Su L’Espresso di oggi, Roberto Saviano recensisce Manituana. Estratti:
[…] Quello che da anni portano avanti come progetto i Wu
Ming è la nuova possibilità di mettere insieme diversi linguaggi, nuove
sintassi, comunicative inesplorate. Un percorso che non ha nulla
dell’elitarismo dell’avanguardia: come avevano fatto con il loro precedente
romanzo ’54’, i Wu Ming riescono a costruire storie articolate all’interno
delle fibre muscolari della Storia. E le alternative al percorso della Storia
non sono giochi ingenui o impossibili […]
[…] smontare il monolite della Storia, per cavarci le storie, non racconti, o
aneddoti, non scorciatoie da scrittori per far compagnia alla propria fantasia,
ma percorsi abbandonati, ignorati, deformati che attraverso il racconto vengono
salvati e riportati nel letto del fiume della Storia. Rendere al condizionale
il tempo della Storia significa non subirla. Divenire almeno nel tempo della
riflessione capaci di determinarla […]
[I Wu Ming] Non inventano nuovi destini, ma scovano sentieri già tracciati che
non sono stati battuti e forse ultimati. Così prende il via il lungo viaggio
spazio-temporale di ‘Manituana’, trasportando il lettore tra i sentieri e i
villaggi della grande nazione irochese, alla vigilia di quella guerra di
indipendenza americana che ha decretato la nascita di una nuova potenza e il
definitivo affrancamento dei ‘ribelli’ dall’impero coloniale di re Giorgio III
d’Inghilterra. Hanno cominciato dal classico "what if…",
chiedendosi cosa sarebbe accaduto se i lealisti avessero sconfitto le truppe di
coloni guidati da George Washington. Forse sarebbe andata come in Canada, dove
le popolazioni autoctone ebbero molte difficoltà sotto la corona britannica, ma
non furono oggetto di operazioni di sterminio, come invece accadde negli Stati
Uniti.
Ma ‘Manituana’ non è in nessun modo un libro sulla storia dei ‘Native
Americans’, non è l’ennesimo testo sui pellerossa. Ed è questo forse il segreto
della sua necessità, del passaparola che ha permesso al libro di fuggire di
mano in mano. È un racconto di una nuova dimensione, occhi nuovi su un momento
della Storia fondamentale, dove si stava per generare ciò che avrebbe
determinato le sorti del mondo nei secoli successivi. Un raccontare la
gestazione del mondo moderno, la gravidanza
della Storia che avrebbe partorito il mondo che oggi abbiamo. Ma che avrebbe
potuto generare altro. Un "altro" annegato, abortito, ma che è
possibile rintracciare in ciò che è stato. ‘Manituana’ non è cowboy e
pellerossa, non i malvagi indiani strappa-scalpi e i buoni colonizzatori
porta-civiltà. E non è nemmeno i buoni indiani e i malvagi americani. Atrocità
avvengono su ogni fronte. ‘Manituana’ è per molte pagine l’incontro di mondi, e
vuole essere un sismografo delle cinetiche, dei conflitti, e della fusione
bastarda e meticcia che l’incontro di diverse culture ha generato. […]
Non c’è nulla dell’immaginario già consolidato. La sensazione è che il nuovo
romanzo dei Wu Ming sembri in qualche misura un dialogo sibillino con la
‘Dialettica dell’illuminismo’ di Adorno e Horkheimer. Ed è a questo libro che
chiedono interlocuzione piuttosto che all”Ultimo dei Mohicani’, di Cooper. Il
cuore pulsante di ciò che ha portato l’Europa alla Shoah è nella storia della
ragione illuminata, e così i Wu Ming seguendo la traccia portano a dimostrare
che proprio i padri della democrazia americana furono i fondatori del massacro,
coloro che fondarono le premesse (e non solo quelle) per non accogliere le
energie che stavano generandosi nell’incontro tra indigeni, non vedendo nel
mezzosangue l’origine degli Stati Uniti d’America, ma portando avanti un’idea
di civiltà e civilizzazione che somigliava a un modello in grado di legittimare
le nuove aristocrazie coloniali contro le aristocrazie inglesi e francesi del
Vecchio continente […]
Dalla parte sbagliata della storia, così come recita il progetto dei Wu Ming,
la sottotraccia, il trailer del libro. Parte sbagliata perché non realizzata,
ma parte sbagliata perché meno raccontata, considerata reazionaria, scadente,
perdente. E così è stato per i nemici dei ‘rivoluzionari’ di Washington che
invece avrebbero avuto un modello di civiltà diverso dallo sterminio. E come
sempre però l’irrealizzato riesce a ingravidare il realizzato, l’idea
federalista di Benjamin Franklin ciò per cui ancora oggi viene venerato come
grande statista politico è stata direttamente presa dalle Sei Nazioni irochesi.
[…] Bisogna essere addestrati alla maratona per apprezzare le oltre 600
pagine di ‘Manituana’, ma il fiato lungo vien leggendo in un percorso che
sembra a spirale, una volta entrati, se si decide di entrare, difficilmente se
ne esce fuori. Non c’è inizio non c’è termine. ‘Manituana’ continua sul web
(www.manituana.com). Una scelta in piena coerenza con il progetto del libro. Il
web è il mai definito, il possibile, il progressivamente costruibile. La
capacità di poter seguire i percorsi di ‘Manituana’ attraverso Google Earth
aggiunge capacità concreta d’immaginazione al libro, una sorta di materialismo
della fantasia, una forza, quella di mettere ogni strumento al servizio del
romanzo, che farà storcere il naso a molti puristi della pagina […]
‘Manituana’ non è soltanto una narrazione di ciò che poteva essere, ma è una
cartografia del possibile, uno strumentario letterario attraverso cui si può
smontare il congegno della Storia, una capacità che può essere alimentata solo
attraverso la necessità di stare dalla parte sbagliata
Lipperini. Mi hai cancellato di nuovo. E il messaggio era palesemente filocinese. Devi essere proprio fuori dalla grazia di Mao:-
Ma Scarpa e la Benedetti non hanno di meglio da fare che venire qui sotto nick a fare i bambini stizziti col moccolo al naso e farsi cancellare i commenti? Un po’ di serietà, che diamine…
Rosiconi di tutto il mondo, uniamoci! Al posto del villaggio di Fengjie ora c’è la grande diga delle Tre Gole. Il villaggio è stato sommerso, il nuovo quartiere è ancora in costruzione. Il minatore Han Sanming cerca la sua ex moglie che non vede da sedici anni. Anche Shen Hong, un’infermiera, arriva a Fengjie per cercare il marito che non torna a casa da due anni. Ma la Banda dei Cinque pensa solo ai dollaroni americani…
Fossi nella Lipperini questi commenti li lascerei, dicono molto di chi li scrive e sull’odio che Saviano e i Wuming suscitano nelle mezze tacche. Sono educativi.
