Poco, in apparenza: il primo è un romanzo che si definirebbe mainstream, il secondo è un horror, il terzo può essere definito sbrigativamente fantasy, se proprio si deve fornire una catalogazione.
Molto, ai fini del discorso che mi piacerebbe approfondire.
Ovvero, il punto di vista. Anche qui, in apparenza, esistono delle diversità. Ellis sceglie, come detto,  la prima persona: teoricamente, il suo è il punto di vista di Bateman. Ma non è del tutto esatto: perchè la narrazione viene  congelata, e non permette a chi legge di identificarsi in alcun modo nel personaggio. Lindqvist narra in terza persona: nella scena che ho citato, però, il punto di vista è quello di Håkan. Ma  a chi legge non è concessa alcuna empatia verso il personaggio. Anche King usa la terza persona: il punto di vista è quello di Susannah, ma il lettore non è chiamato a fermarsi sull’atto della violenza, ma sulla serie di azioni che la circondano.
Cosa voglio dire?
Che nei tre casi citati chi leggge non si sente, mai, voyeur. Non c’è nessuna concessione all’erotismo (che viene invece richiamato, specie da Lindqvist e King, in altri momenti dei romanzi) nella messa in scena della violenza. In ambito letterario, è difficile arrivare a questo risultato. In ambito visivo, è ancora più difficile, suppongo. Ben lo dimostra un  articolo di Francesco Longo uscito su Il riformista nel passo dove afferma:
“Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur”.
Voglio semplicemente dire che è estremamente complesso maneggiare questa tematica e che quando la si affronta ci si assume una responsabilità che deve essere molto chiara e che necessita di spalle forti.
Soprattutto in un contesto come quello italiano, oggi. Giustamente, Natalia Aspesi faceva questa osservazione, su Repubblica di questa mattina: “Dieci anni fa la storica Barbara Ehrenreich, in un suo studio sul rapporto tra guerra e ruolo maschile, osservava che gli stupri sono più frequenti dove vi sono norme sociali di accettazione dell´uso della violenza come mezzo legittimo per ottenere ciò che si desidera”.
Complesso,  ma  importante. Ragionavo ieri, con un amico, di quanto sia necessaria la narrazione visiva della storia italiana recente e contemporanea che si accompagni a quello che è lo sguardo letterario attivo, oggi, sulla  medesima. Proprio per questo, è indispensabile concentrarsi sul lavoro di approfondimento che deve precederla e accompagnarla.
E’ un invito.
Ps. In coda, l’integrale dell’articolo di Francesco Longo.

Come insegna “Valzer con Bashir” un dramma disegnato può scuotere le nostre coscienze con più onestà estetica. Ma i corpi delle vittime sono troppo seducenti per non “sposare” con sguardo voyeurista gli istinti dei carnefici. Le motivazioni sociali delle ragazze sono resi un po’ troppo semplicisticamente dagli autori Valenti e Ambu.
 
