Leggo nei commenti al post precedente una affermazione di
Cûk
che
trovo irresistibile: “dove c’è profitto, non c’è arte”. E’ una vera tentazione: anche perché Cûk
medesimo chiede, mi sembra, di essere smentito.
Dunque eccomi qui, con due soli esempi (tratti dal passato
remoto).
Gennaio 1605: esce la prima edizione di un romanzo che si
chiama El ingenioso hidalgo Don
Quijote de la Manca. L’autore è Miguel
de Cervantes, lo stampatore Juan de la
Cuesta. Sei edizioni in quello stesso anno. Miguel si dice molto, ma molto contento
della cosa.
1881. Siamo in Francia ed esce il primo volume di
racconti del signor Guy De Maupassant. Titolo, La Maison Tellier. Dodici
edizioni in due anni. Nel 1883, il romanzo Une Vie vende 25.000 copie in
dodici mesi (parliamo di fine Ottocento, ricordatevelo). Bel-Ami (1885)
arriva a 37 ristampe in quattro mesi.
Mi fermo e passo la parola a Beniamino Placido. Era
il 30 agosto 1998, e su La Repubblica usciva l’articolo qui sotto.
Come diceva Cervantes, state sani.
La nostra mentalità si conserva testardamente
prescientifica, purtroppo. Ne abbiamo avuto una prova anche di recente. Abbiamo
avuto un’ estate piuttosto calda (la più calda degli ultimi seimila anni) e l’
abbiamo attribuita di volta in volta ad ogni genere di causa. Nei momenti di
più acuto malumore l’ abbiamo addebitata persino al dibattito che ogni giorno
ricominciava – su taluni quotidiani – intorno alle sorti della nuova narrativa
italiana. C’ è o non c’ è? E’ cannibalesca o vegetariana? E perché i giovani
non leggono, come mai? I contendenti erano così strenui, i loro argomenti così
sofisticati (sembrava di leggere scienziati atomici, a volte) e così seria la
materia del loro contendere, che poteva l’ aria non arroventarsi? Certo che no.
Tuttavia sarebbe ingiusto disconoscere che qualche momento di buonumore l’
abbiamo comunque ricavato. Come quando il romanziere francese Alain
Robbe-Grillet, capofila del "nouveau roman" francese, ha dichiarato
(ad Antonio Debenedetti: "Ho ucciso Balzac", Corriere della sera del
17 agosto) di aver fatto fuori – lui personalmente – il vecchio romanzo
ottocentesco con tutti i suoi personaggi. Già, i personaggi. Gli insopportabili
personaggi descritti a tutto tondo. E chi li vuole più? Chi li sopporta? –
dicevano i critici più nuovi e agguerriti degli Anni Cinquanta e Sessanta.
Viviamo, aggiungevano, in un tempo che non è mai stato così complesso, così
indecifrabile, così indescrivibile (almeno negli ultimi seimila anni). E tu
romanziere vuoi cominciare raccontando che "la signora uscì di casa alle
cinque"? Screanzato, incolto, maleducato. E’ in tutt’ altro modo: più
ellittico, più moderno (meglio ancora se postmoderno) che devi scrivere. Poi
che cosa accadeva? Accadeva che entrava in scena, in pieni anni Cinquanta, Il
Gattopardo, con tanto di personaggi che entravano ed uscivano dai palazzi di
Palermo in tutte le ore della giornata. E adesso come la mettiamo? Oppure
arrivavano per mare, nel pieno degli anni Sessanta, i romanzieri sudamericani –
Garcia Marquez in testa – brulicanti anche loro di personaggi. E adesso, come
la mettiamo? La mettiamo così, per cominciare. Che i famigerati personaggi,
espulsi dalla letteratura magari anche meritoriamente sperimentale, magari
anche arditamente moderna (o postmoderna), continuano ad avere un loro rapporto
con i bisogni del lettore. Il quale, se deve salire sul treno o in aereo per un
lungo viaggio, difficilmente metterà in valigia il romanzo Le gomme di Alain
Robbe-Grillet: che pochi hanno letto, pochissimi riletto. Partiranno tenendo
sottobraccio un romanzo di Balzac, scelto a caso, nella fretta della partenza.
