Accade di rimanere bloccati al paesello perchè nevica, e nevica tanto. E di concedersi il lusso di guardare gli alberi e le montagne, di mangiare il pane al cioccolato che la comunità della strada vecchia ha preparato per il presepe vivente di ieri, e di giocare a scala quaranta con le amiche d’infanzia.
Accade di essere messi in condizione di riflettere. Per esempio, su come possono essere male interpretate le parole. Ricevo via Facebook lunghi messaggi da parte di una ragazza spagnola che mi accusa di difendere Berlusconi e di avercela con il gruppo di donne che, dopo il caso Noemi, hanno “scoperto”, mediaticamente parlando, la questione femminile. Rispondo, cercando di spiegare che la posizione è più complessa di così. Lei rimane ferma sul punto. Comunque, bisogna mandare Berlusconi a casa, insiste.
Sì, certo, d’accordo: e poi?
Su altri fronti: leggo, dopo la famigerata discussione sul fantasy, post sbuffanti di scrittrici e scrittori sul fatto che “non vale la pena”, che chissenefrega dei critici, e peste colga chi vede etica in un libro. Ma certo, ma è indubbio: che un certo modo di esercitare la critica stia mostrando la corda è cosa vera, e qui se n’è discusso a più riprese. Anche per questo, il fatto che molti scrittori, in rete e no, facciano, a tutti gli effetti, critica, ha contribuito ad un rimodellarsi delle posizioni e delle funzioni.
Anche in questo caso, mi viene da pensare a come i discorsi complessi vengano fatalmente semplificati, spesso pro domo propria, per sottolineare la propria coerenza-onestà-non appartenenza al Sistema.
Legittimo. Un tantino desolante. Torno a guardare la neve.
La sensazione sgradevole che ho provato nella comunque bella discussione sul monnezzone è stata quella dell’indebito attacco (fortunatamente minoritario) a un critico, Andrea Cortellessa, col quale si può essere d’accordo o meno, ma del quale è innegabile la volontà di mettersi in gioco, di entrare nell’agone. Attaccare lui per sineddoche significa prendere a schiaffi chi c’era e non chi – per ritardo tecnologico, perché aveva altro da fare o per vera e propria altezzosità – in questa discussione proprio non c’è entrato.
Non credo che in una discussione si debba necessariamente cambiare idea. Ma definire le posizioni sì. E molti autori lo hanno fatto e anche bene. Se la critica serve anche a questo, a stimolare una elaborazione di un pensiero coerente su quello che si produce, be’, direi che non è davvero poco; meno male che esiste. Pensare che è legittimata solo quando incensa lo scrittore è un po’ deprimente.
Qui comunque fa un freddo cane e il cielo è coperto. Capace che nevica.
loredana: è stato tirato un sasso in uno stagno, credo che adesso sia opportuno lasciare che il torbidume successivo allo schianto si depositi e vedere se e come le posizioni sono cambiate. Tutti a riflettere un po’ insomma.
Qui niente neve, giusto una spolverata per rompere le scatole in città, almeno ne facesse due metri…
biondillo: ho detto altrove stamattina che il merito se vogliamo ascrivergliene uno di cortellessa è stato quello di aver retto botta per 300 e passa post con onestà e rispondendo a tutti. Di questo gliene va dato decisamente atto.
Loredana: mi sento tirato in mezzo e dico come la penso.
Io credo che alcune questioni _siano_ semplici, e vengono rese complesse per generare posizioni di privilegio. E che non ci sia niente di male nel ricordarlo. Non è desolante: è sincero. Sbaglierò, ma credo di aver argomentato i perchè fino alla nausea.
Sul chiamarsi fuori da sistemi vari, anche qui: io _sono_ fuori da un certo sistema. E neanche questo mi sembra desolante.
Quel sistema non mi piace, e lo trovo poco interessante, poco stimolante, poco tutto. Questo non è semplificare, è cercare di aprire il velo per capire chi sia il Mago di Oz.
Che è diverso.
a me piace molto la semplicità e la credo l’arte di rendere comprensibile la realtà (che è comunque sempre – o quasi – complessa). Per il resto sono d’accordo con Francesco e, anzi, rilancio: non solo spesso la complessità viene evocata per rendere “incomprensibile” ai più ciò di cui si stia parlando (e le posizioni di privilegio sono i cosiddetti “esperti” che poi possono spiegare al volgo come vanno le cose. E il volgo viene tenuto, rigorosamente e oscuramente, a bada) ma anzi credo proprio che questo sia “l’errore”, quello che allontana le persone “normali” da un certo campo politico per avvicinarle ad un altro che, pur dicendo bestialità, le dice in maniera che tutti capiscano. Questa è la loro forza, spesso NON è la nostra. Rifletto anch’io, guardando la… pioggia! Odiosa pioggia…
Francesco, semplici fino a un certo punto. E non perchè, come sostiene Desian, si vuole sottrarre comprensione al cosiddetto volgo. Come forse si è potuto constatare in quella discussione, le sfumature sono infinite. E io non amo le generalizzazioni: c’è critica e critica, così come c’è libro di genere e libro di genere.