di Francesco Longo
«Di che hai paura? È dei Parioli, non lo vedi?», dice Donatella Colasanti per rassicurare l’amica, quando lascia il numero di telefono ad un ragazzo sconosciuto. Al processo per il massacro del Circeo Angelo Izzo dirà: «Io con quelle ci ho parlato. Mi hanno raccontato della Montagnola… se ne volevano andare da quel quartiere… da quella vita di miseria». Si capisce subito che intorno alla tragedia privata – la morte di Rosaria Lopez e le violenze su Donatella Colasanti avvenute al Circeo nel 1975 – compaiono elementi che la rendono simbolica. Da una parte ci sono i riccastri di destra figli di un quartiere borghese, dall’altra giovani borgatare che si esprimono in dialetto, considerate arrampicatrici sociali in cerca di rampolli. Misoginia, odio di classe, sesso, politica.
La cronaca nera si scurisce ancora di più quando si alza il livello emotivo e iniziano i linciaggi. Dopo la recente violenza a Guidonia sono scattati i raid razzisti. Risultato: albanesi colpiti con le mazze da baseball perché i romeni avevano stuprato la ragazza. Il problema slitta in poche ore: non era più lo stupro la questione, ma gli stranieri. Serve un passo indietro.
Il delitto del Circeo è ancora oggi presente nell’immaginario collettivo per la quantità di significati e contraddizioni che sollevava. Commentarono quel caso tutti, da Pasolini a Calvino. Esce oggi in libreria un libro intitolato Il massacro del Circeo (Edizioni BeccoGiallo pp. 160, 15 euro), che ricostruisce la tragedia attraverso un graphic-novel scritto e disegnato da Leonardo Valenti e Fabiano Ambu. Operazione in cui non mancano dei rischi. La collana si chiama “Cronaca nera. I casi che hanno sconvolto l’Italia”, e racconta storie che vanno dal mostro di Firenze a Unabomber, dalla Banda della Magliana al delitto Pasolini. La scelta del fumetto per raccontare ferocia e brutalità è terribilmente efficace, basti pensare al film Valzer con Bashir candidato all’Oscar. L’animazione o il fumetto possono aprirci gli occhi più di un film perché si ha a che fare con qualcosa che simula chiaramente la realtà. La mente, davanti a un film con attori, può difendersi perdendosi nella sospensione dell’incredulità o nel riconoscimento che è solo un set, stanno recitando, il sangue è pomodoro. Il fumetto o il documentario d’animazione si presentano come finzione deliberata, e la mente va subito oltre la rappresentazione, e finisce, senza paracadute, in mezzo al dolore della vicenda.
Però il meccanismo sembra incepparsi quando c’è di mezzo l’erotismo. Le ragazze nude disegnate sono inevitabilmente seducenti (così come i corpi, massacrati, respingenti). Il lettore del fumetto le osserva con gli occhi del carnefice, il punto di vista salta all’improvviso e noi guardiamo con gli occhi degli stupratori. Non è una questione di immedesimazione, ma di forma del desiderio. La seduzione dei corpi porta fuori strada e alla storia di dolore si mescola, sgradevole, l’attrazione per ciò che ha causato quel dolore. Che lo si voglia o no, il lettore si fa voyeur.
Già al tempo del Circeo la violenza divenne un pretesto per ragionare d’altro. Si cercano sempre capri espiatori indistinti: è più semplice affidare la responsabilità ad un gruppo o a una comunità. Per Pasolini il delitto era emblematico: i ragazzi della borgata, che lui aveva raccontato, avevano ormai il mito della borghesia, emulavano i “figli di papà”. Per Italo Calvino le cose non erano da leggere in questa chiave. L’autore delle Città invisibili, che aveva più familiarità con i mattoni di fantasia che con le periferie, dava la colpa alla ricchezza. Sicurezza e benessere rendevano plausibile che un ragazzo potesse fare una rissa fuori scuola un giorno e compiere un massacro nel week-end. Calvino riportava la questione ad un fatto economico, ad uno stile di vita.
Pasolini accusò Calvino: «Tu crei dei capri espiatori, che sono “parte della borghesia”, “Roma”, i “neofascisti”». E poi aggiunge qualcosa che, alla luce delle cronache attuali, suona molto strano: «Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” delle borgate romane (…) non se ne sarebbe parlato tanto e a quel modo. Per razzismo. Perché i poveri delle borgate (…) sono considerati delinquenti a priori». Oggi i poveri delle borgate sono diventati le vittime. I nuovi carnefici sono gli stranieri.
Il libro a fumetti Il massacro del Circeo indugia sulla differenza sociale tra vittime e torturatori. Le due ragazze guardano deluse il proprio mondo «triste e grigio». Addirittura, in una pagina, gli autori disegnano la ragazza che sogna un villino lussuoso, sogna di «diventare moglie», sogna la fede al dito infilata da uno di quei «principi» dei Parioli.
Il delitto del Circeo, incredibilmente, può aiutare a leggere le tragedie attuali. Ci ricordano che i mostri non sono gli altri e non vengono da lontano. La violenza si annida negli ambienti comuni, sta nei vicini di casa insospettabili. Persino nel nostro sguardo sedotto da un fumetto. Il male, ci ricorda, non è legato alla povertà né alla miseria. Ma alla natura umana. Izzo, Guido, Ghira avevano il passaporto italiano e portafogli gonfi. Il libro chiude con una citazione significativa, tratta dall’Istat: «In Italia, le violenze subite dalle donne non vengono denunciate nella quasi totalità dei casi».

149 pensieri su “RACCONTARE LA VIOLENZA

  1. due problemi diversissimi, come giustamente dici tu stessa, la rappresentazione della violenza sulla pagina scritta e per immagini (film, fumetto etc). solo un paio di osservazioni minime.
    su “american psycho”, al congelamento del punto di vista (penso di aver capito cosa intendi) aggiungerei anche la fortissima carica ironica (quando non francamente comica) che pervade il romanzo (nella visione dell’autore, bateman è essenzialmente un idiota un po’ snob che fraintende di continuo la realtà che lo circonda e di conseguenza si sente superiore ad essa – emblematiche la scena del concerto degli u2 o quella dell’incontro in ascensore con tom cruise).
    sulla violenza al cinema (sulla rappresentazione e la visione della violenza), a mia conoscenza la riflessione più esaustiva degli ultimi anni è quella di haneke in “funny games” (il primo; non ho visto il remake). dove giustamente non c’è una goccia di sangue, per certi versi non accade quasi nulla, e tutto è riportato all’occhio e la coscienza dello spettatore, fino al limite estremo della tollerabilità (e anche oltre, per quanto ricordo).

