Mi arriva una mail di Flavio Santi (fra le altre cose, tra i non molti scrittori “anche” di horror-gotico di valore, in Italia). Non è una recensione, ma fa il punto su Una storia romantica di Antonio Scurati in un articolo uscito domenica su Liberazione. Ve lo porgo.
“Il pop, in ogni caso, ci seppellirà tutti”. Non è il refrain di una canzone (pop). Né il lacerto di un’intervista inedita a Andy Warhol. È il referto contenuto nelle note finali del nuovo romanzo di Antonio Scurati (Una storia romantica, Milano, Bompiani, 2007, pp. 572, € 19,00). Sinceramente le polemiche che l’uscita del libro ha suscitato (su “Foglio”, “Corriere della sera”, “Sole24ore” ecc.) sono ben poca cosa, appartengono al gossip da Isola dei Famosi, di fronte a quest’evidenza marmorea. A nostro avviso il romanzo va letto così à rebours, da questo affondo finale che illumina a ritroso tutto il libro, e di più: conferisce il solo senso possibile, oggi, all’operazione della scrittura.
Una storia romantica parla di amore ai tempi del Risorgimento, di amicizia e tradimento, di passione e fede politica, di illusione e successiva disillusione. L’immaginazione di Scurati corre sul filo tra Il Conte di Montecristo, Cime tempestose, Le confessioni di un italiano, Allosanfan ed Elisa di Rivombrosa. Ma qui più che il plot poté il pop. E dunque più che la classica recensione questo sarà un pezzo di riflessione e accompagnamento al romanzo.
“Il pop, in ogni caso, ci seppellirà tutti”. Di fronte a un tale assunto, che più della volatilità della congettura possiede l’infrangibilità del teorema, come reagire? Tacendo? Leggendo? Scurati sceglie il graffio della scrittura, ed è un graffio che per certi versi ricorda gli strappi di Burri, distruttivi e al tempo stesso fondanti. Del resto ci ostiniamo a scrivere, benché Mallarmé ci avesse avvertito in tempi non sospetti (correva l’anno 1865): abbiamo letto tutti i libri. Che gli scrittori fossero spacciati, destinati a una compulsiva ripetizione del già detto, in fondo è avvenuto molto presto: già dopo Omero le cose rimaste da dire erano ben poche. La letteratura è ventriloquismo: Virgilio che riscrive Omero, Dante che riscrive Virgilio e san Tommaso, Shakespeare che riscrive Eschilo (il quale riscriveva Omero), e via di seguito. Di saccheggio in saccheggio.
È più che evidente: chi vuole “contare” davvero gira film, fa installazioni, al massimo tiene un blog (vero Adinolfi?), non scrive romanzi. Intuizione che fu già di Pasolini quando decise di abbracciare l’Arriflex. In una società neocapitalistica la letteratura conta meno del sacrosanto due di picche. Scrivere romanzi è un’operazione desueta, museale. Oggi la narrazione vincente è altro: è lo sceneggiato televisivo, è il film, è Second Life su Internet. Perfino il più rudimentale videogioco degli anni Ottanta, mettiamo Pac-Man, è oggi più narrativo della letteratura. Tra le forme di narrazione quella letteraria è la morente. Normale evoluzione darwiniana. Adattamento funzionale al mondo circostante. Come diceva lo zoologo Lamarck è la funzione che crea l’organo. Oggi la funzione di narrare in sintonia con i tempi e i ritmi attuali è svolta dal cinema e da Internet. Come nessuno oggi si sognerebbe di prendere una mongolfiera per andare a Parigi, così nessuno si sognerebbe di rivolgersi a un romanzo per capire l’11 settembre (o la Seconda guerra mondiale: un solo fotogramma di Shoah di Claude Lanzmann incenerisce le ottocento e passa pagine di Le benevole di Jonathan Littell). La letteratura ha fatto il suo nobile corso. Non apre più crateri e voragini nel suolo della società, non è più quell’asteroide possente che modifica la dura crosta terrestre dei tempi, che inclina l’asse dell’opinione pubblica.