Già. Però rompono anche il cazzo!
Estraneo, ho la sensazione che tu sia fuori strada. Saviano è buonissimo. I Cinque ambiguissimi.
MANITUANA è bellissimo. Non è un saggio ed è pura narrazione. La lingua si inerpica sull’erta di almeno otto registri diversi. MANITUANA è un romanzo perché ha vuoti che permettono di sentire il ritmo, non è tutto pieno. E’ un libro di costruzione e lirismo ed epica, a conferma dello slittamento fuori dagli ultimi generi rimasti in piedi, questa odiosa distinzione tra prosa e poesia, che chi pensa di conoscere Leopardi invece non sente oggidì. MANITUANA è il centro, ciò che accade fuori è involgarito da invidie, pensamenti che esistano fazioni, amici e nemici – quando il centro è il testo, la struttura, la lingua, l’andamento, la tonalità, l’alternarsi di pieni e vuoti, la nozione e il non sapere, il calcolo e lo spreco, le poetiche che si innervano. Nel libro (poiché parliamo di libro) è il perno e l’invito, non mai la risposta. Qui vedo gente che ha risposte a domande poste da se stessi. Il testo va, il tempo e quello che Burroughs chiamava “il calco umano” determineranno se resta, se fiorisce, se fuoriesce. Questo afferma un autore che è collega tanto di Wu Ming quanto di Saviano, tanto di Avoledo quanto di Biondillo – e lo dice senza prese di posizione preventive, bensì stando al testo, vedendo il testo nudo, nudo pasto che deve essere. Non c’è più risposta, in letteratura, se non la scrittura di un testo disposto alla ricezione, di un brutale invito stracolmo di gentilezza. La misura è questa, il resto è estraneità alla letteratura, Calvino che parla della “viola” di Pavese dicendo che indaga “i negretti”, schiere cieche che urlano la propria purezza priva di patente alcuna, non avendo dato nulla a me, ai miei colleghi, ai lettori tutti. L’extraletterario è devastante, oggi, non solo per la nube mercantilizia e quella paradorniana, fatta di ignoranza e hortus conclusus, ma soprattutto per l’ipocrisia di che addita mafie a partire dalla propria cosca. E sono contingenze transeunti, mentre i testi, se passano il metabolismo della specie, sono tutto tranne che transeunti, e noi possiamo dare giudizi evanescenti, anche entusiasti, in attesa che si compia la permanenza nomade di un libro o la sua definitiva scomparsa.
A me sembra che dare a Saviano del buono-buonissimo, in questo contesto, sia molto, molto, molto vicino a dargli del coglione. Anzi, mi pare proprio che questi qui gli stiano dando del coglione. Anzi, ne sono sicuro: gli stanno dando del coglione. Ma siccome se gli dessero del coglione in modo esplicito farebbero brutta figura, si sono inventati questa cazzata del “Saviano buono-buonissimo”. Che però significa null’altro che coglione.
@ Andrea
fatti un po’ di conti: 35 mesi fa era di maggio, secondo te cosa ci facevano una dozzina di scrittori insieme? Un aiutino, che ne hai bisogno:
a. la fiera del gianduiotto a Torino
b. la fiera del lingotto a Torino
c. la fiera del libro a Torino
e secondo te cosa fanno un tot di scrittori, editori, traduttori, lettori quando si vedono? Parlano:
a. di figa/culo
b. di calcio
c. di libri
e parlando di libri secondo te sono tutti uguali o si dividono in:
a. quelli che parlano dei propri libri già scritti perché non c’è di meglio, oggi come oggi
b. quelli che parlano dei libri degli altri perché fanno schifo per definizione, mica come i miei o quelli dell’amichett@
c. quelli che si raccontano cosa stanno scrivendo, o stanno per scrivere, o stanno meditando di scrivere, per scambiarsi le idee, confrontarsi, ecc., insomma fare quello che Gramsci chiamava lavoro culturale (ma Gramsci mica aveva letto la Premiata Ditta Benedetti&Scarpa, certe cose non poteva capirle)
Il resto dei tuoi post sono solo l’indice della tua pochezza e meschinità: basta leggerli per verificare che, come Marzullo, ti fai una domanda, poi ti rispondi, e nel risponderti cerchi di far finta di non essere quello che si è fatto la domanda. Se ci fosse un campionato mondiale dei patetici arriveresti secondo.
Il direttore di una collana nient’altro che un “amministratore”?
Basta questo a far capire che qui si sproloquia di editoria senza sapere niente.
Il direttore di una collana (Strade Blu, Stile Libero, 24/7, Narratori della Fenice, i Robinson Laterza…) è il garante del contesto, del tema e dell’impronta culturale e quindi del fatto che, pur diversi, i titoli pubblicati sotto quel nome echeggino e dialoghino tra loro in un modo o nell’altro.
Non è un semplice amministratore (ammesso e non concesso che amministrare sia semplice), è la persona che vaglia le proposte e le scoperte, coordina il lavoro degli altri (editor, grafici), parla con gli autori, si preoccupa di come un libro sarà descritto e presentato ecc.
Un direttore di collana che si disinteressi di cosa stia scrivendo un suo autore non fa bene il suo lavoro.
E un autore che non rispondesse alla curiosità del suo direttore di collana sarebbe un cretino presuntuoso e con poco futuro davanti.
Ciao. Sono Jack lo Spammatore. Che ne dite di interrompere questo ozioso dibattito, che non influenzerà in alcun modo i destini di Manituana, e andare piuttosto a firmare, per sgranchirvi la coscienza, la petizione sull’affido in http://www.lagabbianella.org ?
Grazie.
P.S. Qualunque cosa abbia sostenuto Andrea Barbieri, gli va dato atto di averla firmata con onestà.
Ci sono due cose che non mi convincono delle risposte.
1. è il tono di insulto, una persona se non viene toccata nel vivo non reagisce insultando.
2. Girolamo dice in sostanza: ci siamo incontrati per la Fiera del libro. Altri aggiungono: il direttore di collana si interessa al lavoro dei suoi autori. Benissimo. Ma perché allora Girolamo ha puntualizzato che l’autore in quel caso rifiutava vigorosamente le sirene del marketing. Vorrà dire no che nei casi di minore forza contrattuale l’autore accetta, deve accettare, quelle opportunità a scapito della sua libertà creativa.
