Piccola pausa, fatta di letture e di navigazione: ieri sera, su Facebook, ho appreso di una vicenda di certo piccola, altrettamento certamente sconcertante.
Avviene che una scrittrice cerchi un editore per i suoi racconti. Fin qui siamo nella normalità. Premetto che con questa scrittrice, che si occupa anche di uffici stampa, ho avuto solo qualche fuggevole contatto via mail: non la conosco, non so se i suoi racconti siano o meno adatti alla pubblicazione, non so se scriva cose interessanti o trascurabili.
Non è questo il punto.
Alla scrittrice viene proposto un contratto di pubblicazione da una casa editrice che si potrebbe definire medio-piccola. A condizione “che lei prepari la piazza su Roma”. Riporto le parole dell’editore stesso così come sono state lasciate nei commenti all’accesissima discussione che si è svolta su Facebook.
“Lavorare su Roma, su Milano, su dovunque abiti un nostro autore, è una cosa che chiediamo a tutti. Abbiamo bisogno di poter contare sui nostri autori anche per la promozione, perché abbiamo forze ridotte. Funziona come una “banca del tempo”, io ne dedico tanto a te e al tuo libro, alla sua revisione accurata eccetera, e tu ci dai una mano sulla comunicazione. È così folle? Chiaro poi che se l’autore non c’è, pensa solo al suo libro e si fa gli affari suoi, vuol prendere un passaggio e via, l’editore si fa una domanda e si dà una risposta”.
Questo è inquietante. Un editore ha tutto il diritto di non pubblicare un testo (infatti, i racconti della scrittrice non verranno pubblicati), ma il rifiuto va legato alla qualità del testo stesso e non alla disponibilità dell’autore di farsi ufficio stampa, o promoter, o esperto di comunicazione, sia pure del proprio libro.
Più avanti, lo stesso editore precisa:
“come abbiamo spiegato altrove, la pubblicazione dell’opera era condizionata alla presenza dell’autore. Naturalmente non vale per tutti gli autori, ma specie per i più giovani e gli emergenti, che sono degli sconosciuti, non poter contare sulla disponibilità dell’autore a battersi per la promozione del suo libro ALMENO nella propria città di residenza rende le cose un po’ difficili”.
Qui lo sconcerto aumenta. L’emergente, qualora desiderasse pubblicare con Transeuropa (di questo editore si parla infatti: anche se, come da precisazioni successive, esclusivamente in rapporto ad una specifica collana), deve essere disponibile ad autopromuovere il proprio libro? Forse c’è qualcosa che mi sfugge nelle dinamiche attuali. Perchè è evidente che accompagnare un testo è pratica importante, è occasione irripetibile di condivisione e comunicazione. Ma non è un obbligo. L’unico obbligo di un autore è scrivere. Il resto spetta all’editore. Anche trovare, come nel caso della collana in questione, il gruppo musicale destinato ad accompagnare il testo.
Ho trovato queste informazioni in una bella, lucida nota di Seia Montanelli, che mi auguro sia leggibile anche da chi non è iscritto a Facebook.
Non intendo in alcun modo fare un atto di accusa: semplicemente, sto cercando di capire come stiano mutando i rapporti fra autori e piccoli-medi editori. Sempre considerando lo sfondo, di cui si è già parlato: il numero delle novità pubblicate è altissimo, il ciclo vitale di un libro è sotto i trenta giorni.
Si Loredana, temo anche io ormai.
@Giulia ti riporto quanto detto più su proprio dall’editore:
“in alcuni casi può esserci anche questa variabile (casi in cui il testo è in bilico quanto a qualità: può essere l’ago che fa pendere verso il sì, e allora uno deve fare un investimento diverso sull’autore, specie se esordiente, magari dandogli dei consigli, delle indicazioni di lettura, facendo un po’ di sana “trasmissione dei saperi”)” e prima ancora “la promessa di pubblicazione l’ho fatta ad aprile, ma nel frattempo mi è arrivata la bocciatura del comitato di lettura e mi sono reso conto che questa autrice non era assolutamente interessata a promuovere il suo libro, a collaborare con noi sul fronte dei contatti a Roma, dove risiede”.
Quoto il copia/incolla di Seia. Poiché correttamente citate, confermo le mie parole.