Quanto al sistema, ognuno è libero di tirarsi fuori, avendo chiaro di quale sistema stiamo parlando: quello di Andrea Cortellessa non è lo stesso in cui sono io, quello dei Wu Ming è ancora diverso, e così via. Se stiamo parlando di testi.
La semplificazione del “tanto io mi diverto” (non tanto tua, a dire il vero) rischia di essere troppo facile. O di essere interpretata come troppo facile, e di qui ripartiamo con il Tolkien semplificante o genere semplificante e via così.
Oh, ma su questo siamo d’accordo. E sono stato piuttosto esplicito nel dire quali sistemi mi interessano e quali no: il mio paletto personale è in un punto molto preciso, e cioè l’elaborazione teorica che perde di vista il materiale concreto delle storie. Che non è certo quello che fai tu (sono d’accordo con alcune tue cose, con altre no, con tutte mi interessa interagire, e infatti questo blog lo seguo con passione).
Ma la Critica, con la C maiuscola che sta per ‘Accademica-e-con-un-elevato-portato-teorico’, no, non mi va giù. E il perchè l’ho già spiegato qui, sul mio blog e altrove, e non starò qui a ripeterlo, che non voglio diventare petulante.
Sulla semplicità: da discuterne. Spero di trovare il modo di farlo.
Qualcosa del genere ‘soluzioni semplici per un mondo complesso’? Di quelle che magari non funzionano ma sono più facili da spiegare…
Internet semplifica. Si può essere precisi, obbiettivi, complessi, informati, originali etc etc – si verrò sempre ridotti a ‘o con noi o contro di noi’.
La discussione sul ‘monnezzone’ è stata di alto livello non solo per via della qualità di gran parte dei partecipanti ma anche per il fatto che è stata chiaramente moderata, avvenuta in un forum moderato. La moderazione (fatta bene, ovvio: si può moderare troppo e male) è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per una discussione sensata e vivace online. L’ideologia del Popolo del Web (PdW) favorisce il liberi tutti e non per niente dove questo accade, per esempio in certi newsgroup o forum, si finiscono per dire solo sciocchezze e insulti e lo spettacolo è penoso.
Se Internet fosse davvero uno spazio di libertà in un mondo oppresso dalla comunicazione di massa ci sarebbe da piangere: questa è la libertà? per questo dovremmo sacrificarci e morire? Beh, no.
Poi, per quanto ci si stia attenti e si faccia in modo che la conversazione non degeneri ne’ languisca, per quanto alla fine si dica ‘beh, ho imparato qualcosa’, alla fine non si può evitare che tutto venga ridotti ai soliti slogan e luoghi comuni perchè, ovvio, ‘non si può mica leggere tutto’. Commentare sì, leggere no…
Mah, io credo di essere una persona normale, sono una lettrice ‘senza potere’ e scrivo sul web semplicemente per dire la mia e per confrontarla, nel modo più onesto possibile spero, con quella degli altri.
Sono stata in disaccordo con i giudizi espressi da Andrea Cortellessa e, nello stesso tempo, ho apprezzato il suo coraggio di sostenere una discussione da una posizione assolutamente minoritaria e impopolare, cosa che ricordo ha già fatto in un’altravivacissima mega discussione su un altro sito.
E va bene. La cosa che mi ha lasciato veramente perplessa però, e di cui parla Loredana, sono state le discussioni e le prese di posizioni seguite a quel thread in altri blog, su cui non ero mai stata prima.
Allora, prima sintetizzo – da lettrice sfusa, generalista e ignorante – il mio pensiero sulla critica.
Credo cha la funzione critica sia fondamentale e per questo sono convinta che debba essere il più possibile diffusa, trasversale e spalmata (aggettivo che detesto ma vado di fretta e adesso non me ne viene un altro).
Detesto il critico dall’atteggiamento spocchioso che, per ricordi liceali, definisco alla ‘odi profanum vulgum et arceo’, ovvero quel sedicente esperto che si arrocca su posioni elitarie e disprezza tutto ciò che è popolare e lo critica per partito preso senza conoscerlo. E invece dovrebbe limitarsi a criticare ciò di cui è esperto e stare zitto su quello che ignora, visto che non ha la curiosità intellettuale di andarlo ad esplorare.
Considero però fondamentale, perchè a me – lettrice ecc. ecc. ecc. – serve, il giudizio critico competente e il ruolo di mediazione seria, onesta e indipendente. E, dunque, se c’è una cosa di cui accuso la critica militante di oggi è proprio un deficit critico, nei due sensi detti sopra.