Io credo che se un lettore potesse vedere cosa accade davvero nell’editoria, si troverebbe dentro un’epica superiore a quella delle Termopili. Credo che vedrebbe atti di civiltà e sensibilità commoventi, e meschinerie che nel mondo comune sarebbero immonde.
E’ molto raro che dei “fatti” trapelino. E’ uno show e al lettore arriva solo l’immagine al livello del palco. Quello che accade dietro resta quasi impensabile. E se qualcuno cerca di pensarlo, congetturando su alcuni fatti che fortunosamente si sono percepiti (ad esempio Angelini raccontò alcuni episodi dell’editoria per ragazzi) scatta la difesa corporativa farcita di insulti. Come se chiedendo quello che chiedo non avessi in testa di sostenere da lettore la libertà creativa di un autore.
andrea barbieri
Vi imploro, facciamo una petizione per uno stage di sei mesi presso un qualsiasi editore medio ad Andrea barbieri, forse la smetterà di ammorbarci con le sue paranoiche stupidaggini.
L’idea che “l’editoria” sia cosa altra dal “mondo comune” è il tuo errore, Andrea. Ed è anche il pregiudizio che offusca tutta la discussione che se ne sta facendo in rete.
Da lì il passo è breve nel cercare una risposta “altra” a una recensione, quella di Roberto, ad un libro, quello dei WM, che a lui è piaciuto. Al punto che ora ogni libro che recensirà sarà sempre vagliato da quel precedente: perché recensisce Genna? Perché è buono? Perché gli torna utile? Perché recensisce Scarpa? Perché è un amico suo?
Così, davvero, non se ne esce. E’ un continuo spostare il fuoco dal testo al paratesto.
Quelle poche recensioni che io pubblico in giro sono quasi sempre di autori stranieri, e mai della mia casa editrice. Però, a lungo andare, questi paletti che mi impongo iniziano a starmi stretti. Perché non posso parlare di un libro che amo, anche se chi l’ha scritto lo conosco? Fa parte delle cose della vita frequentare un ambiente, condividere degli orizzonti, leggersi, scambiare opinioni, litigare, etc. E, ti dirò, ci sarà pure chi lo fa con meschinità, con interesse, ma così come nel resto del mondo. Sai meglio di me che gli avvocati o gli architetti o i salumieri (il “mondo comune”) non sono esenti da tutto ciò. Così come da amicizia che non significa camarilla, pastetta, ma rispetto (e spesso ammirazione) del lavoro altrui.
Proprio l’altro giorno sono stato un’ora al telefono con uno scrittore amico mio. Sotto sua richiesta, ho criticato duramente il suo libro, gli detto dove non mi piaceva e perché. Non mi aspetto ritorsioni da parte sua e so di certo che la prossima volta che ci si vede mi offre pure una birra.
Forse sono un ingenuo, ma per me è tutto più semplice di quello che viene tratteggiato in rete in questi giorni.
Se poi vuoi da me delle risposte concrete su quello che succede a me in una casa editrice, passaggio dopo passaggio, non ho problemi a dartele. E’ tutto, davvero, di una banalità disarmante.
Certo che chi lavora nell’editoria, a qualsiasi livello, e si fa il deretano quadro, e se lo fa tutti i giorni, si sente un po’ “punto nel vivo” quando legge congetture tanto stupide e campate in aria, proiezioni nevrotiche da parte di persone che si immaginano una casa editrice (senza averne mai vista una nemmeno da lontano) come una specie di P2 o di cripta templare, con i direttori di collana raffigurati come amministratori che non sanno nulla di libri, gli editor che scudisciano gli scrittori per abbassare (e chissà poi perché!!) la qualità dei loro testi, e congiure che nemmeno in certi romanzacci gotici editi da Newton Compton (bocca mia taci…)
Adesso la nuova scoperta complottologica sarebbe che a un editore fa piacere tenersi al corrente di quando un libro sarà pronto, per sapere quando potrà mandarlo in libreria.
Eccerto, perché il vero artista l’editore lo coglie di sorpresa, e gli consegna il dattiloscritto in modo che lui non sappia dove infilarlo nel calendario delle uscite.
Forse uno stage di sei mesi in una qualunque casa editrice farebbe davvero bene a certi commentatori.
La prima cosa che scoprirebbero è che le calendarizzazioni dei titoli avvengono con un anno, anche due, di anticipo….
Rispondo a Edo, al commento del 24-4 ore 00.11
In sostanza mi dai dell’incompetente. Ma io non sono uno dentro l’editoria. Sono soltanto uno che va spesso in libreria a comprare e che a volte, per la bellezza di quello che avevo letto, e perché la rete me ne dava l’opportunità, ho conosciuto l’autore. Tutto qui. Il resto è congettura. Però anche congetturando non sono uno stupido.
Tu scrivi
“Il direttore di una collana ([…] 24/7, […]) è il garante del contesto, del tema e dell’impronta culturale e quindi del fatto che, pur diversi, i titoli pubblicati sotto quel nome echeggino e dialoghino tra loro in un modo o nell’altro.”
Ora io ti vorrei chiedere in che modo, il direttore della collana “24/7” fa dialogare tra loro “Dies Irae” di Genna e “Scusa ma ti chiamo amore” di Moccia. I casi sono due, o tu hai scritto quello che hai scritto pensando che io sia uno stupido; oppure tu stai dicendo che il direttore di una delle collane più “forti” in libreria, di un grandissimo gruppo editoriale, non sta facendo il suo lavoro, anzi fa esattamente l’opposto.
Ora perché il direttore di una collana importante fa l’opposto di ciò che dovrebbe fare? A mio parere o spontaneamente agisce da puro “amministratore”, oppure il suo ruolo non ha abbastanza indipendenza da sostenere l’impronta culturale, dunque soccombe di fronte alla logica “amministrativa” che avoca le sue funzioni quando il marketing chiama.
Ovviamente tutto questo è perfettamente lecito, è il mercato. Ma non mi pare ci sia nulla di patetico nel fare domande e tentare di capire in che mondo siamo.
Sì, però, a parte tutto, l’esitenza del F.U.M.E.R (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi)l’ho accertata e sperimentata sulla mia pelle, dopo ben sei libri pubblicati:- )
Per altri versi, posso dire che anche noi di Vibrisselibri pubblicizziamo i nostri volumetti sui blog degli aderenti alla nostra INIZIATIVA DI LOTTA (udite udite!). Lotta alla logica editoriale del profitto, of course. Come dire che tutti e cinquanta ci facciamo il culo gratuitamente.