Appurata l’inattualità di questa forma di narrazione, inattualità per altro inversamente proporzionale alla forza di molti giovani scrittori (Giuseppe Genna, Tommaso Pincio, Mauro Covacich ecc.), se si vuole continuare a praticarla, si chiede Scurati, che fare? Bisogna ricordarsi di com’è fatta un’opera d’arte. Ci sono un mittente e un destinatario, con un preciso ed essenziale feedback. Se il mittente – come si è visto – è in salute, vorrà dire, per esclusione, che il moribondo è il destinatario. Nelle forme di narrazione attualmente vincenti entrambi godono di piena salute.
Il lettore dunque. Qui cominciano le dolenti note. L’Italia tocca il fondo delle classifiche dei paesi dove si legge meno: siamo relegati negli abissi dell’insipienza insieme a Grecia e Portogallo. C’è un analfabetismo di ritorno che fa concorrenza alla più letale slavina, e che ormai travolge anche le fasce più alte e istruite, la cosiddetta classe dirigente del Paese (avete mai letto una lettera d’ingiunzione di un avvocato? Be’ la stele di Rosetta è più corretta e comprensibile, ed è in antico egizio…). Si dirà che è il flusso inarrestabile del progresso, e che è un po’ così in tutto il mondo. In passato era già successo ad altri di soccombere: alla poesia, all’epica, all’opera lirica. Ora, il romanzo resiste di più perché è stata una delle forme artistiche borghesi per eccellenza, e un po’ è riuscito a mimetizzarsi e a parassitare. Si estinguerà, è inevitabile, è già decomposto. Il punto è: come conservarlo il più a lungo possibile? Pensando al lettore, risponde Scurati, al suo immaginario – che poi è anche il nostro. Allestendo un romanzo come se fosse uno sceneggiato denso di fatti e azioni, portando il cinema nel libro (da Sam Peckinpah a Sergio Leone), portando la soap nel libro (per questo, ad es., i personaggi di Scurati sono più che altro funzioni, ologrammi volutamente bidimensionali).
Scurati sta mantenendo in vita un genere sulla via ormai di una lenta, inevitabile estinzione. Può piacere o meno come lo fa, ma lo fa. C’è chi invece vorrebbe che la letteratura fosse l’isolotto del dottor Moreau in cui bearsi di esperimenti e chimere, ma questo è un altro discorso. Tagliati fuori dal mondo, sempre più tramortiti, ci avvieremmo a una bella follia allucinogena. Ma questo appunto è un altro discorso.
Il solito acume di lavio, che andrebbe ringraziato per gli interventi di estetica, di critica, di filologia, per l’opera poetica e quella narrativa.
Tuttavia non vedo questo tentativo di prolungare l’agonia di un corpo già in putrefazione, in Scurati e in altri (nell’ultimo “romanzo” di Santi men che meno). Io avverto negli italiani una spinta verso una forma, nuova e arcaica al tempo stesso, che installi narrazione lingua in una “sensazione di verità”. Sono molto pop gli psicofarmaci e la psicoanalisi è in putrefazione come la forma romanzo (entrambe le forme, come sottolinea Santi, hanno da spartire parentadi consistenti con ciò che fu la borghesia, e che più non è). Nonostante il pop stia seppellendo il morto, le persone sono infelici: paroxetinici o meno. C’è una potenza di ricerca della felicità, del raccoglimento in sé verso il nucleo profondo della felicità naturale che l’umano è quando non è interrotto da pensieri o da mondo esterno: credo che sia la via di fuga da tentarsi, che molti scrittori italiani, più o meno consapevolmente, tentano. Ciò si porta dietro implicitamente apparati che, ovviamente, non fanno mercato: apparati di tradizione, di metafisica, di teologia, di stile, l’insieme degli universali, la sempiternità occulta a volte e a volte palese dell’epico e del tragico. Ma questo tempo è soltanto questo tempo: una fragile sfoglia. Mi chiedo come verrà da ridere ai futuri, leggendo un commento come questo, se il futuro sarà ricettivo della parola per come la intende King: un atto di telepatia (e conseguentemente anche la letteratura diventa telepatia, in On Writing). Questo tempo è già trapassato. Il pop che ci seppellirà tutti, credo, non è il pop per come è inteso attualmente – ogni tempo ha il suo popolare e ora viviamo in un tempo in cui il popolare sta più subendo che eiettando forme: mi sembra di poter affermare che sta gemmando suggestioni destinate a fiorire in maniera impensabile…
King è effettivamente la prima obiezione che balza in testa per rispondere all’argomento di Flavio Santi, non solo per la concezione della scrittura, ma anche per la costruzione dei romanzi, degli universi. La questione da porsi, per gli scrittori, non dovrebbe essere “cosa non può (più) il romanzo?”, ma “dove, come il romanzo può qualcosa di impossibile agli altri media?”