  2. ho seguito in silenzio la vicenda e ho letto tutto. con tutto il rispetto, rimane un errore di fondo nella sua critica (adesso) ragionata: la mancanza di rispetto.
    lei, con poca dimestichezza del mezzo di cui parlava (e chi ha dimestichezza di tutto? io non potrei sparare a spada tratta su un mestiere che conosco di riflesso, che magari seguo, ma che sicuramente non conosco a fondo) si è “permessa” di alzare un polverone.
    sia chiaro, de gustibus, e un lettore può dire e pensare e pubblicare su un blog quel che vuole, ma lei non è una semplice lettrice. lei è una professionista.
    e in quanto tale, dovrebbe rispettare gli altri professionisti.
    andrebbe mai in strada a criticare un operatore ecologico per come svuota un cassonetto?
    lo so che è un brutto vizio italiano (e immagino non solo) di “criticare senza sapere”, ma da una persona come lei, che fa un certo lavoro di comunicazione col pubblico, ci si illude sempre che prima di dire “a” ci sia uno studio e una riflessione profonda dietro.
    solo questo. un pochetto di rispetto nei toni e verso un mestiere che lei non conosce affatto, e dove ha generalizzato con sole banalità, e non lo dico per offenderla.
    ora, pubblicare adesso quella recensione cosa significa? davvero non lo capisco…
    a) potrebbe essere un suo modo indiretto di fare ammenda dato che la recensione a me pare molto buona
    b) o ha pubblicato questo pezzo perchè anch’esso insiste sulle donnine ammiccanti della cover?
    dato che non c’è stata alcuna sua riflessione approfondita, ma lo ha “solo” incollato per benino, vorrei capire qual’è il motivo.
    e, purtroppo, secondo me lei sa che quest’articolo può essere letto in entrambi i modi, e che chi la appoggiava leggerà che qualcun’altro pensa che ci siano le donnine ammiccanti, chi invece appoggiava ambu leggerà che è un buon fumetto, e così se ne è lavata le mani.
    con tutto il rispetto.

  3. sia chiaro, onde evitare incomprensioni, che le generalizzazioni a cui mi riferisco non sono quelle sulla violenza e sulla sua rappresentazione, ma sul media fumetto.
    che poi arrivi qualcuno come Gipi, che di fumetto sa, e che qui scrive certe riflessioni allora ben venga, ma il fatto che coincidano con dei concetti che lei aveva espresso inizialmente molto male non deve essere considerato un punto a suo favore, perchè davvero si è mossa molto – mi permetta il termine – ingenuamente, e nella sua posizione ci si aspetta di più.
    o di meno, a volte.

  4. @ Sergio Algozzino
    Scusa, ma dato che Loredana ha avuto quella reazione di lettura dell’immagine in copertina, perché non doveva scriverlo?
    Ambu dice nel suo blog che in un caso di incontro pubblico, dalla locandina hanno ritagliato le sagome delle ragazze. Quindi questo tipo di reazione esiste, non è una idiosincrasia di Loredana.
    Allora non è bene parlarlarne?
    Giù c’è un colonnino con cento commenti. Molti sono davvero interessanti. Ci sono Gipi, Ginevra, WM1 e tanti che non fanno questo lavoro ma che hanno scritto la loro.
    Loredana ora riprende il filo, in modo interessante. Tutto questo non serve a nulla?
    Insomma io credo che quello che qui chiami ‘polverone’ lascia a chi legge – anche se ognuno in questo caso rimarrà della sua opinione – qualcosa che può far crescere.
    Io per esempio ho difeso qualla copertina. Ma se Ambu legge questo intervento sulla narrazione della violenza, o la riflessione di Gipi, non è possibile che gli arrivino degli spunti per il futuro?
    Insomma bisogna finirla di mazziarsi e basta. Questa stramba bellissima cosa che è l’arte di raccontare progredisce con il confronto, non c’è pezza su questo.

  5. la discussione sulla violenza è stata interessantissima, ma non il calcio iniziale. leggi anche quello che ho scritto dopo, probabilmente stavi postando il tuo commento mentre aggiungevo quella postilla (sicuramente è andata così 🙂

  6. Sergio Algozzino, non riapriamo discorsi già fatti. Soprattutto su un punto: per giudicare un mezzo bisogna conoscerlo a fondo. Su questo, come detto, non concordo: significherebbe dire che può esprimere riserve nei confronti di un fumetto solo un autore di fumetti, o che solo un regista può giudicare un film. Non sono d’accordo, come già detto nei commenti ad altri post.

  7. già, lo aveva già detto. mi scusi se mi sembra ancora un punto “caldo”, dato che il suo post è ancora lì in prima pagina.
    in ogni caso, il mio intervento ruotava principalmente sul rispetto e sulla doppia lettura che può far comodo dell’articolo che ha postato.
    e lei, da persona intelligente, lo ha sicuramente compreso, eludendolo però.

  8. Però, Sergio, uno potrebbe anche pensare che a “muoversi ingenuamente” e “con poca dimestichezza del mezzo di cui parla” chi piomba qui e senza informarsi, con tutta la sicurezza del mondo, trancia sentenze come questa: “lei, con poca dimestichezza del mezzo di cui parlava…”
    Chi frequenta questo blog sa benissimo che di fumetti, graphic novel, manga, anime, cartoon, cosplay legato ai manga e quant’altro si discute con grande frequenza, e che Loredana su questi temi ci ha scritto anche dei libri. Cosa che spesso irrita chi vorrebbe discutere solo di letteratura stricto sensu.
    Quindi: rispetto, ma non a senso unico.
    Detto questo: se a essere ghermita, violentata e uccisa dal branco del Circeo fosse stata tua sorella o la tua migliore amica, non so se ti farebbe piacere vederla rappresentata come Rosaria Lopez e Donatella Colasanti sono rappresentate in quella copertina.
    Vorrei ripetere i nomi, perché mi sembra importante:
    Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.
    Rosaria e Donatella.
    Rosaria e Donatella.
    Rosaria e Donatella.
    Tutti quelli che hanno disquisito sulla liceità della scelta artistica, contro la censura femminista etc., si sono dimenticati di un piccolo, forse insignificante dettaglio:
    quelle due donnine nude non rappresentano due personaggi di fantasia a cui far compiere qualunque azione o assumere qualunque posa.
    Quelle due “fighe” erano persone vere, che sono state carne e ossa, che hanno sofferto, che sono morte nel dolore.
    E qualcuno, per difendere una scelta rappresentativa disgustosa, ci sta facendo sopra dell’accademia, per giunta maldestra.
    Io ho i conati di vomito. In questa vicenda, mi sento attorniato da ragazzini petulanti che dicono solo: io, mio, io, mio, io, mio e non sanno un cazzo e sembrano non provare alcuna empatia per chi sta a monte di quell’immagine.