Gianni Biondillo sopra falsifica le mie parole, dice infatti che sposto “il fuoco dal testo al paratesto.”
Io sono intervenuto qui dicendo
1. che una parola utilizzata da saviano, il “passaparola”, con Manituana è fuori luogo, e spiego perché.
2. che la sua recensione contiene espressioni enfatiche e generose, infatti basta leggerne l’inizio.
Quindi sono rimasto perfettamente nel testo.
Siccome il resto del ragionamento di Biondillo (se ragionamento possiamo chiamarlo) si basa su quella premessa, diventa inservibile, se non per confondere le acque, ma ritengo che questo non sia il suo scopo.
Il lavoro di un direttore di collana può essere fatto più o meno bene, o anche male, malissimo, Le sue scelte possono essere sbagliate, e i titoli che manda in libreria essere ciofeche, una collana può riuscire a mantenere una identità o perderla presto o tardi, 24/7 per esempio è una collana che non mi piace perché non ha una impronta.. Ma questo è un altro discorso rispetto a dire che gli autori non dovrebbero parlare di quello che stanno scrivendo col direttore di collana, perché il direttore di collana è un amministratore e basta. E’ sbagliato dare per scontato che il direttore di collana voglia solo castrare l’immaginazione dell’autore e per questo gli faccia prressioni continue. Non è così, una collana ha bisogo di titoli forti ma anche di fiori all’occhiello, serve il libro che vende e anche il libro che “fa catalogo”. Da Moccia un editore si aspetta una cosa, da – primo nome che mi viene in mente – Vitaliano Trevisan se ne aspetta un’altra, e nessun direttore di collana cercherà di trasformare Trevisan in Moccia perché non avrebbe senso. Invece da un po’ di tempo vedo chen in rete si sostiene che il ruolo dell’editor è quello di trasformare Trevisan in Moccia e Voltolini in Faletti e mi chiedo: ma ce l’avete una minima idea di cosa sia l’editoria e di cosa sia il mercatgo del libro? No, secondo me non ce l’avete. Perché Gianni Biondillo non lo spiega, passaggio dopo passaggio, come si arriva dalla scrittura alla pubblicazione e distribuzione di un libro? Sarebbe utile che lo facesse un autore.
Ma chi è questo Andrea “falsificato” da tutti, poverino? Tutti quanti “falsificano le sue parole”, se la cava sempre così: “hai falsificato le mie parole”, “falsifichi le mie parole”, ma non sarà lui a essere poco chiaro e anche un po’ torbido?
Utile per tutti, inutile verso barbieri, che ha una sua teoria in testa e non accetta che alcuno o alcunchè gliela intacchi.
(teoria= il mercato sta uccidendo il vero autore e voi ne siete i servi)
Se è utile per tutti, si può anche sorvolare sul fatto che è inutile verso Barbieri, io dico. A me interessa. Forza Biondillo! 🙂
Il punto rimane che stanno dando a Saviano del coglione, facendo finta di no. Gli stanno dando del coglione. Barbieri e Arbiter (“Barbieri e Arbiter”?) gli stanno dando del coglione. Dire che scrive “enfatiche” perché è buono e “per un buono tutto è buono” vuol dire dargli del coglione.
A questo punto mi piacerebbe sentire il parere di Iannozzi:- )
Vi rubo una ventina di secondi.
Se qualcuno vuole parlare (bene o male) di Manituana *avendolo letto*, in un luogo dove si cerca di tenere alta la qualità della discussione, è invitat* a rispondere a una particolare domanda, scegliersi un nome utente ed entrare qui:
http://inside.manituana.com/section/91
Si sono già iscritte 450 persone, sono in corso 9 discussioni approfondite su diversi aspetti del romanzo, senza preconcetti, insinuazioni, secondi fini. Focus sul romanzo e il suo mondo, nessuna distrazione, nessuno spazio per chi millanta letture mai avvenute (com’è accaduto anche nei giorni scorsi, in rete e sulla carta stampata).
Grazie a chi vorrà accettare l’invito.
Posso aggiungere una domanda ulteriore alle tante che già a questo punto sono sorte?
Spessissimo nei vari interventi su libri editoria etc etc etc quando deve entrare un Orco Cattivo Causa di Tutti Mali viene evocato IL MARKETING.
Qualcuna delle persone che evocano questo Male Radicale sa di cosa si tratta? Sa di che cosa sta parlando?
Sa che rapporto c’è all’interno delle varie case editrici (TUTTE le case editrici, si noti bene) tra le varie funzioni: editoriali, di ufficio stampa, commerciali, di marketing etc etc?
L’impressione che continuo ad avere è che ci si immagini un mondo quasi fatato popolato di figure ora eroiche (L’Autore che non si piega alle Esigenze Commeciali; l’Editor Duro e Puro e compagnia bella) ora malefiche (Il Marketing e le Sue Lusinghe, la Logica Commerciale, l’Editor malvagio assetato di soldi, sesso e potere) ora struggenti nella loro miserabile stupidità ( i Lettori che Non Leggono i Classici, i Lettori Schiavi della Pubblicità, i Lettori di Dan Brown, sempre gli ALTRI LETTORI, quelli che leggono cose diverse da me/da noi). In questo mondo – al cui confronto Il Lupo e i Sette Capretti è un modello di severo realismo socialista – ci sono congiure, trame, complotti, regna il vizio, la smodata fame di denaro e di abiezione.
Lavorando in questo mondo ahimé da quasi 20 anni devo dare una cattiva notizia: non è un mondo così fatato (nel bene e nel male) e a forti tinte dove risuonano a ogni piè sospinto arie wagneriane.
Proprio per niente. E’ uguale al mondo che ciascuno di noi/ di voi incontra quotidianamente in metropolitana, alle scuole dei figli, alle code in posta, all’Ikea etc etc etc un mondo con le colonne sonore più svariate e spesso poco esaltanti, un mondo ricco di mezze tinte di sfumature, di grigi, di persone perbene e di individui nocivi a sé e agli altri, di mascalzoni e di sprovveduti.
Amo i libri sopra ogni cosa e benedico ogni giorno quella divinità impazzita che per motivi a me ignoti mi ha fatto la grazia di
lavorare e di guadagnarmi da vivere facendo questo lavoro (editor? direttore di collana? Sulla Carta d’Identità, preda della hubris e dell’invidia per mia moglie ho scritto Funzionario Editoriale che fa tanto Hegeliano). Cionondimeno mi rendo conto benissimo che – per quanto un lavoro straordinario e intellettualmente ulttrastimolante – questo resta un lavoro che cerco di svolgere in mezzo a delle altre persone, più o meno normali e più o meno decenti. Come me, come voi.