Bisogna aggiungere l’oggetto della pubblicazione: una plaquette di 40/50 pagine nel formato della collana Inaudita, che prevede un cd in allegato prefissandosi di promuovere forme narrative deboli o debolissime, dal punto di vista del mercato editoriale, come raccolte di poesie e di racconti, drammaturgie, sceneggiature – da allegare a cd o dvd di produzioni indipendenti italiani secondo abbinamenti da studiare caso per caso, e da contrattualizzare contestualmente.
Ma questo, naturalmente, dal punto di vista siderale di chi giudica per principio, conta poco o nulla.
Signor Giulio Milani lei dice dal punto di vista siderale di chi giudica per principio. Personalmente io baso il mio giudizio sui fatti e sulle parole che qui si sono spese. Non potremo giudicare correttamente perchè non possediamo il carteggio tra lei e l’autore e questo ci preclude un giudizio veramente obbiettivo. Da quello che è trapelato in chiaro come si suol dire sembrerebbe che l’autore sia stato penalizzato perchè non si è detto disponibile, senza contratto ci tengo a precisarlo, ad impegnarsi a promuovere tramite i suoi contatti il proprio libro e in senso lato la sua casa editrice. Basterebbe che lei dicesse che il libro non è stato pubblicato perchè impubblicabile e la polemica finirebbe. Dopo tutto un editore ha diritto di scegliere chi pubblicare e nessuno può intromettersi sulle sue scelte editoriali tanto meno noi.
@ Giuseppe D’Emilio
a me viene da darti una risposta; forse un po’ ingenua. A parte l’aspetto ecologico di una sovrapproduzione di merci la pubblicazione di libri in sempre maggiore quantità che problema è? Io scrivo un’opera e la mando a degli editori prestigiosi, rifiutato riprovo con altri più piccoli, rifiutato ancora è possibile che pensi che non sia cosa. Oggi grazie a internet si possono avere dei lettori per avere dei responsi non amichevoli. Se uno non sa scrivere ma vuole pubblicare paga e si vede il suo bel libro. La tua soluzione alternativa proposta al ragazzino è ancora meglio. Da questo punto di vista, perché chiamare truffatori gli editori a pagamento? almeno sono onesti. Poi certo è apprezzabile il lavoro di divulgazione che fa writer’s dream.
arrivando molto tardi, posso solo dire che quale autrice Transeuropa, uscita da poco quoto Marco Giovenale, specialmente il commento delle 4.03. Sulla questione umana: per me qui è tutto umano. Mi spiace molto per questo caos in cui è finita Transeuropa, perchè, e mi sembra un punto su cui è giusto insistere – è una delle pochissime case editrici non a pagamento che ha deciso in perfetta controcorrente di investire su quella cosa assurda che è la poesia. E in questa discussione la poesia, ci rimette, eccome. Giulio Milani probabilmente ha sbagliato con Isabella Borghese, d’accordo. Una volta acclarato questo, come può diffondersi un testo di prosa non romanzesca, un libro di poesia di autori mediamente o poco noti, se non insistendo sulle relazioni i contatti che SIA editore che AUTORE hanno? Il rapporto umano, con tutta la difficoltà che ne deriva sta anche tra editore e autore, in questo caso molto più che altrove. Ci si consiglia, ci si aiuta a vicenda, e con un gesto poco di moda forse, ci si entusiasma anche per i nostri colleghi di collana. Io sono felice di essermi innamorata di libri usciti non solo per il mio editore, ma nella mia collana, dato che quando si scrive lo si fa perchè si ama la letteratura, si sente la necessità di condividere, dialogare con gli altri libri. Quando ho saputo che Milani inaugurava due collane di poesia, ho pensato che era pazzo. E per questa sua pazzia mi sono sentita grata. Gli errori, purtroppo si fanno, anche quando le intenzioni sono le migliori e sulla questione di I.B., mi auguro che Milani e lei possano risolverla in qualche modo, il più possibile civile. Fatto sta che non si è mai parlato fino ad ora di Inaudita così tanto per elogiarne i contenuti, come si fa ora, sebbene trasversalmente, per usarla a pretesto di una “giusta causa”.
