Dunque io scrivo qualcosa su Facebook. Per esempio, scrivo che sono esasperata dalle riunioni di condominio, come tutti, o quasi. Ma se il giorno dopo qualcuno fa irruzione in un’assemblea condominiale con una mitraglietta, questo autorizza tutti i media, quotidiani, trasmissioni televisive, social network, a convocare psicologi, sociologi, analisti di varia provenienza per decretare che, sì, le assemblee condominiali suscitano istinti omicidi?
Perdonate il paradosso, ma nonostante la lunga frequentazione dei media il nostro spettacolo quotidiano continua a stupirmi, e non in senso buono. C’è un omicidio, terribile, a Lecce. C’è il presunto colpevole della morte di due ragazzi che avrebbe pronunciato una frase sulla loro eccessiva felicità che avrebbe provocato in lui rabbia. C’è un intero mondo di commentatori, noti e non noti, che da giorni ragionano sull’invidia. Non è così semplice?, si dirà. Non vale la pena di dedicare post, poesie, citazioni al malanimo che toccava persino gli dei, che sterminavano i troppo fortunati?
Ogni volta, mi chiedo perché ci addentriamo con una strana, feroce gioia in questa trappola: notizia di cronaca nera, su cui si calca la mano nelle cronache dei quotidiani, reazioni social, rilancio dei quotidiani (oh, che cattivo il popolo del web). Ogni volta mi chiedo se abbiamo capito che siamo parte di un meccanismo di amplificazione che ci acceca: peraltro, occorrerebbe anche ricordare quel garantismo, quella sospensione di giudizio, che dovrebbe far parte del nostro essere nella società, e questo dovrebbero fare i media, se possedessero ancora un’etica o se non la mettessero da parte per tentare disperatamente di sopravvivere.
Siamo tutti freaks sotto lo stesso tendone, e va bene: la sensazione, però, è che quel tendone si stia trasformando ogni giorno di più in un’arena. Non ci ammaleremo, credo, se aspetteremo qualche giorno, o qualche mese, prima di fornire il nostro commento, la nostra poesia, il nostro post sull’invidia, e magari sulla vicenda sapremo qualcosa di più, e magari ancora potremmo ragionare su un’altra passione triste, quella che ci porta a condannare senza capire, a interpretare senza poterlo fare, a inseguire il fascio di luce che ci illumina senza renderci conto che è, invece, un fascio di tenebra.
Buon 1 ottobre, peraltro.