Come noi.
So che è un grosso dolore per chi non si è rassegnato alla morte dell’Eliocentrismo, alla fine dei sogni del Creazionismo, alla scoperta che Babbo Natale e il Topolino dei Denti etc etc (spero di non aver svelato qualcosa che non andava svelato) ma è così.
E allora non potremmo ogni tanto discutere, magari anche accapigliarci, arrovellarci, dialogare su QUESTO mondo non sull’altro?
Brugnatelli, mi confermi che, una volta inimicatisi Gian Arturo Ferrari, alla Mondadori non si entra giammai più?:- )
Edo, tu stai dicendo che il direttore della collana 24/7 fa male il suo lavoro in quanto manca l’impronta culturale. Ma questo ti pare poco? il neo-direttore di una delle collane più forti in Italia non garantisce l’impronta culturale della sua collana!
Basta un po’ di ragionevolezza per capire che quella collana mettendoci dentro Moccia è intesa come puro strumento di marketing, altro che impronta culturale!
A me pareva che la collana “Sintonie” che è stata chiusa all’apertura di “24/7” avesse titoli eterogenei, ma non fino a quel punto, mi pareva che la Centovalli garantisse una qualità, pur nelle difficoltà sempre crescenti, infatti ha dovuto chiudere bottega.
Poi tu dici
“una collana ha bisogno di titoli forti ma anche di fiori all’occhiello, serve il libro che vende e anche il libro che “fa catalogo”. Da Moccia un editore si aspetta una cosa, da – primo nome che mi viene in mente – Vitaliano Trevisan se ne aspetta un’altra, e nessun direttore di collana cercherà di trasformare Trevisan in Moccia perché non avrebbe senso.”
Questo è vero solo in parte. Pensa a “Gomorra”, non era certo un libro su cui l’editore aveva puntato con investimenti in tiratura e promozione. Rischiava di passare inosservato nonostante il grande talento di Saviano. E se non ci fosse stata Helena a lavorare in Mondadori come sarebbero andate le cose? Perché non puoi dimenticare che Roberto ha avuto fortuna di contare su un’editor come Helena.
Ti cito anche l’esempio di Avoledo. Libro rifiutato dalle major. Io mi ricordo quando – mi pare fosse Barbera – disse che la redazione di Sironi aveva fatto una hola nel leggere il libro “L’elenco telefonico di Atlantide”, che libri così è quasi impossibile che arrivino, che lo capisci subito che hai in mano qualcosa di molto buono. Allora perché era stato rifiutato dalle major, che poi hanno offerto valigie di soldi per riottenere i diritti?
Capisci che le cose sono molto più problematiche di come le metti linearmente tu.
Anche l’esempio che fai di trasformare Voltolini in Faletti. Anni fa, quando usci “Primaverile” la Feltrinelli comprò degli spazi pubblicitari sui giornali, se non erro “Primaverile” ebbe un box sulla prima pagina di Repubblica proprio come Manituana. Pur non volendo trasformare Voltolini in Faletti, Feltrinelli spendeva soldi per promuovere un ottimo scrittore. Oggi è impensabile, oggi ancora aspetto la pubblicazione di “Autunnale” terminato due anni fa, come annunciò Voltolini su NI.
Questo è quello che vedo io da lettore, e non è che mi piaccia molto.
andrea barbieri
Beh, se irrompi nell’ufficio di Cacciari, lo chiami “pezzo di merda” e gli dici che con la sua barba ti ci pulirai il culo, poi è difficile che ti assumano nel suo staff…
Ah, ecco, la Centovalli. Lì si doveva arrivare, era chiaro.
Questo è esattamente quello che chiamavo l’ALTRO MONDO: quello dei pettegolezzi, delle camarille, dei si dice, dei Buoni Davvero Buoni e dei Cattivi davvero Cattivi: Il Mondo del Mito.
Essendo un empirista (quando non sono oppresso da oscuri demoni kantiani- quasi sempre) consiglierei a Lucio Angelini di fare un semplicissimo esperimento: 1) inimicarsi Gian Arturo Ferrari
2) vedere se poi riesce ancora ad entrare in Mondadori.
Non mi pare – ad essere sincero – una cosa di interesse così bruciante.
Non è per niente vero che gli editori non investano nei titoli di qualità, io ho nominato Trevisan perché l’ho visto dalla Dandini. Trevisan è un autore duro, non facile, che di sicuro non vende tanto, però se era dalla Dandini vuol dire che l’editore ha curato il suo lancio. E pubblicità di libri “minori” se ne vedono di continuo, un editore investe anche eni libri in cui crede, non solo in quelli di cui sa che venderanno.
Gli editor non erano tutti creature mostruose che impongono agli autori scelte umilianti? Ora si dice che Saviano ha avuto la fortuna di avere un editor…
24/7 non mi piace, sospetto vada troppo nella direzione che dici tu, ma è anche vero che, come una rondine non fa primavera, l’orsetto polare Knut non trasforma la Germania nel Polo Nord = 24/7 è un caso specifico e a parte Moccia non mi ho l’impressione che sia una collana così “forte” come sembra a te.
Su “Gomorra”, se non sbaglio abbiamo qui il suo editore, ovvero Brugnatelli. Ci dica lui.
Brugnatelli: tutto già fatto. Quando traducevo per Mondadori Ragazzi, contestai garbatamente degli interventi redazionali non concordati che, a mio avviso, erano stati peggiorativi. Le traduzioni cessarono. Scrissi a Gian Arturo Ferrari, che – miracolo – mi rispose. (Non gli avevo detto ‘Pezzo di merda’ né tirato la barba che non ha’). Eccetera.
E cosa ti disse?
@ Lucio Angelini
Essendo un empirista duro e puro mi pare difficile poter ricavare da una singola esperienza una legge con valore universale.
Continuo a pensare che questa storia, per quanto ricca di interessanti ed edificantissimi risvolti – non susciti il bruciante interessi di chi legge. Vedi come sono schiavo della Logica Commerciale?
@ Edo (perdonami, l’imbarazzo, ma mi pare di soffrire di Disturbi della Personalità a scrivere a Edo) Non mi è chiaro cosa dovrei dire a proposito di Gomorra.
