REGREDIRE ALLO STATO DI INCOSCIENZA: DEBORD IN PICCOLE DOSI

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Carlo Freccero e Daniela Strumia, Repubblica, 24 marzo 2013
Nella sua opera più famosa, La società dello spettacolo (di cui curammo la prefazione all’edizione italiana nel 1997), Debord descrive il consumismo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Per Debord lo spettacolo «è il cattivo sogno della società incatenata». Ne consegue che «svegliarsi da quest’ incubo è il primo compito che si assegnano i situazionisti».
Oggi che questo evento si è realizzato, che lo spettacolo è andato in frantumi e abbiamo bruscamente riacquistato il contatto con la realtà, l’ impressione che ne traiamo non è di liberazione, quanto piuttosto di disperazione e rimpianto. Cypher, il traditore di Matrix, non chiede in cambio del suo tradimento dei benefici economici: vuole solamente regredire allo stato di incoscienza che caratterizzava la sua vita prima di assumere la fatale pillola rossa, che l’ha liberato dalle accoglienti illusioni di Matrix per scagliarlo brutalmente nei sotterranei della vita vera, dove si combatte in trincea contro il male, ma a costo di rinunciare a ogni piacere. Conoscere la verità non significa necessariamente schierarsi dalla parte giusta.
Marx come ispiratore di rivolta ha avuto un compito tutto sommato più facile di Debord. Marx aveva come oggetto di studio la prima rivoluzione industriale, e la sua analisi era intrisa di sudore, sfruttamento e dolore. Il consumismo invece non viene percepito come sofferenza, ma come godimento condiviso, redistribuzione del benessere. Se quindi Marx ha buon gioco a connotare di significati negativi il concetto di alienazione, Debord, che è una sorta di Marx del consumismo, prova maggiori difficoltà a farci odiare la contemplazione, che è l’ anello di congiunzione tra alienazione e spettacolo. Anche la contemplazione è passività, ma una passività che non nasce dall’impotenza bensì dall’ammirazione. Si contempla la Madonna, si contempla il sacro, si contempla lo spettacolo. Lo spettacolo, inteso come consumismo, ha rappresentato nel nostro recente passato una sorta di sacralità.
Se dunque lo spettacolo è morto non è perché l’ abbiamo combattuto, ma perché le leggi economiche hanno preso un’ altra strada. Alla fine degli anni Settanta nacque il capitalismo finanziario. Il valore non scaturisce più dal lavoro, dalla produzione e dal consumo. Nasce dal mercato, dalla libera contrattazione dei valori azionari. Spazzato via il mondo della produzione reale, lavoro e consumi diventano superflui. Le luci dello spettacolo si spengono ad una ad una e il mondo sembra tornato a uno scenario da prima rivoluzione industriale.
Finito il consumismo, cosa può dunque insegnarci oggi Debord? In realtà sembra che le sue risorse profetiche si rivelino inesauribili. Nel 1988 scrisse I commentari sulla società dello spettacolo che descrivono lucidamente non la società di allora, ma la realtà di oggi. Ne La società dello spettacolo Debord identificava due forme di spettacolo, legate a due diverse forme di regime politico: lo spettacolo concentrato, proprio delle società totalitarie e dittatoriali, e lo spettacolo diffuso, proprio delle democrazie occidentali dominate dal consumismo. Nei Commentari introduce il concetto di spettacolo integrato, che ha molte caratteristiche in comune con lo spettacolo concentrato, dove «il centro direttivo è ormai diventato occulto». Qui la Mafia non rappresenta più un residuo arcaico del passato, ma il modello economico vincente: «nell’epoca dello spettacolo integrato, essa appare di fatto come il modello di tutte le imprese commerciali avanzate». Ancora una volta Debord descrive dal passato il nostro presente. Pensiamo al concetto di spettacolo integrato, miscela di stato tollerante e autoritario, come anticipazione del capitalismo autoritario contemporaneo. E pensiamo all’idea di Mafia come modello di tutte le imprese future. Incomprensibile nel momento in cui viene scritta, quella definizione anticipa in maniera sorprendente un’ opera come Gomorra: la delinquenza non è corruzione, deviazione, ma la matrice stessa della produzione capitalistica.
Senza dubbio, il concetto critico di spettacolo può anche venire volgarizzato in una qualsiasi forma vuota della retorica sociologico-politica per spiegare e denunciare astrattamente tutto, e servire così alla difesa del sistema spettacolare. Perché è evidente che nessuna idea può portare al di là dello spettacolo esistente, ma soltanto al di là delle idee esistenti sullo spettacolo. Per distruggere effettivamente la società dello spettacolo, ci vogliono degli uomini che mettano in azione una forza pratica. La teoria critica dello spettacolo non è vera se non unificandosi con la corrente pratica della negazione nella società, e questa negazione, la ripresa della lotta di classe rivoluzionaria, diventerà cosciente di se stessa sviluppando la critica dello spettacolo, che è la teoria delle sue reali condizioni, delle condizioni pratiche dell’oppressione attuale, e che inversamente svela il segreto di ciò che essa può essere. Questa teoria non attende miracoli dalla classe operaia. Essa affronta la nuova formulazione e la realizzazione delle esigenze proletarie come un compito di lungo respiro. Per distinguere artificialmente lotta teorica e lotta pratica – dato che, sulla base qui definita, la costituzione stessa e la comunicazione di una teoria del genere non possono concepirsi senza una pratica rigorosa – è certo che il cammino oscuro e difficile della teoria critica dovrà avere lo stesso destino del movimento pratico agente sul piano della società.
Guy Debord, La società dello spettacolo

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