Veramente, Francesca Matteoni, Linda Rando di Writer’s Dream ha elencato il numero delle case editrici non a pagamento che si occupano di poesia e mi permetta di dirle che non sono così poche.
Inoltre, mi permetta di nuovo: nessuno ha MAI messo in discussione il catalogo, ma la pratica, e oscurare la pratica sventolando il catalogo non ha molto senso.
Se crede, posso dire che tra le altre cose è appena uscito un ottimo, davvero ottimo libro di Wu Ming 2 proprio presso Transeuropa. Questo però non ha nulla a che vedere con quanto si discuteva qui.
(e trecento)
paperinoramone, non mi sono spiegato bene: io mi sto solo ponendo dei problemi, pur senza drammatizzare, visto che ce ne sono di ben più gravi; un editore che chiede tremila euro per una pubblicazione è un truffatore in senso lato, visto che non obbliga nessuno a servirsi di lui e che sappiamo bene che nessuna legge impedisce le pubblicazioni a pagamento (lo davo per scontato)
@ D’Emilio
non volevo sembrare aggressivo. Anch’io dicendo truffatori non intendevo in quel senso. è che mi pare che gli editori a pagamento siano la risposta alla sua domanda. Cioè, non penso che la truffa in senso lato sia nella pratica in sé.
bene, se non ha nulla a che vedere tolgo il disturbo.
Nessun disturbo. Magari se la prossima volta fa una piccola riflessione sul come usare le parole “pretesto” e “giusta causa” con tanto di virgolette, ne sarò lieta.
solo un’ultima cosa, Loredana Lipperini, questa sì, dato che la poesia penso di conoscerla piuttosto bene e anche come viene trattata o considerata editorialmente. La lista di Writer’s dream, di cui prendo visione ora, cita Pequod che fa belle cose, o Il Ponte del Sale – idem. A trovarli, in libreria… La stessa Lavieri, per dire, che fa splendidi libri (di poesia Ulrike Draesner, ad esempio), ma che è difficilmente reperibile. E non cita ad esempio Maledizioni di No Reply per cui l’anno scorso è uscito il bel libro di Giovanna Marmo. (Ma ogni lista e perfettibile). Tra editore ed editore il discrimine è ad esempio la distribuzione, quella di Transeuropa è buonissima, e anche il credito che ha presso i critici. Per la poesia, visto il disinteresse totale (anche Lei, citando dalla collana Inaudita non a caso non sceglie un testo di poesia, per dire), questo è vitale. E fine.
E spieghiamo, visto che l’ambiguità non mi appartiene: pretesto non l’ho usata tra virgolette e mi pare di averla usata a proposito. “Giusta causa”, sì era tra virgolette, perchè mi pare appunto, che molto dipenda dalla prospettiva. Se si considera la difesa del singolo autore con il quale l’editore ha avuto un comportamento discutibile, la parola può pure essere opportuna. Se si pensa alla causa in generale ovvero alla sorte che certe scritture hanno o rischiano di avere nel nostro panorama, non so esattamente dove stia la giustizia, nel prendersi a cuore una vicenda personale o nel fare un discorso di più ampio respiro, sulle responsabilità di ognuno: autori, editori, lettori (perchè no), promotori culturali, recensori, critici, giornalisti.
Mi sembra di essere stata piuttosto chiara nei commenti precedenti: questa non è la difesa di un’autrice che non conosco, non ho letto e potrebbe essere una pessima o un’ottima autrice. Non posso saperlo. E’ la discussione su una modalità.
E – e con questo chiudo – nessun catalogo, per nobile che sia, nessuna fervida approvazione dei critici, può essere scusante per eventuali comportamenti scorretti. Che, ribadisco, si stanno diffondendo nel mondo editoriale.
Questo, cara Francesca, E’ un discorso di ampio respiro. Se non fosse che viene ostinatamente respinto nel caso Milani-Borghese, da considerare trascurabile a fronte del bene che viene fatto alla cultura tutta.
Ps. Qualcuno si è chiesto cosa me ne viene nel mettermi contro mezzo mondo letterario, compresi compagni di strada e colleghi di lit blog per una persona che non conosco? Bravi, non me ne viene assolutamente nulla se non guai e comune riprovazione. Ma continuo stupidamente a ritenere che una cattiva pratica non vada taciuta. Mi disegnano così.