“la redazione di Sironi aveva fatto una hola”
Cioè avevano fatto tutti “ciao” con la manina? Si chiama “ola”.
Anch’io mi sento un po’ schizofrenico – non lo so neanch’io cosa dovresti dire, io ho scritto che a un editore non conviene trasformare un Trevisan in un Moccia, e mi è stato risposto non so bene perché, con il controesempio di Gomorra, e visto che interviene qui anche la persona che ha deciso di pubblicare Gomorra, se Andrea Barbieri ha qualche domanda o rimostranza potrebbe fartela direttamente scavalcando le gerarchie.
Credo di capire che Edo (a proposito, non hai anche tu dei problemi a convivere con questo nome? Da piccolo che rime umilianti col tuo nome ti facevano i compagni di asilo e di scuola?) voglia sapere se la Mondadori o Strade Blu hanno investito qualcosa in Gomorra.
Fammi partire da una cosa che hai scritto a un certo punto:
“un editore investe anche nei libri in cui crede, non solo in quelli di cui sa che venderanno.”
Ecco per certi versi ti sbagli ab ovo, per così dire.
Un editore investe SEMPRE nei libri che fa, per il semplice motivo che li fa. Mi spiego, il semplice fatto di fare un contratto all’autore, spendere soldi per i lavori redazionali e di editing concernenti il libro, spenderne altri per fare le copertine , per stamparlo, per farlo giungere sui banchi delle librerie, ecco tutto questo è di fatto comunque già un investimento, di risorse di tempo e di denaro. Tieni presente, inoltre, che in un anno non è che tu puoi pubblicare 788995 titoli. Il numero di titoli che finirai per pubblicare ogni anno è spannometricamente predeterminato, per cui ogni libro che pubblichi significa che non ne pubblicherai degli altri. E questo ha un suo grosso peso.
Tutto questo è un investimento.
C’è in aggiunta un elemento molto personale. Sembrerà strano o stupido, ma ogni libro che pubblico nella mia collana è (chi più chi meno, è ovvio) una mia creatura, una specie di figlio. E come succede coi figli, volenti o nolenti, li ami, trepidi per loro, vuoi per loro ogni fortuna e gioia possibile e immaginabile. Ami alla follia quelli che ne parlano bene (anche se a volte, una parte più kantiana di te ti fa presente che si tratta o di idioti conclamati o di sicofanti non privi di mire poco edificanti), odi quelli che (magari del tutto sensatamente e pacatamente) ne parlano male. Questo è un investimento affettivo che probabilmente non si quantifica (anzi, certamente non si quantifica) ma che ha un suo peso nella vita editoriale di ogni libro.
Ho amato da subito l’urgenza quasi insopportabile che stava dietro e dentro alle cose che scriveva Roberto Saviano su Nazione Indiana e altrove. Quando ci siamo incontrati la prima volta sono rimasto totalmente affascinato, dalla rabbia, dalla passione che lo animavano. Quando ho letto le prime stesure di Gomorra sono rimasto conquistato dalla sua capacità davvero non comune di irregimentare un fiume di storie, di dolori e di tragedie così impetuoso dentro alla pagina. Ma questa – come ogni lettore sa – è un’altra storia, è la magia di chi è in grado di scrivere bene cui corrisponde la gioia e quella sorta di pelle d’oca che accompagna la fortunata avventura del lettore.
Passando a una seconda cosa che chiedi (se sia giusto trasformare un Moccia in un Trevisan) credo che tu sappia già meglio di me la risposta. Certamente sarebbe una stupidaggine fare una cosa del genere. Dobbiamo (in questo caso soprattutto io devo) tenere sempre presente che le Collane sono importanti, utili,belle o brutte ma che in realtà – come ben sottolineava anche Darwin parlando di specie e di individui – esistono solo i singoli libri, i singoli autori. Una collana deve e può essere un contenitore utile, inutile, benfatto o orripilante, ma resta solo un contenitore appunto. Quello che contano sono i libri che man mano ci pubblichi. E allora sarebbe assurdo massacrare l’individualità di ogni singolo autore e o titolo per una stupida fedeltà a un ideale astratto di omogeneità di collana. Trevisan ha la sua voce e la sua forza, Moccia ha la sua voce e la sua forza. Sono diversi diversissimi, ma il tuo compito, quando li pubblichi – se decidi di pubblicarli – è proprio quello di fare in modo che ciascuna singola voce arrivi nel modo più chiaro possibile, che la forza di ciascun libro si possa esprimere senza costrizioni.
Scusate il trombonismo che qua e là traspare in queste righe e la logorrea. Tanto per darvi un’idea della grigia normalità della vita in una casa editrice: sono stressato all’idea di dover fare un sacco di cose che non amo fare e allento la tensione entrando e uscendo dal blog. Ah. il legno storto dell’umanità…
più alto lo stile/qualità di un autore, più discreta l’azione dell’editor (fondamentale comunque: si pensi al rilevamento di eventuali lapsus calami ecc.). gli è che spesso e volentieri, più alto è lo stile, e meno si vende. perciò l’industria va a puntare su autori medi/mediocri, previo doveroso trattamento dell’editor. ad es., da quel che ho letto nei mesi scorsi su NI, mi sentirei di dedurre cosa fa l’editor di Biondillo: miracoli.
Edo, tu hai scritto:
“Da Moccia un editore si aspetta una cosa, da […]Vitaliano Trevisan se ne aspetta un’altra” e non ha senso trasformare Trevisan in Moccia.
Nell’esempio che mi fai in sostanza dici: uno serve a far soldi l’altro fa qualità e catalogo (e magari guadagni nel lungo periodo).
Io volevo contestare questo modo di pensare citandoti due casi in cui non c’è bisogno di trasformare nessuno per avere insieme qualità e guadagni. Solo che in entrambi i casi la major non ha ci ha creduto, nonostante il valore evidente di quello che veniva proposto. Non ci ha creduto granché con Gomorra, non ci ha creduto con L’elenco telefonico di Atlantide addirittura rifiutato.
Questo era il senso della mia risposta.
Un’altra cosa, io come altri non penso assolutamente che TUTTO sia marcio, specialmente tra gli editor. Io stesso conosco gente meravigliosa. Quindi è meglio se diffidi da chi mette in circolazione questa specie di videogioco in cui una setta di carbonari-apocalittici tenta di far fuori la razza degli editor perfidi. Mettere in giro questo scenario caricaturale è soltanto un modo furbo per rendere impossibile la discussione su episodi concreti piuttosto deprimenti.