  9. e “de gustibus” va bene per un lettore.
    io, almeno per come sono stato educato, credo che nel momento in cui il mio lavoro consiste nella comunicazione diretta col pubblico debba avere un tantinello di responsabilità in più.
    e ammettere che, nonostante tutto, posso dire che un film mi fa schifo, sì, ma dopo averlo visto, non dalla locandina.

  10. Il richiamo a Ellis dopo la discussione di ieri (alla quale non ho partecipato ma che ho letto e sulla quale ho riflettuto) mi colpisce molto perché proprio in seguito alle riflessioni di ieri anch’io pensavo ad American Psycho. La copertina del fumetto ha disturbato anche me. Ma allora perché, pensavo, trovo eticamente accettabile la rappresentazione della violenza di Ellis e non quella di Ambu? Un motivo è molto ben inquadrato dal post di oggi: il distacco, l’assoluto straniamento che produce il seguire la vicenda di Bateman dal suo punto di vista che però rimane distante anni luce da ogni possibile condivisione. Però non credo che basti. American Psycho infatti, sia pur in chiave algida, quasi disincarnata, rappresenta in modo insistito atti immondi e intollerabili, indugiando di continuo con lo sguardo, direi ai limiti della tollerabilità. Un indugiare che suggerisce (o quantomeno stuzzica) compiacimento e morbosità, non ci prendiamo in giro. Ellis è un moralista, ma un moralista morboso (non a caso è stato spesso paragonato a Dostoieskij), e questa sua cifra è parte del suo successo. Non condividi Bateman ma non puoi fare a meno di guardarlo, ti fa schifo ma lo guardi. Perché? Perché ci ritrovi in chiave metaforica una profonda riflessione su alcuni osceni meccanismi della socialità contemporanea? Sì, ma non solo. Lo guardi, lo leggi, lo apprezzi, per la sua qualità, per il valore estetico della sua rappresentazione. Perché è mostruosamente intelligente, anche se la gestazione di questa intelligenza produce un risultato disturbante. Ti disturba ma ti attrae, e non puoi farci niente. Non mi piace la direzione del mio ragionamento, ma la domanda devo porla. Saremmo così propensi a dare un giudizio positivo sulla sua rappresentazione della violenza se quella qualità fosse più bassa o addirittura scadente? O magari siamo disposti ad accettare che i suoi scritti solletichino l’attenzione malata di alcuni perché quegli scritti sono semplicemente troppo belli per condannarli? Forse il punto è anche questo, ma non ho una risposta certa. Tanto per citare Ellis: questa non è un’uscita.

  11. x wu ming: qui ci sta concentrando troppo sulla forma.
    e se non sono intervenuto prima, è proprio per non entrare nel merito della discussione precedente, che anche se si fa finta sia chiusa noto che per voi è ancora molto calda.
    sto scrivendo adesso solo e soltanto per fare notare che nonostante tutto si dovrebbe parlare con più pacatezza del mestiere e delle scelte di qualcun altro, o meglio, semplicemente approfondendo l’argomento (in questo caso: leggendo il fumetto).
    io non sto parlando nè di violenza, nè di stupro. leggete bene le mie parole.
    parlo solo di rispetto per il lavoro altrui, e della responsabilità di muovere certi giudizi in un terreno sicuramente non amatoriale o da semplice lettore.

  12. Non voglio tornare a flammare, però da bravo gnurant ho una sensazione: che se le cose della Lippa le avesse dette un fumettista, sarebbero state prese in un altro modo. Perchè il problema mi pare lo status (la giornalista). Ma se stiamo ancora a questo punto significa che si considera il fumetto come una casta dove solo gli eletti possono alzare il dito e dire A.
    Invece sono colpito da quanto scrive Guglielmo Pispisa. Non ho manco io una risposta, ma la frase sulla qualità della rappresentazione arriva come un pugno. Forse perchè è vera.

  13. gnurant: non è per niente quel che volevo dire. il rispetto esiste in tutte le categorie, e ognuno può permettersi di dire quel che vuole, solo nel modo giusto e corretto. poi, se vuoi anche fare pensare che noi fumettisti vogliamo solo essere giudicati da tali andiamo in un’altra banalità, e quindi forse è meglio che io stacchi, dato che non era certo questa l’intenzione del mio intervento.