Con quello sono sicuri che qualche ora di distrazione in treno o sull’ aereo ce
l’ avranno. Oppure metteranno nella valigia, se si trovano in America, l’
ultimo romanzo di Stephen King: quello che vive e scrive nel Maine, di dove
manda in giro per il mondo le sue storie allucinate, i suoi personaggi
allucinanti. Lasciando prudentemente a casa i romanzi sperimentali –
rispettabilissimi peraltro, per altre ragioni – di William Gass, di John Barth,
di Richard Brautigan, di Donald Barthelme. Ai quali tutti idealmente
rivolgendosi, il grande Leslie Fiedler, il miglior critico americano del
dopoguerra (il migliore) disse una volta: sapete cosa vi dico? Vi dico che il
vero romanziere postmoderno, fra voi tutti, è lui. E’ proprio Stephen King. Può
darsi sia accaduto questo. Che il personaggio, momentaneamente accantonato
dalla letteratura cosiddetta alta, si sia rifugiato nella letteratura di
consumo: poliziesca o fantapolitica. Al cui successo popolare tutti gli
scrittori "alti" segretamente aspirano. Ma essendo troppo bravi –
troppo colti, troppo consapevoli, troppo bene informati – purtroppo non ci
riescono. Né d’ inverno, né d’ estate.
A Loredana che scrive che mi gioverebbe sapere ecc ecc. rispondo che gioverebbe a lei leggere che sopra ho scritto:
“Anche Tiziano Scarpa dice che i blogger contribuiscono a svecchiare la vecchia forma del romanzo (parole mie).”
e gioverebbe anche sapere che su Vibrisse ho scritto che non metto in discussione una novità nella forma, ma che non è la novità della forma la discussione che si trova in giro (Bottega di lettura compresa).
A Gianni Biondillo rispondo che non so cosa rispondere. Se trova che i contesti siano differenti io trovo invece che per analogia la cosa va benissimo anche qui.
Tra l’altro “Siluri” è proprio Castelvecchi 🙂
@gianni
concordo con te su placido. “la televisione col cagnolino” (il mulino), che conoscerai sicuramente, è un libretto delizioso.
@loredana
gustosa la notizia della presentazione di scarpa di pulsatilla! 🙂
Sul suo blog, il 6 giugno scorso, Pulsatilla scriveva:
“(…) La mattina dopo ho avuto l’onore di essere guidata tra le vie di Venezia da Tiziano Scarpa in persona, indigeno doc, che ha parafrasato per me il contenuto del suo libro Venezia è un pesce man mano che procedevamo tra gomiti e calli; un po’ come andare a Firenze con Dante.”
Tra l’altro a Lipperini vorrei dire che La danza delle Calle non è per niente un libro divertente. E’ come diceva anche Mozzi un libro “prescrittivo” (il termine è venuto fuori dopo un po’ di discussione sulla Bottega di lettura), che dice cioè come uno dovrebbe essere. Direi che nel complesso è più divertente Foucault, almeno lui non è prescrittivo!
Se storpiare i nomi è tanto legittimo, propongo di sciogliere l’acronimo “a.b.” in un elegante “Alamamma Battona”. E Carla Benedetti (la su mamma, appunto) potrebbe diventare “Cacca Benedetti”.
“Prescrittivo” è proprio l’aggettivo che mi viene in mente ogni volta che leggo un commento di Barbieri.
ab, dici: “Il punto è quanto spazio di libertà rimane a questi scrittori esordienti della rete?”
boh, per quel che mi riguarda di certo molto più di prima. Posso mettere i miei testi in rete e li leggi chi vuole (pochi? secondo me anche troppi…) e c’è anche un matto che me li pubblica (addirittura me l’ha chiesto lui, io manco lo conoscevo). Secondo me è un vero caso di impazzimento del sistema 🙂
Ripeto, imo il punto non è affatto una presunta censura che lascia fuori qualcuno: il mercato si organizza in modo che funziona sull’incitamento, sullo scoprire nicchie, non certo sul chiuderle.
Questo non dice nulla sulla qualità o non qualità, ma sarebbe strano il contrario.
domando poi scusa alla titolare
per la frase su castelvecchi, dovuta forse alla foga, che frettolosamente e piuttosto infelicemente sovrapponeva il generale (“certi giornali e certi editori”) al particolare (castelvecchi), dando l’idea che avessi qualche informazione che invece non ho affatto
(di me in quanto giornalista o dei compromessi che mi è capitato di fare in passato posso anche dire; di altri che non conosco farei meglio a tacere prima di dire cazzate. Mi scuso quindi per l’eventuale cazzata proferita)
Scuse accettate, bg.