Brugnatelli, è ovvio che l’interesse è bruciante solo per chi ci rimette del lavoro. Metti che sbattano fuori dalla Mondadori te per una banale incomprensione: i bruciori sarebbero tutti e solo tuoi. Non pensavo di intenerirti accennandoti al mio caso. Ho conosciuto molto da vicino il mondo dell’editoria per ragazzi e l’ho trovato davvero gestito a livello di “caporalato” (tu lavori, tu no), indipendentemente dai meriti. Detto ciò, vado in spiaggia. Ciao.
Tanto per fare un esempio di come funziona la faziosità su commissione:
Ma perché allora Girolamo ha puntualizzato che l’autore in quel caso rifiutava vigorosamente le sirene del marketing [?].
Girolamo non l’ha mai detto: ha descritto una situazione che si sarebbe potuta evolvere, se i soggetti in questione ne avessero avuta l’intenzione in un’operazione commerciale alla Faletti, e che invece era pensata ben diversamente. Con due sfregi alla lingua italiana, AB si fa una domanda, e conseguentemente si risponde che:
Vorrà dire no che nei casi di minore forza contrattuale l’autore accetta, deve accettare, quelle opportunità a scapito della sua libertà creativa.
E così un’elucubrazione ipotetica (vorrà dire, no [?]…) diventa un assunto normativo (diventa, deve diventare…), il quale automaticamente è una descrizione del mondo. Che AB, bontà sua, si incarica di spiegarci. Per inciso, faccio presente che il gran segreto del contenuto di Manituana i WM l’hanno tranquillamente esposto ogni volta che gli è stato chiesto a cosa stavano lavorando: io l’ho sentito in almeno due occasioni (in almeno una i WM erano dei guru per AB, e ci sarebbe potuto essere anche lui).
Accade così che nel corso di questa esemplare prassi comunicativa vengono riciclati tutti i luoghi comuni (le majors, il marketing, le posizioni dominanti, i direttori di collana) che gli editorialisti delDomenicale e i loro compagni di merenda on line (prima che cominciassero a volare coltelli tra di loro) hanno rovesciato su Gomorra. Ecco perché, Lucio, non accetto la tua petizione pro onestà di AB: il letame che sparge non va via solo perché accampa fraintendimenti o decide che l’argomento di cui dovremmo parlare è un altro (è sempre un altro, ma noi non lo capiamo mai finchè non arriva lui a spiegarcelo: ecco un altro dei suoi topos retorici). Il letame ricaduto resta per terra, a disposizione di chi non aspetta altro che raccoglierlo e tirarlo, magari facendo gioco di sponda (miro a WM per schizzare Saviano).
A scanso di equivoci: per occasioni in cui i WM hanno parlato di Manituana intendo pubblici incontri, presentazioni di propri altri libri, ecc.
Agli incontri dietro le quinte con Biondillo travestito da Gran Cerimoniere Massone per passare inosservato, ahimé, non c’ero.
@db Scrivi
“più alto lo stile/qualità di un autore, più discreta l’azione dell’editor”.
Due domande:
1) cosa intendi per altezza dello stile/qualità di un autore? Come la misuri? E’una misura . diciamo così, “oggettivamente” definibile?
Confesso di nutrire più di una perplessità in merito.
2) Da dove si ricava questa legge per cui un editor dovrebbe cercare con il suo intervento maggiore o minore garantire una certa misura standard di qualità. E’ un’idea divertente, ma mi sa tanto che puoi applicarla all’idraulica o a certi cicli dell’economia, e non a una cosa così sfuggente come il mondo dei libri, non trovi?
Altra osservazione. Scrivi “più alto è lo stile e meno si vende”.
Ripeto
1) mi pare difficile trovare una misura anche solo vagamente condivisibile per determinare l’altezza o la bassezza di un libro
2) E interessante – e anche questa del tutto implausibile – la legge del più alto = meno vendite. A rigore se io domani pubblicassi il Grande Libro dei Rutti resterei in cima alle classifiche per diverse incarnazioni, no?
e viceversa non mi pare che – tanto per fare un paio di nomi – Manituana o Gomorra appartengano alla Spazzatura dello Spirito.
Anche questo è un Mondo di Sogni: quello dove ci si immagina di poter inscatolare una cosa così complessa come l’universo della letteratura e dell’editoria dentro a 4 o 5 Leggi Bronzee (che – per giuntà – hanno un vago ma chiaro sentore da Matematica di 5a Elementare).
Non mi ricordo dove ho letto una ottima regoletta (che si autosmentiva).
A Good Rule of Thumb: Too Clever is Dumb.
Devo ammette che i post successivi non sono riuscito tanto a seguirli. Mi paiono animati da una buona dose di aggressività. Va bene che la primavera coi suoi pollini e le ue allergie è nell’aria, ma diamine! non riuscire a tenere sotto controllo il testosterone non è uno cosa di cui fare uno spettacolo pubblico, no? Ricordatevi – se potete — che l’uomo è sempre un fine, mai un mezzo e che agli occhi di Hegel il testosterone non rappresenta altro che un miserabile “Nicht getan haben”.
Sapere aude
Ringrazio Brugnatelli perché accetta di rispondere senza spocchia e senza essere offensivo.
Però quando scrive:
“Un editore investe SEMPRE nei libri che fa, […] il semplice fatto di fare un contratto all’autore, spendere soldi per i lavori redazionali e di editing concernenti il libro, spenderne altri per fare le copertine , per stamparlo, per farlo giungere sui banchi delle librerie, ecco tutto questo è di fatto comunque già un investimento, di risorse di tempo e di denaro.”
mi sembra proponga una risposta furbetta. E’ evidente che quando si parla qui di investimento, si intende promozione e tiratura. Questi sono numeri, lasciano poco spazio ai voli pindarici. La spesa per Gomorra in entrambi i casi è stata curiosamente bassa se paragonata al valore del libro (poche camere d’albergo prenotate per un best-sellerista coprono la spesa no?). Poi per una botta di culo pazzesca il libro è decollato da sé, ma avete davvero rischiato di perderci parecchio. Così come ci avete perso parecchio rifiutando Avoledo.
E’ come se le major avessero perso l’idea che la qualità paga sempre. Si minimizza il rischio, magari facendolo sostenere ai piccoli editori, che lavorano per passione, e poi si scippano gli autori migliori.
Girolamo – che almeno ci mette il nome, sapendo tutti quanti che è l’autore di Scirocco – e altri anonimi sostengono che sono qui per schizzare di fango Saviano.