Grazie Francesca, Lipperini non si interessa dei cataloghi ma della pratica (come se le due cose potessero essere scisse o scindibili, in qualche modo) se non quando riguardano i casi suoi. Leggi cosa ha scritto qui, quando ho “osato” mettere in dubbio qualche “pratica” dei posti alati dove lavora lei:
«Ti diffido, ripeto, dal gettare fango sul lavoro di altre persone e di una trasmissione che non va tirata in ballo in una discussione come questa.»
Milani, non sei ospite gradito su questo blog. Grazie. E chiudo. Basta con le falsità.
Brava Lipperini, forse stai cominciando a capire del “guaio” in cui ti sei messa, tu e quell’altra tua sodale della Seia, che fa da grancassa su Faccialibro: io non sono il capro espiatorio ideale, perché qualcuno ha stima e rispetto del mio lavoro e non ci sta a questo gioco al massacro. Fai un passo indietro, blocca i commenti dai retta.
E’ una minaccia? Non ne sarei affatto stupita. Sul mio blog, spiacente, ma sono io a decidere se e quando bloccare i commenti.
E allora andiamo avanti.
No. Ho già detto che avrei messo in moderazione i commenti che esulavano dalla discussione reale così come era stata impostata. Basta, Milani. Basta veramente.
Capro espiatorio? Guaio? Ma che, siamo in guerra? Lei ha parlato dell’esercizio del diritto di cronaca, ottocento commenti più su. L’ultima volta che ho controllato era un diritto costituzionale garantito a ogni cittadino italiano. E comunque sono in un guaio anche io, allora, ne ho parlato sul mio forum.
Seia oggi pomeriggio mi ha mandato un’email dove mi diceva che non mi conosce, però non ha niente contro di me, anche se non si era fatta un giudizio molto positivo. Ma che vuol dire? Ma che modo di ragionare è questo? In base alle categorie mi è simpatico non mi è simpatico? Avete scelto il capro espiatorio sbagliato, per la vostra tonnara dell’editore scorretto.
Brava Ayame, parlane nel forum.
Nessuno ha niente contro la persona di Giulio Milani nè contro Transeuropa. Siamo a oltre duecento commenti e questo dovrebbe essere CHIARISSIMO. La simpatia o l’antipatia non hanno nulla a che vedere, e nessuno cerca capri espiatori. Se non vuoi capire, non è un mio problema.
Ps. Dov’è finito il divieto di promulgare contenuti delle altrui mail, per inciso?
@Giulio Milani: che è ‘sta ironia?
Ad ogni modo, per il rispetto – e sono molto seria – che nutro nei confronti della professionalità, chiedo a Milani di smettere di postare qui almeno per le prossime ore. Ti stai facendo del male da solo e questa discussione, in questi termini, non porta da nessuna parte.
Loredana, un istante fa hai detto che eri tu a farti del male: «qualcuno si è chiesto cosa me ne viene nel mettermi contro mezzo mondo letterario, compresi compagni di strada e colleghi di lit blog per una persona che non conosco? Bravi, non me ne viene assolutamente nulla se non guai e comune riprovazione.»
Comunque grazie se ti preoccupi per me. Nondimeno ricordo che sei stata tu a “invitarmi” a intervenire. Volevi sentire la mia “campana”. L’hai sentita?
Vorrei non averla sentita. Sinceramente.
Ayame: hai scritto una cosa che suonava goffa.
Goffa? Speravo di arrivare almeno a buffa. Mah, francamente me ne frega proprio poco di come suona 🙂
@claudia b.: ma certo ti auguro di diventare un’insegnante di ruolo e magari, su committenza, di scrivere per le antologie così ti compri una casetta in montagna come Binaghi nei commenti da Redditi da scrittore. Ma insomma siete tutti insegnanti o insegnanti precari che vogliono anche scrivere. Ne prendo atto. Fatemi credere che ci siano anche tanti Bukowski che non sanno nemmeno cosa è la precarietà, perché ci sono dentro senza troppe solfe. Troppa ragionevolezza e come vedi qui è un guazzabuglio infinito.