Ok.
Da oggi invento una nuova parola: “cazziantivo”.
Esempi d’uso:
Ahahah, stai facendo un discorso cazziantivo!
Oggi è una giornata cazziantiva, non c’è un filo di sole.
Quella ragazza è maggica ma sta con un tipo che la cazziantiva.
“Cazziantivo” è proprio l’aggettivo che mi viene in mente quando leggo un commento di Barbieri.
“a.c.do” è proprio quello che mi viene in mente quando leggo un commento di a.c..
“a.b.bestia”
E’ quel che viene in mente a me. Sempre più in basso.
@ Loredana,
sopra hai scritto
“Del resto, ad Andrea gioverà sapere che la medesima Pulsatilla è stata presentata, a giugno, proprio da Tiziano Scarpa. Dunque?” ti ho già risposto sulla cosa, ma mi faresti un piacere, mi potresti fornire un link alla manifestazione a cui ti riferisci, perché quella che cita il nick “archivista” non è una presentazione di Scarpa alla blogger ma una lettura collettiva con altri autori a Mestre… Insomma non riesco a capire a cosa ti riferisci. Ti ringrazio in anticipo per il link.
Andare a Venezia con Scarpa “è un po’ come andare a Firenze con Dante.”
Il senso della misura non è dei nostri tempi.
Sulla Long Tail, qui c’è uno spassoso video:
http://www.youtube.com/watch?v=7xAA71Ssids
“Nick” a chi? Io mi chiamo Fernando Archivista. Un po’ come Vincenzo Trespolo, insomma…
Ah ah ah, siete dei miti: la storia della presentazione di Scarpa è una bufala internettiana. Pazienza, ci cascano anche i lit blog nella prassi dei bufaloni. E poi (come vi spiegavo sopra) Scarpa davvero si interessa ai blogger. Ma resta il fatto che ci si senta, noi lettori, un po’ presi per il naso – eh Lippa… – esattamente come quando ci propinavano il finto scrittore transgender ammaricano – di nuovo: eh Lippa… Cioè, lo propinavano ai creduloni perché io, nutrito di letture di qualità, di visioni kafkiane ed elgrechiane, dopo venti pagine di Sarah avevo capito che l’autore era un cazzaro. Tuttavia il mondo va avanti lo stesso, con Garufi un minutino più triste, ma siccome me lo immagino in perenne doppiopetto, anche triste fa la sua figura di intellettuale elegante 🙂
Io non so se l’abbia presentata né me ne frega. A me basta sapere che Tiziano Scarpa, a differenza di altri, ha approcciato una ragazza che ha avuto il “torto” di scrivere un libro senza essere Proust con umanità e disponibilità, e ha trascorso del tempo con lei senza trattarla come una merda, senza storpiarne il nome venti volte all’ora, senza inseguire per la rete chi la recensiva, senza molestarla, senza demonizzarla, senza sbavare di rabbia ogni volta che qualcuno la nominava. E’ bello scoprire che Scarpa, in fondo, è un po’ meglio degli “scarpisti”. Dovrebbe però porsi il problema di come vanno in giro a “rappresentarlo” certi personaggi davvero piccoli piccoli.
a.b., se devo dire la verità, non è che fai tutta ‘sta bella pubblicità a kafka e elgreco…
@alberto
“E’ bello scoprire che Scarpa, in fondo, è un po’ meglio degli “scarpisti”. Dovrebbe però porsi il problema di come vanno in giro a “rappresentarlo” certi personaggi davvero piccoli piccoli.”
già, ma sono rappresentanti o discepoli? perché ad ascoltarli spesso sembrano dei seguaci di scientology che fanno proselitismo.
Alberto, sono convintissimo che Scarpa abbia dedicato tempo e attenzione alla ragazza che si fa chiamare Pulsatilla, credo che questo sia coerente con la sua “forma di vita” se mi permetti il parolone. Posso aggiungere che riuscire a fare questo è un ottimo modo di stare al mondo.