  14. Io non sono così sicuro che il punto di vista sia un problema e nemmeno la rappresentazione visiva o grafica.
    Facciamo un esempio di un film estremamente controverso come “Avere Vent’anni” di Lenzi di DiLeo.
    Il film (nella sua versione originale) per tre quarti del suo sviluppo non fa che mostrarci due ragazze bellissime che vivono la favola dell’amore libero degli anni ’70. Vanno in giro per l’Italia, scopano con chi gli pare, provocano, irridono e si divertono. Nel finale, finiscono in una bettola per camionisti dove le cose prendono la piega sbagliata, finiscono tra le mani di un gruppo di balordi e vengono prima violentate in maniera tremenda e poi uccise.
    A un esame superficiale, il film di DiLeo non fa altro che perpetrare il solito luogo comune del “se lo sono cercate” ma non è così.
    DiLeo mette lo spettatore nel ruolo del voyeur per gran parte della pellicola.
    Per tre quarti del film non si può far altro che godersi le belle forme di Lilli Carati e Gloria Guida mentre le due fanno generesomante mostra di loro.
    Quando si arriva al finale, la mente -inevitabilmente- finisce per pensare “se le sono cercate le rogne” e, sostanzialmente, ci mette nella tesa degli stupratori ma poi, la brutalità dello stupro e la violenza assurda a cui questi arrivano, sono un colpo nello stomaco, una aggressione vera e propria allo spettaore voyeristico, colpevole, quanto gli stupratori, di pensieri e azioni.
    In sostanza, il meccanismo di immedesimazione negli stupratori, l’uso della sensualità delle due protagoniste, non è altro che un modo per mettere lo spettatore dalla parte sbagliata e colpirlo duro nella sua ipocrisia quando si arriva alle conclusioni.
    Se ci dovessimo basare sui distinguo fatti in questo pezzo della Lipperini, l’opera di DiLeo sarebbe abominevole… ma vi assicuro che è, di gran lunga, una delle opere più efficaci, brutali, dirette che sia stata realizzata a proposito dello stupro.

  15. Qualcuno potrebbe far notare a WuMing che ROSARIA e DONATELLA, di cui ha ripetuto il nome dieci volte per far vedere che lui alle vittime ci tiene, non morte entrambe nello stupro? Così, giusto per amore della verità e rispetto delle vittime.

  16. Altra piccola noterella: ma la scena a base di modelle, tubi e topi affamati di “American Psycho” a voi davvero sembra distaccata?
    A me sembra che Ellis, in quella scena, se la sia spassata un mondo (e infatti, anche i lettori la trovano divertente nel suo essere atrocemente esagerata e parossistica).

  17. Ultima notarella: l’indignazione da parte mia (e di altri) per il precedente intervento della Lipperini non derivava dal “ripugnante” ma dall’aver detto che il lavoro di Ambu “apparteneva alla cultura dello stupro”, che per me è una cosa pesantissima da dire a qualcuno.
    Poi c’è stato anche chi ha fatto di peggio come Wu Ming che ha parlato di apologia, ma a certe balordaggini ho deciso di non dare nemmeno peso.

  18. Ultimissima: anche sul tirare in ballo King ho qualche dubbio.
    King mette in scena spesso scene di stupro (su “It”, su “Rose Madder”, su “Mucchio d’ossa”, nella serie della Torre Nera) e non in tutti i casi lo fa con distacco.
    Anzi, nel caso di Beverly (una dei Perdenti di “It”) il rapporto della ragazza con la violenza è piuttosto sfumato e si presta svariate interpretazioni e le scene sessuali sono parecchie e hanno più di una componente voyeristica.

  19. Non ho visto il film “Avere vent’anni” e non dico nulla. Però. Un paio di riflessioni su sguardo maschile e stupro, nella narrazione, andrebbero fatte. Posso rispondere citando un romanzo (non il film che ne è stato tratto) scritto da un uomo, Il branco, di Andrea Carraro. Che, per fare un esempio, scivola dallo stereotipo della vittima desiderabile a tutti i costi: e non è un dettaglio da poco.
    Poi, c’è un secondo punto. L’aggettivo “divertente” a proposito di Ellis. Personalmente non ho mai provato divertimento nel leggere American Psycho. Semmai, come dice Guglielmo, posso aver provato disturbo (fisico, in alcuni momenti, mentale, in altri). Ma divertimento no.
    Mi ha divertito Tarantino, con i surreali schizzi di sangue del duello di gruppo in Kill Bill: ma il piano era smaccatamente diverso.
    Sul discorso della cultura dello stupro, continuiamo a non capirci. Cultura dello stupro, per me, significa non rendersi conto di stare utilizzando, sicuramente in buona fede, elementi che, tassello dopo tassello, contribuiscono a crearla.
    Precisazione: quando Wu Ming parla della morte di Donatella, non fa che riportare le sue parole. Donatella Colasanti, morta di tumore, ha sempre raccontato, nelle rare interviste che concedeva, che la sua vita era stata sgretolata al punto di condurla alla malattia. Se proprio bisogna precisarlo.