La cosa che mi sconvolge, degli amanti della lirica, è la loro capactà di amare fuori dal tempo una forma d’arte condizionatissima dalla contingenza. Per dire, chi oggi ama il Nabucco sa della passione politica che esso suscitava nel risorgimento, ma di sicuro non la può provare e neppure ne subisce la forza. Riescono ad amare una forma, una tecnica che giustifica il contenuto.
Certo, nell’800 l’opera lirica era una realizzazione tecnicamente all’avanguardia, e aveva uno star system che poi è migrato (adattandosi ai tempi) nel mondo del cinema. Poi ha subito il proprio declino tecnico, sorpassata da tecniche più adatte a raccontare il presente. I presenti. I figli delle opere liriche sono: i musical, i film kolossal, quello che volete, mentre le opere liriche oggi sono cadaveri non in decomposizione, ma mummificati, ed esumati per l’interpretazione.
Il romanzo ha dei codici e delle potenze proprie, chi sa impadronirsene può scrivere cose intraducibili in cinema o fiction o podcast o videogame. Che hanno potenze diverse, ma non migliori. Dire che un fotogramma di Shoah incenerisce le 900 pagine di Littel è piuttosto un giudizio di valore. Tecnicamente, direi che Le benevole a volte “mostra i cavi” (come si vede nei wuxiapian scadenti): l’ambizione del progetto non risponde a una matura comprensione delle forme del romanzo e ciò fa saltare all’aria il patto col lettore. In questo il giovane Littel manca il colpo, ma non per questo il romanzo muore.
Che gli autori d’Italia non sentano (telepaticamente?) il polso del loro pubblico: è uno dei motivi per cui non abbiamo l’equivalente italiano del Great American Novel. Che abbiano purtroppo spesso ottime ragioni per non volerlo sentire… è la condanna dell’intellettuale, oggi necessariamente disorganico.
trovo curioso questo post che è totalmente in linea con il mio pensiero e sulla narrativa e sui romanzi, sulla velocità e necessità di raccontare e dei mezzi disponibili. lo trovo strano perchè meno che mai mi sarei aspettato di leggerlo in questo blog.
vorrei dire che io sono convinto che scrivere un romanzo è soprattutto sentiree l’impellenza di nascondere e raccontare metafore e significati, che sono anche possibili in altri formati narrativi ma che difficilmente possono davvero isolare allo stesso modo un utente, costringerlo all’iterazione puramente mentale.
cmq è davvero un bellissimo post, grazie.