Ognuno ha il suo modo di stare al mondo. “Io sono quello che sono ed è tutto quello che sono”. Non sopporto certe finzioni, non le sopporto se servono per vendere e se allo stesso tempo allontanano – per vendere – la persona. Mozzi recensendo la Ballata dice che è un libro in cui non c’è la persona. Io che sono più cattivo di Mozzi aggiungo: non c’è perché se ci fosse farebbe pensare troppo e addio potenziale best seller. La ragazza che si firma Pulsatilla però esiste, da qualche altra parte, ma esiste. Esiste fuori dal circo che le hanno creato intorno e che lei ha contribuito a creare.
Nel mondo ci sono anche persone che sono esattamente dove dichiarano di essere e non desiderano nessun circo. Io vorrei (quando uno dice “io vorrei” sta rivendicando qualcosa di giusto e forse impossibile, come nell’omonima canzone di Giovanna Marini), io vorrei dicevo che l’attenzione fosse dedicata anche a quelli che sono tutti quanti lì dove dicono di essere.
Questo è il problema, non che uno sappia o no scrivere come Proust. C’entra quello che metti nelle parole, che poi è nient’altro che fiducia di riuscire a dire qualcosa di vero. Ogni tanto torno nel blog della madre di Aldovrandi, il ragazzo che hanno ammazzato di botte durante un controllo di polizia. Be’ sua madre che non ha una particolare competenza nella scrittura ti fa sentire che lei “è” in ogni parola che scrive. Quel blog è uno dei luoghi della rete e della carta in cui la fiducia nella parola è massima. E la cosa bella è che quella fiducia è ripagata, perché senza l’attenzione che il blog ha creato le indagini non sarebbero riprese con la stessa forza.
Vedi, non sono uno “scarpista”. Non so come potrei chiamarmi, comunque sono uno che crede che ci sono delle parole da difendere, che c’è da fare una resistenza perché piano piano se le mangiano per la mania di vendere. Mi sbaglio? sono catastrofico? non mi sbaglio ma sbaglio il modo di difendere quelle parole? Può darsi. Un po’ di tempo fa avevo pensato di non dire più niente, ora ammutolirmi mi sembra una cazzata. Mi sono proprio detto: meglio sbagliare che ammutolire. Sono così.
a.b., avresti potuto dire tutto questo prima, senza cattiverie, goliardate e meschinerie gratuite. Perché tu pensi di essertela presa con un simulacro, ma quel simulacro è una persona. Una persona i cui sentimenti ti sei impegnato a fondo per ferire in ogni modo. Come aveva detto Pulsatilla: “Per favore, non lasciate cattivere sul mio blog. Io contro le cattiverie non ho rimedi”. Ci ha provato, poi ha dovuto chiudere i commenti, perché quelli come te si accanivano con una foga che meritava e merita una causa migliore. Se prendi di mira un collettivo di persone (un blog multiautori, come Nazione Indiana) o una professionista della comunicazione (come Loredana Lipperini), magari risulti fastidioso ma dall’altra parte c’è chi può gestirsi la cosa. Se prendi di mira ripetutamente una persona che è da sola e non ha fatto altro che raccontare parti della sua vita, diventa una canagliata.
adesso sì, barbiè, che fai una bella pubblicità a k. & C. (ammesso che ne abbiano bisogno…), quando smetti i panni del saccentino.
Quando ce vvò ce vò: bravo tintoco.
@a.b.
non puoi dire:
“io, nutrito di letture di qualità”
E non per una questione di forma, di stile o di senso del ridicolo, ma solo per un riflesso pavloviano.
A chi se ne è davvero nutrito risulta fisicamente impossibile scrivere una frase come la tua.
@ Alberto
Penso che la canagliata sia la tua contro di me. Ho detto delle cose argomentandole: esprimere le proprie opinioni è ancora possibile nonostante i mille tentativi di screditare chi alza una voce critica.
@ Temperanza
Il mio post era scherzoso, mi pigliavo un po’ in giro e pensavo si capisse dal tono generale e dal fatto che El Greco e Kafka non c’entrano nulla con l’invenzione dello scrittore transgender americano (magari Urs Lüthi, al limite…). Tra l’altro El Greco è una lettura per modo di dire.
Non c’entrano le letture di qualità o non di qualità, ma la vita, le persone che uno può aver conosciuto.