Per finire, mi ha stupito, e pure parecchio, spaventato quel pezzo di Francesco sul suo blog, in cui disegna una comunità sopravvissuta alla solita bomba o ad altra catastrofe, in cui il ruolo del critico diventa assolutamente superfluo e fondamentale, invece, quello del narratore, dalle cui labbra i superstiti radunati intorno al fuoco berrebbero rapiti le parole che cadono affabulatrici dalle sue labbra.
Questo racconto mi ha spaventato perché non è di una comunità futuribile che si sta parlando, ma di quella attuale del nostro Paese, in cui abbonda la narrazione (e non parlo di quella letteraria, evidentemente), e il narratore affabulatore è idolatrato e il critico, invece, è stato messo al bando.
Insomma, Francesco, mi hai dato da pensare.
Del resto, si sa, oggi il potere si serve di Narrazioni e non certo di Concetti e Regole e Distinguo. Da questo punto chi parla di critici superflui e narratori fondamentali non fa altro che esplicitare la sua posizione e stabilire quel che gli interessa veramente: il potere. Certo, un potere piccolo e subordinato e servile ma insomma, meglio che niente…
Da leggere: ‘Storytelling’ di Christian Salmon.
Valeria: giusto per onestà intellettuale, nella mia storiella idiota non ho parlato di ascoltatori rapiti, ma di narratori che tirano a campare. Che è diverso. Leggere per credere.
Non ho difeso la demagogia – l’ho attaccata. Perchè la demagogia nasce quando qualcuno pensa di insegnare qualcosa. Se parti dal principio che non stai insegnando nulla, difficile essere dei pericolosi demagoghi. C’è il livello meta-, ok, va bene, ma ci siamo capiti.
Io mi sono tenuto su toni ruvidi ma civili: non ho mai messo in bocca ad altri parole non loro. Gradirei lo stesso trattamento.
Sascha: in questo blog le discussioni non sono moderate. Sono partecipate, ma non moderate.
Valeria, hai ragione, e quel post ha dato da pensare anche a me: perchè in quel caso, Francesco, non si può non parlare di responsabilità del narratore. Di qualsiasi etica sia portatore.
C’è chi considera la narrativa roba da chirurgo. C’è chi la considera roba da pugile.
Io sono per il pugilato.
Ciò detto: tra “pendere dalle labbra” e “sopravvivere” c’è un abisso di differenza.
E, Sascha: sì, penso che i narratori siano fondamentali e i Critici (teorici, ripeto allo spasimo) inutili. Il perchè l’ho spiegato. Di più non ho da aggiungere.
Non sono moderate? Allora l’assenza di troll avrebbe del miracoloso…
Che siano partecipate l’ho visto: di solito ciò ha un’influenza positiva sulle discussioni a meno che non ci si trovi di fronte a tentativi deliberati di distruggere o screditare un blog o un forum.
Diciamo che come una comunità non può dipendere solo dalla forza per il suo ordine dobbiamo anche dire che la forza deve rimanere di riserva per le situazioni d’emergenza.
Finchè ho potuto ho frequentato newsgroup non moderati: alla fine ho deciso che erano diventati ambienti irrespirabili ed asfittici in cui l’assoluta libertà portava solo all’entropia (per usare un eufemismo).
Francesco, chi narra corre il rischio di essere frainteso. Tu hai tutto il diritto di narrare, io, creatura del popolo intorno al fuoco, di interpretare e, dunque, di fraintendere.
Il livello ‘meta’ tra te, ur-narratore, e me, ur-lettrice, non c’è se non a costo di uscire dalla narrazione.
Valeria: assolutamente d’accordo, ed è questo il punto. Tu hai il diritto di fraintendere. Ma nessuno ha il diritto di fraintendere al posto tuo.
O di teorizzare il fraintendimento – ed è la teoria, lo ripeto per la n-esima volta, il mio personale paletto.
Francesco, mi accorgo solo adesso della tua risposta.
A me, lettrice, potrebbe stare molto bene questo punto d’accordo. Però allora dovremmo mettere in questione tutta la discussione in corso da qualche giorno su Tolkien su questo blog.
Su che basi stanno avvenendo le distinzioni, le messe a punto, le prese di distanza e gli avvicinamenti se non su basi critiche?
E’ vero, da quello che so, che nessuno dei partecipanti alla discussione è un critico di professione, ma ritengo che questo sia un dettaglio del tutto marginale.
Pur ritenendo legittimo e non negoziabile il mio diritto alla lettura spregiudicata di un testo, sono convinta che una critica filologica e ‘competente’ sia utile anche a me, lettrice ingenua, purché non diventi prevaricatrice e totalizzante.
E un testo come quello di Tolkien, secondo me, sta lì a dimostrarlo.