Chi vuole “contare davvero” scrive romanzi e appare. Appare anche oltre la propria prosa. Si propone al pubblico esponendo le proprie idee. Proporsi, apparire, disquisire e convincere. Da qualche parte si deve continuare, dopo aver scritto, per convincere la gente a leggere ed educarla alla cultura. Se Lipperini non va ai convegni, se Genna non va in tv e Muratori non venisse intervistata alla radio, perdonate l’ardito trittico, il pubblico che non compra libri come fa a convincersi a comprarli? Facendo un passo indietro, l’alfabetizzazione della popolazione nei secoli passati era quantitativamente e qualitativamente estremamente inferiore e a diffusione molto più lenta per la scarsità di strumenti, di mezzi ecomomici e di mezzi di comunicazione. E perché la gente prima di leggere doveva procurarsi da mangiare. Gli alfabetizzati erano una minoranza, i colti erano un’elite. Un’elite con un enorme potere di inclinare l’asse dell’opinone pubblica – come scrive Flavio Santi – proprio grazie alla scarsità di attrezzature culturali a disposizione del popolo, ma maggiore tempo e memoria. Il quadro storico odierno è radicalmente mutato, così come è cambiata la velocità con cui cambia esso stesso. La gente impara in poco tempo e dimentica in ancor meno tempo. Pseudo stelle e psiconani che nascono e cadono a velocità della loro stessa luce. E quando sono lenti a cadere, ci auguriamo che si sbrighino a farlo. E’ cambiato pertanto anche il compito degli scrittori, che non sarà più quello di sconvolgere l’opinione pubblica e di aprire voragini o lanciare asteroidi nella conoscenza. Ma quello di rendere comprensibile il proprio lavoro, educando la gente al ragionamento ed alla memoria. Rendendo stabile la luce nella testa di ciascuno di noi. Gli intellettuali eseguiranno il difficile compito scrivendo e apparendo al pubblico. Altrimenti rimarranno condannati a rimanere un’elite di eruditi senza alcun futuro, con al seguito agguerriti plotoni – e non eserciti – di aficionados …
Leggo adesso Giuseppe Genna che parla di letteratura e telepatia, mi fa venire in mente Daniel-nn in Houellebecq. Ma quello è futuro-futuro. Proviamo a rimanere in questo secolo…
l’unica evoluzione seria riguarderà l’industria editoriale,che dovrà darsi una regolata.Una narrazione arguta è per sempre(siamo i libri che hanno letto le nostre madri)
plessus scrive: Leggo adesso Giuseppe Genna che parla di letteratura e telepatia, mi fa venire in mente Daniel-nn in Houellebecq. Ma quello è futuro-futuro. Proviamo a rimanere in questo secolo…
anche Kerouac parlava di letteratura e telepatia, guardiamo al passato….
Sento un vago odore di frittura d’aria… io in questi dibattiti (e in tanti altri a dire il vero…) ci capisco poco. Qualcuno mi spieghi cosa vuol dire “narrazione vincente” quella cioè che si impone maggiormente all’attenzione del pubblico e ne guida i gusti e le opinioni? Perchè se è così la forma d’arte arrivata al capolinea è proprio il cinema Fofi, che però raramente capisco (come tanti altri a dire il vero…) dice più o meno le stesse cose. In più Internet che cos’ha di narrativo? e Second Life, straordinaria bufala planetaria (iniziano a dirlo in tanti, anche se io…) dove sarebbe “vincente” e poi questa tono sportivo mal si addice alle forme d’arte. In questi anni il noir ha conosciuto un grande successo, a me non piace, non ho comprato nemmeno un libro, per me non è “narrativamente vincente”. Mettiamola su un altro piano, vincenti sono le persone e di conseguenza le cose che fanno. Scurati, di cui sono fan, l’ha capita: sa che prima del romanzo arriva lui e quindi prima di creare i romanzi ha creato “Antonio Scurati”-che-scrive-i-romanzi. E vorrei dire, se non suona offensivo per nessuno, che anche Pasolini sapeva questa cosa di sè stesso.
rilancio da wired: http://www.wired.com/techbiz/startups/news/2007/10/dzancbooks
guardacaso, questa casa editrice sorta “dal web” pubblica romanzi E supporta progetti contro l’analfabetismo.
L’articolo, eloquentemente, finisce così: “Smarts, not platform, is what matters. “
Ma la letteratura non subisce forse il logorìo di tutte le altre forme d’arte ?
La musica non è ferma lì al palo e rimastica se stessa ? I quadri, come direbbe Mallarmè, non son già stati tutti pitturati ?