Si dimentica sempre vero che le parole in qualche modo devono tornare al mondo…
Rimane il fatto che a noi lettori propinano di tutto nel nome del mercato. Mi piacerebbe un giorno Temperanza sentirti dire qualcosa al riguardo, invece di accanirti a cercare mie contraddizioni.
eheh temperanza, però se dici così dai per inteso di sapere cosa farebbe uno che se n’è nutrito, che è come dire che te ne sei nutrita 🙂
(oh, si fa per scherza’, qua tutti che si menano…)
ps
io ho sempre saputo che ab ha un’anima. il problema è che pensa di essere l’unico ad averla
😉
(sì, ab, IMHO magari puoi anche aver ragione, magari no, ma tutto si riduce all’insignificanza quando “sbagli” così tanto nel modo di difendere le tue posizioni. Un po’ di tolleranza verso il fatto che altri hanno gusti, o percezioni, o idee, o progetti diversi senza per questo essere necessariamente meno “umani” o qualcosa del genere, non sminuirebbe la tua passione, forse anzi le darebbe un senso più condiviso.
Ti chiedo scusa per la pippa morale non richiesta, ma come ho detto sopra sono un vecchio rimbambito di riformista.
E detto tra parentesi: dire che il mercato ci propina di tutto e dire che c’è l’omologazione sono una frase il contrario dell’altra. Se puoi incontrare gli autori che ti piacciono è grazie al mercato, che ti piaccia o no – fatte salve tutte le critiche sensate che al mercato si possono fare e che discutevano sopra con cuk)
se a qualcuno interessa Urs Lüthi
a.b., se la mattina esci di casa ed entro mezzogiorno hai già fatto a cazzotti con quindici persone, e se questo capita tutti i giorni, molto probabilmente il problema non sono le altre persone che sono “anti-te”: il problema sei TU. Riflettici un po’ sopra se sei ancora minimamente in grado di farlo.
BG, ci “propina di tutto” nel senso che il mercato è senza ritegno.
Non è vero che posso incontrare chi voglio: è sempre più difficile trovare certi libri anche di recentissima uscita (quando escono…). Proprio qui, tempo fa Nicola Lagioia, lamentava che non sono reperibili – faccio solo un esempio che dà il senso dell’assurdo – due dei volumi della trilogia di Beckett (e io aggiungerei che l’unico reperibile è stato smembrato dalla vecchia edizione unitaria einaudi e viene venduto a peso d’oro.
Sono stati fatti parecchi giri di vite per non avere resa e avere il maggior profitto (forse è anche un problema di tasse su ciò che rimane in magazzino come se fosse fatturato, ma non sono esperto sulla cosa e forse dico minchiate…), lo dico da consumatore di libri che verifica giorno dopo giorno questa specie di garrota.
@ Alberto, ricevo reprimende in pubblico (come da te) e parecchie testimonianze di stima (spesso per mail): il tuo ragionamento non funziona.
Peccato che le prime siano verificabili in quanto pubbliche, le seconde invece no. Come mai chi ti difende non si espone? Boh.
Andrea, questo è un invito, e volendo anche una reprimenda: monopolizzare una discussione a colpi di commenti contenenti granitiche certezze (spesso molto sgradevoli, come quelle nei confronti di Pulsatilla) è una delle tue caratteristiche, qui e altrove, e noon da oggi. Sinceramente, non la comprendo e trovo che non sia utile nè a te nè alla discussione stessa. Lo scrivo con pacatezza, come vedi. Forse a te diverte impersonare il ruolo dell’uno contro tutti: agli altri, e a me in questo caso, meno. Ti pregherei di non scambiare un luogo di discussione pubblica come il tuo spazio personale. Grazie.
Ps.Quanto alla presentazione di Scarpa, c’è stata eccome: chiedine conferma all’ufficio stampa di Castelvecchi, che è la fonte da cui ho tratto la mia affermazione. Altri presentatori in giro per l’Italia: Pinketts, e anche la sottoscritta, alla Fnac di Napoli, diverso tempo fa. E su questo argomento non intendo tornare. Stop.