  20. Ps. Quello di Beverly in It non è uno stupro e contesto il voyeurismo. Anzi. In Rose Madder non c’è stupro ma pestaggio reiterato della protagonista o di altri personaggi femminili. E tutti raccontati schierandosi apertamente dalla parte della vittima. In Mucchio d’ossa c’è, e la pietà nei confronti della vittima è tale che arriva a rendere meno terribile la sua successiva trasformazione.

  21. “Qualcuno potrebbe far notare a WuMing che ROSARIA e DONATELLA, di cui ha ripetuto il nome dieci volte per far vedere che lui alle vittime ci tiene, non morte entrambe nello stupro? Così, giusto per amore della verità e rispetto delle vittime.”
    Scusa, ma cosa ne sai tu dello stupro. Cosa ne sai di quello che resta dentro ad una vittima di stupro? O sulla sua pelle? O nella sua vita “normalmente” sessuale?

  22. e ricominciamo sulla violenza… che questi discorsi siano stati interessanti, veramente interessanti, lo dico sul serio. e il suo ultimo post è molto più chiaro è utile. e sarà bello continuare.
    però.
    perchè non si può ammettere che c’è stata un po’ di mancanza di rispetto dell’intervento iniziale? dico, siamo umani, e istintivi. non ci sarebbe nulla di male, anzi, sarebbe anche molto apprezzato.
    non posso credere che è davvero giustificato parlare male di un fumetto intero e dei suoi autori (ma potrebbe essere un film, o una canzone, o un libro) solo dalla copertina.
    il massimo che si può fare è, appunto, esprimere un giudizio sulla copertina.
    e su ambu, e sul quel fumetto, sono state dette cose poco gentili in quel primo intervento, che esulavano “la sola copertina”, non ci si può un attimo rendere conto di questo?
    io il fumetto lo sto ancora aspettando, e non posso pronunciarmi, ma è stato veramente assurdo per noi professionisti di quel settore leggere quel suo primo intervento.
    chessò.
    ho guardato anteprime di una serie a fumetti per un anno buono (ultimates disegnato da madureira) e non mi sono permesso di dir nulla, nonostante vedessi pagine intere. appena è uscito e l’ho letto ho potuto davvero capire che mi faceva schifo. ma ho aspettato di averlo fra le mani.
    siamo umani, e, nel rispetto, vorremmo solo che si capisse che l’indignazione che stiamo mostrando non è per difendere “le gnocchette”, ma un attacco poco carino.
    e se delle persone intelligenti non capiscono questo, allora siamo veramente nel paese di “amici”, dove tutti possono attaccare tutti solo per il piacere di farsi gli affari altrui.
    se invece il fine è più alto, ovvero quello strettamente comunicativo, allora anche una critica deve essere fatta secondo quei crismi.

  23. Ma comunque… anche la sottolineatura e la ripetizione di WM1 dei nomi delle vittime è (esteticamente) lo speculare della pornografia della violenza di cui si discuteva.
    Questo per far capire come sono difficili alcuni esercizi di sensibilità.
    L’esercizio di forma è (nell’arte, nella comunicazione) come quello di un funambolo, bisogna stare sempre molto attenti e cadere – certo, in buona fede – è facile. WM1, per rispetto, bastava pronunciare quei nomi una sola volta, nomi e cognomi completi, non solo i nomi: sempre per rispetto, non sono le tue sorelle o le tue fidanzate.
    Quello che vale per le immagini, vale anche per le parole.

  24. E si parla di stile, punti di vista, terze persone, voyerismo.
    Si confronta coi film, coi libri e si dice: “no, no, si fa così… senza erotismo… la terza persona…”
    A me sembra semplicemente che non venga capito o “accettato” il media fumetto, in più gli si associa un richiamo emotivo dei fatti di violenza come se la loro rappresentazione a matita fosse un rimanifestarsi della violenza stessa.
    Proprio non ci siamo.
    A partire da qui ogni discussione per quanto profonda non servirà a niente.

  25. senti Greg, se in un post di internet si può scivolare su qualche buccia di banana (ogni tanto lo facciamo, lo faccio io etc.) una cosa stampata – come quel fumetto – è una cosa meditata, elaborata, fermentata, prodotta e insomma… ci si deve pensare molte volte prima dell’imprimatur.
    Il problema non è la scena violenta, ma l’intrinseca correità con la violenza della scena stessa…
    “Arancia meccanica” è un film violentissimo, eppure la strizzata d’occhio o il darsi di gomito non c’è mai.
    Idem per “American Psycho” o Quentin Tarantino (è stato già detto: iperbole, comico etc. staccano la connivenza col male).
    Idem per la violenza che si trova in LMVDM di Gipi, o per quella dei manga giapponesi (ma lì, ancora una volta, è una violenza redenta da qualcos’altro e il pneuma, il nucleo irriducibile della sequenza violenta non è nudamente violento ma epico, ad esempio…)
    In questa copertina qua, mi pare di no. C’è strizzata d’occhio, c’è darsi di gomito, c’è (per banale inesperienza, magari) il male attraverso se stesso.
    Alcuni fumetti più violenti di questo del Circeo non sono violenti né apologetici.
    Qui io vedo la violenza dell’incuria e della superficialità nell’affrontare una storia di violenza.
    è questo il punto…

  26. Franz mi riporti 100% a quanto ho già scritto e credo rimarrò lì, perchè il tuo punto di vista non solo non lo condivido ma credo sia parecchio fuori dalle orbite.
    In più mi citi la violenza+erotismo dei manga, che più gomito di quella non credo te lo darà nemmeno uno stupro in prima persona…
    Continuo a non capire e infatti ci rinuncio, saluti.