@paperinoramone: grazie per il chiarimento
Milani comincio a pensare che tu abbia problemi di comprendonio, ecco cosa ti ho scritto, mia email quindi assolutamebnte libera di riportarla: “Comunque finché continui a pensare di essere un capro espiatorio e che il caso è personale, c’è poco margine di discussione. Io poi sono tre giorni che io vado dicendo a destra e a manca che credo alla tua buona fede e spero che tu smetta di suicidarti pubblicamente, l’ho scritto ovunque, è intuito, sensazione, non suffragata da nulla perché non ti conosco e non ho mai avuto a che fare con te, ho sentito voci diverse anche prima di questo macello, ma appunto erano solo voci e non positive peraltro. Ma tant’è.”
Ti ho scritto che nonostante le voci negative che avevo sentito sul tuo conto prima di questa faccenda comunque credevo alla tua buona fede, esattamente il contrario di quanto hai detto tu qui, come la mettiamo?
Peraltro vedo che siamo passati alle minacce pubbliche, ora. Bene.
Ovviamente ora non ci credo più.
@Vincent:
E qui vorrei chiudere perché giustamente nel post si parla d’altro. Prendo atto che a te non piaccia il riferimento alla “precarietà”, che per te è un po’ come fare la parte dei piagnoni. Per noi è un concetto molto più ampio, una condizione comune oserei dire, visto che sempre più spesso non si tratta di una scelta. Una condizione che due anni fa, quando siamo nati, abbiamo deciso di evidenziare in qualche modo. E’ insomma una cosa che comprende la scrittura ma che va molto al di là (senza scomodare Bukowski).
Sì, ho visto il tuo status su fb dove citi questa frase: «Brava Lipperini, forse stai cominciando a capire del “guaio” in cui ti sei messa, tu e quell’altra tua sodale della Seia, che fa da grancassa su Faccialibro: io non sono il capro espiatorio ideale, perché qualcuno ha stima e rispetto del mio lavoro e non ci sta a questo gioco al massacro. Fai un passo indietro, blocca i commenti dai retta.»
Il “guaio” è virgolettato e ci sono i due punti di spiegazione, dunque è connotato ironicamente e trova la sua spiegazione in questa frase: «io non sono il capro espiatorio ideale, perché qualcuno ha stima e rispetto del mio lavoro e non ci sta a questo gioco al massacro.» Poi sono io che ha problemi di comprendonio.
Quanto alla tua frase sull’idea che ti sei fatta di me, rileggiamola: «Ti ho scritto che nonostante le voci negative che avevo sentito sul tuo conto prima di questa faccenda comunque credevo alla tua buona fede» Ecco, volevo illustrare a chi legge quali sono i presupposti da cui tu e Loredana siete partite, nel riferirvi al sottoscritto. Certo, adesso avete un bel dire “confermati da quanto Milani ha detto e scritto”. Su questo punto, però, anticipate un giudizio che anche fra i commentatori di questo post non è condiviso.
Insistete pure.
@vincent, la casa un montagna ce l’ho già. Anzi, ci vivo pure. Ti saluto perché in tutta franchezza non capisco il senso dei tuoi discorsi.
non mi firmo perché voglio continuare a sperare di poter pubblicare il mio romanzo quindi non farò il mio nome o quello dell’editore (piccolo) a cui mi sono rivolta. anche a me sono state chieste cose molto simili, nel senso dare una mano anche a leggere altri manoscritti e aiutare in redazione, e quando ho detto no, tanti saluti. io capisco le difficoltà degli editori con pochi soldi, ma questo non può ricadere sulle nostre spalle.
Anzi, no, Vincent, ti invito, se vuoi, a spostare la discussione su PrecarieMenti – ci trovi su Google – solo perché qui stanno parlando d’altro.
@ grazie “non si firma” per la tua preziosa testimonianza
Ayame, sono andato sul tuo forum, anche lì i giudizi sono diversi, divisi. Il primo che trovo è questo, lo riporto per tigna:
«Si tratta della stessa LOREDANA> LIPPERINI che un giorno vedevo in RAI, uno in MEDIASET, un altro ancora a RAINEWS per mostrare le proprie FATICHE LETTERARIE? No, per capire da quale pulpito venga la predica»
Questo in effetti spiega anche perché Loredana non abbia qui, dopo 230 commenti e fischia, ancora ricevuto la solidarietà di NESSUNO dei nostri compagni di strada e colleghi. Non si può dire la stessa cosa del sottoscritto.