La trilogia di Beckett in unico volume edizione Einaudi è su libreriauniversitaria.it, su unilibro.it e e costa € 27, molto meno di quel che costerebbero i tre libri separati. Basta digitare “Beckett”. Non solo: su entrambi i cataloghi on line c’è anche l’edizione in unico volume SugarCo a € 13, che è anche indicata su ibs.it (anche se precisano: “difficile reperibilità”).
per quanto mi riguarda, se vado dal parrucchiere,e la sciampista, invece di imbottirsi di televisione, mi dice che legge volentieri ‘Tre metri sopra il cielo’, Meliss P, e magari domani Pulsatilla, la cosa mi sta bene; anzi, mi fa pure piacere.
Buone vacanza, Loredana, ‘eremo marchigiano ‘ suona molto bene, sarà perchè amo molto le terre marchigiane.
Ilaria
OT Una augurio di buona estate a tutti (quindi OT per modo di dire, perché un augurio non fa male a nessuno…).
@Loredana, visto che capiti nelle Marche, come dire, my home, sentiamoci e vediamoci, io sono da queste parti…
@ A.B., ma senza polemica, passa il tempo, cambiano le stagioni, ma tu resti un monolite, degno di Kubrik: un mare di certezze (le tue) vs un mare di dubbi (il resto del mondo). Beato te…
Lippa Lippa, mi reprimisci quando i miei interventi sono in topic (ma ovviamente lontani dalla tua linea di pensiero al titanio)… Nemmeno io capisco perché fai così, è la malattia di certi lit blog, come spiegai in modo esauriente qualche mese fa.
Non ha mai portato niente di buono la reprimitura, nel senso che reprimisciando si dimostra la necessità di discorsi critici. Comunque buone vacanze, in fondo sono solo parole, no? Forse ci incroceremo di nuovo a settembre da blog distinti (ma non è detto che mi sia rimasta la voglia eh, sto scomodo nelle tutine di Black Mamba)
ps Lory dal sito di Castelvecchi/Siluri ci sono tutte le presentazioni che citi meno una: indovina quale… 🙂
Un saluto a Monina (ma Fabri Fibra non mi piace proprio).
Un saluto anche ad Ale che è riuscito a dimostrare che della trilogia a dire molto esiste (forse, molto forse)una copia di dieci anni fa, su un sito web.
A tutti quelli che ho incrociato qui, bacioni.
toc toc, la discussione è chiusa!
Io non posso avere un Caravaggio in casa. E’ il mercato, baby. Ma posso vederlo in un museo. E’ la cultura baby.
Io posso non trovare Beckett nella libreria sotto casa. E’ il mercato, baby. Ma posso trovarlo in biblioteca. E’ la cultura, baby.
(inutile dire che mercato e cultura, per me, non sono necessariamnte antitetici, ma sono insiemi che spesso si sovrappongono e spesso no)
Musei e biblioteche sono il risultato di politiche culturali. Parliamo di quelle, discutiamone anche animatamente, mi sembra il vero nodo da sciogliere.
A parte che sono tre siti, non uno, ma tu che ne sai che ne hanno una copia sola? Fai la controprova: ordinalo dieci volte. Per la cultura, questo e altro.
@ a.b.
ti rispondo volentieri, intanto, non mi accanisco a cercare le tue contraddizioni, le ho viste due volte e due volte, se non mi sbaglio, te le ho fatte notare.
Quanto invece alle letture di qualità, ricorderei per prima cosa, per sgombrare il campo da certe idealizzazioni, che KAFKA – dico Kafka -leggeva attentamente Flaubert, ma leggeva anche tanta letteratura popolare jiddisch, e spesso mediocre. Ed era anche un attentissimo spettatore del teatro jiddisch praghese, considferato ai suoi tempi di assai basso livello.
I grandi scrittori leggono spesso anche letteratura popolare, sarebbe difficile, in caso contrario, che potessero parlare a tutti, perchè si nutrirebbero a poppe vizze, accademiche, ipersofisticate.
Il miscuglio dunque è sempre stato fertile.
Come sempre l’importante non è cosa si legge, ma cosa se ne fa. Kafka ne ha fatto qualcosa, direi;–)
@bg
come vedi non pensavo a me:–) e in ogni caso io Moccia lo ho letto, un po’ in fretta e saltando dei mannelli di pagine, ma lo ho letto, perché sono curiosa e mi piace capire.