I film, come dice Bon, non son già stati tutti girati (e a quel che mi consta a Hollywood hanno ormai perso perfino la speranza di nuovi soggetti) ?
Ma non è solo l’arte ch’è logorata, e tutte le altre attività umane ?
I bei gol sono stati fatti, i record si battono ormai coi centesimi, di secondo o di metro. La scienza e la tecnologia fanno passettini di formica, dopo aver promesso di dominare il mondo, perfino i PC hanno smesso di raddoppiare la velocità, e per cosa poi, per giocarci l’ultimo videogame..
Siamo condannati a ripetere, questo è quanto.
Sul perchè poi non ci sono lettori in Italia, boh, dipenderà dal clima, ci vorrà la pioggia e il freddo per chiudersi in casa a leggere, o forse siamo quel popolo di teste di cazzo incolte, vagheggine e poco serie che la storia narra che siamo e lo strabocchevole numero di telefonini conferma.
Eh, si stava meglio quando si stava peggio, cioè quando qui era tutta campagna e uscivano bei libri.
Ciao Marcello, scrivo cose facili ma non quello che hai capito te.
Comunque oggi sulla Stampa, parlando del terrificante “Guerra e pace” televisivo, Scurati dice tutt’altre cose…
nell’articolo su La Stampa Scurati dice:
“… c’è più Tolstoj in E.R. … che non nel Guerra e Pace visto su Rai Uno…”
credevo che la mia dipendenza da E.R. fosse una di quelle passioni pop di cui vergognarsi, da consumare in solitudine con il videoregistratore, facendo finta con gli altri poi ad alta voce che “… sì, in fondo non sanno proprio più che cosa inventarsi e da quando hanno fatto morire Mark Green non è più la stessa cosa…” e invece sotto sotto sai che E.R. a volte ti ha dato quasi una mano a vivere, proprio ad affrontare la melma delle giornate, e non è forse anche questo compito della letteratura?
grazie Scurati
Mah! Tutte le argomentazioni che illustrano un conflitto tra letteratura e altri media non mi suonano convincenti. Anche Baricco, anni fa, scriveva che la letteratura è simile a una bicicletta che insegue il treno del cinema, e si chiedeva “Ci sarà pure un modo di pedalargli davanti”. Chiunque si faccia questa domanda è come Don Chisciotte che assalta i mulini a vento. A parte il fatto che Second Life è una specie di deserto, e anche i cinema non sono poi così affollati… il punto è che sono nemici immaginari. La letteratura, il cinema, i videogiochi sono oggetti completamente diversi. Voglio dire, non c’è confronto: la letteratura ha una ricchezza e una quantità di mezzi infinitamente superiori agli altri due.
Per mantenere in vita il romanzo occorre scrivere dei cattivi romanzi?Il problema del libro “Una storia romantica” non è nel plot che sa di fiction, nè nei temi trattati, l’amore, l’eroismo,la patria, la passione, ma nella sciatteria della narrazione, nella banalità della forma, nell’imperversare del luogo comune.
La prosa di Scurati sta a metà tra i racconti di “Confidenze” e un dannunzianesimo mal digerito. “Piena del proprio essere”, “lussuriosa solitudine”, “i seni gloriosi come un atto di carità cristiana…” che
“dicevano al carnefice: io ti perdono..,” C’è di che rallegrarsi una volta tanto, altro che dolersi, che gli italiani leggano poco … Ma c’è di peggio purtroppo. C’è Jacopo che capisce, vedendo Aspasia nuda in procinto di essere violentata, il senso delle raffigurazioni della patria, e gridando:”E’ lei, la patria!” si avventa contro i suoi aggressori. Il tutto è piuttosto ridicolo. Penso che si imponga una riflessione da parte delle case editrici(case editrici anche prestigiose pubblicano sempre più libri di livello modesto, attratti forse dalla speranza di catturare l’attenzione del pubblico proponendo prodotti facili o per vari motivi – leggi argomenti erotici o supposti tali-accattivanti ) e da parte degli scrittori, che dovrebbero puntare più in alto non accontentandosi di risultati mediocri ma sperimentando di più, mettendo in gioco la loro creatività con più impegno, impegnandosi e sporcandosi davvero con la vita, scartando le facili artificiose suggestioni tipiche delle scuole di scrittura per ricercare una cifra propria, autentica.