Ma anche questo sarà un argomento OT immagino…
Tra l’altro, il fatto che Giulio Milani sia convinto che lo si voglia eleggere a capro espiatorio – il che non è -, addirittura al punto che i suoi collaboratori e autori si sono sentiti in dovere di intervenire qui, impedisce di concentrarsi sul punto focale della discussione: che non è Transeuropa, né la coda di paglia di Milani, ma il fatto che certe prassi siano emerse all’interno di una casa editrice, e che l’editore (chiunque egli sia) abbia la faccia di bronzo di difenderle come “sane”.
Ripeto, casomai ce ne fosse bisogno: in dieci anni di rapporti di lunga durata con editori non mi è stata MAI chiesta una cosa come quella domandata a Isabella Borghese, né dai grandi (Maggioli Informatica, Editrice Giochi) né dai piccoli (Newton Compton, Tecniche Nuove). Loredana, che ha avuto rapporti professionali con un numero di editori anche maggiore (e per più tempo) può confermare la medesima esperienza. Se un editore, piccolo o grande, venisse a chiedermi una cosa come quella che è stata chiesta a Isabella Borghese gli domanderei se non sia per caso uscito di senno, o se si trovi in bolletta al punto di dover lesinare i compensi a promotori culturali e incaricati commerciali.
Ciò fa sorgere in me il sospetto che un professionista portatore di “saperi” tecnici in settori specifici (è il mio caso) o una cronista molto nota (è il caso di Loredana) vengano trattati diversamente rispetto a una persona priva, diciamo, di un curriculum di pubblicazioni; e che ci si spinga fino al punto di considerare una tale persona, in virtù della sua inesperienza, una possibile erogatrice di prestazioni lavorative gratuite – in base al ragionamento che “tanto deve farsi le ossa” e “si è sempre fatto così” (Policastro), o “siamo tutti nella stessa barca, affratellati da un presunto progetto culturale comune” (Dario Rossi e diversi altri commentatori, guardacaso affiliati a vario titolo alla casa editrice Transeuropa). Ora, il punto è: davvero ciò vi sembra opportuno, auspiacabile, etico? E, quotando Seia: “qui si parla […] di prestazione lavorativa relativa alle pubbliche relazioni dell’editore in una determinata città […]: accettereste di lavorare gratis e non per vostra scelta ma perché questo è legato ad altri aspetti, come nel caso in specie è la pubblicazione del vostro testo, per un’azienda metalmeccanica? Per una pubblica ammnistrazione? Per un fornaio? Perché i diritti sacrosanti degli altri lavoratori sono ritenuti inesigibili nella cultura a qualsiasi livello?”
Queste, e non altre, mi sembrano le domande importanti.
Giulio ormai ho capito come ragioni e ti muovi, per cui se leggi bene ti ho preceduto e ho specificato che quello che ti ho scritto riguardava il prima di tutto questo, quando ancora non avevo idea della storia dei Isabella, parliamo di precedenti che mi sono stati raccontati, per i quali non avevo prove e dei quali infatti non ho mai parlato, né mi sono fatta un’idea preconcetta di te, tanto che parlo di buona fede.
Quanto allo status è tutto chiaro, eh, soprattutto alla luce di quello che sappiamo io e te.
Giulio “Questo in effetti spiega anche perché Loredana non abbia qui, dopo 230 commenti e fischia, ancora ricevuto la solidarietà di NESSUNO dei nostri compagni di strada e colleghi” q
scusate è partito da solo il commento: volevo chiedere quali colleghi visto che si tratta di autori che hanno pubblicato con te. La solidarietà a Loredana e a me è su facebook, è nel blog, ed arriva in privato.
Peraltro, come diceva bene David Randall, chi scoperchia un verminaio di malcostume in pubblico deve aspettarsi levate di scudi e attacchi personali. La mancanza di solidarietà pubblica sovente è una buona misura di quanto un discorso sia scomodo.
Se Newton Compton è un piccolo editore io sono Greta Garbo.