Per amor di completezza, sia pure sintetica, visto che qualcuno potrebbe obiettarmi che la letteratura jiddisch era “popolare” mentre quella di cui si è parlato qui è solo merce, vorrei notare che ognuno ha il popolo che il suo tempo gli dà, o che si merita. Adesso c’è il consumatore.
Vogliamo rimettere indietro le lancette con uno scatto di orgoglio? Siamo capaci? Lo vogliamo davvero? Molti che parlano qui sarebbero costretti al silenzio, a lancette riavvolte. Non dimentichiamocelo.
Temp il tuo intervento rispetto a me è pioggia sul bagnato: artisti che adoro raccoglievano spazzatura! Joseph Cornell era disperato per la mancanza di spazzatura giusta per le sue scatole (col tempo cambiava la fisionomia dello scarto come quella dei ragazzi pasoliniani).
Però nei musei, non portiamo la mia/tua spazzatura, portiamo le scatola di Cornell che non sono più spazzatura. Quindi un conto è la dieta dell’artista un conto è quella del lettore. Al lettore rimane spesso solo la spazzatura non compostata dall’artista e venduta a caro prezzo in televendite, stampavendite, webvendite.
Temp, terresti qualche cartuccia per settembre? Ora è troppo caldo. Col fresco si riprende (te lo chiedo anche perché quello che accade qui è monco, infatti è quasi solo parte distruttiva, mentre occorre anche costruire le alternative).
per chi è curioso: l’ossuto assemblatore Joseph Cornell
@temperanza
“I grandi scrittori leggono spesso anche letteratura popolare”
“J’aimais les peintures idiotes, dessus de portes, décors, toiles de saltimbanques, enseignes, enluminures populaires; la littérature démodée, latin d’église, livres érotiques sans orthographe, romans de nos aïeules, contes de fées, petits livres de l’enfance, opéras vieux, refrains niais, rhythmes naïfs”.
(Arthur Rimbaud, “Une Saison en enfer”)
GRAZIE
Intuisco l’amarezza che si prova trovandosi a parlare con qualcuno che dopo gli scoppi iniziali devia, sfugge e chiude per ferie. Credo però che i vostri interventi possano essere stimolanti e utili (a dispetto di qualche kamikàze)per tutti quelli che si interessano di questi argomenti, anche senza intervenire direttamente.
Per questo ringrazio WM1, b.g., Fake di Baricco e ovviamente la Lipperini.
arrileggervi
lucio
Lucio, “dove c’è profitto, non c’è arte” era il tema della discussione.
Non so a chi ti rivolgi col tuo “kamikaze” accentato, probabilmente alle persone che non ringrazi. Resta il fatto che quasi tutti gli interventi sono in topic, tra questi i miei, tra i miei c’è probabilmente l’intervento più bello e interessante del colonnino.
Come dicevo sopra mi sembra che qui sia stato detto tutto e che non si possa continuare se non sforzandosi di indicare costruttivamente alternative a questo sistema che tende a trasformare autori e critici in chierici del mercato. Ma indicare quella che dovrebbe essere un’altra cultura che si sviluppa secondo altri valori non è possibile – ammetterai anche tu – su un colonnino di commenti che presto sparirà. Occorrono ben altre energie spazi e tempi. Si può fare la cosa? lo vedo difficilissimo e quasi impossibile, ma chi sa…
lucio contagiato dal virus di Fibonacci.
a.b., è possibile. Difficile ma possibile.
Che sia possibile “indicare alternative a questo sistema…” , anche da questo colonnino, lo dimostano gli interventi delle persone che ho citato, e di altri che non cito per evitare un elenco, ma che hanno indicato delle alternative. Alternative a questo sistema di mercato, non abolizione del mercato, ma trasformazione dell’attuale sistema di mercato.
Che sia difficile indicarle, non difficilissimo, lo dimostrano gli interventi kamikaze (che si lancia contro l’obiettivo nemico sapendo di non potersi salvare)interventi, non persone.
Comunque vorrei ringraziare anche te se tralasciando deviazioni e chiusure decidessi di indicare un’alternativa a questo sistema che non ritengo assolutamente inattaccabile.
lucio
Certo Lucio che il “sistema” non è inattaccabile, ci mancherebbe! Se fosse così, tanto varrebbe darsi all’ippica. Il problema è: come si attacca proficuamente il “sistema”? E poi: cos’è il “sistema”? Di cosa su nutre?