  27. Per Loredana: io credo che qui, però, i tuoi gusti influenzino il giudizio finale.
    Ellis ti piace, esattamente come ti piace King, e quindi li giudichi sulla base dei principi in cui credi.
    Visto che nell’altro intervento hai riportato spesso le impressioni di altre persone come discriminante, io ti posso dire di conoscere un mucchio di persone che pensano che “American Psycho” sia un libro con alcune parti permeate di un umorismo nerissimo e spassoso (io stesso lo penso e adoro quel libro) e che hanno trovato eccitanti (sì, eccitanti) le molte pagine dedicate da King alla sfera sessuale (che un pelo deviata lo è, visto che si scopa i suoi sei amici all’età di 12 anni, vogliamo dirlo?) di Beverly.

  28. “Qualcuno potrebbe far notare a WuMing che ROSARIA e DONATELLA, di cui ha ripetuto il nome dieci volte per far vedere che lui alle vittime ci tiene, non morte entrambe nello stupro? Così, giusto per amore della verità e rispetto delle vittime.”
    Qualcuno potrebbe dire a costui che Donatella Colasanti ha sofferto tutta la vita per quel che le era successo per poi morire di tumore (e quindi nel dolore) nel 2005 dopo trent’anni di lotta per avere giustizia? E magari dirgli che su questa vicenda c’è forse gente che ne sa un pelino più di lui? E che prima di fare dell’accademia bisognerebbe saper *provare* qualcosa? E che la vera pornografia è la spersonalizzazione della vittima accompagnata all’estetizzazione del carnefice?
    Ma io penso che alcune di queste cose già le sappia, e in realtà stia ciurlando un poco nel manico…

  29. Per WuMing1: io penso che lei stia sfruttando il nome di Rosaria e Donatella per portare acqua al suo mulino, peggio di quanto Ambu potrà mai aver fatto e che il dolore di Donatella per il suo tumore non è da accostarsi al dolore di Rosaria per la sua morte violenta. Sono proprio cose diverse, buttate nel calderone da lei per fare facile pietismo.

  30. E dopo l’uso del tutto a sproposito della parola “apologia”, è la volta del termine “pornografia” (che per la cronaca, ma lei lo saprà meglio di me, significa “scrivere o disegnare prostitute”).
    Eppure, leggendo “Q”, pensavo che foste tutti persone intelligenti e dotate di cultura.

  31. Saccente forcaiolo che, oltretutto, non ci sta pensando due volte a usare la morte di due donne per perorare le cazzate che sta scrivendo?
    Ma fammi il piacere.

  32. @recchioni:
    guarda che poi, col tempo, “pornografia” ha acquistato un diverso significato di uso comune…
    la cosiddetta evoluzione della lingua.
    e per favore, non iniziate a offendervi: qui stiamo discudendo di violenza, e diventare violenti è la peggiore cosa che può accadere a queste discussioni.
    quindi da bravi, stringetevi la mano da buoni avversari con diversi punti di vista e cercate di non prestare il fianco al peggio.
    grazie.

  33. L’apologia può anche non essere intenzionale. A volte parla l’inconscio, oppure la semplice incapacità di maneggiare un tema.
    A parte che il riferimento alla pornografia (all’uso estensivo del termine, come quando si parla di “pornografia dell’orrore”, ed è un diversivo risalire all’etimologia) era stato fatto sopra non da me, io dico: esatto. “Disegnare puttane”. Il “narratore implicito” che mette in scena quella copertina ha fatto questo. La voce che risuona nelle orecchie dice precisamente: – Tre ganzi, due puttane.
    “Eppure, leggendo “Q”, pensavo che foste tutti persone intelligenti e dotate di cultura.”
    Lasciamo stare la cultura o l’erudizione o il QI, qui basterebbe essere tra persone decenti e capaci di com-passione, di essere toccati dalla sofferenza degli altri.

  34. Beh, dopo tutta la vita trascorsa a sentirsi dare (probabilmente a ragione) dell’iper-garantista ideologico che difende la libertà anche di soggetti repellenti, e dopo essermi anche preso delle denunce (e condanne) per questo, sentirmi dare del forcaiolo da un soggetto che probabilmente in certi casi difenderei, mi rincuora sullo stato della mia libertà intellettuale.