E, di nuovo, torno a chiedere qualcosa cui nessuno mi ha risposto: perché ci si ostina a parlare di editore come imprenditore, quando è evidente che l’editoria di ricerca è un settore in PERDITA? Il rischio di impresa che Seia Montanelli sventola temo non si attagli perfettamente in un settore dove, se va bene, vai in pari con le spese. Gli editori imprenditori, Seia, non sono quelli che pubblicano 1) esordienti italiani e 2) poesia italiana!! Anche questo va detto, che i piccoli-medi editori non sono tutti uguali: ci sono quelli foraggiati dalle università, quelli che fanno cassa pubblicando stronzate, quelli che si sono fatti le ossa pubblicando edizioni maltradotte di classici a pochi soldi…
Mi sembra che questo punto sia fondamentale, invece si continua a ignorarlo. Se un editore deve pagare tutto fino all’ultimo centesimo, avere una squadra redazionale e una dell’ufficio stampa e prescindere TOTALMENTE (perché qui si parla di questo) dall’aiuto dei suoi autori, che si devono limitare a scrivere il loro libro senza mettersi in campo come autore dotato di un “contesto di risonanza” e oltretutto pubblicare solo libri belli… in Italia al momento non sarebbe possibile fare editoria di ricerca. Oppure… ah, sì, puoi farla: se sei ricco sfondato o un imprenditore VERO, coi soldi che ti vengono da altre parti (vigneti, olio, industria…) e che scialaqua soldi nel sogno dorato della letteratura. Però ritorna il discorso del mecenate, vedete? Non certo dell’IMPRENDITORE.
Vediamo se anche questo commento cade nel vuoto pneumatico dei litigi personali.
significa che gli autori devono in spirito di gruppo lavorare gratis nella casa editrice? tanto vale fondarsela allora.
Perfetto Dario ti ringrazio non potevo sperare in un commento migliore. E’ il caso che tutti prendano atto che se pubblicano con un editore “come” Transeuropa, stiamo attenti al come, che è quello che si evince dal tuo commento, non solo non beccheranno mai una lira, ma anzi dovranno lavorare gratis per l’editore che fa loro il favore di pubblicarli. Finalmente.
Poi guardate, posso tranquillamente portarvi un esempio di questi giorni: sto leggendo un manoscritto molto potente (difficile, colto, oltraggioso, ostico), di un esordiente del tutto fuori da qualsiasi contesto. Non conosce nessuno, non scrive su nessun giornale, non ha nessuno che possa “andare in copertura” con segnalazioni e recensioni. Un autore che quindi non ha modo di “muoversi” secondo quel “do ut des” che pretendete essere una pratica comune di Transeuropa. Sappiamo peraltro benissimo che sarà un investimento a perdere, sarà difficile anche solo andare in pari con le spese. Però, pensa un po’, probabilmente Transeuropa questo libro lo pubblicherà. Questo mostro mangiabambini e sfruttascrittori fa invece cose di questo genere. E se gli autori e i collaboratori di Transeuropa son venuti qui a difendere il lavoro svolto non è per tornaconto, ma perché nessuno si riconosce nel ritratto che fin qui è stato tratto. Ultima cosa: qui si continua a parlare dei toni violenti di Giulio Milani, del suo essere in qualche modo persona discutibile ecc, anche e soprattutto per il modo in cui ha reagito a questa situazione. La domanda è: siete sicuri che voi, se vi vedete crocifissi in sala mensa, ritratti come sfruttatori al limite degli EAP, e invece sapete benissimo il culo che vi state facendo, le energie e i soldi che ci mettete… siete sicuri che voi reagireste con tranquillità e aplomb, sorseggiando tè e mangiando biscottini? Forse vi sfugge l’entità di quello che è stato fatto qua e in altre sedi, il tipo di pesante attacco che, per quanto lo neghiate, è stato perpetrato nei confronti del lavoro e della serietà di Transeuropa. I piani del discorso non si scindono, l’antipatia personale, la questione circostanziata, la pratica generale ecc. Agli occhi di chi legge è tutto un’unica palude argomentativa. Comunque, per fortuna siamo anche piuttosto sicuri del nostro lavoro e della nostra serietà. Andiamo avanti, come si dice.
Ahahah Seia. Molto divertente, anche perché non mi pare che nel mio commento si dicesse niente del genere. Le percentuali che riconosce Transeuropa agli autori sono invece piuttosto alte.