Sul mercato: ogni prodotto letterario di un certo livello è, allo stesso tempo, arte e merce. Se non fosse così, non potrebbe circuitare se non in forma semiclandestina. La circolazione però svalorizza (deprime, inflaziona) la sua parte migliore. L’autore “come produttore” dipende funzionalmente dal meccanismo (mezzi tecnici, finanziamenti, editor, etc.). Ciò incentiva indubbiamente la repressione di una creatività libera da vincoli: se vuoi stare sul mercato devi vincolare la tua inventività alla medietà del gusto pubblico; altrimenti sei “fuori”, costretto ai margini, invenduto. Questa è una regola generale; è ovvio che possono darsi delle eccezioni. Brecht dimostrò in diverse occasioni, e in particolare nel “Processo all’opera da tre soldi”, che il capitale e il lavoro creativo “non possono collaborare alla pari realizzando insieme autonomi obiettivi” (ed è proprio qui, secondo me, la contraddizione più evidente nella prassi dei Wu Ming). Dimostrò insomma (la contrapposizione riguardava Brecht stesso e una impresa di produzione cinematografica americana) come l’opera, una volta entrata nel sistema produttivo, veniva snaturata della sua artisticità: “può venire adoperata in quanto poesia senza il suo significato, cioè con un significato diverso, oppure addiritura senza nessun significato”. Io questo lo vivo come problema irrisolvibile (a meno di rivoluzionare il capitalismo, abolendolo); la maggior parte di voi cerca di conviverci andandogli incontro (ah! le virtù del mercato!). Questa differenza di atteggiamento si riflette nel linguaggio: non può che riflettersi, pur tra mille mediazioni, nell’opera. Da qui il mio prediligere opere del tutto anti-economiche, che fondano la loro essenza sulla “forma” (meglio: sul deragliamento delle forme consolidate) … Sono solo diverse prospettive di lavoro. Ognuna leggittima, però tra loro inconciliabili …
Cûk-Utitz
Cuk, in effetti mi sembra che il tuo problema sia abbastanza serio e forse anche irrisolvibile.
Tu prediligi opere antieconomiche, basate sul deragliamento delle forme consolidate; perfetto.
Ora, la prassi dei Wu Ming fa proprio questo, opere antieconomiche (io stesso ho scaricato tre libri dal loro sito) e deragliamento delle forme consolidate, a partire dalla forma dell’autore e del consumatore, e a seguire con il “meccanismo (mezzi tecnici, finanziamenti, editor,etc.)”, senza limitarsi alla scrittura (dove non è più tanto evidente la forma consolidata e di conseguenza il deragliabile). Ma questa per te è una prassi contraddittoria.
In uno dei tuoi interventi iniziali su questa discussione hai citato Emilio Villa come esempio di scrittore sconosciuto al grande pubblico, che non vende e fa vera arte. Questo è perfettamente credibile ma per il momento, proprio perché sconosciuto ai più, non si possono costringere tutti a crederci ciecamente. E inoltre, e qui nasce quello che vivi come problema irrisolvibile, se il pubblico si convincesse che Villa è l’artista che dici, potrebbe decidere di comprare una sua opera facendola decadere a volgare merce, e allora addio all’arte e all’artista.
Si messo così mi sembra irrisolvibile, ma sicuramente troverai una soluzione, comunque auguri.
lucio
Grazie a chi ha citato il mio romanzo come degno di essere letto. Senza voler entrare nel merito della discussione, voglio aggiungere: senza una buona distribuzione e le spalle coperte da un editore ‘forte’ che garantisce visibilità nelle librerie, neppure le buone recensioni aiutano molto a vendere. È stata la mia esperienza. Se una dozzina di lettori ‘comuni’ va in libreria dopo aver letto una recensione, chiede il romanzo in questione e non lo trova, forse due di loro lo ordinano e aspettano 5-10 giorni per averlo. Forse. I rimanenti provano da un’altra parte, e in caso di ulteriore fallimento lasciano perdere e ti scordano. Io pubblico anche con Piemme. Romanzi storici. Distribuzione capillare, visibilità in libreria. Le recensioni non sono fondamentali. Si vende. Certo, a un target di ‘genere’, ma si vende. Naturalmente ci sono le eccezioni, ma non è il mio caso. Grazie anche per l’ospitalità.