E a proposito di “film nel romanzo”, in “Una storia romantica”abbiamo anche il blooper: Scurati ci dice, e lo confermano varie descrizioni, che Aspasia nella sua vestizione non ha messo il corsetto, quindi…sotto il vestito niente:).Invece:”mentre lui si avvicinava con passo incerto,…la guardia le strappò il corsetto”! …Antonio, ma non ce l’aveva, il corsetto, è da mezz’ora che lo stai a dì, con tanto di “seni nudi che sfregano nella stoffa”, e capezzoli inturgiditi per il freddo…
Non ho letto l’ultimo romanzo di Scurati. Ho letto il saggio sulla letteratura dell’inesperienza che mi è sembrato una tesina di copia e in colla stampata con un carattere del 12 per dargli una certa corposità. Ho letto “il sopravvissuto” che non mi è sembrato male, anche se moralista, pretesco, professoresco e scuolamediocre ( Si prende troppo sul serio il prof. Scurati per vivere nell’epoca in cui scrive). Anche a tratti con una certa macchinosità della frase dovuta ad un’eccessiva “confidenza” con la saggistica ed uno scarso feeling con la narrativa-narrativa. Per quanto riguarda lo scrivere credo che sia un’esperienza intima che vale di per sè e non ha bisogno di lettori. Si deve guardare alla causa più che all’effetto altrimenti si cade nel narcisismo. Anche il cinema e l’arte non se la passano benissimo in Italia, che sia dovuto all’università di massa? In America il sistema selettivo dell’istruzione crea un pubblico simile a quello della società borghese. Poi c’è il problema, forse più grande, di una lingua parlata solo in italia. Scusate se sono stato un po’ sbrigativo.
Mi scuso con Scurati che è un bravo scrittore per i miei pensieri frettolosi e troppo decisi. Ma qui non risponde nessuno anche se scrivi stronzate se non hai la patente di scrittore. Si viene sistematicamente ignorati e tenuti alla larga se non sei un bravo p.r oltre che uno scrittore decente. Questo credo che sia il problema di oggi, che la liquidità e l’opacità in cui si vive rende più importante la cornice-evento che il contenuto. Siccome manca una qualsiasi legittimazione al di fuori dell’evento e delle sue propagini mediatiche, devi attrezzarti di tutti i sigilli e diplomi possibili della legittimazione, essere un professore universitario, stare in un gruppo che diventa quindi diventa un brand, scrivere un saggio per creare la cornice interpretativa e legittimante del tuo romanzo, scrivere sui quotidiani etc….
Alt.
Gigi, modera i termini e non permetterti di dire che in questo blog si viene ignorati se non si ha la patente di scrittore.
Non esiste obbligo di risposta ad un commento (specie ad un post vecchio di sei mesi, e specie se, evidentemente, il commento era stato fatto non per esprimere la propria opinione, ma per sollecitare attenzione su di sè).
Non volevo attirare l’attenzione su di me, anzi, fuori di me, perchè c’è sempre bisogno di almeno due persone per interloquire su un argomento e in ogni caso, anche se fossi stato provocatorio, credo che uno possa utilizzare la tattica retorica che desidera in un discorso o, come è accaduto in realtà, precisare il suo post con uno successivo, non vedo dove stia questo problema, che avete la coda di paglia? (Comunque, effettivamente era un post vecchio, ma perchè li lasciate in giro? Se io voglio discutere del romanzo del prof. Scurati mi appare questo forum e allora che devo fare…in ogni caso…non vale la pena di discutere questo atteggiamento moralista, la mia era una visione più ampia della problematica arte/mass media e questo credo che sia un esempio lampante di quello che volevo dire. Ecco come può nascere un caso che non esiste.)