  35. “che hanno trovato eccitanti (sì, eccitanti) le molte pagine dedicate da King alla sfera sessuale (che un pelo deviata lo è, visto che si scopa i suoi sei amici all’età di 12 anni, vogliamo dirlo?) di Beverly.”
    Detta così, sembra che It sia un romanzo in stile Melissa P. in cui il personaggio Beverly è l’adolescente disinibita che va a letto con tutti i suoi compagni (una “scopamica”, per dirla nel gergo corrente), quando invece quel rapporto sessuale di gruppo è stato unico, e non cercato tanto per piacere, ma perché era l’unico modo in cui, in quel frangente, il gruppo dei Perdenti poteva rimanere unito e salvarsi. Tra l’altro, quella scena non mi ha convinto, mi è sembrata una trovata un po’ campata in aria (quando c’è di mezzo la Tartaruga King fa spesso e volentieri il passo più lungo della gamba, la Torre Nera docet). Il punto però è che la motivazione di questa scena è data dall’autore nel romanzo, è chiara, ed è altrettanto chiara che questo momento sessuale è circoscritto a quel punto; non a caso in tutto il resto del romanzo Beverly – sia da ragazzina che da donna adulta – non appare mai come ninfomane o affetta da qualche turba. La devianza in lei penso che la si possa vedere solo se si è letto il libro con poca attenzione (quelli che leggono gli autori horror solo perché sperano di trovare sesso&splatter) o se si vuole piegare una narrazione ai propri fini polemici.

  36. Sono toccato pienamente dalla sofferenza degli altri.
    Esattamente come sono toccato dalla stupidità degli altri.
    C’è una illustrazione, con una simbologia abbastanza elementare, lo ammetto, che sta venendo trattata (e strumentalizzata) come un manifesto “pro-stupro”.
    La sua è una analisi strumentale e faziosa e non è che ci voglia una scienza per capirlo.
    A cominciare dal punto di vista di quell’illustrazione (alle spalle della vittima) è chiaro il punto di vista degli autori: dalla parte delle vittime, nella loro soggettiva, davanti a tre belve che incombono su di loro con crudeltà e divertimento.
    Non c’è niente di apologetico nella rappresentazione di Izzo e compagnia.
    Sono tre mostri. Hanno maschere da demoni, sono neri e rossi, sorridono maligni e crudeli. Al massimo, come detto prima, è una rappresentazione simbolica sin troppo semplice e diretta, ma nulla che abbia a che spartire con la mitizzazione di queste figure.

  37. “il dolore di Donatella per il suo tumore non è da accostarsi al dolore di Rosaria per la sua morte violenta”
    Mai sentito parlare di cause psicosomatiche in grado di scatenare forme tumorali? Come puoi essere così sicuro che la morte per tumore non sia dovuta ai maltrattamenti subiti tanti anni prima e che quindi la morte violenta di una e la morte per malattia dell’altra non siano invece accostabilissime?
    Scusami, ma alcuni tuoi interventi, a parer mio, mostrano una mancanza di tatto plateale.

  38. Quindi tutte le persone che invece hanno provato ribrezzo sono tutte in malafede o stupide. Ecco, a irritare e a far degenerare la discussione è proprio questa difesa a spada tratta senza lasciare spiragli, questo cocciuto rifiutarsi di ammettere che c’è un problema.

  39. Per Luisa: a parte che tu non puoi essere sicura del contrario, il punto non è proprio questo il punto. E’ che sono cose diverse che non possono essere messe nello stesso calderone.

  40. Per Wuming: del resto, voi state dicendo che tutti quelli che non ne sono stati disturbati sono dei mostri che ci godono a vedere le donne stuprate e che perpetrano la cultura dello stupro… direi che, in quanto a qualunquismo d’accatto, siamo pari e patta.

  41. “a parte che tu non puoi essere sicura del contrario”
    Guarda, tu stai pesando col bilancino le sofferenze, e facendo distinguo inaccettabili sotto ogni punto di vista, parlando senza sapere nulla di una persona che ha avuto la vita devastata irreparabilmente, ed è morta nel dolore, un dolore duplice, quello del corpo e quello dell’anima, che comunque sono due facce dello stesso dolore. Di fronte al peso, all’enormità di questa esperienza unitaria, tu ti metti a fare il ragioniere. Parlo di questo, quando denuncio la tua mancanza di empatia.

  42. per WuMing: io non entro per nulla nel merito del dolore di nessuno. Sei tu quello che lo ha tirato in ballo per usarlo nella discussione.

  43. Per perpetrare la cultura dello stupro è sufficiente minimizzare certi messaggi. Tu comunque, nel caso di una delle vittime del Circeo, stai facendo ben di peggio: coi tuoi piccoli ma colossali distinguo stai minimizzando le conseguenze perenni di quello stupro, di quel pestaggio, dell’aver visto trucidare la tua amica sotto i tuoi occhi, dell’essere stata gettata nella spazzatura manco fossi gli avanzi di un pasto (e in un certo senso era così). Io ho scritto che sono morte “entrambe nel dolore”, e tu sei partito con un’arringa a puntate minimizzante che mi dà molto, molto fastidio, perché come logica ricorda precisamente le arringhe degli avvocati difensori in quel celebre documentario del ’79…

  44. Io ho fatto i nomi, e andavano fatti. Nella foga di parare le chiappe a qualche amico di clan, qualcuno si stava dimenticando che a essere tirate in ballo sono due persone vere.

  45. Io non sto minimizzando un cazzo. Dico che forse bisognerebbe andarci con i piedi di piombo prima di tirare in ballo il dolore delle vittime solo per sostenere il proprio punto di vista.

  46. Amico di clan? In realtà, io e Ambu ci conosciamo a malapena e, se devo essere sincero, la copertina nemmeno mi piace (simbolismo sin troppo semplice per quello che è il mio gusto).

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