Seguo Saviano dal suo primo intervento su Nazione Indiana. E’ una persona talmente gentile e disponibile da avermi scritto per spiegarmi come gli strumenti della letteratura erano indispensabili per il reportage. Aveva 26 anni, gli ho sempre detto che aveva del miracoloso e riusciva a farsi voler bene da tutti. Ha sfornato un libro da far paura. Ha inventato un modo di scrivere. Ha inventato una lingua colta e universale.
Sono cose che ripeto da anni. Cose che le persone che parlano degli schizzi di fango sanno benissimo.
Allora, a questo punto, chi è che davvero sparge fango?
@ andrea barbieri
non intendevo dare una risposta furbetta. Ogni anno pubblico una ventina di titoli di autori italiani tra narrativa e saggistica. Ogni titolo per me costituisce un notevole investimento.
Parliamo di promozione e di tiratura.
La tiratura non è un numero che qualche semidio ha in testa e che comunica ai mortali col volo di rapaci o con apparizioni miracolose in grotte del Meridione. In genere uno dei fattori che in maggior misura concorrono a definirla (la tiratura) è il numero delle copie prenotate dai librai. Non farei un buon servizio a nessun autore se a calci costringessi i librai ad assorbire centinaia di copie di un libro di cui ne avevano prenotato magari venti trenta (sono cifre messe a caso, s’intenda).
Aggiungo che la Mondadori ha una peculiarità che forse a molti di voi sfugge: quando Arnoldo la creò 100 anni fa (sì quest’anno è il centenario della Arnoldo Mondadori) era una stamperia, si occupava cioè di stampare libri per conto di altri. Suonerà probabilmente strano (non a chi di voi viva a Verona) ma la Mondadori è tuttora una grande azienda di printing. Stampa nelle sue officine grafiche di Verona, di Cles etc etc i propri libri e le proprie riviste, e anche – come si dice – per conto terzi. A Verona anni fa restai ipnotizzato dall’incredibile dose di lavoro che c’era dietro la stampa di una sorta di Catalogo Vestro Tedesco che veniva tirato in milioni di copie. Tutto questo per dire che in quanto Mondadori Libri abbiamo un rapporto con chi ci stampa diciamo, di buon cuginato. Il che vuol dire che possiamo permetterci tranquillamente di tenere basse le prime tirature perché abbiamo la possibilità di ristampare con tempi brevissimi. Il che ci permette di contenere le prime tirature con una serie di effetti benefici: non dobbiamo (come accennavo prima) fare inghiottire a forza ai librai dei quantitativi di copie che loro non ci richiedevano e – soprattutto – non riempiamo di libri i magazzini (cosa che pesa quantomai sui costi di ogni casa editrice).
Veniamo alla promozione: credo che tu intenda la pubblicità e l’ufficio stampa. L’ufficio stampa ha fatto e più che bene la sua parte, direi.
La pubblicità non era prevista per un motivo molto semplice: tendenzialmente non faccio pubblicità.
Guardate che anche la pubblicità (che mi permetto di fare presente rappresenta un costo e anche notevole – quanto costa secondo voi una finestrella in prima pagina su Repubblica?) ha una sua logica, più o meno ferrea, più o meno condivisibile.
Che senso aveva fare pubblicità per un libro come Gomorra? Parlo a te, a voi, perché siete il nocciolo del suo pubblico, il cosiddetto zoccolo duro dei lettori forti, Che effetto avrebbe su di voi la pubblicità di un libro di uno sconosciuto? Di solito negativa. Avreste – giustamente – la sensazione che qualcuno cerca più o meno con la forza di costringervi a mandar giù qualcosa. Ma voi/noi siamo lettori forti, siamo autonomi, abbiamo una capacità di giudizio più o meno matura e quindi ci formiamo coi nostri canali di fiducia (recensioni, pareri di amici e/o di persone fidate, blog, psilocibina) un giudizio sulla base del quale decidiamo di recarci in una libreria e di privarci di diverse banconote in cambio di un libro.
La pubblicità – a mio modesto parere – è del tutto controproducente su un pubblico di lettori forti. “Come si permette questo di cercarmi di far leggere ‘sta cosa. Mica sono un lettore di Dan Brown, io!”: a quanti di noi è capitato a volte di pensare così (vi supplico, ditemi: a tantissimi di noi..).
Per Manituana – tanto per restare a cose che conosciamo – la pubblicità ha un senso: esiste già un grosso pubblico dei Wu Ming e la pubblicità non intende sospingere in modo più o meno gentile chicchessia, si limita a ricordare a chi ha letto ed amato Q e le altre cose dei Wu Ming “Ehi guarda che è uscito il nuovo libro dei tuoi autori preferiti”!
Spero di non aver inanellato troppe fesserie.
magari fosse da quinta alimentare! lo stile, rispetto alla lingua, fa da selettore: più ne ha, più l’autore seleziona da sé riducendo l’alea/equivalenza (dei termini, dei costrutti ecc.). editare gadda perciò è diverso da editare faletti. una casa editrice, per sopravvivere col mercatino che ci troviamo, non può non vendere, e di norma farà così: pubblico questo perche è bello in sé, pubblico quest’altro perché venderà, previo remake. certo, ci sono le eccezioni. nel panorama italiano gomorra mi sembra un’eccezione per certi versi, e wu ming per altri. ma la sostanza resta.
il massimo è arno schmidt che in italia vende 12 copie (v. lamento di magris sul corsera), ma in germania è “proprietà” del più gran miliardario tedesco (quello delle sigarette), un compagno che finanzia la fondazione schmidt, la fondazione brecht e da poco la fondazione benjamin (prevedo tempi duri anche per il nostro agamben).
Difficile negoziare protocolli di rete.Da rilevare però che a volte l’editor può darti consigli che non puoi rifiutare.Penso per esempio al mio pluri-premiato conterraneo,la cui prosa spesso risulta incendiaria,il quale però si è mostrato decisamente più tenero nella seconda invasione barbarica di cui si è reso protagonista.Al punto da dimenticarsi di ricordare alla moderatrice che i grandi successi sono stati preceduti da altre opere “non pervenute”(probabilmente altrettanto valide).Lo stesso meravigliante barbaricino (ma è solo per fare l’esempio,sia chiaro)nel gioco delle cento pistole,dal quale si era praticamente chiamato fuori la prima volta,sembrava divertirsi un mondo,quasi come nelle presentazioni mondane .E la cosa un po’ mi ha colpito
Vabbe’, lasciamo perdere. Non vorrei scrivere cose che travisino il pensiero di alcuno.
E poi senza il mio editor io non so scrivere.