SALVEZZA E RIVOLTA: QUEL CHE POSSIAMO FARE DOPO CUTRO

Noi non salveremo tutti, partiamo da qui. Nessuno di noi, da solo, è in grado di salvare tutti quelli che vorrebbe, ammesso che lo si voglia ancora, in questi tempi oscuri. E quindi moltissimi di noi non erano su quella spiaggia di Cutro di cui possiamo solo immaginare i dettagli. Le onde altissime. La paura. Gli Help, Help, Help. Che sono stati ignorati da chi poteva salvare.
Noi non salveremo tutti, Ma chi si mette in mare per recuperare dalle acque chi cade dai gommoni, salva. Non sempre, ancora una volta. Non questa volta. Questa volta chi è sopravvissuto racconta di aver visto le luci della costa e aver pensato di avercela fatta, che i soccorsi stavano arrivando. Non era così. E’ arrivata un’altra onda. E’ arrivata la morte.
Sembra che ci siano cinque fasi, nella morte per annegamento.  La prima è la sorpresa. Il tonfo in acqua. Il freddo. Aspirare aria. Unico atto inspiratorio riflesso. L’ultima boccata. Poi, la resistenza: la glottide si serra, implora l’apnea, resiste per un minuto. Infine, ogni difesa viene meno. Cominciano i respiri. Profondi, affannosi. L’acqua si riversa a torrenti nei polmoni e nello stomaco, la coscienza si spegne, mentre le labbra continuano ad aprirsi e il cuore rallenta fino a fermarsi. Dura dai tre ai cinque minuti in acqua dolce, dai sei ai sette in acqua salata.
Giuseppe Capoccia, procuratore, dice: “Sì, è vero, nessuno ha mai dichiarato un evento Sar per questo barcone e quindi non è mai partita un’operazione di ricerca e soccorso. Ricostruiremo tutto ma mi fa rabbia, come padre di famiglia, come cittadino, pensare che forse qualcosa si poteva fare per salvare quelle persone”.
Dunque, non possiamo salvare tutti, non noi, ma qualcuno poteva, e non lo ha fatto. Qualcuno, come ben sapete, si spinge anzi a insinuare che quei morti se la sono cercata, perché insomma chi ve lo fa fare a mettere a rischio la vita dei figli. Il problema è che a pensarlo, magari silenziosamente o magari no,  sono in tanti, e tante, dal calore delle proprie case, le mani sulla tastiera del computer.
Non salvano, non salviamo neanche noi, che piangiamo quei morti e ci chiediamo come sia possibile.
Chi, nelle notti gelate d’inverno, offre cibo e coperte e riparo a chi non ne ha, salva. Non sempre, e ammesso che non arrivino i bei comitati di quartiere a metterci le fioriere, al posto degli ultimi, che è brutto vedere la povertà, si sa.
Chi è medico, salva. Potendo. E non sempre, perché così funziona nella storia dei mortali.
Chi non è medico, non sale su una nave di salvataggio, non fa parte di gruppi di soccorso può salvare, forse, chi gli è più vicino: con fatica e pazienza e volontà, e coraggio.
Quello che, credo, possiamo fare tutti è metterci nella condizione di poterci almeno provare. E questo significa, oggi come negli ultimi tempi, non sentirsi innocenti, non ignorare la fragilità degli altri, non ignorarne le paure, non ignorarne il pensiero. Significa dirsi, per prima cosa, sbaglio anche io, sono fragile anche io, ho paura anche io, come tutti. Significa spiegare, ma non come se si dovesse impartire una lezione a un bambino ignorante: spiegare le proprie ragioni, ascoltare le altre. Significa provare a capire, almeno provare. Significa chiedersi quali potrebbero essere le soluzioni rispetto al tutti contro tutti che abbiamo visto inscenare negli  ultimi tre anni: perché le soluzioni da qualche parte esistono pure, e non basta, temo, sostituire un ministro con un altro se non è il paese intero a convincersi che bisogna, bisogna, bisogna salvare. O provarci.
Quello che intendo è che incitare all’odio e fomentare l’incarognimento è sicuramente la strada più tossica che si possa scegliere, e avviene da tre anni. Gli effetti sono persino poco visibili, al momento: ma non svaniranno tanto facilmente. E io di questo mi preoccupo, di questo mi spavento. Ho paura perché per risalire questa china ci vorrà tanto lavoro, tanta pazienza, ancora una volta. E non abbiamo neppure cominciato a pensare che dobbiamo farlo.

La rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere e far vivere per creare quello che siamo.
(Albert Camus, L’uomo in rivolta)

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